Il 225° e ultimo sovrano d'Etiopia, salito al trono nel 1930. Monarca feudale
e moderno, guerriero astuto che combatté l'invasione dell'Italia fascista
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HAILÉ SELASSIÉ, PER LA LEGGENDA
DISCENDENTE DI RE SALOMONE
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Hailé Selassié o più propriamente Hayla Sellase nasce il 23 luglio 1892 nel villaggio di Ejarsa Gora, lontano dal caos della città di Haràr, paesone dell'Etiopia orientale. Sua madre Yeshimabet è condotta in questo tranquillo villaggio per terminare la sua gravidanza per volere di suo marito: nessuno e niente doveva disturbare il parto della giovane donna. Suo padre è il ras (principe) Makonnen, cugino dell'imperatore Menelik e governatore di Haràr. Al bimbo è dato il nome di Lij Tafari (che in amarico significa "Capo da temere").
Una leggenda popolare etiope narra che molti anni prima della sua nascita, stregoni e astrologi avevano profetizzato la sua venuta al mondo. Plutone e Nettuno avevano lentamente cominciato a muoversi l'uno verso l'altro nel 1399, lungo una traiettoria eliocentrica, ci avrebbero impiegato ben quattrocentonovantatre anni per incontrarsi: s'incrociano lo stesso momento in cui nasceva Lij Tafari, il 23 luglio 1892.
Il mese successivo il piccolo Tafari riceve il battesimo cristiano nella chiesa copta di Haràr. La cerimonia si svolge nello sfarzo più completo. Il neonato è portato in chiesa adagiato su una portantina coperta da un baldacchino ricamato d'argento. La fanfara cerimoniale, composta da sei suonatori, esegue un inno festoso con i corni ricurvi ad una sola nota.
Il piccolo Tafari cresce educato da sacerdoti cattolici. Egli si dimostra subito un ragazzo intelligente, imparando correttamente e subito il francese e l'amarico (lingua ufficiale dell'Etiopia, d'origine semitica della famiglia delle lingue afro-asiatiche. Il nome deriva dalla popolazione Amhara). L'intelligenza non comune del giovanissimo Tafari lo mette in evidenza dinanzi all'imperatore Menelik che, nel 1905, nomina il ragazzo appena tredicenne Dejazmach ("Custode della Porta"), ossia alto magistrato. Sei anni più tardi, morto il padre, il giovane Tafari gli succede nella carica di governatore della provincia di Haràr.
Nel frattempo l'imperatore Menelik perde le sue facoltà mentali. Già paralizzato e succube della moglie, la regina Taitù e di alcuni suoi alti dignitari di corte, il malato imperatore viene convinto nel 1908 a designare come suo successore al trono d'Etiopia il nipote Lij Yasu, figlio del governatore ras Michele, capo dei Galla Wollo.
L'erede al trono è un personaggio indegno di quella carica: egli, anziché studiare e formarsi per ottemperare alla sua futura carica d'imperatore, passa il suo tempo ad ubriacarsi, cacciare leoni e catturare schiavi nel deserto della Dancalia. Alla morte dell'imperatore Menelik, avvenuta il 12 dicembre 1913, Lij Yasu s'insedia effettivamente alla poltrona imperiale.
Dopo essersi convertito alla religione islamica, in un momento di follia, il nuovo imperatore si proclama diretto discendente di Usayn, il figlio di Fatima, la figlia prediletta che il profeta Maometto ebbe con la prima moglie Khadija. Questo significa, siamo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, attirarsi l'ostilità politica dell'Inghilterra, della Francia e dell'Italia, i cui possedimenti coloniali attorniano l'Etiopia. Anche la popolazione etiope, in maggioranza di religione cristiano-cattolica, non accetta di buon grado la nuova confessione del loro sovrano, entrando il contrasto con la sua autorità. Il contrasto si trasforma ben presto in rivolta aperta e, nel settembre 1916, l'imperatore Lij Yasu, abbandonato dai suoi dignitari, perde il suo trono. Anche i vescovi cristiani, per timore di perdere il loro potere, abbandonano l'imperatore, anzi lo scomunicano direttamente. Ras Tafari, che mal aveva digerito la presa di potere di Lij Yasu, guida la rivolta popolare rinunciando, tuttavia, ad avanzare pretese. Fu grande guerra fra Lij Yasu e Tafari Makonnen: l'esercito del secondo riesce a sconfiggere il rivale e a detronizzarlo (l'imperatore deposto morirà in prigionia, in maniera più che sospetta, vent'anni più tardi mentre le truppe italiane stanno marciando verso Addis Abeba).
A seguito della detronizzazione dell'imperatore Lij Yasu, l'11 febbraio 1917 l'abuna (arcivescovo della Chiesa copta etiope) di Addis Abeba Matteo proclama imperatrice Zauditù, figlia del defunto Menelik. Il ras Tafari Makonnen, che aveva dato prova di grande intelligenza politica e fedeltà all'imperatore Menelik, viene nominato reggente ed erede al trono: Tafari avrà la pazienza di aspettare altri quattordici anni e la morte della regina, prima di salire, a meno di quarant'anni, al trono dei Negus.
Ritornato Stato cristiano, grazie al lavoro diplomatico del reggente Tafari, l'Etiopia entra nel 1923 a far parte della Società delle Nazioni (già nel 1919 l'Etiopia aveva chiesto di farne parte ma, a causa della pratica della schiavitù, ritenuta un importante ingranaggio dell'intero sistema sociale del Paese, la richiesta era stata più volte respinta). Per questo persuade l'imperatrice Zauditù a firmare un editto che punisce anche con la morte la vendita di schiavi: le sanzioni contro il commercio degli schiavi non aboliscono certamente la schiavitù, ma si dimostrano un punto a vantaggio per l'importante ingresso nel consesso internazionale.
L'Italia e la Francia hanno avuto un ruolo predominante per l'ingresso dell'Etiopia della Società delle Nazioni. I due Stati avevano entrambi l'ambizione di aumentare i loro commerci e la loro influenza in questa regione del mondo e, nonostante l'opposizione di un certo numero di Paesi, (tra gli altri, Inghilterra, Svizzera, Australia e Norvegia), appoggiarono la domanda e fecero pressione sulle altre Nazioni perché l'accettassero. L'Etiopia fu eletta membro all'unanimità. Venuto a conoscenza degli interessi delle potenze europee sull'Etiopia, ras Tafari scrive direttamente alla Società delle Nazioni per lamentare il proprio turbamento e la crescita di diffidenza verso alcune potenze d'Europa.
Quello stesso 1923, ras Tafari fa quel che nessun altro erede al trono o imperatore aveva mai osato prima: lascia il Paese per un viaggio. Si reca ad Aden, nello Yemen meridionale, come ospite del governatore. Egli, per la prima volta nella sua vita, prende un aereo. Qui assiste ad una dimostrazione di bombardamento aereo, un'esperienza che convalida la convinzione che gli aeroplani avrebbero potuto rendere grandi servigi all'Etiopia, sia in tempo di guerra che in quello di pace.
Per dimostrare la sua risolutezza politica e il suo spirito audace, il reggente Tafari accetta l'invio rivolto dai governi europei di visitare i loro Paesi. Per paura che in sua assenza qualcuno dei suoi dignitari potesse tradirlo, li porta tutti con se. Egli parte nell'aprile del 1924 per un viaggio di ben centoquarantadue giorni, visitando Gerusalemme, Il Cairo, Roma, Marsiglia, Parigi e Londra. Il seguito che lo accompagna è formato, oltre che da alti dignitari di corte, da trenta servitori personali. La megalomania di Tafari già si mette in mostra poiché, oltre all'alto numero di servitori personali, egli porta con sé anche sei leoni (due per re Giorgio V, due per lo zoo di Parigi e due per il presidente Millerand) e quattro zebre (tutte per il presidente Millerand).
Il Times salutò il suo arrivo a Londra (aveva visitato Gerusalemme, il Cairo, Marsiglia, Roma e Parigi lungo il viaggio), scrivendo, il 7 luglio 1924: "L'arrivo del principe Tafari Makonnen oggi a Londra è un avvenimento storico, perché mai nella storia della casa reale di Etiopia, la quale secondo la tradizione discende dal figlio di Salomone e della regina di Saba, un monarca o un erede al trono abissino ha lasciato le sue montagne native nel cuore dell'Africa. La straordinaria rottura con il passato che questo viaggio sta a significare, dimostra quanto audace, illuminato e risoluto sia il carattere del principe. Una visita a Londra era da molto tempo un suo caro desiderio, ispirato nel suo cuore giovanetto dall'esempio di suo padre, ras Makonnen, che era stato l'inviato speciale del defunto imperatore Menelik all'incoronazione di re Edoardo VII. Egli aveva portato con sé il regalo di una croce processionale, che si trova ancora nella navata dell'abbazia di Westminster, perché gli abissini sono fra i più antichi popoli cristiani".
Attento osservatore, a differenza dei suoi dignitari che si divertono per tutto il viaggio andando per locali notturni e spendendo cifre in regali, Tafari indaga sulle società occidentali, visita porti, ferrovie, scuole, ospedali, industrie. Al suo ritorno in Patria, l'erede al trono riceve un'accoglienza straordinaria. Egli è accolto alla stazione da tutti i dignitari rimasti e dall'arcivescovo, un picchetto d'onore sparo a salve, una carrozza trainata da otto cavalli lo porta in giro per la capitale accolto da due ali di folla festosa. L'accoglienza, assieme alla calma che aveva regnato in tutto il Paese per tutta la durata del viaggio di ras Tafari, costituivano un significativo tributo alla forza crescente della sua posizione.
Terminato il lungo viaggio e ritornato in Patria, Tafari decide di trasformare l'Etiopia in una Nazione moderna. Invia duecento studenti etiopici in Occidente a studiare, crea la prima banca nazionale dell'Etiopia, fa costruire una nuova scuola a proprie spese e manda a chiamare insegnati europei (esisteva già una scuola retta da preti, ma il livello pedagogico era molto basso), stimola la popolazione ad abbandonare le capanne e costruire edifici di mattoni, riorganizza l'amministrazione statale (finanze, giustizia e polizia), incoraggia l'importazione di automobili e scarpe, sprona la produzione di una merce per la quale il novantanove per cento della popolazione aveva fino allora dimostrato il più grande disinteresse: il sapone.
La scuola fatta costruire dal reggente ha ben centottanta posti, ma apre i suoi battenti solo nel 1926. I dirigenti della vecchia scuola, infatti, considerarono l'istituto un rivale pericoloso, per questo andarono dalla regina accusando ras Tafari di aver costruito quella scuola per obbligare i bambini etiopici ad abbracciare il cattolicesimo. Con l'apertura di questa scuola, il totale complessivo dei posti disponibili per l'istruzione scolastica in tutta l'Etiopia arriva a duecentonovantuno.
Alla cerimonia d'apertura ras Tafari spiega il motivo del perché costruire una scuola a proprie spese: «E' passato il tempo di servire il nostro paese soltanto a parole. La necessità urgente per il nostro popolo è l'istruzione, senza cui noi non possiamo conservare la nostra indipendenza. La prova del vero patriottismo è di riconoscere questo fatto e, nel caso di quelli che ne hanno i mezzi, di fondare scuole e di sostenere la causa dell'istruzione in ogni modo. Ho costruito questa scuola come un inizio e un esempio, che io invito i ricchi del nostro paese ad imitare». Ma l'appello non ha alcun risvolto pratico, poiché la volontà di andare a scuola manca a tutti i giovani e i loro padri la considerano una perdita di tempo.
Tra le riforme intraprese per trasformare l'Etiopia del Medioevo in un Paese moderno, ricade soprattutto l'ammodernamento del suo esercito. Egli chiede al governo belga di mandargli una missione militare per istruire le sue truppe ed equipaggiarle con armi leggere moderne, carri blindati e artiglieria; fa tornare dal Kenia un certo numero di etiopici che avevano prestato servizio nei "King's African Rifles", promuovendoli come ufficiali e sottufficiali; recluta nelle fila dell'esercito centinaia di schiavi liberati.
Il più importante dei suoi investimenti militari è dirottato verso l'aviazione. Innanzi tutto emana un editto in cui proibisce l'importazione di aerei salvo che con un suo speciale permesso (il possesso di aeroplani sarebbe stato monopolio dello Stato!), poi - tramite la Francia nel 1929 - acquista quattro biplani moderni equipaggiati con mitragliatrici e capaci di trasportare bombe. Assume un pilota francese di nome Maillet per comandare questo primo nucleo di aviazione, poco più tardi impiega anche un altro pilota francese, tale Corriger.
Dopo aver messo a punto la sua macchina di guerra, il reggente rivolge la sua attenzione al problema delle alleanze interne e straniere. All'interno cerca nuove alleanze con i capi tribù e governatori, minaccia o fa guerra a chi decide di non essergli fedele. All'esterno, come reggente, riesce finalmente a spezzare l'isolamento millenario dell'Etiopia.
Il 2 agosto 1928 conclude un importante trattato d'amicizia, di conciliazione e d'arbitrato con l'Italia, per la durata di vent'anni. La pattuizione fu concordata ai tempi del suo primo viaggio diplomatico del 1924, mentre visitava Roma.
L'accordo con lo Stato italiano permette all'Etiopia di uscire dall'isolazionismo e, soprattutto, garantisce al Paese uno sbocco sul mare. Infatti l'Italia autorizza la costruzione di una strada che parte da Dessié, in Etiopia, ed arriva fino al porto eritreo di Assab. L'Etiopia, grazie all'accordo, avrebbe avuto in questo porto, per centotrent'anni, una zona franca per il suo commercio. Nella pattuizione si stringono così rapporti d'amicizia, concordando che i due Paesi avrebbero sviluppato il reciproco commercio, si sarebbero astenuti dall'uso della forza per risolvere le loro controversie, regolando eventuali contese e dispute attraverso la conciliazione e l'arbitrato.
Nonostante l'accordo con l'Italia e le buone relazioni con altri Paesi, l'Etiopia fatica a fare progressi.
Il 3 aprile 1930, il 25 Megabit del calendario etiopico, ras Tafari Makonnen succede all'imperatrice Zauditù, morta il giorno prima. Per l'incoronazione ufficiale, però, il nuovo imperatore deve aspettare. Vi erano parecchie ragioni che posticipavano la cerimonia, tutte dotate di molto peso. Innanzitutto dovevano passare quaranta giorni di lutto ufficiale per la morte dell'imperatrice, vi era poi l'approssimarsi della grande stagione delle piogge, che avrebbero fatto del Paese un pantano sino alla fine di settembre, impedendo materialmente ai governatori di raggiungere la capitale per la cerimonia. Ma soprattutto vi erano due azioni che prima dell'incoronazione si dovevano fare: spiegare alle grandi potenze europee che l'incoronazione di ras Tafari era qualcosa di un'importanza molto maggiore della semplice assunzione al trono di un re africano, per cui la loro presenza ufficiale ai festeggiamenti avrebbe richiesto più di una rappresentanza convenzionale; fare in modo da rendere almeno la capitale degna, perlomeno esteriormente, dell'illustre afflusso dalle delegazioni dei governi.
La mattina del 2 novembre, davanti alla stampa mondiale, agli ospiti stranieri e ad una grande folla di ras con le loro criniere di leone e i loro abiti da cerimonia, nella cattedrale di San Giorgio l'abuna Cirillo unge il capo di Hailé Selassié e vi posa sopra la triplice corona d'Etiopia. Il nuovo imperatore, nel giorno della sua ascesa al trono, prende il nome di Hayla Sellase I ("La potenza della Trinità"), con i titoli di "Negus Neghesti" ("Re dei Re"), "Leone conquistatore della Tribù di Giuda, eletto da Dio" (da notare che i titoli con cui Hailé Selassié I viene incoronato coincidono con quelli del profeta Isaia: "Re dei Re, Signore dei Signori, Leone della tribù di Judah").
A trentasette anni Tafari Makonnen diventa il 225° e ultimo sovrano della dinastia fondata, secondo la leggenda, da Salomone e dalla regina di Saba. Quando Hailé Selassié sale al trono del Paese, l'Etiopia è l'unico "Stato nero" indipendente (assieme ad Haiti), mentre tutte le altre Nazioni stanno conoscendo il brutale giogo del colonialismo.
Il carattere ieratico del nuovo imperatore si mostra in tutta la sua completezza, non solo dai titoli che egli assume, ma anche dal discorso che pronuncia il giorno del suo insediamento. L'appello indirizzato al popolo da sua altezza imperiale Hayla Sellase I termina così:
«In accordo con la dichiarazione che il nostro Creatore, il quale dimora nel suo popolo ci ha eletto, volle che fosse fatta, noi abbiamo vissuto senza rompere il nostro patto, come madre e figlio. Ora, poiché per legge e comandamento di Dio nessuno che sia umano può evitare di ritornare alla terra, sua maestà l'imperatrice Zauditù, dopo qualche giorno di malattia, ha lasciato questa vita. Il trapasso di sua maestà l'imperatrice è doloroso per me stesso e per tutto l'impero. Poiché il costume da lungo tempo stabilito vuole che quando un re muore un altro re ne prenda il posto, io essendo sul trono di Davide cui ero stato promesso, per l'amore di Dio vigilerò su di voi. Mercante, commercia! Contadino, ara la terra! Io vi governerò secondo le leggi e i decreti che mi sono pervenuti, tramandatimi dai miei padri!».
Alla cerimonia numerosi governi sono rappresentati ufficialmente. L'Italia invia il principe di Udine, la Francia il maresciallo Franchet d'Esperey, il Belgio il ministro plenipotenziario Janssens, la Svezia i conti von Rosen, la Turchia il generale Muhittin Pascià, il Giappone è invece rappresentato dall'ambasciatore Isabaro Yoshida, mentre gli Stati Uniti sono rappresentati dall'inviato speciale del presidente Herbert Hoover il miliardario Herman Murray Jacoby. La Gran Bretagna ha la delegazione più numerosa. Oltre al principe Henry, duca di Gloucester e inviato personale di re Giorgio V, sono presenti il conte di Arilie, il mandatario della Somalia britannica sir John Moffey, il rappresentante del re ad Aden (Yemen) sir Baxter Kittermaster. Tra i doni ricevuti dal nuovo imperatore, spiccano le ottocento bottiglie di vino bianco del Reno offerte dal governo tedesco, il frigorifero e l'intera collezione di National Geographic, assieme ad una copia del film Ben Hur e cento dischi di musica americana regalati dal governo statunitense. Tutti i prestigiosi invitati, ricevono una medaglia d'oro a ricordo del grande avvenimento.
Scriveva Il Times: «Vi erano due scopi principali dietro l'ospitalità e la coreografia dell'incoronazione. Primo, l'imperatore desiderava impressionare i propri compatrioti, e in particolare i ras, facendo vedere che era accettato dalle famiglie reali d'Europa, e in questo riuscì. Secondo, desiderava impressionare gli ospiti europei con il fatto che l'Etiopia era un paese civile e moderno. In questo riuscì soltanto in parte, perché gli abissini sono ancora radicalmente arretrati per quanto riguarda la civiltà e il progresso, e la situazione reale inevitabilmente di tanto in tanto si rivelava. Erano stati fatti sforzi enormi a Addis Abeba per i visitatori europei e, se alcuni dei progressi facevano sorridere, vi era soprattutto da ammirare il successo ottenuto dalle autorità, che erano riuscite per il momento a nascondere la natura della popolazione. Molti dei visitatori però furono in grado di vedere del Paese un po' più di quanto fosse stato preparato ufficialmente per loro. Essi si resero conto che gli ornamenti d'oro, le fanfare e le belle automobili di Addis Abeba, il caviale e lo champagne dolce erano una facciata molto superficiale della vera vita del Paese». Nonostante questo, Il prestigioso settimanale Times ebbe sorprendenti parole d'elogio per il nuovo sovrano africano: "Grandezza e fine sensibilità sono mischiate nella sua persona".
I festeggiamenti per l'incoronazione del nuovo imperatore durano dieci giorni e la capitale diventa una immensa baccanale.
Il nuovo imperatore inizia subito il suo mandato impegnandosi a svecchiare il suo Paese, tentando di far trasformare l'Etiopia feudale in uno Stato moderno. Nello sforzo di modernizzare l'Etiopia, egli non esita a cercare aiuto tecnico e finanziario straniero, affidando la riforma della magistratura, della polizia e delle dogane ad esperti britannici, l'addestramento dell'esercito a consiglieri svedesi e belgi, sollecita aiuti economici statunitensi, sovietici, tedeschi e olandesi.
Nel 1931 emana una Costituzione moderna, soprattutto con l'intento preciso di avviare un rinnovamento serio delle strutture dello Stato e per consolidare l'autorità imperiale contro i notabili locali, che erano semi-autonomi specie nelle regioni periferiche dell'Impero: lo scopo di tutto il suo programma di riforme era proprio quello di vanificare i disegni di corruzione dei signori della guerra delle province e di stringere l'intero Paese attorno ad un'amministrazione centrale (ovviamente retta unicamente dall'imperatore!), mettendo fine agli innumerevoli reami proliferanti in tutto il Paese.
Nel discorso pronunciato durante la cerimonia della firma della Costituzione, l'imperatore manifesta il motivo che ha portato alla promulgazione di questo statuto: è il primo segno della «trasformazione dell'Etiopia in una monarchia non assoluta [.] fissare una Costituzione per la quale tutto il popolo possa condividere le nostre fatiche nell'assolvere il pesante compito di governare, compito che gli imperatori precedenti assolvevano da soli».
La Carta costituzionale prevede due Camere deliberative: un Senato nominato dall'imperatore e una Camera dei deputati scelti dai dignitari e dai capi, tali istituti non avrebbero fatto molto di più che consigliare il sovrano. Spiega lo stesso Hailé Selassié nel suo discorso: «abbiamo istituito un parlamento di due Camere. I membri che siederanno insieme in queste camere verranno da varie province, scelti con l'autorità dell'imperatore, fino al tempo in cui il popolo avrà raggiunto un grado di cultura e di esperienza che gli permetta di fare egli stesso la scelta. Le loro decisioni saranno prese con un voto di maggioranza, e se l'imperatore le approva verranno applicate. Le decisioni prese dal Parlamento e approvate dall'imperatore verranno applicate in tutta l'Etiopia dai ministri, che saranno responsabili in materia e sorveglieranno perché si provveda debitamente alle esigenze del governo e del popolo».
Con la Costituzione l'imperatore cambia lo status del suo popolo da quello di "beni mobili dei ras locali" a quella di "sudditi dello Stato". L'imperatore invia tutti i ras delle province alla cerimonia della firma della Costituzione e perché prendessero possesso del loro posto nel nuovo parlamento come primi senatori. E' loro detto di portare gli abiti da cerimonia e le loro corone. Tale mossa serve all'imperatore per indurli ad accettare la nuova Carta costituzionale e per allontanare i loro sospetti. Solo due ras non accettano l'invito, il primo, ras Kassa, perché impegnato in esercizi religiosi, e il secondo, ras Hailù, perché nutriva astio per l'imperatore che non lo aveva nominato re. Per cercare di attirarsi dalla sua ras Hailù, l'imperatore gli propone sua figlia come moglie. Nonostante il ras avesse accettato, il fidanzamento non servì a calmare i sospetti di ras Hailù verso l'imperatore e l'odio per le sue riforme, tanto da complottare contro d lui.
Per stimolare l'economia capisce che gli è necessario l'aiuto di esperti e per questo, come ai tempi in cui era reggente, mancando nel Paese figure competenti, inevitabilmente si rivolse all'estero. Per evitare che la bilancia pendesse eccessivamente per una Nazione particolare, e per scongiurare di cadere sotto l'influenza di un particolare Stato, scelse i suoi collaboratori prendendoli da più parti: consigliere di politica estera è uno svedese, de Virgin; consigliere legale è uno svizzero, Auberson; consigliere per gli affari interni e per il problema della schiavitù è un inglese, de Halpert; ministro delle finanze è un statunitense, Colson. La direzione della Pubblica Istruzione è tenuta dallo stesso imperatore, questo per sottolineare l'importanza dell'istruzione per il futuro dell'Etiopia. Tutti questi esperti ricevono il compito di organizzare i nuovi ministeri, di reclutare e formare il personale per ognuno di essi. Dovevano anche, sotto la direzione di Colson, stendere uno schema per il governo delle province, diretto dal centro piuttosto che attraverso i ras del posto. Tre province, i cui ubbidienti titolari erano stati designati dallo stesso Haila Sellase I, furono scelte come "modelli" per un esperimento di governo dalla capitale.
I progressi, purtroppo per l'imperatore e per gli etiopici, sono lenti. Manca l'acqua
Non si è mai
saputo con precisione
chi abbia sparato
il primo colpo,
ma il primo
ad essere colpito
a morte è stato... |
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potabile e tutto il Paese è infestato da malattie: tubercolosi, lebbra, tifo, vaiolo, sifilide, paralisi infantile. Tutti ingredienti che la stampa fascista italiana sfrutta quando il duce Benito Mussolini decide di "portare" alla "barbara Abissinia" la civiltà moderna.
Il pretesto arriva il 5 dicembre 1934 ad Ual-Ual, ed è uno scontro a fuoco sul confine somalo dell'Ogaden tra soldati italiani e soldati etiopici. Non si è mai saputo con precisione chi abbia sparato il primo colpo, ma il primo ad essere colpito a morte è un etiope altolocato, il fitaurari (Comandante della punta della lancia) Alemayu. Il suo secondo (Gerazmach, ossia Comandante dell'ala sinistra) non ordina il cessate il fuoco e lascia le sue truppe affrontare gli italiani. Centosette soldati etiopici perdono la vita, gli italiani colpiti a morte sono una dozzina.
Roma chiede immediatamente un indennizzo. Al rappresentante italiano a Addis Abeba, il conte Vinci, è trasmessa la richiesta da presentare alle autorità del Paese: pagamento immediato di ventimila sterline come risarcimento economico, mentre come risarcimento morale la presenza ad Ual-Ual di una delegazione ufficiale etiopica che avrebbe onorato la bandiera italiana.
Hailé Selassié, consapevole dei pericoli che presentava per lui la situazione, molto diplomaticamente invoca il trattato d'amicizia del 1928, che impegnava entrambe le parti a sottoporre contrasti di questo tipo ad un arbitrato. L'arbitrato era però l'ultima cosa che Mussolini desiderasse in quel momento; quel che voleva era o di umiliare l'Etiopia e costringerla a sottomettersi al suo predominio, o di provocarla a compiere rappresaglie che gli avrebbero dato un pretesto per attaccare.
Ma Haila Sellase I pensa ad un'importante carta da giocare, se l'arbitrato non fosse riuscito: la Società delle Nazioni. Egli, a differenza di molti suoi membri europei, ha una grande fiducia nella sua efficienza. Perciò decide di deferire la questione alla Società.
Gli inglesi, non appena sanno delle intenzioni dell'imperatore, si agitano: l'ultima cosa che desiderava in quel periodo turbolento il governo inglese era di trovarsi trascinato in una contesa fra uno Stato insignificante come l'Etiopia e un Paese europeo di cui l'Inghilterra già stava iniziando a cercare la collaborazione per frenare in qualche modo la Germania hitleriana. Haila Sellase I in ogni caso invia la sua richiesta di mediazione alla Società delle Nazioni. L'istituto internazionale forma un comitato di conciliazione, ma questo non arriverà mai ad una decisione seria ed univoca (al tempo era composto da due italiani, un francese e un americano).
Nel frattempo, il 16 agosto 1935, Inghilterra, Francia e Italia s'incontrano a Parigi per discutere il loro atteggiamento nei riguardi dell'Etiopia. L'Etiopia non è nemmeno consultata. Dopo molte discussioni, si arriva al cosiddetto "Accordo di Zeila". In pratica è previsto lo sviluppo e la riorganizzazione del Paese, con l'assistenza collettiva delle tre potenze europee, in tutti i campi della vita nazionale: economia, finanze, amministrazione, sicurezza interna, commercio, costruzioni, concessioni straniere, misure per combattere la schiavitù ancora dura a morire. Soprattutto l'accordo suggerisce che si deve tener conto in particolare degli speciali interessi dell'Italia: non escludeva quindi la possibilità di sistemazioni territoriali a vantaggio dell'Italia. Una sola clausola affermava che queste riforme avrebbero dovuto essere liberamente accettate dall'Abissinia nella pienezza della sua sovranità.
Frattanto l'imperatore cerca di armare come può il proprio esercito, acquistando armi dalla Cecoslovacchia e dal Belgio. Mentre tenta di avvicinarsi all'Inghilterra per acquistare nuovo equipaggiamento bellico, il primo ministro inglese annuncia l'istituzione di un embargo sulle armi contro tutti e due i contendenti.
Haila Sellase I, tuttavia, resta fiducioso nell'aiuto dell'Inghilterra se il suo Paese fosse stato attaccato dagli italiani. In un ricevimento tenuto a corte con tutti i signori della guerra, l'imperatore esterna la sua fiducia nei confronti dell'Inghilterra e soprattutto della Società delle Nazioni (ma anche della Francia), anche se subito dopo dichiara: «se gli sforzi delle altre nazioni e i nostri dovessero fallire e la violenza diabolica cogliesse l'occasione per incominciare la guerra, seminando disgrazie, vergogna e miseria con il mondo come campo, l'Etiopia si alzerà, con l'imperatore alla testa, e lo seguirà con le sue centinaia di migliaia di uomini, con il valore e la fermezza famosi da migliaia di anni. Sostenuta dal braccio di Dio, essa resisterà all'invasione fino all'ultima goccia di sangue, combattendo dalla fortezza naturale dei monti e dei deserti che Dio le ha dato».
Hailé Selassié, però, combatte solo una battaglia (ad Amba Aradàm), poi scappa, preferisce l'esilio alla morte inutile anche se gloriosa. Scelta saggia la sua, poiché ritornerà sul trono appena cinque anni dopo.
Il mattino del 3 ottobre 1934, dieci minuti alle sei, i primi quindici carri armati italiani, comandati dal capitano Crippa, varcano la frontiera del Paese africano seguiti da sedicimila fanti. Iniziano le operazioni militari del più grande esercito che sinora è stato mobilita per una campagna coloniale: diciannove divisioni con oltre quattrocentomila soldati. Le operazioni militari sono dirette al nord da De Bono, a sud da Graziani. I gerarchi Muti e Farinacci, assieme al poeta Marinetti, a Galeazzo Ciano e ai due figli di Mussolini, Bruno e Vittorio, fanno parte degli equipaggi dei bombardieri "Caproni" nella squadriglia "La Disperata". Quando la guerra passa nelle mani del generale Badoglio, gli eventi prendono una piega ancor più drammatica. Fautore della guerra totale, il generale ordina di bombardare tutto ciò che è etiopico: persone, case, strade, attrezzando gli aeroplani anche con bombe che contenevano iprite.
Senza entrare nei particolari della guerra italo-etiopica, possiamo affermare che l'esercito dell'imperatore Haila Sellase I, male armato e addestrato e con appena tredici vecchi aeroplani da guerra, non è in grado di contrastare la schiacciante forza militare degli italiani. Comunque si batte con onore ed eroismo, ma queste due qualità non bastano per vincere la guerra. Hailé Selassié deve subire anche il tradimento di un suo ras, Haila Sellase Gugsà (che non era un parente diretto dell'imperatore, ma divenne poi suo genero), che si vende agli italiani.
Dopo la battaglia decisiva del lago Ascianghi (11 aprile 1936), l'imperatore si rassegna alla sconfitta e decide per l'esilio. Alle quattro e venti del mattino, il 2 maggio 1936, l'imperatore d'Etiopia sale su un treno speciale ad Akaki, a sedici chilometri da Addis Abeba, e incomincia il suo viaggio verso l'esilio. Prima tappa è Gibuti dove lo attende l'incrociatore britannico "Enterprise". Partono con lui l'imperatrice con il suo cane Papillon, i tre figli, il principe ereditario, il duca di Haràr e il principe Sahla Sellase, le due figlie, la principessa Tananye Work Destà e la principessa Tsahai, e alcuni suoi ras più anziani. Alla triste comitiva l'imperatore ha voluto aggiungere un prigioniero d'eccezione, ras Hailù, prelevato dal suo carcere per evitare di farlo cadere in mano italiana, per i quali avrebbe potuto diventare un'utile marionetta (Hailù riesce a sfuggire alla sua scorta e, filando via fuori dal treno, si consegna agli italiani offendo i suoi servigi). Il 5 maggio del 1936, Haila Sellase I s'imbarca a bordo dell'incrociatore inglese Enterprise, all'ancora nel porto di Gibuti. Frattanto le truppe di Badoglio entrano nella capitale Adis Abeba. Il 9 maggio, dal balcone del famoso palazzo Venezia, Mussolini annuncia ufficialmente l'annessione dell'Etiopia, conferendo il titolo di imperatore a Vittorio Emanuele III. Il giorno seguente il maresciallo Badoglio fu nominato vicerè.
Il lungo esilio dell'imperatore ha la sua prima tappa a Gerusalemme, alloggiando nel King David Hotel. Da qui, il 10 maggio, scrive un telegramma alla Società delle Nazioni: «Noi chiediamo ora che la Società delle Nazioni continui i suoi sforzi per assicurare il rispetto del patto e che decida di non riconoscere annessioni territoriali o l'esercizio di una pretesa sovranità, risultanti da un illegale ricorso alla forza armata e da numerose altre violazioni degli accordi internazionali». Grazie a questo messaggio, Hailé Selassié riesce a ritardare il riconoscimento della conquista italiana da parte delle potenze europee. L'Inghilterra offre asilo all'imperatore, offrendogli in un primo momento anche un mezzo di trasporto per il luogo predestinato (l'incrociatore "Capetown", diretto dal Sud Africa a Devonport per alcune riparazioni, viene infatti deviato su Haifa per prendere a bordo l'imperatore e la sua famiglia e tutto il seguito). Ma ,per paura di rompere le relazioni con l'Italia, il governo inglese, con la scusa di un'avaria, fa bloccare la nave su cui viaggiava l'imperatore a Gibilterra, costringendo lo stesso e il suo seguito ad arrivare in Inghilterra su di una nave passeggeri. In questo modo l'imperatore arriva in Gran Bretagna come privato e non trasportato dalla marina inglese. La sua nuova residenza si trova ora nella città di Bath, vicino Londra. Per qualche settimana l'imperatore, la sua famiglia e il suo seguito vive in un'ala dell'Hotel Spa, poi è trasferito in una residenza, "Fairfield", alla periferia della città.
Nella nuova residenza l'imperatore alterna momenti di ottimismo a momenti di profondo sconforto. Il colpo di grazia che abbatte ancor più Hailé Selassié arriva il dicembre del 1937, quando è costretto a separarsi dalla moglie che, a causa di reumatismi, faceva fatica a sopportare il clima inglese. L'imperatrice è costretta a rifugiarsi in un convento etiopico a Gerusalemme assieme al figlio minore Sahla Sellase.
Hailé Selassié, il 30 giugno 1936, denuncia l'aggressione italiana al suo popolo,
"Mai, sinora,
vi era stato
l'esempio di un governo
che procedesse
allo sterminio
di un popolo
usando mezzi barbari..." |
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compiuta attraverso l'inganno morale e l'uso di gas venefici, dinanzi all'assemblea della Società delle Nazioni. Parla in amarico, anziché del francese che tutti si erano aspettati:
«Io, Haila Sellase I, Imperatore d'Etiopia», egli incominciò, «sono qui oggi per reclamare quella giustizia che è dovuta al mio popolo e quell'assistenza ad esso promessa otto mesi or sono da cinquantadue nazioni, quando queste affermarono che un atto di aggressione era stato compiuto in violazione dei trattati internazionali. [.] Mai, sinora, vi era stato l'esempio di un governo che procedesse allo sterminio di un popolo usando mezzi barbari, violando le più solenni promesse fatte a tutti i popoli della terra, che non si debba usare contro esseri umani la terribile arma dei gas venefici. È per difendere un popolo che lotta per la sua secolare indipendenza che il capo dell'Impero etiopico è venuto a Ginevra per adempiere a questo supremo dovere, dopo avere egli stesso combattuto alla testa dei suoi eserciti.
Prego Iddio onnipotente di risparmiare alle nazioni le terribili sofferenze che sono state inflitte negli ultimi tempi al mio popolo e delle quali i capi che sono qui al mio seguito sono stati inorriditi testimoni. È mio dovere informare i governi riuniti a Ginevra, in quanto responsabili della vita di milioni di uomini, donne e bambini, del mortale pericolo che li minaccia, descrivendo il destino che ha colpito l'Etiopia. Il governo italiano non ha fatto la guerra soltanto contro i combattenti: esso ha attaccato soprattutto popolazioni molto lontane dal fronte, al fine di sterminarle e di terrorizzarle. Inoltre, verso la fine del 1935, aerei italiani hanno sganciato bombe lacrimogene sui miei eserciti. Esse ebbero però soltanto risultati limitati. I soldati appresero a sparpagliarsi, aspettando che il vento disperdesse rapidamente i gas velenosi.
L'aviazione italiana ricorse allora ad altri gas. Recipienti di liquido furono gettati su gruppi armati, ma anche questo mezzo fu inefficace: il liquido colpiva soltanto pochi soldati ed i recipienti, abbandonati al suolo, mettevano in guardia contro il pericolo i soldati e la popolazione. [.] Sugli aeroplani vennero installati degli irroratori, che potessero spargere su vasti territori una fine e mortale pioggia. Stormi di nove, quindici, diciotto aeroplani si susseguivano in modo che la nebbia che usciva da essi formasse un lenzuolo continuo. Fu così che, dalla fine del gennaio 1936, soldati, donne, bambini, armenti, fiumi, laghi e campi furono irrorati di questa mortale pioggia. Al fine di sterminare sistematicamente tutte le creature viventi, per avere la completa sicurezza di avvelenare le acque ed i pascoli, il Comando italiano fece passare i suoi aerei più e più volte.
Questo fu il principale metodo di guerra. Ma la vera raffinatezza nella barbarie consisté nel portare la devastazione ed il terrore nelle parti più densamente popolate del territorio, nei punti più lontani dalle località di combattimento. Il fine era quello di scatenare il terrore e la morte su una gran parte del territorio abissino.
Questa terribile tattica ebbe successo. Uomini ed animali soccombettero. La pioggia mortale che veniva dagli aerei faceva morire tutti quelli che toccava con grida di dolore. Anche coloro che bevvero le acque avvelenate o mangiarono i cibi infetti morirono con orribili sofferenze. Le vittime dei gas italiani caddero a decine di migliaia. È stato per denunciare al mondo civile le torture inflitte al popolo etiope che mi sono deciso a venire a Ginevra. [.] Gli appelli rivolti alla Lega dai miei delegati sono rimasti senza risposta [.] Questo è il motivo per cui mi sono deciso a venire a testimoniare contro il crimine perpetrato sul mio popolo e a porre in guardia l'Europa per il destino che l'attende se non reagisce al fatto compiuto. [.]». Poi l'imperatore ricorda il trattato firmato con l'Italia e come questo fosse stato palesemente non rispettato, rinfaccia gli accordi segreti per spartirsi l'Etiopia e il comportamento attuale di tutta la Lega delle Nazioni. «Io asserisco che il problema sottoposto oggi all'assemblea è più vasto che non l'abolizione delle sanzioni. Non si tratta semplicemente di sistemare la questione dell'aggressione italiana. È un problema collettivo. Si tratta dell'esistenza stessa della Società delle Nazioni. Si tratta della fiducia che ogni stato deve riporre nei trattati internazionali, del valore delle promesse fatte ai piccoli stati, che la loro integrità e la loro indipendenza saranno rispettate e assicurate. È il principio dell'uguaglianza degli Stati da un lato, o dall'altro l'inevitabilità per loro di essere obbligati ad accettare i vincoli del vassallaggio. In una parola, è la moralità internazionale che è in gioco. Tranne il regno di Dio, non vi è su questa terra nessuna nazione che sia superiore ad un'altra. È mio penoso dovere notare che oggi si è presa l'iniziativa in vista di un'abolizione delle sanzioni. Dio e la storia ricorderanno il vostro giudizio. Questa iniziativa significa praticamente l'abbandono dell'Etiopia al suo aggressore? Gli Stati sono in procinto di stabilire il terribile precedente di inchinarsi di fronte alla forza? Rappresentanti del mondo, io sono venuto a Ginevra per assolvere in mezzo a voi il più doloroso dei doveri di un capo di Stato. Che risposta devo riportare al mio popolo?». E con tono severo ammonì l'intera assemblea: «Non mi aspettavo che gente straniera mandasse i suoi figli a versare il loro sangue per noi. Ma speravo che almeno le potenze di questa Società mi concedessero gli aiuti finanziari per acquistare le armi di cui abbiamo bisogno: fuori dal regno di Dio non esistono Nazioni più grandi delle altre!». (Bob Marley, il cantante reggae, ha trasportato alcuni passi di questo discorso nella sua canzone "War").
Scendendo dalla tribuna, convinto della bassezza del suo auditorio, pare abbia esclamato: «Oggi tocca a noi, toccherà a voi domani».
Nonostante il discorso dell'imperatore Haila Selasse I abbia preso il suo posto d'onore nella storia, di fronte a tutto ciò la risposta dei governi fu non solo inadeguata, ma anche vile. Quella stessa estate la Società delle Nazioni votò l'abolizione delle sanzioni contro l'Italia e, benché fosse concesso ancora alla delegazione etiopica di essere nominalmente membro, una alla volta le varie Nazioni incominciarono a riconoscere il regime italiano nell'Africa orientale (gli Stati Uniti, il Messico, Haiti, la Nuova Zelanda e la Russia, non riconosceranno mai la conquista italiana).
In Etiopia, intanto, la resistenza si organizza, arrivando a compiere un attentato al maresciallo Graziani, succeduto come vicerè a Badoglio. L'attentato scatena una dura repressione e più di centoventicinque etiopi sono uccisi. Quando il governo inglese decide di riconoscere Mussolini come "padrone" dell'Etiopia e di confermareVittorio Emanuele come imperatore e il duca d'Aosta come nuovo vicerè, nel frattempo succeduto a Graziani. Per questo porta il problema "Etiopia" alla Lega delle Nazioni. Con delega dell'imperatore, il segretario Lorenzo Taezaz legge il messaggio di Haila Sellase I: «È con profondo rincrescimento che devo entrare in conflitto con il governo per il quale provo un sincero rispetto e che mi accorda la sua ospitalità. Con molto rispetto ma con molta fermezza chiedo al governo inglese, la cui lealtà è ben nota, di riconsiderare le sue proposte. L'Italia controlla in Etiopia soltanto quelle città e quei villaggi dove ha guarnigioni e vi sono molte province etiopiche dove il suo controllo è scarso o non esiste affatto [...]. Si può mantenere la pace con le leggi e si può mantenere la pace a qualsiasi prezzo. L'indipendenza di una Nazione non può venir sacrificata per ottenere la distensione in Europa. Io chiedo che sia concesso all'Etiopia di rimanere in mezzo a voi, come immagine vivente del diritto violato. Ma se il nostro appello dovesse restare senza risposta, la nostra guerra contro l'Italia continuerà, qualsiasi cosa accada, fino al trionfo della giustizia».
Frattanto l'amicizia tra Gran Bretagna e Italia è interrotta e nell'estate del 1940 l'esercito inglese sferra il suo attacco contro le truppe italiane in Africa. Si prepara così il viaggio di ritorno dell'imperatore nella sua Patria. Dall'aeroporto di Poole Harbour, sulla costa meridionale dell'Inghilterra, il 23 giugno 1940 Hailé Selassié s'imbarca su di un idrovolante "Sunderland" diretto in Egitto. Viaggia in incognito col nome di signor Strong, accompagnato dal secondo figlio, il duca di Haràr, dal giornalista George Steer, da due segretari, Lorenzo Taezaz e Walde Mariam. Haila Sellase, assieme al suo seguito, ammara nel porto di Alessandria nel tardo pomeriggio del 25 giugno 1940, poi è trasferito ad Uadi Halfa, sulla frontiera del Sudan, poi ancora in treno a Khartum. Il 20 gennaio 1941, alle dodici e quaranta, l'imperatore Haila Sellase I, a bordo di un vecchio "Valentia" (utilizzato per il trasporto delle truppe) passa il confine del Sudan entrando nel proprio Paese per la prima volta dal 1936.
Il 6 febbraio del 1941 raggiunge Belaya. Egli entra a Debra Marcos il 6 aprile per accogliere la resa di ras Hailù. Sulla strada del ritorno Haila Sellase I si ferma per pregare a Debra Libanos, dove due dei figli di un re fedele (ras Kassa) e duecento monaci sono stati fucilati dagli italiani per aver dato asilo ai patrioti. L'imperatore, a bordo dell'Alfa
"Non commettete
nessun atto
di crudeltà,
come quelli che
il nemico ha
commesso contro
di noi fino
ad oggi" |
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Romeo che era appartenuta a ras Hailù, fa il suo ingresso ufficiale ad Addis Abeba il 5 maggio 1941, ma prima di entrare nella città fa tappa nella chiesa di Santa Maria, un santuario posizionato sulla collina sovrastante la città. Con un commovente discorso abbraccia simbolicamente la città in festa: «In questo giorno che né gli uomini sulla terra né gli angeli in cielo avrebbero potuto prevedere o conoscere, io devo una gratitudine che bocca d'uomo non sa esprimere al Dio d'amore che mi ha messo in grado di poter essere presente in mezzo a voi. Oggi è il principio di un'era nuova nella storia dell'Etiopia [...]. Poiché è cosi, non rendete male per male. Non commettete nessun atto di crudeltà, come quelli che il nemico ha commesso contro di noi fino ad oggi. Non offrite al nemico l'occasione di infangare il buon nome dell'Etiopia. Noi prenderemo le sue armi e faremo che ritorni per la strada da cui è venuto». Per l'imperatore l'Etiopia è un territorio riconquistato e non liberato: egli era ritornato nella sua Patria e aveva riassunto la posizione cui aveva diritto sul suo trono.
La guerra in Etiopia si trascina ancora per parecchi mesi dopo la presa di Addis Abeba, ma alla fine del 1941 tutto si conclude.
Ora il Leone di Giuda, il Re dei Re, siede finalmente sul trono di un Paese tornato indipendente. Il suo prestigio sulla scena internazionale è grande e Haila Sellase I sa come sfruttarlo. Nel 1942 l'Etiopia diventa uno dei membri fondatori delle Nazioni Unite, firmando il trattato costitutivo assieme agli Stati Uniti, all'Inghilterra, della Francia e di altri Paesi. Più tardi, nel 1952 l'Etiopia ottiene anche lo sbocco al mare con l'annessione dell'Eritrea. Ora il Paese ha anche un nuovo alleato, gli Stati Uniti d'America, che subito ottengono una base militare in cambio di aiuti economici. Nel 1963, grazie al lavoro diplomatico dell'imperatore, l'Etiopia ottiene anche un'importante successo all'interno dei Paesi africani indipendenti, ospitando ad Addis Abeba la sede dell'Organizzazione per l'Unità Africana e la Commissione Economica delle Nazioni Unite per l'Africa. La sua visita ufficiale negli Stati Uniti alla fine del 1963, la sua comparsa davanti alle Nazioni Unite a New York, la sua mediazione nella contesa fra l'Algeria e il Marocco e l'apprezzamento americano della sua presenza ai funerali del presidente Kennedy, fanno di Haila Sellase I un monarca ben visto all'estero.
E' sul piano interno però che il lavoro dell'imperatore diventa davvero difficile. Hailé Selassié, anche se vecchio e forse stanco, inizia una politica d'accentramento per ammodernare il suo Paese, demolendo il potere dell'aristocrazia terriera provinciale, centralizzando le forze armate e limitando le autonomie della Chiesa. Rivede così la Costituzione e nel 1955 ne promulga una nuova.
Essa promette al popolo diritti uguali di fronte alla legge, oltre al voto. Infatti viene trasformato il Parlamento in un'assemblea elettiva e al primo ministro, sempre nominato dall'imperatore, ora è concessa la facoltà di scegliersi i propri collaboratori. La Costituzione, tuttavia, pur affermando nuovi privilegi ai cittadini etiopici, per un terzo dei suoi articoli si riferisce alle prerogative del monarca. In uno dei suoi articoli si può leggere: «Per virtù del suo sangue imperiale, così come per l'unzione che egli ha ricevuto, la persona dell'imperatore è sacra. La sua dignità è inviolabile e la sua autorità è indiscutibile. Egli ha, di conseguenza, diritto a tutti gli onori dovuti a lui in accordo con la tradizione e con la presente costituzione. Chiunque fosse così ardito da ingiuriare l'imperatore sarà punito».
Nonostante l'apertura democratica, l'imperatore continua di fatto ad avere il controllo dell'esercito e degli affari esteri, il potere di proporre e ratificare trattati con le potenze straniere, di decidere sulla legislazione, di proclamare le leggi, di battere moneta, di assegnare terre, di conferire e soprattutto di togliere titoli e onorificenze. Ogni decreto emanato dall'imperatore è da considerarsi "articolo di Vangelo": anche se Hailé Selassié restava un signore feudale, egli non fu mai un monarca corrotto.
Anche la Chiesa doveva essere etiopica d'ora in poi. L'abuna Cirillo era ritornato da Alessandria dopo la liberazione e Haila Sellase I lo accetta soltanto a patto che la Chiesa etiopica del Cairo avesse accettato che alla sua morte un etiopico ne prendesse il posto (infatti quando Cirillo muore nel 1950 gli succede un etiopico).
Ma il modo di fare dell'imperatore non piace ai giovani ufficiali del suo esercito, come anche agli studenti educati all'estero e influenzati dalle teorie marxiste sul colonialismo, così il vecchio sovrano rischia di perdere, ancora una volta, il suo trono. Infatti, il 13 dicembre 1960, mentre si trovava in visita ufficiale nel Brasile, la guardia reale si ammutinò e il suo comandante, il generale di brigata Menghistu Neway e un governatore formarono un triumvirato per prendere lo Stato nelle loro mani. Il piano è astuto. Infatti trascurando volontariamente di informare sulle reali intenzioni dei golpisti, la maggior parte dei soldati credette, fino a quando fu informata del contrario, di stare lottando contro un complotto ai danni dello stesso imperatore. Prendono in ostaggio il principe ereditario Asfa Wossen e gli fanno leggere, via radio e contro la sua volontà, un comunicato in cui si denunciava la corruzione e il nepotismo del regime. Haila Sellase I, avvertito della rivolta da una comunicazione dell'ambasciata inglese ad Addis Abeba al Foreign Office, torna immediatamente a Khartum riprendendo la situazione sotto controllo.
La ribellione non ha però il sostegno dell'intera popolazione, come anche dell'esercito e dell'aviazione. Bastano tre soli giorni e la ribellione rientra, ma prima tutti i ministri del regime presi in ostaggio dai golpisti sono uccisi. Terminato il golpe, tutti i disertori sono impiccati davanti alla cattedrale di San Giorgio.
Col passare degli anni l'immobilismo in Etiopia esaspera il risentimento degli studenti, frustando le loro ambizioni. L'Etiopia, nonostante le buone intenzioni del suo imperatore, è ancora un Paese povero, con un altissimo indice di malati di lebbra e sifilide. Agli inizi degli anni Settanta del Novecento, il reddito medio pro capite e di appena trentacinquemila lire. La situazione si fa ancor più disastrosa nel 1973, quando una carestia fa più di centomila vittime, mettendo in evidenza l'incompetenza delle autorità governative. Così, nel febbraio 1974, la popolazione esasperata scende in piazza. La rivolta sociale inizia con grandi scioperi scuotono il Paese, iniziano gli studenti e i trasportatori, seguono gli insegnanti, i tassisti, i soldati rimasti senza paga e persino i preti. Tra le misure prese dall'imperatore, c'è la nomina di un nuovo governo, l'arresto dei funzionari corrotti e la promessa di una nuova Costituzione. Ma ormai, per Haila Sellase I è troppo tardi. In Etiopia sta per cominciare la dittatura di Hailé Mariam Menghistu, un altro Negus, questa volta "Rosso".
Il giorno dopo il Capodanno del calendario etiopico, il 12 settembre 1974, tre ufficiali del neocostituito DERG (Consiglio Militare Provvisorio) si presentano nelle sale del Palazzo del Giubileo per leggere ad un uomo di ormai ottantadue anni il decreto della sua detronizzazione. Costringono quindi Hailé Selassié a salire su una modesta Wolkswagen verde che lo porta nei quartieri della IV divisione. Qui i golpisti cercano di farsi rivelare i codici dei conti svizzeri dove, secondo loro, il Negus aveva depositato un tesoro pari a quindici miliardi di dollari. L'ex imperatore passa gli ultimi suoi giorni di vita in una modesta villetta sulla Egg Menelik (la collina che sovrasta Addis Abeba).
Dopo trecentoquarantotto giorni dall'arresto dell'imperatore, il 26 agosto del 1975, un ambiguo comunicato ufficiale del nuovo regime annuncia che Hailé Selassié era morto nel sonno. Il maggior quotidiano del Paese, "L'Ethiopian Herald", dedica alla scomparsa dell'ex Negus non più di sei righe. Solo alla fine del 1994, dopo il crollo della tirannia di Menghistu, venne alla luce la verità: Hailé Selassié era stato soffocato con un cuscino, nella notte fra il 26 e il 27 agosto, e il suo corpo sepolto sotto il pavimento di una latrina, di fronte alla finestra dell'ufficio del nuovo "comandante" Menghistu. Le ossa dell'imperatore saranno ritrovate solo diciassette anni più tardi, nel 1992. Il 4 novembre del 2000, venticinque anni dopo la morte del Negus Haila Sellase I, settant'anni esatti dopo la sua incoronazione, un corteo solenne percorre le poche centinaia di metri che separano il mausoleo di Menelik II (dove le spoglie di Hailé Selassié erano rimaste per otto anni dopo il ritrovamento) dalla chiesa della Santissima Trinità, uno dei maggiori centri religiosi di Addis Abeba. È il vero funerale del Re dei Re.
Una curiosità. Molti in Jamaica identificarono nell'imperatore d'Etiopia Haila Sellase I superiorità spirituale e materiale. Così Hailé Selassié diventa fonte di meditazione per molti giamaicani. La sua politica ispirata da principi di giustizia uguali per tutti, la sua lotta per la correttezza fra le Nazioni, senza distinzione alcuna, fa di Tafari Makonnen un modello di vita. Da qui nasce il movimento "Rastafari" che vede il cantante reggae Bob Marley il più autorevole rappresentante.
Il Rastafarianesimo sostiene la necessità per i popoli neri di emanciparsi dal dominio che i bianchi hanno imposto su di loro (prima con la deportazione e la schiavitù, poi mantenendo una discriminazione di fatto mediante un sistema economico-sociale iniquo) e di ritornare nella loro terra nativa, l'Africa, dove potranno creare una società giusta e libera. Il movimento non ha base gerarchica poiché basata sull'uguaglianza di tutti, anche se non tollera (pacificamente) l'omosessualità e si poggia sui criteri della non violenza. I rasta non possono radersi ne tagliarsi i capelli fino al giorno della liberazione e sono vegetariani. I "dreadlocchs" (la capigliatura tipica dei rasta, provate ad immaginare una foto di Bob Marley) deriva dall'obbligo di non potersi tagliare i capelli e vuole richiamare la criniera dei leoni. L'erba è usata come "sacramento" ed ha lo scopo di avvicinare il rasta a Dio e aiutarlo nella meditazione (in Jamaica la canapa cresce spontaneamente e si narra che fu trovata una pianta di cannabis anche sulla tomba di re Salomone). Insomma, anche dopo la sua morte, Haila Sellase I continua a vivere come la divinizzazione di un uomo che è stato prescelto da Dio per guidare un popolo di giusti. Per loro Ras-Tafari è l'ultima manifestazione di Dio sulla Terra.
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Negus. Vita e morte dell'ultimo re dei re, di Del Boca Angelo, Laterza, Bari 1995.
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Storia d'Etiopia, di Conti Rossini Carlo, Seam, Roma 1999.
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L'ultimo impero cristiano. Politica e religione nell'Etiopia contemporanea (1916-74), di Borruso P., Guerini e Associati, Milano, 2002.
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Il Negus. Splendori e miserie di un autocrate, di Kapuscinski Ryszard, Feltrinelli, Milano 2003.
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