Milleottocento, Nella ricca Cina la dinastia Qing sta crollando. Molte sommosse
fra le quali la travolgente rivolta dei boxers. Il Paese è sempre più indifeso e...
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SUL DECLINANTE CELESTE IMPERO
PIOMBA IL COLONIALISMO EUROPEO
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Alla fine dell'Ottocento il "Celeste Impero" è l'oggetto del desiderio di un vero e proprio "cartello" di potenze imperialiste - Inghilterra, Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti e Italia - che alla penetrazione commerciale uniscono il controllo territoriale, le spedizioni punitive e la repressione. La dinastia Qing, sempre più in balia degli aggressori e sempre più screditata tra il popolo, cerca di rispondere all'aggressione imperialista tentando la via della modernizzazione e delle riforme, mentre tra le masse contadine e tra gli intellettuali si diffonde il nazionalismo e i primi fermenti rivoluzionari.
Questo articolo, che si spinge fino agli inizi del 1900 con la rivolta anti-colonialista dei Boxers e la vendetta consumata dalle truppe straniere, segue l'avvio della decadenza della Cina tradizionale, dei tentativi di restaurazione, e l'apertura del periodo rivoluzionario.
La politica di restaurazione e rafforzamento
La Cina che si presenta nella seconda metà del XIX secolo non è più l'orgoglioso e isolato "Impero di Centro", geloso custode di una cultura millenaria. Le due "guerre dell'oppio", quella contro l'Inghilterra (1839-42) e quella contro Inghilterra e Francia (1856-60) hanno forzatamente aperto le sue frontiere e intaccato la sua sovranità a favore degli aggressori: apertura al commercio di quindici porti, un potere sostanzialmente sovrano nelle concessioni (Canton, Shanghai, Tientsin) nelle quali le autorità straniere si affiancano, quando non sostituiscono, a quelle cinesi, il controllo delle dogane con l'affidamento ad un inglese dell'Ispettorato generale della dogane imperiali e la libertà di navigare nelle acque interne con le corazzate. Inoltre la dinastia Qing, al potere dal XVII secolo, deve fare i conti con lo scoppio di numerose rivolte interne, la più pericolosa delle quali è quella dei Taiping, e con un discredito in continuo aumento. È tutto un mondo che sembra in pericolo il cui crollo si vuole arrestare dando il via ad una difficile restaurazione e ad una prima politica di modernizzazione.
Lo scopo è, infatti, quello di difendere gli interessi nazionali, operare una maggiore resistenza per poter trattare su di un piano di parità. Ad avere il maggiore interesse alla stabilità del potere imperiale sono le potenze coloniali. Una politica contraddittoria? Tutt'altro: è la politica di chi vuole come controparte un interlocutore debole, bisognoso d'aiuti e, quindi, ricattabile. In questa prospettiva deve essere letto l'appoggio militare ed economico dato per il successo sulla rivolta dei Taiping.
A dirigere la restaurazione e la politica di rafforzamento (Ziqiang) è l'Imperatrice Vedova Ci-xi, madre del giovanissimo imperatore Tongzhi salito al trono nel 1861 a soli tre anni, la cui influenza durerà per quasi un cinquantennio con interventi diretti e incisivi negli affari di governo. Accanto a lei si muove un vero e proprio "brain trust" composto di intellettuali e funzionari ( tra questi Feng Guifen, il principe Gong e Zeng Guo-fan) che hanno come obiettivo la restaurazione dell'ortodossia confuciana e le istituzioni tradizionali.
L'allontanamento da queste è, ai loro occhi, la causa del declino imperiale. L'importanza riconosciuta all'aspetto culturale è, peraltro, testimoniata dalla decisione di ampliare l'insegnamento dei principi confuciani tra le masse contadine attraverso la formazione di oratori stipendiati e la larga diffusione degli "Editti sacri", la serie delle sentenze imperiali.
Organo guida dello Ziqiang è l'Ufficio per l'amministrazione generale (Zongli Yamen) presieduto dal principi Gong e preposta ai rapporti con gli occidentali. Alla superiorità tecnologica e militare di quest'ultimi, delle quali la Cina ha fatto le spese, si rivolge il nuovo corso politico del Celeste Impero: innestare sulle sempre valide conoscenze cinesi le tecniche occidentali. A questo proposito, così si esprime Feng Guifen: "Se lasceremo che la morale cinese e i famosi insegnamenti fungano da base originale, e che essi siano integrati dai metodi usati dalle varie nazioni per il conseguimento della prosperità e della forza, non sarebbe il migliore di tutti i metodi?"
L'avvicinamento all'Occidente (Yangwu Yundong) doveva, quindi, limitarsi all'acquisizione del segreto alla base della sua potenza: armi e arsenali. Come riassume il letterato Wei Yuan bisogna "assimilare la superiorità tecnica barbara per controllare i barbari".. Per il resto viene confermato il "dogma" della superiorità della cultura e della società cinese tradizionale. Sotto la spinta del nucleo di riformatori, in gran parte funzionari provinciali, vengono aperte a partire dal 1862 a Pechino, Shanghai e Canton scuole per l'insegnamento delle lingue straniere, sono costruiti i primi arsenali e cantieri navali, acquistati dall'estero i macchinari necessari, chiamati consulenti e tecnici occidentali e avviati i primi grandi progetti per l'ammodernamento della rete dei trasporti.
Il programma di rafforzamento militare, invece di aumentare la forza di dissuasione, incrementa la dipendenza dalle potenze straniere, dalle quali ci si vuole difendere, che forniscono tecnici qualificati , macchinari, armi e crediti. Una "serrata" avrebbe rivelato tutta la fragilità del giovane arsenale cinese.
Il moderno apparato militare permette, però, di puntellare il potere all'interno con la chiusura della fase delle ribellioni. L'impero asiatico può quindi sopravvivere ma, allo stesso tempo, risponde positivamente all'esigenza occidentale di garantirsi un interlocutore stabile ma non troppo e sostanzialmente ricattabile.
Il programma di rafforzamento si dirige anche verso il settore civile dell'economia. Il modello studiato dai funzionari governativi, detto "Guan du shang ban", prevede il controllo statale con la gestione privata da parte di associazioni di mercanti cinesi dai quali dovrebbero pervenire i capitali. Ai funzionari è affidato il potere decisionale. È l'inizio di un capitalismo moderno in Cina che, agli occhi dei riformatori, avrebbe avviato una fase di sviluppo economico capace di rispondere alla forza commerciale ed economica straniera. Lo Stato diventa il motore principale dello sviluppo grazie ad una ingente politica di prestiti che si rivela indispensabile. Risultati positivi vengono raggiunti nel sud-est con la creazione della Compagnia cinese di navigazione, con l'apertura di miniere, la costruzione difficoltosa delle prime ferrovie e la nascita della prima rete telegrafica e postale.
Tuttavia, la politica di rafforzamento deve fare i conti con la persistenza e la resistenza della tradizione. Anzi, proprio la volontà di modernizzare l'impero senza abbandonare cultura e valori ancorati ad un passato sempre più lontano si rivela inconcludente. Accanto alla mancanza di ingenti capitali, nonostante quelli che il governo non lesina, e alla mancanza di coordinamento degli sforzi, le iniziative economiche si devono scontrare con l'apparato burocratico che detiene il potere direttivo nelle grandi imprese e che è interessato a mantenere l'ordine sociale esistente. La stessa "neonata" borghesia (mercanti, compradores e funzionati tecnici) ha forti legami con l'élite burocratica tradizionale, anzi ne ricerca i titoli e le funzioni con le ricchezze accumulate. Le due realtà sociali, anziché distinguersi, si compenetrano.
A sancire il fallimento degli sforzi di modernizzazione sono i rapporti con le potenze straniere.
Nuove aggressioni
Condizione indispensabile per l'avvio e il progresso del rafforzamento economico e militare era il permanere di rapporti pacifici con le potenze occidentali. Quest'ultime, d'altronde, avevano guadagnato molto terreno in seguito alle due guerre dell'oppio: apertura al commercio di quindici porti, un potere sostanzialmente sovrano nelle concessioni (Canton, Shanghai, Tientsin) nelle quali le autorità straniere si affiancano, quando non sostituiscono, a quelle cinesi, il controllo delle dogane con l'affidamento ad un inglese dell'Ispettorato generale della dogane imperiali e la libertà di navigare nelle acque interne con le proprie corazzate. Inoltre, una forte discriminazione razziale tiene lontani i cinesi dalle aree controllate dagli occidentali.
Mentre consolidano i propri interessi sul territorio cinese, le potenze straniere, alle quali dobbiamo aggiungere il Giappone, estendono le proprie mire agli Stati "tributari" del Celeste Impero, a dimostrazione di come la politica di conciliazione perseguita dai riformatori sia solo un'illusione o, peggio ancora, ma più realisticamente, l'atteggiamento più rispondente alle intenzioni degli aggressori.
Al centro dell'attenzione c'è il Vietnam, un impero tributario con il quale la Cina intrattiene profondi rapporti politici ed economici. La Francia, che dal 1860 ha dato il via alle prime annessioni territoriali nel sud, vuole il controllo del golfo del Tonchino, un importante snodo commerciale. Falliti i tentativi di conciliazione messi in campo dalla Cina e consumati i primi scontri militari con i volontari cinesi (le "Bandiere Nere"), la Francia inizia le ostilità nell'estate del 1884 in tutta la Cina meridionale: viene bombardato il porto di Fuzhan, affondata la flotta cinese e occupate parzialmente Taiwan e le isole Pescadores. Il trattato di Tientsin (primavera 1885) riconosce alla Francia il protettorato sul Vietnam, l'apertura al commercio del sud-ovest della Cina e il diritto di essere consultata in caso di avvio di una politica di sviluppo ferroviario.
Negli stessi anni l'Inghilterra impone un trattato alla Thailandia e ottiene il protettorato sulla Birmania, mentre il Giappone estende la propria influenza sulla Corea. Nel 1892, infine, anche il Laos entra nell'orbita francese. Un passo alla volta si consuma, quindi, il sistema di stati cuscinetto che proteggeva i confini dell'impero cinese.
Ma la sconfitta che sanziona il completo fallimento della politica di rafforzamento e apre la fase più acuta dell'attacco imperialista, è quella inflitta dal Giappone. Motivo della contesa è la volontà nipponica di rafforzare il controllo sulla Corea ponendo fine alla tradizionale influenza cinese. La Cina dichiara la guerra l'1 agosto 1894 e deve subito fare i conti con esercito nemico moderno e qualitativamente superiore che si sbarazza facilmente della neonata marina cinese, invade Taiwan e arriva a minacciare Pechino. Il trattato di Shimonoseki (30 marzo 1895) è una vera e propria umiliazione imposta da un paese che la Cina aveva sempre considerato inferiore: rinuncia alla sovranità sulla Corea, cessione di Taiwan, delle isole Pescadores e della penisola di Liaodong, pagamento di una pesante indennità di guerra, apertura di porti con la possibilità per i giapponesi di impiantare proprie fabbriche.
È il segnale di avvio del "break up of China", lo spezzettamento del territorio cinese ad opera del "cartello" delle potenze imperialiste cui si aggiunge, sebbene in posizione debole e defilata, l'Italia. La debolezza della preda rende più virulenta la loro politica di penetrazione: le battaglie per le concessioni, gli interessati prestiti statali, le richieste di territori in affitto, il riconoscimento di zone d'influenza e la costruzione di ferrovie costituiscono le nuove modalità con le quali, nel giro di quattro intesi anni, vengono estorte nuove quote di sovranità alla Cina.
Molto attiva è la Russia zarista interessata ad estendere la propria influenza sulla Manciura. In cambio di una offerta di alleanza anti-giapponese ottiene con il Trattato di Mosca (maggio 1896) il via libera per la costruzione di una linea ferroviaria - la Transmanciuriana - con forti diritti sui territori interessati: esenzione dall'imposta fondiaria, diritto di sfruttamento delle miniere all'interno dell'imprecisato "territorio della strada ferrata", poteri di amministrazione e di polizia e mantenimento di una guardia.
La Germania, preso a pretesto l'uccisione di due missionari, organizza una spedizione punitiva che si conclude con la firma di un trattato (6 marzo 1898) in base al quale ottiene il prestito per 99 anni del porto di Jiaozhou nello Shandong con il diritto di costruire una base navale fortificata e di occupare militarmente le zone circostanti sulle quali la Cina non può adottare alcun provvedimento senza l'accordo con la Germania.
Seguono a ruota la concessione in affitto alla Francia, con eguali diritti, di un zona del Guandong e l'estensione delle zone in affitto intorno a Hong Kong a favore dell'Inghilterra che, inoltre, in cambio di un prestito, ottiene la sanzione definitiva del controllo sulle dogane cinesi.
In questi anni si affacciano sulla "torta cinese" anche gli Stati Uniti che, sconfitta la Spagna nella guerra per Cuba (maggio 1898), si sono assicurati il controllo delle Filippine, vera e propria base d'appoggio naturale per l'ingresso nel mercato cinese e asiatico. Preoccupati di essere esclusi definitivamente dalla spartizione in atto e dalla creazione delle zone d'influenza, chiedono nel settembre del 1899, in una nota inviata dal segretario di Stato Hay a Germania, Francia, Inghilterra e Giappone, di garantire libero ed eguale accesso commerciale in Cina senza tariffe preferenziali. Una richiesta, questa, che non mette in discussione l'esistenza delle zone di influenza e delle rapine effettuate ai danni della Cina.
Nuove spinte riformatrici: i "Cento Giorni"
La pesante sconfitta con il Giappone rappresenta un importante crocevia politico-ideologico per alcuni settori dell'elite cinese che, consapevoli, ormai, del fallimento della politica di rafforzamento, ritengono indispensabile inaugurare una stagione di riforme dello Stato per impostare una resistenza efficace all'aggressione imperialista. Condizione necessaria per dare il via a questo percorso è la riforma dell'ideologia tradizionale, base del potere imperiale, compenetrandola con quella occidentale per liberarla dagli elementi più retrivi e conservatori. La sfida che il nuovo nucleo di intellettuali lancia è, quindi, quella di trovare una nuova guida ideologica all'azione.
Dal punto di vista sociale la truppa dei riformatori è composta in gran parte da uomini della elite burocratica tradizionale che non vogliono mettere in discussione il proprio potere e il ruolo centrale recitato nella società, ma anche, in parte, avventuratisi nelle imprese moderne in seguito all'apertura al mercato mondiale. Una sorta di primo, anche se non ben delineato e numericamente esiguo, nucleo di grande borghesia nazionale dagli intenti fortemente patriottici. Figura carismatica del movimento è il letterato Kang You-wei, capace di elaborare una nuova interpretazione della dottrina confuciana in base alla quale Confucio assurge ad ardito rinnovatore. È lui a redigere nel maggio del 1895 la "Lettera dei mille candidati e delle diecimila parole" una petizione all'imperatore - cui ne seguiranno altre negli anni successivi - firmata da 1300 candidati agli esami imperiali, nella quale si richiede la costituzione di un moderno sistema bancario, il sostegno statale alla creazione di fabbriche e ferrovie, l'apertura della carriera burocratica al sapere tecnico-scientifico e la convocazione di un parlamento eletto a suffragio censitario. Sono istanze che trovano un'ampia circolazione in tutto il territorio imperiale e che portano alla nascita di numerose "società di studio" e allo sbocciare di testate riformiste. All'inizio del 1898 viene fondata l'"Associazione per la difesa della nazione", una sorta di partito d'opinione che sostiene il movimento riformista.
Le continue umiliazioni subite dalle potenze straniere, l'ultima delle quali imposta dai tedeschi, danno ai riformisti la possibilità di mettere in pratica il loro ambizioso programma. L'11 giugno del 1898, infatti, il giovane imperatore Guangxu emana un editto che impegna la dinastia Qing sulla via delle riforme. È l'inizio del periodo detto dei "Cento Giorni" durante i quali Kang You-wei e i suoi collaboratori sono chiamati al governo; una breve stagione di riforme dall'alto che vede la promulgazione di una quarantina di editti. Viene fondata l'Università di Pechino, sono aperti scuole e istituti superiori, istituiti uffici per il commercio, l'industria e l'agricoltura, si incoraggia lo sviluppo dell'industria privata, si avvia la formazione di una marina e di truppe nazionali coscritte. Dal punto di vista politico viene introdotto il diritto per tutti i sudditi di inviare direttamente petizioni all'Imperatore. Riforma che spezza un secolare privilegio riservato ai funzionari di grado elevato.
Queste misure, che certo non mettono in discussione il potere dell'elite tradizionale, scatenano la feroce opposizione di parte dell'alta burocrazia e dei settori del governo che si raccolgono intorno all'Imperatrice Vedova Ci-xi e che tramano il colpo decisivo. Il 21 settembre l'imperatrice rinchiude e isola il giovane imperatore con la scusa di una malattia, ordina l'arresto e l'esecuzione dei dirigenti riformisti (Kang riesce a scappare ad Hong Kong) ed annulla gli editti precedenti ad eccezione di quello relativo all'Università di Pechino. I riformisti hanno pagato l'esiguità numerica della loro base sociale e la distanza dalle masse popolari contadine la cui situazione di sfruttamento non attira la loro attenzione.
La rivolta dei Boxers e la spedizione internazionale
A partire dalla sconfitta con la Francia nella contesa per il Tonchino aumentano, in numero e intensità, i fenomeni di ribellione e resistenza popolare nei confronti della presenza degli stranieri, e delle loro strutture, sul territorio cinese e nei confronti di un governo percepito sempre più come incapace e connivente con gli aggressori.
E di connivenza in nome dello "status quo" se ne può certo parlare: le potenze straniere non nascondono, infatti, l'interesse di mantenere la dinastia manciù al potere, mentre quest'ultima deve ottenere la loro benevolenza per puntellare il controllo sull'impero in una situazione estremamente delicata.
Le rivolte popolari, anti-straniere, ma anche anti-dinastiche, ricevono peraltro il sostegno e la copertura "ideologica" di funzionari locali e intellettuali; fatto, questo, che segnala l'emergere del consenso nei confronti di una nuova linea, per quanto debole e minoritaria, di intransigenza ( "Qingliu" o gruppo dei puri) verso le potenze imperialiste.
Le proteste violente contro i "diavoli stranieri" hanno per oggetto soprattutto le missioni cristiane e cattoliche che si stanno sviluppando anche nel centro della Cina, lontano dalle zone costiere delle concessioni. L'estensione delle loro proprietà fondiarie, la protezione loro accordata ufficialmente da autorità sempre più screditate, le umiliazioni inferte alle popolazioni locali, e la continua penetrazione culturale che preoccupa i funzionari e i letterati custodi della tradizione confuciana, sono tutti fattori che alimentano l'incendio.
Le rivolte più importanti, sia per la partecipazione popolare che per le capacità organizzative (alle spalle agisce anche una società segreta come quella dei "Fratelli Maggiori") sono quelle che scoppiano nel 1891 nella valle dello Yangzi nel corso delle quali sono massacrati ben millecinquecento cinesi convertiti al cristianesimo e vengono assalite strutture occupate dalle missioni, palazzi governativi e case dei ricchi. I ribelli, infine, arrivano anche a nominare un nuovo imperatore. Le potenze occidentali reagiscono inviando cannoniere nelle zone coinvolte, chiedendo indennizzi e punizioni esemplari e, su suggerimento francese, ipotizzando un'azione militare congiunta. Il governo cinese cede: un editto imperiale elogia le missioni cristiane, vengono destituiti i governatori sospetti di atteggiamenti anti-stranieri e pagati i primi risarcimenti.
L'insofferenza nei confronti della penetrazione straniera si acuisce negli ultimi anni del secolo. Sono sempre più frequenti, infatti, le ribellioni popolari che hanno per oggetto i missionari, le missioni cristiane e cattoliche e i cinesi convertiti. Ad ogni incidente le potenze straniere, che dei missionari sono le tutrici, rispondono con dimostrazioni di forza (la "politica delle cannoniere") ed esigendo forti indennizzi in denaro e dure pene per i colpevoli. A queste motivazioni di carattere "nazionale", dobbiamo aggiungere quelle di carattere sociale: ad ingrossare le fila dei ribelli sono i contadini e i piccoli artigiani colpiti dalla concorrenza internazionale, messi in ginocchio da tasse sempre più pesanti, conseguenza degli impegni bellici e delle indennità di guerra, dalle corvées e costretti a vendere i terreni e le proprie braccia a causa dell'indebitamento.
Alla luce di questa duplice natura dobbiamo leggere la rivolta dei Boxers. La provincia che la partorisce è lo Shandong - nord est della Cina - duramente colpita dalla guerra con il Giappone e, subito dopo, oggetto delle mire imperialistiche di Germania e Inghilterra che prendono in affitto territori, aprono fabbriche e miniere e costruiscono ferrovie su terreni sottratti ai cinesi. Terra di natale di Confucio, lo Shandong ospita una massiccia attività di proselitismo cristiano: i missionari e i numerosi convertiti accaparrano terre, si servono di bande armate e ottengono la protezione delle autorità locali; costituiscono un gruppo privilegiato sempre meno tollerato dalla popolazione locale che lo addita come unico responsabile di ogni male.
Questo, ad esempio, è un proclama di una banda di Boxers: "Dal tempo del regno di Xianfeng [1851-61] , la Chiesa cattolica e gli Occidentali hanno insieme complottato per distruggere la Cina. Hanno dilapidato il denaro del nostro paese, demolito i nostri templi, distrutto le effigi del Buddha, usurpato le terre dove il popolo aveva le sue tombe; migliaia di persone li odiano. Ogni anno gli alberi e le colture del popolo sono stati colpiti da flagelli, insetti o siccità. Per questo il paese era sconvolto, il popolo inquieto e la collera aveva raggiunto il Cielo ".
I Boxers - in cinese Yi he tuan (Milizie della giustizia e della concordia) - costituiscono una società segreta con proprie credenze religiose e magiche, talismani e formule di invulnerabilità, i cui adepti praticano la boxe come rituale. Così lo scrittore cinese Mo Yan, nel suo romanzo "Il supplizio del legno di sandalo", riporta una tipica formula della società: "Di ferro la testa, di ferro il ventre, una barriera ferrata, ai fucili e ai cannoni sbarriamo la strada. Soldati, presto all'attacco, distruggete la ferrovia, uccidete i soldati stranieri, perché i posteri possano vivere in pace". Priva di un capo unico e carismatico, si divide in due sezioni principali, distinte dal colore del turbante, della cintura e degli stendardi, le cui unità di base sono i "Tan", allo stesso tempo l'altare, il quartiere generale e il territorio sul quale viene esercitata l'autorità. La maggioranza degli adepti è costituita da contadini e braccianti ai quali si aggiungono artigiani in rovina, maestri, soldati e un variegato panorama di sbandati e declassati. I Boxers, rappresentanti di un mondo di vittime, sono però carenti dal punto di vista ideologico e si limitano a presentarsi come difensori del popolo e a redistribuire parte dei bottini. Nelle loro file, mano a mano che il motivo antistraniero diventa dominante, entrano anche funzionari locali.
Dopo le prime azioni contro gli stranieri nel 1898-99 e l'iniziale repressione delle autorità nello Shandong, i Boxers si spostano a nord e, all'inizio del 1900, controllano una vasta area fino al porto di Tientsin. Il 13 giugno, dopo aver tenuto testa alle truppe straniere in diversi scontri, entrano a Pechino dove incendiano chiese e massacrano i cristiani. Ormai dilagano in tutto il nord-est della Cina ottenendo un forte appoggio tra la popolazione e l'esercito. La corte e l'imperatrice vedova Cixi decidono, quindi, di appoggiare la ribellione per dirigerla contro le potenze straniere e rafforzare la propria posizione nel paese. Il 21 giugno, il giorno dopo l'uccisione di un diplomatico tedesco e l'apertura del fuoco da parte delle truppe cinesi, dichiara la guerra.
Per due mesi il quartiere delle legazioni a Pechino, in cui si trovano 473 civili stranieri protetti da 450 guardie straniere e da uno sparuto gruppo di marinai francesi e italiani, è posto sotto assedio dai Boxers e dalle truppe cinesi che, tuttavia, evitano di passare all'attacco. Violenze si segnalano in altre zone del nord-est dove i ribelli uccidono duecento missionari stranieri e trentamila cinesi convertiti. Nel sud, invece, le autorità provinciali non assecondano la politica della corte e si accordano con i consoli stranieri per tenere la situazione sotto controllo.
Sull'onda di una massiccia campagna interventista che sobilla l'opinione pubblica, i governi stranieri si accordano per l'invio di una spedizione militare congiunta. Sotto la maschera della missione in nome della civiltà agisce la forte preoccupazione di perdere il terreno guadagnato negli ultimi cinquant'anni e la volontà di dare una dura lezione. Il programma è chiaramente enunciato dall'imperatore tedesco Guglielmo II: "Nessuna grazia! Nessun prigioniero! Mille anni fa, gli Unni di re Attila si sono fatti un nome che è entrato nella storia e nella leggenda. Allo stesso modo voi dovete imporre in Cina, per mille anni, il nome "tedesco" di maniera che mai più in avvenire un cinese osi guardare di traverso un tedesco".
Il contingente internazionale, composto da 16 mila uomini tra giapponesi, russi, inglesi, americani, tedeschi, francesi, austriaci e italiani, sbarca a Tientsin e il 14 agosto 1900 entra a Pechino e libera il quartiere delle legazioni. È l'inizio di una rappresaglia senza pietà: in una capitale messa al sacco vengono massacrati migliaia di uomini e il Palazzo Imperiale è occupato e spogliato dei suoi tesori. Interi villaggi vengono incendiati e in Manciuria la pacificazione è assicurata dai soldati russi con lo sgozzamento di migliaia di uomini, donne e bambini.
L'imperatrice, che si era rifugiata a Sian, cede e il 7 settembre 1901 la corte accetta il protocollo che raccoglie le dure richieste straniere: punizione con la morte e l'esilio per i rivoltosi, messa al bando delle società antistraniere, pagamento di una pesante indennità di guerra garantita dalle entrate delle dogane, divieto per due anni di importare armi, divieto di ingresso ai cinesi nel quartiere delle legazioni presidiato da truppe straniere così come dodici punti sulle vie di accesso sul mare da Pechino. Per la sovranità cinese è un colpo tremendo, una vera e propria umiliazione nazionale.
Negli stessi anni altri movimenti testimoniano lo sviluppo della volontà di resistenza e rinnovamento. Nell'ottobre del 1900 Sun Yat Sen, il futuro padre della repubblica cinese, guida nel Guandong una rivolta repubblicana con ventimila seguaci, in maggioranza contadini. Il tentativo, senz'altro prematuro, fallisce, ma il segnale è chiaro: la Cina tradizionale, i suoi ceti dirigenti, devono fare i conti con una nuova generazione di intellettuali nazionalisti e fortemente rinnovatori.
La partecipazione italiana
Come abbiamo visto, tra le potenze occidentali interessate a tagliarsi una fetta della torta cinese c'è, anche se in posizione notevolmente più debole, l'Italia alla quale la Cina ha appena rifiutato la richiesta della concessione della baia di San Mun.
Il corpo di spedizione italiano, composto da 83 ufficiali e 1882 soldati agli ordini del colonnello Vincenzo Garioni, sbarca da Napoli il 19 luglio 1900 alla presenza del re Umberto I che ricorda "il sacro diritto delle genti e dell'umanità calpesta" alla quale, come da tipica mentalità colonialista, non appartengono i popoli barbari.
Le truppe italiane, che inizialmente pagano una certa impreparazione logistica, prendono parte, anche se non nella misura di quelle alleate, a saccheggi, stragi, decapitazioni e incendi di interi villaggi (spedizione su Pao Ting). È interessante notare come tra i soldati del contingente italiano ci sia forte scetticismo nei confronti di una missione definita di civiltà. Cosi, infatti, si esprime il tenente Giuseppe Masserotti Benvenuti: "la nostra venuta, dal lato dello scopo umanitario, è stata perfettamente inutile. Ormai è chiaro che tutta la storia della guerra è stata gonfiata e che gli episodi dei Ministri e dei massacri, quasi di sana pianta sono stati inventati da chi aveva interesse a fare in Cina una grande spedizione". Il colonnello Salsa, invece, sembra comprendere i motivi dei rivoltosi: "A dire il vero la causa principale dell'attuale movimento antiforestiero si deve cercare nella intolleranza e negli intrighi d'ogni genere dei missionari, i quali del monito della religione si servono per scopi terreni e politici. Credo che sarebbe bene che, per qualche lustro e anche più, le missioni di qualsiasi religione e nazione non mettessero più piede in Cina". Dalla spedizione l'Italia non ottiene nulla di invidiabile: la concessione perpetua di un territorio di una quarantina di chilometri quadrati attorno a Tientsin compreso tra le concessioni russa e austriaca. Un'area in gran parte paludosa che, invece di produrre profitti, richiede un cospicuo investimento per la bonifica.
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BIBLIOGRAFIA
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Italiani, brava gente?, di Angelo Del Boca - Neri Pozza Editore, Vicenza, 2005.
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Il supplizio del legno di sandalo, Mo Yan - Einaudi Torino, 2005.
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