Le radici storiche dell’instabilità di un territorio che minaccia la pace del mondo.
Un discorso lungo e intricato che qui si vuole tracciare solo per sommi capi.
IL MEDIO ORIENTE, MINA VAGANTE
FABBRICATA IN EUROPA NEL 1900
di RENZO PATERNOSTER
L’endemico contrasto che ha trasformato il Medio Oriente in una delle regioni più instabili del pianeta, ha le sue radici nelle scelte operate dalle grandi potenze coloniali europee alla fine del primo conflitto mondiale.
Il Medio Oriente ha avuto uno strano destino nella saga dell’espansione oltremare dell’Europa. Sebbene abbia finito per essere un teatro secondario rispetto all’India e a tutta l’Asia sud-orientale, tutto il Medio Oriente deteneva (e detiene) risorse strategiche per gli interessi europei. Per il Medio Oriente, infatti, passano le vie terrestri fra Asia ed Europa e dunque gli accessi al Mediterraneo dell’immenso bacino energetico che dalla regione si prolunga fino al Caucaso e all’Asia centrale: esso è quindi la “porta dell’Oriente”. Soprattutto la presenza di una grande quantità di oro nero (il petrolio) giocherà un ruolo di primo piano per le scelte occidentali nella regione: la storia del petrolio diventerà la storia della rapacità occidentale nel Medio Oriente.
Interessi geopolitici, lotte dinastiche, ostilità etniche, interessi economici e petroliferi, ideologie nazionaliste e, soprattutto, la questione palestinese sono gli elementi che hanno concorso e concorrono all’instabilità del paesaggio politico-economico-sociale del Medio Oriente.
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Re Ghazi d’Iraq
La presenza di un’entità politica forte come l’Impero ottomano aveva impedito, per tutto l’Ottocento, una completa colonizzazione occidentale nel Vicino e Medio Oriente. La scomparsa dell’impero, potenza uscita sconfitta nel primo conflitto mondiale, assicurò ai Grandi dell’Europa l’espansione della loro influenza in queste regioni asiatiche.
L’irruzione dell’Occidente nel Medio Oriente ha comportato l’invenzione degli Stati. L’Iraq e Israele non sono Stati storici e non hanno frontiere naturali. Ambedue sono nazioni “artificiali”, come “inventati” sono anche la Siria, il Libano, la Giordania, l’Arabia Saudita, il Kuwait: tutti frutto di una spartizione di Francia e Gran Bretagna. Forti del mandato loro attribuito dalla Società delle Nazioni quali Stati vincitori della Prima guerra mondiale, Francia e sopratutto Gran Bretagna si arrogarono il diritto di tracciare delle linee su una carta geografica muta, toccando inevitabilmente sensibilità che riguardano la religione e l’identità. Il “sistema dei mandati” dunque era una formula coniata unicamente per nascondere il reale statuto politico che effettivamente si instaurò nella regione, quindi uno strumento di legalizzazione del colonialismo (ma questo purtroppo vale anche per l’Africa e l’Estremo Oriente!).

Dall’autorità coloniale dipendeva la definizione dei confini degli Stati, la designazione dei leader e delle elite poste ai vertici del potere statale, la modellazione dei regimi politici, con la preferenza normalmente accordata alle monarchie ereditarie, l’allocazione delle risorse naturali.
Sin dal loro primo ingresso nel Medio Oriente, tuttavia, gli europei portarono il progresso: alla prima fase, puramente militare, seguì quella della rapida modernizzazione delle vie di comunicazione (costruzione di strade, ferrovie, porti), del progresso tecnologico (elettricità, telegrafo, radio, motore a scoppio) e di quello economico. La più importante iniziativa occidentale fu la scoperta e lo sfruttamento del petrolio, che ha posto redditi enormi a disposizione anche ai governi mediorientali. Ciò nonostante, insieme al progresso, gli europei portarono la loro visione del mondo, ma soprattutto la loro rapacità.
Le sorti della regione furono già decise dalle potenze europee già prima della fine del conflitto mondiale, attraverso una serie di intese diplomatiche. La presenza del petrolio, pur ritenuto un fattore importante, non fu comunque un interesse dominante, come lo sarebbe diventato in seguito, cioè da quando l’Arabia Saudita iniziò per prima a sfruttarlo. Come già riferito, accanto alla presenza di ricchi giacimenti di oro nero, c’era l’interesse di controllare le vie di comunicazione e di commercio, la più importante delle quali era il canale di Suez.
La logica europea era chiara: nel breve periodo spartirsi il Medio Oriente in funzione dei propri interessi e quindi offrire ai mercanti inglesi e francesi numerosi diritti e privilegi; nel lungo periodo bisognava fare in modo che i futuri governi del Medio Oriente continuassero ad aver bisogno degli europei. Per questo occorreva adottare la strategia del divide et impera che sfruttava le divisione settarie, etniche e tribali, sostenendo con la dovuta forza le minoranze (come i curdi) per frenare le rivendicazioni arabe; creare barriere artificiali (ad esempio la Transgiordania, che secondo gli Inglesi doveva servire per impedire al futuro Stato ebraico di espandersi verso Est, oppure la separazione francese del Libano dalla Siria, per indebolire quest'ultima, oppure ancora separare il territorio del Kuwait dall’Iraq per limitare il più possibile lo sbocco al mare di quest’ultimo); impedire una politica estera indipendente ai governanti locali e trovare sempre pretesti per interferire nella politica interna.

I negoziati iniziarono nel 1915, quando il ministro francese Aristide Briand inviò a Londra il diplomatico François George Picot, con l’incarico di negoziare le richieste della Francia in Medio e Vicino Oriente. Il governo francese avanzava pretese su un territorio che andava dalle pianure della Cilicia al Sinai e una parte del litorale mediterraneo fino a Mosul. Le richieste francesi misero in allarme il governo britannico, che subito nominò il deputato conservatore Mark Sykes interlocutore di Picot. Il 3 gennaio dell’anno dopo si raggiunse un accordo, firmato poi il 17 maggio, in cui si prevedeva che a guerra finita la
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Abdullah ibn Husayn di Giordania
Francia si attribuiva una zona d’occupazione che copriva il Libano ed una parte del sud-est dell’attuale Turchia, ed una zona d’influenza che comprendeva la Siria ed il nord dell'attuale Iraq. La Gran Bretagna, invece, avrebbe ricevuto come zona d’occupazione la regione fertile della Mesopotamia meridionale, compresa quindi Baghdad e il distretto di Bassora, e gran parte della Palestina (esclusa la città di Gerusalemme per la quale fu prevista l’internazionalizzazione, leggi: “comproprietà” franco-britannica), la zona d’influenza comprendeva il resto dell’Iraq e l’odierna Giordania.
La Francia come compenso per la perdita della regione di Mosul, che il piano Sykes-Picot non aveva previsto di attribuirle, più tardi si impadronirà della parte tedesca della compagnia petrolifera che sfruttava il petrolio del luogo, ossia il 25% del capitale. Da questo 25% sarebbe nata alcuni anni dopo la CFP, la Compagnia Francese dei Petroli, l'antenato di Total, poi di Total-Fina-Elf.
L’accordo Picot-Sykes rimase segreto agli arabi, fino a che, dopo la Rivoluzione d’Ottobre (novembre 1917), Lenin ordinò di renderlo pubblico.
Ma la Gran Bretagna giocò le sue carte su più tavoli: da un lato promise l'indipendenza agli arabi, per ottenerne il sostegno contro gli ottomani (carteggio MacMahon-Hussein del 1915-1916), dall'altro s’impegnò a favorire la causa sionista (dichiarazione Balfour del 1917). Il comportamento della Gran Bretagna fu quindi spregiudicato e doppiogiochista: il governo britannico promise agli arabi, ai francesi e agli ebrei-sionisti uno stesso territorio che realmente ancora non possedeva, in più permise di erigere una “cortina di sabbia” che fungesse da muro contro la penetrazione russa in Medio Oriente.

In pratica i britannici, nel 1915-1916, attraverso un altro accordo segreto pattuito tra Henry MacMahon, Alto commissario inglese per l’Egitto, e l’emiro hascemita dell’Heggiaz Alì Hussein, sceriffo della Mecca, avevano assicurato il loro sostegno nella realizzazione di uno Stato arabo che comprendesse tutti i territori arabi dell’Impero ottomano, tra cui erano compresi quelli poi “dati” alla Francia con l’accordo Picot-Sykes. In più, tanto per complicare le cose, la Gran Bretagna, nel novembre 1917, attraverso la famosa “Dichiarazione Balfour”, promise il territorio palestinese agli ebrei-sionisti di Theodor Herzl.
Infatti, il 2 novembre 1917 il ministro degli Esteri britannico, Arthur James Balfour, scrisse una lettera a lord Rothschild, vice presidente onorario dell’organizzazione sionistica mondiale, in cui faceva riferimento ad un focolare nazionale ebraico in Palestina, a condizione che fossero garantiti i diritti, in particolare quelli religiosi, delle popolazioni esistenti n Palestina. Si legge nella lettera: «Il Governo di Sua Maestà guarda con favore la costituzione in Palestina d’un focolare nazionale per il popolo ebraico e applicherà tutti i suoi sforzi per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo, essendo stato assodato chiaramente che non sarà fatto niente che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e lo statuto politico goduti dagli ebrei in qualunque Paese. Vi sarei riconoscente se portasse questa dichiarazione alla conoscenza della Federazione Sionista».
Alla Conferenza di Sanremo, convocata il 25 aprile 1920, seguita alla Conferenza di Parigi, il Vicino e Medio Oriente furono dunque spartiti tra Francia e Gran Bretagna, potenze che poi, letteralmente, “inventarono” nuove entità statali ovviamente assoggettate alla propria influenza. La Francia avrebbe amministrato i territori comprendenti la Siria e il Libano, mentre la Gran Bretagna quelli comprendenti la Palestina e l’Iraq. La Conferenza di Sanremo recepì la dichiarazione Balfour, trasformandola in un rilevante documento internazionale.
Con l’affidamento della Palestina, Londra ottenne un controllo più ravvicinato del canale di Suez, mentre con la concessione dell’Iraq gli inglesi si accostavano al controllo delle cospicue risorse petrolifere del distretto di Mosul.

In Palestina l’Inghilterra fece ricorso, nella gestione del territorio ad essa affidato, ad un criterio geografico. In pratica, partendo dal Giordano come linea di demarcazione, divise la Palestina in due territori: creando ad est un emirato a capo del quale fu posto Abdullah Hussein, figlio dell’emiro Alì, interdetto alla colonizzazione ebraica; ad ovest una zona sotto il controllo diretto degli inglesi e avrebbe costituito l’area territoriale nella quale si sarebbe potuta indirizzare l’immigrazione ebraica.
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Lord James Balfour
In Palestina, dalla seconda metà dell’Ottocento, molti ebrei iniziarono a stabilirsi nella regione per sfuggire a situazioni persecutorie divenute insostenibili. I primi insediamenti ebraici in Medio Oriente furono il frutto dell’antisemitismo che da sempre accompagna questo popolo. Si costituì così una prima società ebrea atipica, una miscela di persone, diverse per cultura, per lingua e per abitudini, che in comune avevano unicamente l’appartenenza ad un’etnia e la condivisione della stessa sofferenza procurata dalle persecuzioni razziali. Nonostante queste diversità, nacque una società multiculturale ben integrata anche con le popolazioni arabe e palestinesi già esistenti. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale in Palestina, che contava circa 700.000 abitanti, risiedevano già cinquantasettemila ebrei.
I primi grandi flussi migratori furono organizzati con la collaborazione attiva degli arabi grandi proprietari. I latifondisti arabo-palestinesi, i cosiddetti “effendi”, iniziarono ad alienare le loro terre a favore degli migranti ebrei, racimolando enormi ricchezze. I continui arrivi, l'acquisto e la rivendicazione di terre allarmarono la popolazione palestinese. Per fronteggiare la politica filo-sionista dell’Inghilterra, fu creato il “Comitato Esecutivo Arabo”, che univa arabi cristiani e musulmani. La disapprovazione araba delle decisioni britanniche fece scoppiare disordini interni in Palestina. Alimentato dal sionismo, una tendenza politica e ideologica il cui obiettivo principale era la creazione di uno Stato ebraico, il flusso di immigrati ebrei divenne inarrestabile.
Stava per iniziare il più lungo conflitto che la storia ha mai registrato. Da parte araba-palestinese, il più grave errore strategico fu quello di opporsi alla costituzione di un’Agenzia Araba (contrapposta a quella ebraica-sionista) proposta dagli inglesi, privandosi per anni di qualsiasi istituzione rappresentativa riconosciuta ufficialmente (come lo fu quella sionista).

Con l’arrivo dei primi ebrei provenienti principalmente dalla Germania, sfuggiti ad un’altra ondata persecutoria (questa volta la più crudele della storia degli ebrei!) anche la società multiculturale ebraica subì una trasformazione. Il prevalere della cultura ebraica occidentale aschenazita relegò le altre culture ebraiche (quella sefardita, proveniente dalla Spagna, o quella dei falascia, ebrai originari dell’Etiopia) nei gradi più bassi. Gli ebrei aschenaziti, ricoprendo tutte le più importanti cariche, crearono una società fortemente gerarchizzata.
La radicalizzazione dello scontro tra ebrei e arabi e tra sionisti e amministrazione britannica convinse definitivamente la Gran Bretagna a rinunciare al mandato, annunciando nell’aprile del 1947 il suo disimpegno dalla Palestina entro un anno, per rimettere la questione nelle mani delle Nazioni Unite. L’Assemblea Generale dell’ONU nominò una commissione speciale di undici Stati (Australia, Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Jugoslavia, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Uruguay ) che avrebbe discusso sulle soluzioni possibili per porre fine alle violenze in Terra Santa. Il 13 agosto 1947 la Commissione pubblicò la sua relazione: si consigliava la fine del mandato britannico entro un anno, la creazione di tre entità politiche, una ebrea, una araba e Gerusalemme internazionalizzata. Il rapporto fu approvato con sette voti favorevoli su di un totale di undici.
Il piano, dunque, prevedeva una zona ebraica, con la Galilea, la pianura costiera e il Negev fino al Mar Rosso; la Palestina avrebbe inglobato il resto del Paese, al di fuori di Gerusalemme che sarebbe stata internazionalizzata. Il 29 novembre 1947, con la “Risoluzione n. 181”, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò il progetto con trentatrè voti favorevoli (fra cui quelli dell’URSS, degli USA, della Francia), contro tredici contrari (fra cui quelli di sette Stati arabi e di Afghanistan, Turchia, Pakistan, India, Cuba, Grecia). Le astensioni furono dieci (fra cui quella della Gran Bretagna). I sionisti accettarono la decisione, convinti che, una volta ottenuto il riconoscimento di uno Stato ebraico indipendente, questo avrebbe potuto ridefinire i propri confini. I più radicali del movimento sionista adottarono un massima che spiega a puntino le intenzioni sioniste: “Il Giordano ha due sponde. Una è nostra, l’altra pure”. Negli ambienti palestinesi, invece, prevalse la linea del rifiuto del compromesso. La decisione palestinese di adottare il terrorismo nacque proprio in quel momento, fu l’effetto, pertanto, e non la causa di questo grande e coraggioso rifiuto.

Il 14 maggio 1948 nacque così lo Stato d’Israele. L’evento diede agli israeliti una
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Spartizione dell’impero Ottomano
Patria, realizzando il grande sogno di milioni di ebrei di ritornare e formare una comunità ebraica nella “Terra Promessa” da Dio. La fondazione dello Stato sionista significò che il 78% della Palestina storica, che era araba, divenne israeliana.
Gli israeliani sintetizzano quello che è avvenuto quel 14 maggio 1948 con due termini: Shirur, la fine della diaspora ebraica, e Azma’ut, la conquista dell’indipendenza dagli inglesi. Non si è mai parlato della “tragedia” palestinese, essa era (ed è) una componente assai marginale per gli israeliani. La nascita dello Stato d’Israele ha quindi confermato e amplificato il processo di rimozione della storia messo in atto dal sionismo, in conseguenza del quale anche gli occidentali hanno volutamente ignorato la presenza di una popolazione palestinese da ben dodici secoli, costretta ora ad una diaspora senza alcuna possibilità di scelta. Non a caso proprio con il nome al Nakba, la “catastrofe”, che i palestinesi ricordano quel 14 maggio 1948.
Indubbiamente la tragedia della Shoah ha avuto il suo peso nell’accelerazione del processo di formazione dello Stato d’Israele, ma con l’instaurarsi della Guerra fredda si delinearono anche altre motivazioni e interessi, i quali ruotavano attorno al controllo dei traffici commerciali e petroliferi delle due superpotenze: gli Stati Uniti si schierarono con Israele per avere un prezioso alleato in una regione strategica del mondo, mentre l’Unione Sovietica si avvicinò ai Paesi arabi, soprattutto l’Egitto di Nasser, cercando di sfruttare al meglio la loro avversione ad Israele per i propri interessi in quelle zone.
A tutt’oggi la crisi israelo-palestinese ha percorso tutta la scala dell’orrore.
L’invenzione dell’Iraq. Dalle rovine dell’Impero ottomano la Gran Bretagna, unendo le province di Baghdad, Bassora e Mosul, inventò un altro Stato: l’Iraq. Per delimitare l’Iraq nei suoi confini, i britannici utilizzarono vari criteri: verso la Turchia fu scelto il confine amministrativo che aveva separato il viláyet di Mosul dalle altre province ottomane; verso l’Iran fu stabilito il confine storico fra Impero ottomano e Impero persiano; verso il Kuwait, l’Arabia e la Siria fu deciso di utilizzare una matita e una riga sulla cartina geografica.

Il Paese, composto da Kurdi, Turkmeni, musulmani sciiti e sunniti, fu diviso inizialmente in zone amministrative (Liwas) governate da prefetti assistiti da consiglieri britannici. L’insediamento inglese e le nuove misure amministrative prese dai britannici fecero esplodere la rabbia dei nazionalisti che, nello stesso 1920, portò alla grande rivolta irachena. Gli inglesi ripresero il controllo del territorio solo dopo alcuni mesi di combattimento e con un enorme dispendio di energie in termini di costi e perdite umane. Dopo la rivolta irachena, i britannici si convinsero dell’eccessivo costo di una gestione diretta dell’Iraq. Nel marzo dell’anno dopo, i Colonial Office britannico, allora affidato a Winston Churchill, convocò una conferenza di esperti al Cairo per rivedere la posizione inglese nella regione: fu deciso di insediare in Iraq un governo a pieno titolo, dotato di tutti i servizi amministrativi, e di creare anche un esercito locale. In cambio, la potenza mandataria pretese unicamente il rispetto delle esigenze strategiche di Londra.
Nel 1921 l’Iraq fu così eretto a monarchia costituzionale e il leader hashemita Faysal, fratello di Abdallah emiro della Transgiordania, divenne il primo sovrano del Paese. Questa decisione su Faysal fu presa dai britannici per non scontentare gli hashemiti e dargli un “contentino”, dopo aver promesso loro la Siria e averla affidata invece al mandato francese.
Il 10 ottobre 1922 un trattato anglo-iracheno regolò la tutela britannica sul nuovo Stato. Nel 1929 fu proposto al governo iracheno la firma di un trattato che permettesse all’Iraq di diventare indipendente e di aderire alla Società delle Nazioni. Il trattato fu firmato a Baghdad il 30 giugno 1930. Esso prevedeva l’utilizzo da parte degli inglesi delle basi aeree di Henaydi e di Bassora, in cambio la Gran Bretagna avrebbe appoggiato la richiesta d’adesione alla Società delle Nazioni. Il 3 ottobre 1932, l’Iraq ottenne l’indipendenza seppur solo in maniera formale. Successivamente il Consiglio della Società delle Nazioni accettò l’ammissione dell’Iraq, a condizione che il governo pubblicasse ufficialmente una dichiarazione accordante delle garanzie sul trattamento delle minoranze del Paese e sul rispetto dei princìpi del diritto internazionale. Anche se in Iraq vigeva una certa libertà politica, la vera autorità era l’ambasciatore britannico.

Qualsiasi dissenso all’ordine costituito era represso con la forza. Importante fu la
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L’agente della Cia
Kermit Roosevelt
scelta operata dagli inglesi nelle scelte dei dirigenti del Paese: essi riuscirono ad estromettere dai posti di comando gli sciiti, affidando alla minoranza sunnita le leve del nuovo Paese. La base sociale e politica sulla quale nasceva il nuovo Stato iracheno era già traballante: a nord i Kurdi premevano per il riconoscimento di una propria entità nazionale, il Kurdistan; al sud aumentavano i contrasti con la maggioranza sciita, relegata ad un ruolo di secondo piano; la stessa leadership governativa era debole e incapace.
Dal 1936 iniziarono i vari colpi di Stato ad opera di gruppi di ufficiali dell’esercito iracheno, ma senza che fosse messa in discussione la monarchia costituzionale e gli interessi britannici.
Sin dai primi anni d’indipendenza Baghdad mirò ad ottenere quello che era considerato lo sbocco naturale del Paese sul Golfo Persico: il primo ministro iracheno, Nuri Said, sebbene il suo Paese avesse riconosciuto il confine iracheno con il Kuwait nelle trattative per ottenere l’indipendenza, non abbandonò mai l’idea che quel territorio fosse il tassello mancante di una federazione araba a guida hashemita. Nel frattempo si procedette a violente repressioni di sollevazioni, tra cui quelle degli cristiani assiri nel 1933 e degli sciiti due anni più tardi.
Alla morte di re Faysal I, nel 1933, successe al trono suo figlio Ghazi, di aperte idee nazionalistiche. Le preoccupazioni britanniche per le idee di re Ghazi, che col passare degli anni mostrava una certa irrequietezza nazionalistica, si spensero nel 1939 quando il re morì in un “provvidenziale” incidente d’auto. Salì al trono suo figlio Faysal II, di appena quattro anni, che assunse i pieni poteri solo nel 1953, lasciando la reggenza al suo zio Abdulillah.
Dopo una serie di colpi di Stato, nel 1941, un altro golpe portò all’insediamento di un governo militare con a capo Rashid Alì al-Gaylani, convinto nazionalista e panarabo, che per spirito antibritannico e in previsione di un allargamento dei confini iracheni verso l’Iran, strinse alleanze con l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. Gli inglesi riuscirono a riprendere il controllo della situazione dopo un’intensa campagna militare, fra il maggio e il giugno del 1941.

Ristabilito il controllo sul Paese, Nuri Said fu rifatto primo ministro e, nel 1943, l’Iraq dichiarò guerra all’Asse schierandosi con la Gran Bretagna.
Finito il secondo conflitto mondiale, anche l’Iraq entrò nel complesso giogo della Guerra fredda. Nel Paese non furono tollerati partiti nazionalisti e comunisti: questo portò ad un’ondata persecutoria contro il forte Partito Comunista Iracheno. Le persecuzioni ebbero il suo culmine nel 1947-1948 e si conclusero quando il leader del Partito Comunista Iracheno, Fahd-Yusuf Salman, fu impiccato assieme a quasi l’intera direzione del movimento politico. L’Iraq adottò quindi una politica dichiaratamente filo-occidentale, tanto che nel 1954, con la firma del Patto di Baghdad, l’Iraq siglò con la Turchia un accordo in funzione antisovietica, al quale poi aderirono anche Gran Bretagna, Iran e Pakistan.
La provata fedeltà britannica del primo ministro iracheno, spinse il Paese ad appoggiare la spedizione anglo-francese contro l’Egitto di Nasser, che nel frattempo aveva nazionalizzato il canale di Suez. Ma il sentimento nazionalista degli iracheni, esasperati dalla politica filo-occidentale di Nuri Said, portò alla grande rivolta del 1958. Questa volta furono colpite tutte le leve del potere, compreso la monarchia: il re, la famiglia reale e Nuri Said furono giustiziati e, il 14 luglio 1958, al suono della “Marsigliese” fu proclamata la repubblica. Il capo della rivolta, Abdel Karim Qassem, divenne primo ministro. Abbandonata la lealtà filo-occidentale, l’Iraq entrò nella sfera d’influenza della politica sovietica.
Il 1961 è una data che fece riscaldare gli animi degli iracheni: il Kuwait divenne indipendente. Questo irritò il governo iracheno che, partendo dal presupposto che prima del mandato inglese la regione era inglobata alla provincia di Bassora, non aveva mai smesso di considerare il territorio kuwaitiano parte integrante dell’Iraq e sbocco naturale sul mar Persico. Nel giugno dello stesso anno, l’esercito iracheno si mosse verso il Kuwait. Questo provocò l’immediato intervento britannico che, grazie all’appoggio della Lega Araba allora dominata dall’Egitto (Stato che subito appoggiò l’operazione per paura di un allargamento della potenza irachena nel Medio Oriente), riuscì a proteggere il piccolo emirato.
L’8 febbraio 1963 l’ennesimo colpo di Stato, guidato questa volta dal colonnello Abdel Salam Aref, depose Qassem. Il nuovo governatore, che era un degno rappresentante dei settori panarabi più estremi, nasseriano e baathista, adottò una linea dura contro i comunisti e i seguaci di Qassem.

L’evoluzione anti-occidentale si accentuò quando, attraverso un altro colpo di Stato, il
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L’impero Ottomano nel 1680
17 luglio 1968 salì al potere il generale Ahmed Hassan al-Bakr, del clan del partito Ba’ath di Takrit. Al suo fianco comparve un civile, Saddam Hussein, già condannato a morte nel 1959 per aver attentato alla vita dell’allora primo ministro Qassem. Con il Ba’ath (in arabo, rinascita) l’arabismo assorbì l’ideologia social-nazionale.
Quando l’Impero britannico volgeva alla fine in Mesopotamia, gli Usa decisero di riempire il “vuoto” lasciato dagli inglesi in Medio Oriente, per assicurarsi così le vaste risorse petrolifere e controllare una regione del pianeta geo-strategicamente importante. La “Dottrina Monroe” si allungò all’area mediorientale nelle vesti di “Dottrina Eisenhower”: nel marzo del 1957 su richiesta del presidente, il Congresso USA approvò una risoluzione secondo la quale gli Stati Uniti “considerano elemento vitale ai fini dell’interesse nazionale la salvaguardia dell’indipendenza e dell’integrità delle Nazioni del Medio Oriente; questo per tutelare anche la pace mondiale a partire dalla regione. Di conseguenza gli USA si dichiarano pronti ad intervenire, anche militarmente, in aiuto a quei Paesi che richiederanno assistenza per far fronte ad aggressioni da parte di Paesi governati da comunisti” o da aggressioni da parte di fanatici nazionalisti. Con questa motivazione gli Stati Uniti d’America, sostituendo l’Europa, si daranno la licenza d’imperialismo in Medio Oriente.
Questa è anche la motivazione dell’appoggio non-ufficiale che l’Occidente diede all’Iraq durante la guerra contro l’Iran, e questo ebbe l'effetto di prolungare dolorosamente il conflitto. L’Occidente era spaventato dalla rivoluzione islamica avvenuta in Iran, per questo ebbe un atteggiamento di crescente sostegno nei confronti dell'Iraq, commerciando in piena guerra e fornendo all'industria bellica irachena tecnologie necessarie a rafforzare il settore nucleare e delle armi (Francia, Italia e Stati Uniti) e il settore chimico (Germania e Stati Uniti). Non solo, quando Saddam Hussein attaccò l'Iran il 22 settembre del 1980, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò una generica risoluzione il 28 settembre, che non solo non menzionava l'aggressore iracheno, ma non richiedeva il ristabilimento delle frontiere internazionali. Il rispetto delle frontiere sarà invocato invece dal consesso internazionale, solo quando nel 1982 l'Iran, dopo aver respinto l'invasione dell'esercito di Baghdad, penetrò in territorio iracheno. L'Iraq rispose alle vittorie di Teheran facendo un largo uso di armi chimiche; ma l'Onu condannerà l'azione solo nel 1985 in modo generico e senza indicare il Paese responsabile della pratica.

Nel marzo del 1982 Washington, grazie ai buoni uffici dell'ambasciatore statunitense in Arabia Saudita Richard Murphy, cancellò l'Iraq dalla lista degli Stati che appoggiavano il terrorismo. Subito, in quello stesso anno, Baghdad acquistò elicotteri americani Huges, pagandoli in petrolio, come anche comprò dai francesi dei “Super Etendard” e - grazie al tramite dell'azienda italiana Augusta – anche degli elicotteri Bell-Textron. Nonostante l'opposizione del Congresso americano, la vendita di armi Usa continuò.
Il presidente Reagan decise di sostenere l'Iraq per fronteggiare Khomeini, per questo il dipartimento di Stato organizzò sovvenzioni in favore di Baghdad: trecento milioni di dollari di credito furono erogati per l'acquisto di grano e riso americano, le banche aprirono crediti al regime e gruppi agroalimentari importanti garantirono assistenza illimitata all'Iraq per oltre un miliardo di dollari. Gli aerei statunitensi Awacs stanziati in Arabia fornirono a Baghdad informazioni analitiche sulle truppe iraniane.
Nell'agosto del 1988 la guerra tra Iraq e Iran si concluse lasciando i due Paesi in profonda crisi economica.
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Lo sceicco Jaber al Mubarak
Non si è mai saputo con certezza se il Kuwait sia stato parte dell'impero ottomano, sebbene la storia ufficiale del Paese sostenga fermamente che l’emirato sia sempre rimasto indipendente dal dominio turco. Gli eredi dell’impero ottomano fanno invece sapere che sino al 1899 il territorio era considerando una sub-provincia prefettizia di Bassora (in pratica lo sceicco era reputato come “kaimacam“, ossia sottoprefetto). Fatto sta che il Paese come “Stato” non esisteva essendo nato dal segno a matita rossa (mai legalizzato da un accordo ratificato) tracciato nel 1923 dall’alto commissario di sua Maestà britannica sir Percy Cox, su indicazione del geologo Crisholm che in quella zona aveva previsto la presenza del petrolio e aveva suggerito di metterla sotto la sovranità di uno sceicco “plasmabile”, piuttosto che lasciarla nelle mani dell'Iraq. La presenza inglese congelò subito qualsiasi ipotesi di mutamenti nei tracciati delle frontiere e di discussioni intorno alla sovranità.
Nel 1896 lo sceicco Mubarak al-Sabah al-Sabah, comunemente conosciuto come Mubarak il Grande, assassinò suo fratello l’emiro, quindi fece lo stesso con un altro fratello e s’insediò sul trono del Paese. Per contrastare le mire ottomane e tedesche nel 1899 Mubarak firmò un accordo con l'Inghilterra: in cambio della protezione navale inglese, egli prometteva di non cedere territorio né di chiedere aiuto né di procedere a negoziati con qualsiasi altro Stato straniero senza il consenso britannico.

L'obiettivo dell'Inghilterra nel firmare tale trattato era quello di tenere la Germania, in quel momento principale alleato e sostenitore finanziario della Turchia, lontana dal Golfo Persico. I turchi intanto continuavano a rivendicare la loro sovranità sul Kuwait, pur non essendo in grado di far valere le loro pretese.
Nell’ottobre del 1913 lo sceicco Mubarak aveva sottoscritto una lettera con i rappresentanti inglesi, nella quale s’impegnava “a non accordare alcuna concessione petrolifera se non alle persone designate e raccomandate dal governo britannico”. Nel 1914 la Gran Bretagna confermò il protettorato riconoscendo formalmente l'indipendenza dello Stato, che difese dalla minaccia del Ibn Saud: il trattato di pace siglato nel 1921 stabilì il confine con l’Arabia, mentre il confine settentrionale con l'Iraq fu fissato nel 1923 da sir Percy Cox.
Fino a che Feysal, creatura inglese acquiescente verso l'amministrazione britannica, rimase sul trono dell'Iraq, la questione della sovranità sul territorio kuwaitiano non si presentò come un vero problema. Ma alla morte di Feysal, nel 1933, gli successe il figlio Ghazi I, e le cose cambiarono. Egli era un inflessibile antibritannico e antisionista, tanto che aveva installato una radio trasmittente nel suo palazzo di Baghdad, con la quale diffondeva appelli nazionalisti e discorsi infiammati contro gli inglesi e i sionisti. Fu appunto nel 1933 che il governo iracheno sollevò per la prima volta ufficialmente la questione kuwaitiana. Nel frattempo a Bassora si formò una «Associazione degli Arabi del Golfo» il cui programma era l'unione del Kuwait all'Iraq.
Nel 1937 l’autorità irachena inviò una nota al Foreign Office in cui si comunicava che “l'accordo anglo-ottomano del 1913 riconosceva il Kuwait come zona autonoma della provincia prefettizia di Bassora”, perciò – continuava la nota governativa – se “la sovranità della provincia di Bassora è stata trasferita dallo Stato ottomano al regno di Iraq, come contempla la convenzione del 1913, tale trasferimento deve comprendere anche il Kuwait. L'Iraq non riconosce altri cambiamenti nello statuto del Kuwait”. La nota fu un esplicita richiesta d’annessione del Kuwait all'Iraq. Gli inglesi ovviamente respinsero tale rivendicazione.
L'argomento principale del governo britannico fu che la Turchia, con i trattati di Sèvres e di Losanna, aveva rinunciato, con il primo “a tutti i diritti di sovranità o di giurisdizione sui musulmani che si trovavano sotto il protettorato di altri Stati”, e con il secondo “ad ogni diritto concernente territori situati al di là delle frontiere (della Turchia): la sorte di questi territori è regolata o deve essere regolata dagli interessati”. Per conseguenza l'Iraq, secondo l'amministrazione britannica, non poteva rivendicare un territorio che la Turchia aveva abbandonato.

Ora, poiché il Kuwait si trovava in quel momento sotto protettorato britannico, la “parte interessata” era l'Inghilterra e questa rifiutava qualsiasi compromesso.
Il 23 dicembre 1934 lo sceicco firmò la concessione per la ricerca e lo sfruttamento esclusivo per settantacinque anni del petrolio kuwaitiano da parte della Kuwait Oil Company, società costituita il 2 febbraio dello stesso anno dalla britannica British Petroleum Company e dall’americana Gulf Oil Corporation. La concessione includeva sia il territorio terrestre (17.820 chilometri quadrati), sia le acque territoriali (per sei miglia marine), non includeva però le "zone neutre" create da Percy Cox nel 1922 per tutelare le tribù beduine kuwaitiane e arabo-saudite e garantirgli l’accesso ai pascoli ed eventualmente ai pozzi di petrolio esistenti.
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Lo scià dell’Iran Reza Pahlavi
con la moglie e il figlio
A seguito di riforme interne, fortemente volute dalla popolazione, il 2 luglio 1938 fu creata un’assemblea legislativa capace di mettere in piedi delle istituzioni economiche e sociali più moderne. Le materie che sino ad ora erano devolute al giudizio personale e insindacabile dello sceicco (bilancio, giustizia, sicurezza pubblica, poteri di guerra, istruzione, sanità e urbanesimo) passavano nelle mani di questa assemblea.
Lo sceicco Ahmed Al Jabir promise anche che l’assemblea legislativa avrebbe anche approvato o respinto trattati, convenzioni e concessioni internazionali. L’assemblea, per la prima volta nel Paese, fu eletta con elezioni libere, anche se riservate agli strati più elevati della popolazione. L'assemblea elesse come proprio presidente l'emiro Abdalla, cugino dello sceicco. Per ben due volte di seguito l’assemblea legislativa si pronunciò in favore dell'unione del Kuwait con l'Iraq. Molte manifestazioni pubbliche a sostegno della proposta dell’assemblea si ebbero nelle maggiori città del Kuwait. Con il pretesto che tale assemblea voleva diminuire i poteri dello sceicco e delle autorità britanniche, essa fu sciolta e lo sceicco continuò a governare da solo. Tutti i filo-iracheni furono arrestati. In seguito a questa repressione, re Ghazi iniziò manovre militari per invadere il Kuwait, ma alla fine fu costretto a revocare l'ordine d’invasione. L'anno successivo, nel 1939, re Ghazi morì in un “provvidenziale” incidente automobilistico. Stranamente, appena pochi mesi prima, precisamente nell’aprile del 1938, dai pozzi kuwaitiani di Burgan aveva iniziato a zampillare il petrolio. Nel 1948 l’emiro del Kuwait concesse la sua parte dei diritti sulla zona neutra ad un gruppo di dieci società petrolifere americane riunite nella American Indipendent Oil Company.

Nel 1956, in coincidenza con lo sbarco anglo-francese e l'attacco israeliano all'Egitto, si produssero anche in Kuwait manifestazioni antibritanniche: il vento nazionalista tornò a spirare anche in questo Paese. Gli inglesi, allora, iniziarono seriamente a pensare di “donare” una vera indipendenza al Paese, ma prima giocarono la carta della “Federazione araba”. Infatti le autorità inglese tentarono di convincere Giordania e Iraq ad unirsi in una “Federazione”, a cui doveva aggiungersi anche il Kuwait. Nei pensieri britannici questa “federazione” doveva divenire il baluardo dell'influenza occidentale in Medio Oriente, con la garanzia militare anglo-americana. Ci furono trattative segrete nel maggio del 1958, ma non si arrivò a nulla di fatto per il cambiamento di scenario nella regione.
Infatti, all'alba del 14 luglio 1958 la 19a brigata dell'esercito iracheno, comandata dal colonnello Abdel Karim El Kassem e la 20a brigata comandata dal colonnello Abdul Salam Aref, sorrette dall'appoggio spontaneo della popolazione, marciarono su Baghdad e portarono a compimento un colpo di Stato mettendo fine alla monarchia in Iraq. La famiglia reale fu arrestata e fucilata, mentre il ministro filo-britannico Nuri Said fu linciato dalla folla inferocita. La rivoluzione irachena mise in serio pericolo l'influenza occidentale in Medio Oriente perché stimolava il nazionalismo. Fu così che la risposta occidentale al golpe fu l’occupazione di Beirut, Tripoli e Sidone da parte statunitense. Era il 15 luglio 1958. Ufficialmente l’operazione militare fu giustificata come un’opera di salvaguardia dei cristiani dell’area contro il pericolo arabo nazionalista. L’Iraq non fu coinvolto da queste operazioni militari.
Quando il Kuwait divenne formalmente indipendente, i confini del nuovo Stato sovrano rimasero, senza alcuna modifica e senza alcuna consultazione con i Paesi vicini, quelli fissati quattro decenni prima dall'alto commissario Percy Cox. Contestualmente alla dichiarazione d’indipendenza, lo sceicco Abdalla chiese alla Gran Bretagna l'applicazione di un trattato di “reciproca amicizia”.
Quando il 19 giugno 1961 il Kuwait annunciò l’indipendenza, ricevette subito dall’Iraq un minaccioso messaggio di felicitazioni. Senza fare alcun riferimento all’indipendenza, il generale Kassem, presidente dell’Iraq, si rallegrava con l’emiro del Kuwait per l’annullamento del trattato del 1899 con l’Inghilterra, che già era stato «un atto illegale, falso, internazionalmente inaccettabile, stipulato fraudolentemente, all’insaputa della popolazione del Kuwait e delle autorità legali ottomane in Iraq, dallo sceicco Mubarak Al Sabah, il quale altro non era che “kaimacam” del Kuwait, dipendente dal governo di Bassora». La spiegazione in chiaro di questo ambiguo messaggio giunse qualche giorno più tardi, il 25 giugno 1961.

In questa data, in una conferenza stampa tenutasi a Baghdad, il governo iracheno
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Lo scià parte per l’esilio
rivendicò ufficialmente il Kuwait come proprio territorio, minacciando di ricorrere alla forza per stabilirvi la sovranità del suo Paese. Contemporaneamente un decreto del governo di Baghdad confermava lo sceicco Abdalla come kaimacam del Kuwait, ribadendo che esso era di fatto un funzionario del governo iracheno.
Lo sceicco Abdalla chiese alla Gran Bretagna l'applicazione del trattato di “reciproca amicizia” e il 10 luglio 1961 una prima unità d'assalto inglese di seicento soldati sbarcò a Kuwait City dalla portaerei Bulwark, seguita nei giorni successivi da altri cinquemila uomini. La flotta britannica prese posizione davanti alle coste. Anche alcune unità saudite di terra entrarono in territorio kuwaitiano a difesa della nuova repubblica.
Su richiesta dell'Inghilterra il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si riunì per prendere in esame la “minaccia irachena” nei riguardi del Kuwait. In apertura di seduta l'Iraq depositò a sua volta una richiesta urgente di condanna della “minaccia armata della Gran Bretagna all'indipendenza e alla sicurezza dell'Iraq”. Durante gli accesi colloqui, la delegazione inglese giustificò il suo intervento militare come una risposta all'appello del governo del Kuwait. Tanto per complicare le cose, la delegazione sovietica denunciò il Kuwait come “uno Stato fantoccio creato nell'esclusivo interesse dei monopoli petroliferi anglo-americani”. Per questo l’Unione Sovietica esercitò il suo diritto di veto contro il progetto di risoluzione della Gran Bretagna, che invitava il Consiglio di Sicurezza a prendere atto dell'indipendenza del Kuwait e a difenderne l'integrità del territorio.
Il 20 luglio la Lega Araba, su proposta dell'Arabia Saudita, con otto voti contro due (Iraq e Yemen) ammise il Kuwait nella Lega come membro a pieno diritto, riconoscendone l'indipendenza, decidendo per l'invio di una forza militare di sicurezza panaraba per sostituire quella britannica in Kuwait.
Il rappresentante iracheno rigettò la decisione come prodotto della «cospirazione imperialista in seno alla Lega», e il giorno dopo Radio Baghdad diffuse un comunicato ufficiale del governo iracheno che respingeva l'ammissione del Kuwait come “azione criminale perpetrata contro l'unità dell'organizzazione panaraba” e assicurava la prosecuzione degli sforzi per “restituire il Kuwait alla patria irachena”. Con il passare degli anni, il Kuwait condusse una politica petrolifera aggressiva superando del 20% la quota di petrolio da produrre fissata dall'Opec.

La conseguenza fu una caduta dei prezzi che fece perdere al concorrente vicino (l’Iraq) un terzo delle entrate petrolifere. Questi atti furono considerati dal regime di Baghdad come una dichiarazione di guerra e il 2 agosto del 1990 centomila soldati iracheni invasero e saccheggiarono il Kuwait. L’esercito di Saddam Hussein aveva ripreso con la forza il controllo della vecchia sub-provincia prefettizia di Bassora. Il 17 gennaio 1991, dopo un ultimatum, gli aerei alleati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia ed altri Stati) bombardarono Baghdad. Era l'inizio di un lungo calvario che sarebbe costato molto caro a tutta la popolazione irachena, sino poi alla destituzione “abusiva” del dittatore.

Siria e Libano.
Nei tempi antichi si chiamava Siria la regione compresa tra la penisola anatolica, la Turchia e il Sinai. Nel XVI secolo questa regione passò sotto il dominio ottomano.
I gravi eccidi anti-cristiani iniziati verso la fine dell’Ottocento spinsero la Francia ad inviare le proprie truppe per la difesa dei cristiani e a pretendere dal governo turco la creazione di una provincia speciale (denominata "Piccolo Libano") in cui, sotto il governo di un cristiano nominato dal sultano con l'approvazione delle potenze europee, si attuasse l'abolizione dei privilegi feudali. Quando la rivolta araba proclamò re della Siria indipendente l’emiro Faisal, la reazione di Parigi non si fece attendere e nel 1920 le truppe francesi occuparono militarmente il Paese, costringendo Faisal a ritirarsi. Due mesi più tardi la Siria fu suddivisa in cinque province e nel luglio del 1922 la Società delle Nazioni approvò il testo del mandato francese per Siria e Libano. Il mandato internazionale diede alla Francia la responsabilità per la creazione di un'amministrazione delle risorse del Paese in vista dell'autogoverno.
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Mark Sykes
Quando s’iniziò finalmente a discutere di indipendenza (settembre 1936), la Francia, assieme all’assistenza al Paese, pretese la concessione di due basi militari sul territorio.
Il sogno d’indipendenza ebbe un breve contraccolpo allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando nel maggio del 1941, il governo francese di Vichy permise agli aerei tedeschi di atterrare e di rifornirsi di carburante sulla rotta per l'Iraq: il territorio siriano si confermava come un vero e proprio ponte strategico dell'Asse e per questo motivo in giugno forze britanniche, insieme con quelle della Francia Libera, invasero Siria e Libano. Al momento dell'invasione la Francia Libera del generale De Gaulle proclamò ufficiosamente l'indipendenza siriana e libanese, promettendo a guerra finita quella “vera”. Il governo britannico accettò le dichiarazioni di De Gaulle, riconoscendo anche il predominio francese nella regione. Da questo momento fino al 1946, la Siria fu occupata congiuntamente da forze britanniche e francesi. La Siria divenne indipendente il 17 aprile 1946, lo stesso anno anche il Libano divenne indipendente.

Giordania. Con il dominio turco, dal XVI secolo, il territorio circostante il fiume Giordano fu accorpato al distretto (vilayet) di Damasco e successivamente, nel XIX secolo, gli ottomani stabilirono varie popolazioni circasse e caucasiche proprio in questo territorio per assicurare la protezione delle linee di comunicazione con la penisola arabica. Nel primo conflitto mondiale, come in tutto il Medio Oriente, le tribù nomadi del deserto giordano parteciparono alla ribellione degli arabi contro i turchi esplosa nel 1916 sotto la spinta degli inglesi. Anche la Giordania rientrava nella promessa britannica dell’appoggio politico per la nascita di uno Stato arabo comprendente anche la Palestina e le terre della valle del Giordano.
Come abbiamo studiato, la conferenza di Sanremo decise la creazione di due mandati internazionali per la Palestina (comprensiva della regione ad est del fiume Giordano) e per la Siria: queste due grandi regioni mediorientali furono affidate rispettivamente a Gran Bretagna e Francia. L'attacco portato, nell'autunno dello stesso anno, dai soldati di Abdullah contro i francesi in difesa del fratello Faysal, spinse gli inglesi ad offrire, nell'aprile del 1921, proprio ad Abdullah il governo della regione ad est del Giordano, vale a dire della Transgiordania. L'autonomia dell'emiro Abdullah (riconosciuta dai britannici nell'accordo del 1923 e poi confermata nella costituzione del '28) era comunque limitata: infatti la conduzione delle finanze, degli affari militari e di politica estera rimaneva saldamente nelle mani di Londra.
La Transgiordania (come anche l'Iraq britannico e la Siria francese) fu area strategica molto importante per gli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Nel 1946 era riconosciuta la totale indipendenza della Transgiordania di Abdullah, che si autoproclamò re del "Regno Hashemita di Transgiordania".

Anche la storia dell’Iran si incrocia continuamente con la rapacità occidentale. L’Iran, nel periodo fra le due guerre mondiali, non fu direttamente colonizzato, ma ebbe sempre due grandi e potenti “protettori” che “garantivano” per le scelte politiche iraniane: la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica.
Durante la Prima guerra mondiale l’Iran si era mantenuto neutrale e, nonostante questo, era stato occupato dalle forze alleate in funzione anti-tedesca. Nel 1919, al termine della Prima Guerra Mondiale l'Assemblea Nazionale iraniana ottenne il ritiro di tutte le truppe britanniche presenti sul territorio.
All'inizio del secondo conflitto mondiale tanto la Germania quanto la Gran Bretagna e l'Unione Sovietica tentarono senza successo di allearsi con l'Iran. Nel 1941 le forze britanniche e sovietiche occuparono il Paese. Gli inglesi volevano impedire che i giacimenti di petrolio iraniano cadessero in mano tedesca, i sovietici erano intenzionati a difendere i loro confini meridionali. Lo scià Reza Pahlavi, che aveva simpatizzato con le potenze dell'Asse, fu costretto ad abdicare, il suo posto fu preso dal figlio Muhammad Reza Pahlavi. Il nuovo scià mantenne ottimi rapporti con gli Alleati, questi a loro volta s’impegnarono (sin dal 1942) a garantire l'integrità territoriale del Paese e a ritirare, alla fine del conflitto, le forze d’occupazione.
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Il premier iraniano Mossadeq
Finita la seconda Grande Guerra, nel maggio 1945, l’autorità iraniane avanzarono subito la richiesta ufficiale di liberarsi degli occupanti stranieri, ma, tanto il governo britannico quanto quello sovietico rifiutarono di ritirarsi prima del marzo dell'anno successivo. Anzi, l'URSS richiese l'immediata creazione di una Compagnia petrolifera iraniano-sovietica. Le autorità iraniane rifiutarono e, nell'ottobre del 1947, annunciarono l'avvio di un piano quinquennale di sfruttamento autonomo delle risorse energetiche nazionali, finanziato in larga parte grazie ad un prestito statunitense.
Nel 1949 l'Anglo-Iranian Oil Company propose allo scià dell'Iran un “accordo supplementare”, tentando di assicurarsi il monopolio di tutto il petrolio iraniano, scoperto e da scoprire, per un lungo periodo di tempo. Le pretese dell'Anglo-Iranian Oil Company si trasformarono rapidamente in un’accesa battaglia contro la rapina britannica del petrolio iraniano. Della battaglia divenne il portabandiera Mohamed Hedayat Mossadeq, capo del fronte nazionalista.

Col passare degli anni crebbero le tensioni connesse con lo sfruttamento delle risorse petrolifere: l’idea di nazionalizzare i pozzi petroliferi iniziò a farsi strada. Il punto di rottura di quel fragile equilibrio fu l’avvento al potere come Primo Ministro proprio di Muhammad Hedayat Mossadeq, che il 29 aprile del 1951 ratificò una legge approvata dal Parlamento il 15 marzo 1951, che nazionalizzava la Compagnia anglo-iraniana del petrolio (la Anglo Iranian Oil Company), aprendo così un lungo e durissimo contenzioso internazionale. La Anglo-Iranian chiese subito la solidarietà di tutte le società petrolifere del mondo per il boicottaggio del petrolio iraniano nazionalizzato. E il boicottaggio fu in effetti totale. Allora il governo di Mossadeq minacciò di intervenire con la forza, ma gli inglesi lo anticiparono, inviando navi da guerra ad Abadan e prendendo possesso del porto con il pretesto di evacuare i residenti britannici. L'Iran denunciò pubblicamente l'atto di aggressione e tentò di investire della questione la Corte Internazionale dell'Aia, che si dichiarò incompetente. Il governo di Teheran ruppe allora, nel novembre del 1952, le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna.
Con Mossadeq non si giunse alla rottura dal nulla, egli chiese più volte una più equa ripartizione dei proventi petroliferi, che prevedevano una curiosa suddivisione degli introiti: tra il 6% e il 9% allo Stato iraniano e tra il 94% e 91% alle compagnie inglesi. Il governo iraniano chiedeva anche un salario minimo per i lavoratori iraniani di almeno cinquanta centesimi il giorno.
Il durissimo contenzioso internazionale sollevato da Mossadeq terminò nell’aprile del 1952, quando egli fu costretto alle dimissioni ma, in seguito ad un'ondata di manifestazioni popolari in suo favore, dopo appena tre mesi ritornò a coprire la poltrona di Primo Ministro e questa volta con poteri eccezionali per la durata di un semestre. Scaduti questi sei mesi, il Parlamento iraniano prorogò i poteri assoluti di Mossadeq per un altro anno intero. Nella sua battaglia contro l’avidità inglese, Mossadeq fu sempre appoggiato dal potere religioso, rappresentato all’epoca dall’ayatollah Kashani.

A questo punto entrano in scena gli Stati Uniti, preoccupati per un’eventuale ingresso dell’Iran nell’orbita sovietica. La neutralità statunitense fu mantenuta fino alla scadenza dell'amministrazione di Harry Truman nel gennaio 1953. Nel novembre 1952, poco dopo l'elezione alla presidenza degli Stati Uniti del generale Dwight David Eisenhower, alcuni alti responsabili britannici proposero ai loro omologhi americani di organizzare congiuntamente un colpo di stato contro Mossadeq.
Un accordo segreto tra diverse compagnie petrolifere fu raggiunto sulla base della formazione di un consorzio internazionale noto come «Consortium», nel quale figuravano l'ex Anglo-Iranian, trasformatasi in British Petroleum, la Shell, due gruppi americani l'uno formato dalle cinque grandi società petrolifere statunitensi e l'altro da nove compagnie indipendenti, e infine la Compagnie Française des Pétroles. L'egemonia britannica fu sostanzialmente mantenuta perché la British Petroleum e la Shell ebbero insieme il 54% delle azioni. Una volta che l'accordo fu definito, la CIA ebbe via libera per abbattere il governo Mossadeq.
Ottenuta così l'autorizzazione del presidente Eisenhower nel marzo 1953, gli ufficiali della Cia iniziarono a studiare il modo con cui organizzare il colpo di stato e ponendosi il
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Re Faysal II
problema della sostituzione del primo ministro. La loro scelta cadde subito su Fazlollah Zahedi, un generale in pensione filo-britannico. La base logistica dell’operazione divenne Nicosia, sull'isola di Cipro e il disegno criminale si chiamerà “Operazione Ajax”.
Il piano era composto di sei punti. In primo luogo, la sezione iraniana dei servizi segreti statunitensi e la principale rete di spionaggio britannica in Iran, diretta all'epoca dai fratelli Rashidan, dovevano destabilizzare il governo Mossadeq con azioni di propaganda politica clandestine. In seguito, Fazlollah Zahedi, forte di un versamento di sessantamila dollari, avrebbe costituito una rete d’ufficiali in grado di compiere il colpo di Stato. In terzo luogo, la Cia doveva assolutamente “comprare” un numero sufficiente di parlamentari iraniani per assicurarsi l'ostilità del potere legislativo a Mossadeq. Altro punto delicato era l'appoggio dello scià sia al colpo di Stato che a Zahedi, anche se si era deciso che l'operazione sarebbe stata comunque portata avanti, con o senza l'accordo del monarca. Secondo il piano, la crisi doveva essere provocata facendo organizzare ai leader religiosi manifestazioni di protesta, che avrebbero persuaso lo scià ad abbandonare il Paese e creato una situazione tale da spingere Mossadeq a dimettersi.

Sino a qui, Mossadeq doveva perdere il potere in modo “quasi legale”, provocando cioè una crisi politica che avrebbe portato il Parlamento a destituirlo. Se il tentativo fosse fallito, la struttura militare messa in piedi da Fazlollah Zahedi si sarebbe impossessata del potere con l'aiuto della Cia, “con qualunque mezzo”. Il 4 aprile, la sezione della Cia di Teheran diretta da Kermit Roosevelt ottenne un milione di dollari destinati “a far cadere Mossadeq con qualunque mezzo”. Alla fine di maggio del 1953, la sezione della Cia fu autorizzata ad investire circa undicimila dollari a settimana per assicurarsi la cooperazione dei parlamentari.
Aumentata sensibilmente l'opposizione, Mossadeq invitò i parlamentari rimasti fedeli a dimettersi, così da far mancare il numero legale e portare allo scioglimento del Parlamento e quindi a nuove elezioni. Per contrastarlo, la Cia convinse alcuni parlamentari a ritirare le dimissioni. All'inizio di agosto, allora, Mossadeq organizzò un referendum truccato nel corso del quale gli iraniani si pronunciano in massa a favore dello scioglimento e per nuove elezioni. Questo impediva di fatto alla Cia di portare avanti le sue azioni “quasi legali”.
Il 25 luglio, la Cia iniziò un'opera di «pressione» e una lunga serie di «manovre» per persuadere lo scià ad appoggiare il colpo di Stato ed accettare la nomina di Fazlollah Zahedi a primo ministro. Nelle tre settimane successive, Norman Schwarzkopf (padre del generale vincitore della guerra del Golfo nel 1991), che per sei anni aveva organizzato e guidato la gendarmeria imperiale persiana, assieme ad altri tre inviati incontrarono lo scià quasi ogni giorno per convincerlo a collaborare. Il 12 agosto, quest'ultimo, nonostante le reticenze, finì per accettare firmando i decreti reali che destituivano Mossadeq e nominavano Zahedi al suo posto.
Il 13 agosto, la Cia incaricò il colonnello Namatollah Nassiri di consegnare i decreti a Zahedi e Mossadeq. Ma uno degli ufficiali coinvolti svelò l'esistenza del complotto a Mossadeq che, nella notte tra il 15 e il 16 agosto, fece arrestare Nassiri e molti congiurati. Preparata ad una simile eventualità, i servizi segreti avevano preparato alcune unità militari favorevoli a Zahedi ad impadronirsi di alcuni punti nevralgici di Tehran e compiere il colpo di Stato. Ma gli ufficiali responsabili disertarono in massa provocando il fallimento di questo primo tentativo di golpe. Lo scià fuggì in esilio, prima a Baghdad, poi a Roma.

Un piano di riserva fu subito approntato dal direttore locale della Cia. Infatti, Kermit Roosevelt e la sua squadra, per mobilitare l'opinione pubblica contro Mossadeq, cominciarono a distribuire ai media copie dei decreti firmati dallo scià. Per istigare gli iraniani a sostenere la caduta di Mossadeq, la Cia inscenò anche un attentato contro la casa di un ecclesiastico, facendosi passare per membri del potente Partito Comunista Iraniano (Tudeh). Il 18 agosto furono infine organizzate una serie di manifestazioni i cui partecipanti sostennero di essere membri del Tudeh che, su istigazione di agenti segreti,
Per istigare
gli iraniani
a sostenere
la caduta di Mossadeq,
la Cia inscenò
anche un attentato
contro la casa
di un ecclesiastico
saccheggiarono la sezione di un partito politico e distrussero le statue dello scià e di suo padre. Rendendosi conto di ciò che stava accadendo, il Tudeh invitò i suoi iscritti a non scendere in piazza, il che impedì loro di opporsi ai manifestanti anti-Mossadeq che il giorno seguente invasero le strade. In effetti, la divulgazione dei decreti dello scià, le «false» manifestazioni del Tudeh e le altre operazioni occulte portate avanti nei giorni precedenti avevano spinto numerosi iraniani ad unirsi manifestazioni di protesta contro il governo. La manifestazione prese una brutta piega per Mossadeq. Le unità militari ostili a Mossadeq iniziarono ad assumere il controllo di Teheran, impadronendosi delle stazioni radio e di altri punti chiave. Mossadeq si nascose, ma il giorno fu costretto ad arrendersi.
Solo nel 2000 il presidente Bill Clinton ammetterà la responsabilità degli Stati Uniti nel golpe del 1953 che aprì la porta in Iran al fondamentalismo.
Il colpo di Stato che rovesciò Mossadeq mostrò al Medioriente che gli USA non erano intenzionati a sostenere la democrazia nella regione, ma solamente a tutelare i propri interessi. Il messaggio arrivò forte e chiaro a tutti gli arabi. Il colpo di Stato del 1953 è il primo in cui per rovesciare un governo fu usata la CIA. Questo convinse gli americani di avere a disposizione un nuovo strumento per plasmare la politica mondiale. Il "successo" dell'Operazione Ajax accelerò la penetrazione americana nel Golfo e in Medio Oriente e la graduale assunzione di posizioni egemoniche da parte degli Stati Uniti nella regione, e il declino relativo della potenza britannica. Infatti, da questo momento, lo scià Muhammad Reza Pahlavi fece dell'orientamento filoamericano uno dei capisaldi del suo regime. Il nuovo capo del governo subito ricevette un prestito americano d’emergenza che ammontava ad oltre quarantacinque milioni di dollari e, due mesi dopo l'insediamento, furono riprese le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna che si ritrovò con una concessione petrolifera al 40% di ben venticinque anni, rinnovabili per altri quindici.

Le elezioni che si svolsero nel marzo del 1954 furono viziate da una sistematica violazione dei diritti delle opposizioni. In aprile ebbero inizio le trattative tra il governo iraniano e i rappresentanti di otto compagnie petrolifere straniere che furono incaricate della manutenzione degli impianti petroliferi e della commercializzazione del petrolio su una base di ripartizione paritaria delle entrate con il governo iraniano. Nel 1957 il governo annunciò anche la formazione di una Compagnia italo-iraniana sulla base di un accordo di spartizione dei profitti in favore dell'Iran. Da quel momento la formula fu estesa ad ogni altra compartecipazione straniera.
Trascorreranno ben ventisei anni nei quali l’alta borghesia iraniana s’arricchì con la corruzione all’ombra dello scià, diventando sempre più “occidentale” e meno legata alle tradizioni del suo Paese, mentre l’asservimento alle compagnie occidentali divenne sempre più manifesto. Al pari le condizioni di vita degli iraniani peggioravano giorno per giorno.
Nel febbraio 1979 il popolo iraniano, guidati da due esuli che vivevano a Parigi, l’ayatollah Khomeini e Abolhassan Bani Sadr, decise di liberarsi per sempre dall'oppressione della dittatura dei Pahlavi, dando vita alla "Repubblica Islamica dell'Iran". L’intenzione era quella di liberare il popolo iraniano dal controllo estero e farlo ritornare padrone delle sue risorse.
BIBLIOGRAFIA
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