Ogni Paese ha il suo Presepe, tuttavia le rappresentazioni non offrono quasi mai
un’ambientazione fedele, ma si attualizzano in rapporto alla cultura locale
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QUEL TEATRINO DELLA NATIVITÀ
CHE TIENE SCENA DA SECOLI
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Il Natale nella tradizione cristiana ricorda la nascita del Messia. Esso ha origini antiche e s’intreccia ad altre ricorrenze di tempi antichissimi. E' credenza antichissima e diffusissima che nei giorni d'inizio di un ciclo annuale tutte le forze soprannaturali acquistino una potenza straordinaria. Così, il 25 dicembre nel mondo germanico era celebrata la festa solstiziale (il passaggio da un ciclo stagionale ad un altro) di Yule. In quello stesso periodo, precisamente dal 17 al 23 dicembre, gli antichi romani celebravano i “Saturnalia”, un periodo di assenza di guerre e lotte sociali per feste e banchetti: in questi sette giorni, celebrando il dio Saturno (divinità dell'agricoltura), la popolazione si dava alla pazza gioia e ci si scambiavano dei doni.
Nel 274 d.C. l'imperatore Aureliano proclamò il 25 dicembre festa del Sole, o meglio, “Festa della Vittoria del Sole” (Dies Natalis Solis Invicti), già festa di antichissime origini egiziane, legata al culto di Mithra, divinità connessa alla luce e alle tenebre.
Anche in questa occasione si scambiavano doni d’ogni tipo. Il motivo per cui la festa del Sole si celebrava in inverno anziché in estate, come sembrerebbe più logico, è semplice: il 25 dicembre cade pochi giorni dopo il solstizio d'inverno, cioè quando le giornate già cominciano ad allungarsi. Anche il Natale presenta tutti i caratteri e le manifestazioni dei giorni che segnano l'inizio di un ciclo.
La data del Natale nel calendario cristiano fu stabilita nel 337 d.C. da papa Giulio (in Occidente si festeggia il 25 dicembre, mentre i cristiani d'oriente lo festeggiano il 6 gennaio). Prima di questa data non sembra che sia stata conosciuta una festa della natività del Cristo. La festa del 25 dicembre sarebbe stata istituita da papa Giulio per contrapporre una celebrazione cristiana a quella mitraica del Dies Natalis Solis Invicti. L’intenzione del pontefice fu quella di contrastare i culti pagani.
A dire il vero, bisogna affermare che è ormai accertato e confermato da studiosi che hanno rifatto i calcoli astronomici del calendario, che il Cristo non sarebbe nato duemila e sei anni fa, bensì circa sette anni "prima dell'anno zero" (in teoria, secondo il calendario cristiano, ci troviamo tuttora nel 2013 a. C.). Tale anomalia si deve al conteggio errato di Dionigi il Piccolo, un monaco del sesto secolo che decise, nella sua esaltazione religiosa, di dividere la storia umana in due periodi: avanti e dopo Cristo. Probabilmente anche sulla data precisa della nascita di Gesù il Nazareno vi sono parecchi dubbi: si suppone che il periodo corretto della nascita del Cristo possa essere quello primaverile. Una data precisa non è in ogni caso stata tramandata (in nessun testo sacro), ma tutto ciò non toglie nulla al significato del Natale.
Anche la rappresentazione mediante statuine delle divinità trova le sue origini in epoca remota, fuori del cristianesimo (ad esempio presso gli antichi Egizi, presso i Greci, e così via). Le grandi opere che raffiguravano gli dei, esposte nei templi romani, non impedirono all'uomo comune di farsene una propria raffigurazione, da tenere in casa, nell'Atrium, dove era posto il focolare. Queste raffigurazioni erano poste su altarini dedicati ai Lari (le divinità tutelari del focolare domestico).
Negli Atti degli Apostoli troviamo menzione di quest’usanza, tant'è che Paolo dovette “fare i conti” con gli artigiani di Efeso, poiché la sua predicazione, a loro dire, impediva la vendita di statuine d’argento rappresentanti Artemide (Atti 19, 24 e ss.).
Esiste comunque una differenza tra le statue posizionate in chiesa e quelle possedute dai privati. Le prime rispondono al “culto” riservato alle funzioni religiose, le seconde alla “devozione” per qualche oggetto sacro (che può essere un crocefisso, un santo particolare, un Presepe, appunto).
In Italia, il culto cristiano delle statue approdò probabilmente con l’arrivo dei monaci orientali dell'ordine di san Basilio, scacciati, assieme agli artigiani che costruivano queste statue, dall'imperatore d'Oriente Leone III, che combatteva il culto di immagini sacre. La carovana esiliata si stabilì dapprima a Napoli, nella zona di san Gregorio Armeno.
Molti non sanno che anche altri simboli del Natale sono intimamente legati a credenze e miti. Ad esempio la tradizione di mangiare dolci di mandorle, nocciole o castagne (torrone, confetti, ed altro) è strettamente collegata all’antica credenza che ciò favorisca la nascita della prole o la fertilità della terra. Anche l’usanza di mangiare il panettone è legata ad una particolare tradizione: quei chicchi d’uva passita che vi trovano dentro, richiamando l'immagine delle monete d'oro, recheranno la ricchezza a chi li mangia (un po’ come le lenticchie a Capodanno).
Tre sono i simboli più rappresentativi del Natale: il “Ceppo”, l’ “Albero” e il “Presepe”.
Nella più antica tradizione popolare, il centro della festa era costituito dal ceppo. Gli antichi popoli germanici, i Teutoni in particolare, festeggiavano il passaggio dall'autunno all'inverno bruciando enormi ceppi nei camini e piantando davanti alle case un abete ornato di ghirlande. La tradizione si estese poi presso molti altri popoli dell’Europa e cominciò ad accompagnare la ricorrenza natalizia.
Nell' accensione del ceppo, che rimaneva sul focolare fino all’inizio del nuovo anno (poi sino all’Epifania), si fondono due elementi propiziatori: il valore del fuoco, che rappresentava l’immagine del sole, e il simbolico consumarsi del tronco, del vecchio anno con tutto ciò che di male vi si era accumulato. Il ceppo augurale è stato sostituito, col passare dei secoli, dal tradizionale abete di Natale, inizialmente addobbato con candele, ora con i più tecnologici giochi di luce. L'abete fin dall'epoca antica era considerato un albero cosmico, poiché si erge al centro dell'universo e lo nutre. Fu facile ai cristiani del nord assumerlo come simbolo del Natale. L’usanza dell’Albero di Natale si diffuse nei Paesi latini solo nel 1840, quando la principessa Elena di Maclenburg, che aveva sposato il duca d’Orléans, figlio di Luigi Filippo, lo introdusse alle Tuileries suscitando la sorpresa generale della corte.
Sebbene con il termine “Presepe” – presepio è locuzione popolare – s’intenda ogni esempio di arte plastica o figurativa, dipinto, mosaico, affresco, basso o altorilievo che sia, che rappresenti una Natività, oggi per Presepe s’intende comunemente la descrizione tridimensionale e scenografica dell'evento di Betlemme.
Quanto all'origine del termine, deriva dal latino praesepium o praesaepe, greppia, mangiatoia, stalla, ogni recinto chiuso. Il termine è formato da "prae", davanti, in risalto, e “saepire”, cingere (derivato di "saeps”, “saepis”, ossia siepe), per estensione quindi significa "dinanzi al recinto" o ad una greppia.
Il Presepe non è altro che la rappresentazione tridimensionale e scenica della Natività divina.
Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nei loro brani c'è già tutta la sacra rappresentazione. Si narra, infatti, dell’umile nascita di Gesù il Nazareno, come riporta Luca: nato Gesù, Maria “reclinavit eum in presepio”. In una mangiatoia, dunque, “perché non c'era per essi posto nelle locande" (in quei giorni Betlemme brulicava di gente per via del censimento ordinato da Cesare Augusto). II termine mangiatoia ha autorizzato la cristianità a porre in una stalla o in una grotta il luogo del sacro evento. Non dimentichiamo che l'immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli, soprattutto del settore mediorientale: del resto si credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre.
Esclusa la Sacra Famiglia, gran parte delle figure e delle ambientazioni utilizzate nel Presepe derivano dai Vangeli apocrifi e da misteriose memorie. I Vangeli canonici, infatti, parlano della natività in modo molto vago tralasciando molti particolari scenografici.
La presenza del bue e dell'asino – ad esempio – del tutto sconosciuta agli evangelisti, è desunta da Origene, interprete delle antiche profezie di Isaia e Abacuc, e raccontata nella sua tredicesima omelia su Luca. Isaia, infatti, diceva: "Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone". In pratica Isaia, sebbene non si riferisse assolutamente alla nascita del Cristo, accusò il popolo d’Israele di essere sordo alla parola di Dio, per questo lo contrappose alla mansuetudine ed alla docilità del bue e dell'asino, per i quali i due mansueti animali avrebbero scaldato con il loro fiato il corpicino di Gesù neonato. Il bue è da sempre un animale sacro in Asia orientale e in Grecia, dove interpretava anche il ruolo sacrificale. Esso è simbolo di carattere forte, ma sottomesso, per questo vuole rappresentare il popolo dei futuri cristiani, fedele al proprio mandato fino alla rinuncia perfino della vita. Anche l'asino è un animale importante nel contesto delle narrazioni bibliche: Dioniso e i suoi seguaci lo cavalcavano, in Grecia era sacrificato nel recinto sacro di Delfi, nel Libro dei Numeri è conosciuto come l'animale che capisce Dio più di quanto riescano gli stessi uomini (Numeri 22,22), lo stesso Cristo entrò in Gerusalemme cavalcando un'asina bianca (Matteo 21,2).
La prima descrizione, vera e propria, del luogo dove nacque Gesù, la diede san Girolamo, il quale, nel 404, indicò nel territorio di Betlemme una grotta con tanto di mangiatoia scavata nella roccia e supportata da piedi di legno.
La raffigurazione della Natività ha origini remote, infatti i primi cristiani usavano scolpire o dipingere le scene della nascita di Cristo nei loro punti di incontro (ad esempio nelle Catacombe).
La prima vera rappresentazione della Natività si ritrova nell'affresco delle catacombe di Santa Priscilla (siamo nel II sec. d.C.), che raffigura la Madonna con in grembo il Bambinello, per la presentazione ai re magi. Accanto si trova un uomo, forse san Giuseppe o, forse, il profeta Isaia, mentre in alto compare una stella ad otto punte.
Nei secoli successivi, sino al quinto circa, molti sono gli affreschi catacombali rappresentanti analoghe Natività o Epifanie. Tra questa produzione ricordiamo il bassorilievo del sarcofago di Adelphia e Valerio a Siracusa, oppure quello di Isacio, esarca armeno in Ravenna, oppure ancora le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese. Curioso è l'affresco delle catacombe di San Sebastiano (del IV sec. d.C.), dove mancano Maria e Giuseppe ma compare una sorta di mangiatoia con il bue e l'asino. Anche gli affreschi delle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma mostrano delle novità: i magi sono quattro nelle catacombe di Domitilla, mentre in quelle di Pietro e Marcellino sono due.
Il vangelo apocrifo armeno assegna in ogni caso ai magi, che secondo il testo erano tre sacerdoti persiani, i nomi di Gaspar, Melkon e Balthasar (Gaspare, Melchiorre e Baldassarre). Si trattava di sapienti, il cui potere era al limite tra quello regale e quello sacerdotale. Il numero dei re magi non è fissato dagli evangelisti, ma fu assegnato da san Leone Magno, essi rappresentano le tre età dell’uomo: gioventù, maturità e vecchiaia (metafora del percorso di vita cui è destinata ciascuna creatura vivente) e delle tre stirpi in cui si divide l'umanità: la semita (rappresentata dal re giovane), la giapetica (rappresentata dal re maturo) e la camita (rappresentata dal re moro) secondo il racconto biblico. Anche i doni dei Magi sono interpretati con riferimento alla duplice natura di Gesù e alla sua regalità: l'incenso, per la sua divinità, la mirra, per il suo essere uomo, l'oro perché dono riservato ai re. Una curiosità: generalmente la parola magi è usata generalmente al plurale, il singolare sarebbe "mago", ma, per evitare ambiguità, si dice anche "magio".
Interessante sarà anche osservare che dal III-IV secolo fino al XIII, molte rappresentazioni della Natività in bassorilievo esistenti in Italia presentano la Vergine distesa accanto al Bambino poggiato nella mangiatoia (tipica posizione sostenuta dalla Chiesa cristiana d’Oriente). Queste rappresentazioni costituiscono perciò una testimonianza dell’influenza esercitata, specie nell’Italia mediterranea, per diversi secoli dalla Chiesa d’Oriente. In pratica nella storia del cristianesimo sorse una polemica tra la Chiesa di Antiochia e quella di Alessandria, in pratica tra Nestorio il quale, tenendo distinte le due nature, divina ed umana di Cristo, sosteneva che Maria era madre di Gesù-uomo e non di Gesù-Dio, e Cirillo, il quale, insisteva sulla divinità di Maria. In un primo momento risultò superiore la tesi di Nestorio che fu solennemente condannata nel concilio di Efeso del 431. Tale tesi influenzò per lunghi secoli i Paesi dell’Oriente, che rappresentavano la Madonna distesa accanto al Bambinello in atteggiamento materno. Solo dopo il XIII secolo, con l’affermarsi del culto mariano, grazie alle elaborazioni teologiche di san Tommaso e di san Bonaventura, si ritenne che il parto della Vergine non poteva essere rappresentato come quello di una comune mortale: da allora Maria e Giuseppe furono rappresentati in ginocchio, adoranti il loro figlio-Dio. Le figure che avevano trovato spazio accanto alla “Sacra famiglia” scomparvero: furono quindi tolte le levatrici, la nutrice, Eva, la Sibilla, personaggi che avevano trovato spazio in tali raffigurazioni. Esempi sono il bassorilievo del sarcofago di Adelphia e Valerio del III e VI secolo a Siracusa, il Presepe d'avorio della Cattedrale di Massimiano (del 546) a Ravenna, il Presepe scolpito nel 1268 da Niccolò Pisano sul pulpito del Duomo di Siena.
Quando il cristianesimo divenne religione ufficiale e poté essere professato fuori dalla clandestinità, l’usanza di rappresentare attraverso affreschi, dipinti o bassorilievi continuò e scene con Giuseppe, Maria e il Bambinello andarono ad arricchire le pareti delle prime chiese. Tra questa produzione spiccano per valore artistico: la natività e l'adorazione dei magi del dittico d’avorio a cinque parti con pietre preziose del V secolo che si ammira nel duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di S. Maria a Venezia, della basilica di S. Maria in Trastevere a Roma e della basilica mariana sull’Esquilino, sempre a Roma, chiamata per altre motivazioni fin dal VI secolo "Sancta Maria ad praesepe", oggi Santa Maria Maggiore.
Dal secolo XIV la Natività è affidata all'estro figurativo di artisti, dai più famosi a quelli meno noti, che si cimentano in affreschi, pitture, sculture, ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono le chiese e le dimore della nobiltà o di facoltosi committenti dell'intera Europa. Non si sono sottratti nel realizzare una Natività artisti del calibro di Giotto, Piero della Francesca, il Perugino, Rembrandt, Poussin, Correggio, Rubens.
San Francesco d’Assisi fu il primo a rappresentare il Presepe in forma vivente. In pratica, come narra Tommaso da Celano, il frate che raccontò la vita del santo, nel Natale del 1222 Francesco si recò a Betlemme dove partecipò alla funzione liturgica della nascita del Cristo. Ne rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter rappresentare, sotto forma di dramma sacro, la liturgia della nascita del Cristo per il Natale successivo. Ma il pontefice, essendo vietati dalla chiesa i drammi sacri, permise solo la celebrazione della messa di Natale in una grotta naturale invece che in chiesa. Francesco allora si accordò con Giovanni Velita, signore di Greccio:
Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del Divino infante. Si racconta che Velita, anziano e terribilmente grasso, non amando molto camminare chiese di fare la celebrazione a poca distanza dal suo castello. Francesco comprese la sincerità di tale proposta e l'accettò volentieri dicendo che avrebbe rimesso la scelta della nuova dimora, non alla sua volontà, ma ad un tizzone lanciato in aria da un fanciullo. Fu scelto un bimbo di appena quattro anni per lanciare il tizzone. Inaspettatamente, il tizzone volò ad una distanza di oltre un miglio ed incendiò un bosco, cadendo poi sulle rocce: qui, nel Natale del 1223, fu allestito il primo presepio vivente.
Ecco, integralmente, il testo della "Vita prima" di Tommaso da Celano, sul presepio di Greccio, al cap. XXX (84-86):
[...] è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. [...] I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. [...] Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. [...]Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia .
Il "Presepe di Greccio", mai più replicato dallo stesso Francesco, fu dunque primariamente una Messa solenne. Tuttavia l’episodio, magistralmente dipinto da Giotto nell'affresco della Basilica Superiore d’Assisi, ebbe grande risonanza, tanto da stimolare l’allestimento di altri presepi.
La realizzazione del primo Presepe inanimato, secondo alcuni studiosi, si ebbe già nel III secolo, per opera di papa Liberio (352- 355). Costui, infatti, fece erigere a Roma, nella basilica detta “Santa Maria ad praesepe” una “tettoia” in legno retta da tronchi d’albero, quasi lo schema necessario di una stalla, che era posta davanti ad un altare presso il quale, proprio la notte del 24 dicembre d’ogni anno era celebrata la Messa solenne di Natale. Altre “tettoie” furono erette in altre chiese a Roma (a Santa Maria in Trastevere), a Napoli (nella Chiesa di Santa Maria della Rotonda), e certamente in altre chiese di altre città. In seguito papa Gregorio II ( 731-734) fece sistemare sotto la “tettoia” della chiesa di Santa Maria Maggiore una statua d’oro della Madonna con il Bambinello e che anche in altre chiese furono collocati sotto tali “tettoie” pitture o statue che ricordavano il sacro evento.
La prima realizzazione
documentata
di un Presepe
con personaggi
a tutto tondo
risale al 1283 |
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Secondo altri è avvenuta nel 1025, con l'esposizione d’alcune statue in legno rappresentative della scena della nascita di Gesù, nella chiesa di Santa Maria del Presepe a Napoli. Non si ha traccia documentata di tali affermazioni.
La prima realizzazione documentata di un Presepe con personaggi a tutto tondo, invece, risale al 1283 per opera dello scultore e architetto Arnolfo di Cambio (1240 circa – 1302) che scolpì otto statuette in marmo rappresentanti i personaggi della Natività. Tale Presepe si trova ancora nella basilica romana di S. Maria Maggiore. Il Presepe fu commissionato dal primo papa francescano, Niccolò IV (1288-1292), particolarmente devoto al culto della Natività come insegnato da san Francesco d'Assisi a Greccio, e destinato alla Basilica che custodiva la reliquia della “Sacra Mangiatoia”.
Del complesso oggi restano san Giuseppe, il bue, l'asino e i tre magi, sculture tra i cinquanta e gli ottanta centimetri d’altezza realizzate in gran parte ad altorilievo e lavorate solo nella parte in vista, com’era nella prassi di Arnolfo. La Madonna e il Bambino sono stati rifatti ex novo nel XVI secolo.
Cronologicamente il secondo Presepe fu quello donato dalla regina Sancia nel 1340 alle clarisse per la loro nuova chiesa. Di tale Presepe, a figure staccate, in legno, dipinte e miniate con motivi geometrici, è giunta a noi soltanto la Madonna giacente (ora nel museo di San Martino di Napoli). Un altro Presepe, successivo soltanto di pochi decenni, rimangono cinque figure staccate, a grandezza naturale, in legno, che recano la data del 1370 e che, intagliate da anonimi artisti bolognesi, furono poi splendidamente decorate dall’artista Simone de’ Crocifissi. Esse sono tutt’ora custodite a Bologna.
I primi presepi del Trecento sono in realtà delle grandi figure in marmo, legno o terracotta, collocate stabilmente in una cappella ed esposte tutto l'anno, caratteristiche, queste, che il Presepe manterrà fino alla fine del XVI secolo.
Ai primi presepi successero altri scolpiti dai più grandi artisti di tutti tempi. Sono le cronache del frate francescano Juan Francisco Nuno ad informare, nel 1581, sull'uso ormai da tempo diffuso, almeno a Roma, di allestire presepi in monasteri e luoghi di culto ed in particolare nella Chiesa dell'Aracoeli dove era specialmente venerata la statua del Bambinello che si dice opera di un frate francescano che l'aveva intagliata in un tronco di ulivo del Getsemani, trafugata il 1° febbraio del 1994.
All'inizio del Cinquecento, alle figure della Madonna, di san Giuseppe, di Gesù bambino e del bue e l'asinello, si aggiunsero altri numerosi elementi decorativi, rendendo il Presepe più popolare: angeli, pastori e agnelli, la stella cometa, i magi a cavallo, e poi anche gente comune, mandriani, lavandaie, fabbri, pescatori, musici, taglialegna, fornai, calzolai, botteghe, taverne e mille altre statuine, dalle pose ed espressioni più varie. Questo fu dovuto principalmente all'opera di San Gaetano Thiene, appartenente all'ordine dei Teatini: egli cominciò ad arricchire la rappresentazione con personaggi che appartenevano al mondo antico, ma anche all'epoca contemporanea, senza alcun timore di eventuali anacronismi: in tal modo il santo diede vita a quella che sarebbe rimasta una delle principali caratteristiche del Presepe, cioè la sua atemporalità. Molti studiosi della materia ritengono san Gaetano da Thiene il vero «inventore» del «moderno» Presepe.
Un grande Presepe fu allestito a san Gaetano, nel 1534, in una cappella adiacente l'ospedale degli Incurabili. Per una strana coincidenza, quella chiesetta era chiamata Santa Maria della Stalletta, essendo essa stata ricavata da una stalla.
Grazie a san Gaetano, i presepi diventano così lo specchio della cultura contemporanea che li produce, riflettendo la società del tempo e gli aspetti più vivaci della realtà quotidiana. Di questo ha approfittato soprattutto la tradizione presepiale napoletana, la quale "aggiorna" continuamente la rappresentazione con nuovi personaggi. Così si ritrovano raffigurati accanto ai tradizionali pastori, anche l'attore Totò o il drammaturgo Eduardo De Filippo, oppure il calciatore Maratona o il giudice Di Pietro, e così via.
Il Concilio di Trento, conclusosi nel 1563, stabilì norme precise sul culto dei santi e delle reliquie, accettando la rappresentazione del Presepe quale espressione della religiosità popolare.
I Gesuiti, il nuovo ordine religioso costituito in quello stesso Concilio, se ne impossessano, fin quasi a monopolizzarlo. Infatti, il Presepe divenne per loro un ottimo strumento utilizzato a scopi didattico-liturgici, riportando diverse tappe della narrazione evangelica.
A partire dal Cinquecento si verificò così in tutta Italia un’intensa produzione di presepi, quasi tutti per chiesa. In Piemonte ed in Lombardia sacre rappresentazioni con statue in pietra a grandezza naturale e con scenografia saranno costruite nei Sacri Monti di Varallo e di Varese. Nel Duomo di Modena esiste tuttora il bellissimo Presepe in terracotta di Antonio Begarelli (1527), oltre quello di Guido Mazzoni, detto “Il Presepe della pappa”. Nelle Marche, ad Urbino e provincia (precisamente a Piobbico), sono custoditi due splendidi presepi dello scultore Federico Brandani. A Faenza, sempre nella prima metà del Cinquecento, comparvero dei creativi “calamai a Presepe” in ceramica colorata. A Leonessa (Rieti) “figulini” abruzzesi plasmarono un monumentale Presepe con ventisei statue, animali e cavalli, mentre in Puglia, ad opera dello scultore Stefano da Putignano, sorsero in chiese di varie località presepi con statue scolpite in pietra, ambientati in grotte costruite con rocce naturali e che costituiscono le uniche “scenografie”, alquanto simili tra loro, giunte fino a noi.
Verso la metà del Cinquecento nacque anche il figurino fatto da un manichino in legno articolabile. Furono i gesuiti i primi ad utilizzare questa tecnica, con due presepi: quello di Praga del 1560, rappresentato solo dalla Natività, e quello di Monaco di Baviera nel 1605, un intero complesso presepiale esposto nella chiesa di San Michele. I manichini di legno snodabile furono introdotti a Napoli da due abili artisti: Michele Perrone e Pietro Ceraso. Di quest’ultimo è il Presepe più grande mai realizzato con tale tecnica, commissionato per la chiesa di Santa Maria in Portico.
Fu soprattutto a Genova ed a Napoli, tra il Seicento ed il Settecento, che il Presepe divenne una vera e propria forma d'arte. Inizialmente le statue sono modellate con la terracotta o intagliate nel legno, sistemate poi davanti ad un fondale pitturato riproducente un paesaggio che fa da sfondo alla scena principale della Natività.
A partire da questo periodo il Presepe si avvia ad uscire dalle chiese per fare il suo ingresso nelle case patrizie ed alto borghesi, come oggetto di adorazione o spesso d’arredamento, montato e rimontato di anno in anno.
Nel Settecento si assiste ad un’ulteriore novità: la trasformazione delle statue, in grandezza e materiale. Così dalle dimensioni piuttosto grandi in uso durante tutto il Seicento, si passa all'uso generalizzato delle «terzine», vale a dire figure alte circa quaranta centimetri. Queste statuine, che sono sempre in legno, sono realizzate ora con arti di fili di ferro ricoperti di stoppa, permettendo ogni tipo di postura. I vestiti sono in stoffe, adornati con monili e muniti degli strumenti di lavoro tipici dei mestieri dell'epoca. Sempre nel Settecento si diffonde il Presepe con parti in movimento che ha un illustre predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588, per Cristiano I di Sassonia.
Il Presepe subirà l’influenza delle mode del tempo. Così al tempo del razionalismo illuministico la tradizione del Presepe quasi decade, mentre con il Romanticismo si presenta più sobria e meno spettacolare.
La diffusione a livello popolare si realizzò pienamente nell’Ottocento, con figurini più piccoli (15 20 centimetri) e, in alcuni casi, la scomparsa delle «vestiture»: ogni famiglia in occasione del Natale iniziò a costruire un Presepe in casa riproducendo la Natività con statuine in gesso o terracotta, poi in plastica e altri materiali (cera, coralli, cartapesta, e così via) forniti dagli artigiani.
Man mano che passa il tempo, il Presepe perde la sua primitiva semplicità, assumendo i caratteri tipici del luogo dove è fatto, con le proprie fantasie ed i propri personaggi: così nel Presepe napoletano possiamo vedere Totò, in quello bolognese la Meraviglia, il Dormiglione e la Curiosa, in quello pugliese la grotta con le stalattiti, in quello austriaco lo spazzacamino, in quello brasiliano il lupo mannaro, e così via.
Il Presepe, secondo la tradizione, deve essere fatto il giorno di san Nicola o di santa Lucia (di sant'Ambrogio a Milano), lasciando però la greppia vuota. Nella notte di Natale si aggiunge il Bambinello nella greppia. Il Presepe si completa il 6 di gennaio, con l'arrivo dei tre magi venuti dall'Oriente a portare in dono oro, incenso e mirra.
Il Presepe napoletano. L’arrivo a Napoli di Pietro e Giovanni Alemanno, padre e figlio, originari dell’Italia del nord diede particolare impulso alla plastica lignaria presepiale. Molte furono le chiese per le quali Pietro e Giovanni Alemanno e numerosi collaboratori scolpirono presepi completi costituiti da numerose figure. Il più antico fu scolpito nel 1470. Era un Presepe formato da figure lignee di grandezza quasi naturale, prive d’accessori che potessero distrarre dall'importanza dell'evento sacro che rappresentavano. Nel 1478 Pietro e Giovanni Alemanno allestirono un nuovo Presepe, questa volta più grande, per la Chiesa di San Giovanni Carbonara. Le statue erano quarantuno, a grandezza quasi naturale dipinte dall’artista Francesco Fiore, erano disposte in un ampia e complessa scenografia ormai persa. Le statue giunte ai nostri tempi sono dodici, tra cui l’originale immagine dell’angelo soffiante. Altro Presepe dell’epoca e quello del Belverte tuttora parzialmente visibile nella Basilica di San Domenico Maggiore in Napoli.
Tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo lo scultore rinascimentale Giovanni Marigliano (1480-1558) più noto come Giovanni da Nola, tenne il primato a Napoli con la sua scuola di scultura. Eseguì in marmo statue, monumenti per vicerè, principi e nobili, per numerose chiese e per importanti edifici pubblici della città, opere tuttora visibili. Intagliò nel legno splendidi presepi anche con elementi paesistici (dei quali, nulla è rimasto), con statue lignee policrome, a grandezza naturale. Tuttora, nella chiesa di S. Maria del Parto a Margellina si possono ammirare cinque statue residue del Presepe commissionatogli da Jacopo Sannazaro in occasione della pubblicazione del suo poema in latino : “De partu Virginis”.
Alla fine del Cinquecento, in pieno clima controriformistico, al fine d’alimentare ed incrementare sempre più la fede, teatini, francescani, gesuiti e scolopi favorirono la diffusione del Presepe.
Si sviluppa, cosi’ il Presepe barocco. Esso divenne mobile, perché era smontato e ricostruito ogni anno. Alle monumentali statue a tutto tondo furono sostituiti da manichini in legno, in modo tale che i giunti a snodo consentivano di atteggiarli in vario modo. Le statue erano di altezza inferiore a quella naturale, avevano parrucche, sontuosi abiti, occhi di vetro.
Man mano che passava il tempo, nel reame napoletano il Presepe iniziò a perdere la sua primitiva semplicità, assumendo un carattere fantasioso, folcloristico, di festa popolare. Via via la scena principale perse la sua importanza esclusiva, venendo soffocata dallo scenario circostante rappresentante la liberalità della vita mondana del popolino napoletano, rappresentato qui in tutte le sue tipiche macchiette: dal mandolinaro al friggitore di pesci, dal notabile al mendicante, dall’immancabile arrotino al macellaio, dal cantastorie alla donna stravagante. Anche la scenografia si arricchì con la fattoria, il mercato, la fontana, il laghetto, la taverna.
Gli artisti più ricercati e meglio pagati furono il Trilocco, il Somma, Angelo de Vivo, Francesco Gallo, Pietro Ceraso, Giuseppe Picano, Lorenzo Mosca, Lorenzo Vaccaro, Domenico Di Nardo, Giacomo Colombo, Giuseppe Sammartino, Saverio Vassallo, Andrea Falcone, il Buonino, giusto per citarne alcuni.
Il Presepe barocco napoletano fu, come dire, esportato a Genova, grazie all’attività svolta in quella città dal napoletano Giacomo Colombo.
L’arte del Presepe in perfetto stile Rococò fu inaugurata dall’artista napoletano Michele Perrone, che ideò un manichino d’altezza inferiore a quelli a snodo, con solo la testa e gli arti in legno e l’anima in filo di ferro dolce e ricoperto di stoppa. Fu un'innovazione importantissima, poiché tutti i personaggi potevano essere sagomati conferendo più naturalezza al Presepe.
Il Settecento, nonostante i venti di laicità provenienti dall’Illuminismo, fu il secolo d’oro dell’arte del Presepe napoletano, grazie anche Carlo III di Borbone, sovrano mecenate che riporta la città partenopea al livello delle più ferventi capitali europee: il devoto interessamento del re e del suo fidato consigliere padre Rocco, che si proponeva di farne uno strumento di propaganda religiosa, ebbe un’importanza determinante procurando al Presepe un incondizionato consenso di pubblico. Lo stesso re fece allestire un immenso Presepe in alcuni saloni del palazzo reale di Napoli, con centinaia di personaggi e una gran cura per i dettagli. I nobili naturalmente imitano il sovrano rivaleggiando tra loro per sontuosità e ricchezza dei materiali utilizzati, dalle gemme preziose alle stoffe pregiate.
Famosi i presepi allestiti per il principe d’Ischitella e per il nobile Emanuele Pinto, con i magi abbigliati con vesti dove brillavano innumerevoli gioielli. Non a caso il Presepe settecentesco fu definito il “Presepe cortese”, per utilizzare un’espressione dello studioso Raffaello Causa: un Presepe che di sacro conserva poco, in cui “si rivela un’esperienza mondana, sostanzialmente disincantata e laica, giuoco alla moda della corte, dell’aristocrazia, dei ricchi borghesi”. Il Presepe si diffonde anche presso il popolino partenopeo, anche se in forma naturalmente meno sontuosa.
Nell’Ottocento, con l’ascesa progressiva della borghesia nacquero i figurini di terracotta, di qualità più scadente rispetto al legno ma accessibile a tutte le tasche.
Il Presepe pugliese. Le più antiche testimonianze sopravvissute dei presepi pugliesi appartengono alla seconda metà del Quattrocento. La tradizione e il materiale a disposizione ha voluto legare l’arte presepiale alla pietra locale. L’intesa attività presepiale pugliese è dovuta a maestri del calibro di Nuzzo Barba di Galatina (attivo a Galatina e Lecce dal 1475), a Stefano Pugliese da Putignano (attivo a Grottaglie, Martina Franca, Polignano a Mare e Matera dal 1491 al 1538), a Paolo da Cassano (attivo tra il 1511 e il 1535 a Cassano delle Murge e Bitritto), al lucano Altobello Persio (attivo a Montescaglioso, Matera e Tursi), al fratello Aurelio (attivo a Montescaglioso e Castellana), al leccese Gabriele Riccardi (attivo dal 1524 al 1570). Questi sono tutti nomi legati alla rinascita della statuaria in pietra in Puglia. Infatti, così come la pietra è l'elemento caratterizzante delle grandi cattedrali medievali e dei castelli normanni e federiciani, lo diviene poi anche di statue, altari, arredi sacri, monumenti sepolcrali, presepi monumentali.
Per creare i famosi figurini pugliesi gli artisti del luogo utilizzano la pietra locale, dal calcare al carparo alla più tenera pietra leccese, materiali senz'altro più resistenti a paragone della terracotta o del legno usati in altre aree, che ne giustificano sicuramente l'eccezionale conservazione. Esempi di quest’arte presepiale in pietra possono essere il Presepe di Nuzzo Barba della Chiesa Francesca di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina e quello del leccese Gabriele Riccardi della Chiesa Madre di Lecce. Il primo Presepe, quello del Barba, si trova sotto una Natività affrescata in un’arcata ribassata della controfacciata della navata sinistra della chiesa dedicata a santa Caterina. Quello dell’artista leccese, invece, si trova nella Cattedrale di Lecce e occupa un intero altare. Anche i presepi in pietra policroma del 1587, di autore ignoto, delle cattedrali di Altamura e Bari riassumo tutta l’arte presepiale del periodo.
Il tipo di lavorazione della pietra ricalcò quello dedicato all’arte delle statue sacre: la pietra non è mostrata a vista dall'artista, ma mascherata da una vivace policromia. Fa eccezione a questa regola il Presepe cinquecentesco della cattedrale di Lecce, realizzato in bianca pietra leccese, un materiale poroso sconsigliato all'uso della policromia.
La scenografia utilizzata ricalca pressapoco il paesaggio pugliese, ma anche quello materano (ricordiamo che saranno considerati "pugliesi" anche i presepi localizzati nell'attuale città di Matera e provincia, non solo perché questo territorio fu parte integrante, sino al 1663, della “Terra d'Otranto”, ma anche perché il suo paesaggio e la sua popolazione sono del tutto omogenei, dal punto di vista morfologico, fisico e antropico, a quello dell'Alta Murgia). Ecco così che gli artisti pugliesi posizionano la sacra Famiglia in una grotta di pietra, talora arricchita da stalattiti, in omaggio alla morfologia di una terra carsica qual è la Puglia. Contrariamente a ciò che avverrà nei presepi campani, dove la Natività è spesso confinata in un angolo per dare maggior spazio alla festa del popolino per il lieto evento, la grotta con la Sacra Famiglia rappresenta l'elemento centrale di tutta l’opera degli artisti pugliesi.
Nel corso dell’Ottocento a Lecce e in tutto il Salento s’inaugurò una tradizione, quella della cartapesta. Primo indiscusso protagonista ne fu “mesciu Pietru de li Cristi”, soprannome del primo cartapestaio del luogo. Il suo vero nome era Pietro Surgente (1742-1827), maestro (mesciu) di un gruppo di grandissimi scultori della cartapesta, autori di costosi presepi.
Accanto all’arte di plasmare la cartapesta, troviamo in Puglia anche quella di modellare, cuocere e dipingere la terra. Protagonista principale fu un certo “mesciu Chiccu Pierdifumu”. Egli, da grande professionista, modellò pupi da Presepe in creta, che poi, aiutato da sua moglie Assunta Rizzo, "vestiva" con pezzi di stoffa o con fogli drappeggiati di carta imbevuta di colla.
Accanto all’attività degli artisti professionisti ritroviamo anche quella spontanea d’artisti “improvvisati”, tra i quali spicca la classe dei “barbieri di Lecce”. Questi, intorno al 1840, cominciarono ad imitare i cartapestai e, nelle lunghe ore libere del loro lavoro con pettini e forbici, si dettero a modellare sia la carta pestata che la creta con mani, bulini e stampi. E’ l’inizio dei figurini prodotti in serie con stampi. In questa maniera i costosi pupi dei cartapestai e più modesti figurini corrisposero alle esigenze di due diversi livelli d’utenza.
In Puglia il Presepe non fu mai considerato un vero e proprio pezzo “d’arte”, così ad ogni Natale si acquistavano nuovi figuri, poiché quelli utilizzati l’anno precedente erano andati persi o distrutti. Questo alimentò una ricchissima produzione popolare che ogni anno si ripeteva.
Il Presepe Siciliano. La prima opera presepiale siciliana risale al XV secolo, precisamente nel 1494. Un gruppo marmoreo, opera del maestro Andrea Mancino, che si trova in una cappella della chiesa dell’Annunziata a Termini Imerese.
Anche in Sicilia il Presepe presenta caratteri suoi propri ed originali, variabili a seconda delle zone dell’isola. Le aree dove in particolare si sviluppa un originale artigianato presepiale sono: i territori di Palermo, Messina, Siracusa, Trapani, Caltagirone, Acireale, Noto e Ragusa.
A Palermo e nel siracusano, dove l'apicoltura è molto diffusa, fin dal Seicento si utilizzava la cera per plasmare statuine del Bambinello, in seguito interi presepi. Le cere scolpite erano oggetto di culto ma anche d’ammirazione artistica, per la varietà e la preziosità degli addobbi che spesso guarnivano i soggetti. Di notevole fattura sono le opere del siracusano Gaetano Zummo, tra i primi e il più celebre ceroplasta siciliano del quale si trovano alcuni gruppi statuari di grande pregio nel Victoria and Albert Museum di Londra.
In quest'arte si sono distinti, per qualità e originalità, anche i cosiddetti "Bambinai" che operavano a Palermo, nella zona della chiesa di San Domenico, tra il Seicento e il Settecento. Altri nomi noti di celebri cerari siciliani che impreziosirono con la loro arte l’attività presepiale furono quelli di Anna Fortino, Rosalia Novelli, Giacomo Serpotta, Giovanni Rosselli, Mariano Cormaci e frà Ignazio Macca. Di quest’ultimo sono i famosi presepi che si conservano nell'eremo di San Corrado a Noto e nel Museo Bellomo di Siracusa.
A Caltagirone, città produttrice di ceramiche fin dal Cinquecento, i presepi sono realizzati in terracotta policroma. Artisti del calibro dei fratelli Bongiovanni, Giuseppe e Giacomo, e del loro nipote Giuseppe Vaccaio, i "santari" Branciforti e Margioglio, hanno fatto la storia dei presepi di Caltagirone tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento.
A Trapani, invece, si utilizzano materiali nobili, tra cui l’argento e il corallo, da soli, come nel Rinascimento, o insieme all'avorio, alla madreperla, all'alabastro, all’oro e alle conchiglie, nel periodo del Barocco e Rococò. L’abile commistione cromatica dei diversi materiali preziosi, tra cui il bianco intenso dell'avorio, il rosso vivo del corallo, i riflessi dell’argento e dell’oro, lo sfavillio delle gemme e degli smalti applicati, hanno fatto la storia del Presepe siciliano. Fra gli autori di questi presepi si ricorda il maestro Giuseppe Tipa che con i figli Andrea e Alberto fu titolare di una prestigiosa bottega attiva a Trapani almeno fino alla fine del XVIII secolo. Splendidi esemplari di questi presepi sono esposti ai musei Pepoli di Trapani e Cordici di Erice.
Si ricorda che, sin dal XV secolo, tutti i “Bambinelli siculi” sono impreziositi da accessori d'oro e d'argento, rappresentati con un’espressione ieratica ed immersi in uno sfavillio di fiori di carta e lustrini colorati dentro teche di vetro dette “scarabattole”.
Alla stessa città di Trapani, in particolare al nome di Giovanni Matera, è legata l’arte più economica della scultura modellata secondo le tecniche della "tela e colla". I figurini avevano la testa e gli arti in legno di tiglio, mentre sul busto, grossolanamente scolpito, erano sovrapposte drappeggi di tele imbevute di colla e gesso a simulare i costumi dei personaggi. Le opere del Matera sono conservate nel Museo Pitrè di Palermo e nel Museo Nazionale di Monaco di Baviera.
Anche Caltagirone occupa nella storia del Presepe popolare siciliano un posto di primissimo piano. Qui l'arte della ceramica, che può vantare un'antichissima tradizione, ha conosciuto uno straordinario sviluppo raggiungendo esiti di estrema raffinatezza. Qui operarono, tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, Giacomo Bongiovanni e Giuseppe Vaccaro, rispettivamente zio e nipote, maestri entrambi nell'uso dell'argilla sovrapposta in forma di sottilissime strisce sul corpo già modellato delle statuine.
Questa innovazione rivoluzionò la tecnica del modellato, che fu seguita e imitata da tutti i figurinai fino ai nostri giorni.
Il Presepe nel mondo. Allarghiamo brevemente il nostro orizzonte portando il Presepe fuori dall’Italia. Innanzitutto è utile e corretto ammettere che ogni cultura ha il suo proprio idioma artistico e il suo regno di colori, mentre la scelta dei materiali è determinata in gran parte dalla ricchezza del luogo. La tradizione del Presepe fu portata fuori dall’Italia, specialmente nei territori di missione, innanzitutto dai francescani e dai gesuiti, poi da altri Ordini religiosi. Essa fu un utile strumento utilizzato a scopi didattico-liturgici.
In Francia il Presepe si chiama “crèche”, forse in omaggio al Presepe di Greccio di san Francesco. La prima comparsa nelle case francesi del Presepe è attestata intorno al XVII secolo, attraverso la forma di scatole vitree. Si tratta tuttavia di rappresentazioni di singoli personaggi, come quelle del Bambinello. Fu la comparsa delle statuette provenzali, non prima del Settecento, a far assumere al Presepe una maggiore diffusione. Queste, che avevano caratteristiche che rivelano l’influenza del Barocco italiano, erano fatte di legno con viso e mani in terracotta o cera. Il vero sviluppo del Presepe è però legato alla Rivoluzione che proibì la messa di mezzanotte e qualsiasi rappresentazione dell’evento.
Nel 1798, il figurinaio Jean Louis Lagnel concepì degli stampi in gesso per fabbricare le sue statuette in argilla cruda: è l’origine del cosiddetto “santon”. Unica eccezione all’utilizzo dell’argilla fu la figura del Bambinello, che era fatto completamente in cera, anche per rispetto alla sua origine divina. Questa novità tecnologica – che compare per la prima volta alla fiera di Natale del 1803 – permise di abbassare i prezzi, favorendo così una più grande diffusione del Presepe nelle case dei francesi.
In Spagna il Presepe fu introdotto grazie agli scambi e ai traffici intercorsi durante la dominazione borbonica tra Napoli e la Spagna. Esso diventa quasi subito oggetto di culto popolare, tanto che fu coniato un proverbio: "Presepe fai, pane mangerai". Inizialmente il Presepe entra solamente nelle chiese, in seguito, grazie all’abilità di piccoli artigiani fece la sua comparsa anche nelle case degli spagnoli. La rappresentazione della Natività, almeno inizialmente, è però più sobria rispetto all’Italia: il Presepe mirava a riprodurre, con la maggior fedeltà possibile, l’ambiente della Palestina del tempo di Gesù, senza anacronismi di alcun genere. Grazie alla famosa "scuola del gesso catalana", che ha rivoluzionato lo storico stile spagnolo del Presepe di carta e sughero, i figurini diventano di gesso e il Presepe entra in tutte le case.
II Presepe tridimensionale portoghese raggiunse la massima diffusione e i più alti risultati artistici solo nella seconda metà del Settecento, grazie al genio creativo di un italiano, Alessandro Giusti, che diede vita alla scuola del barro (creta) di Mafra. I presepi più celebri sono quelli che si trovano nella Cattedrale e del Museo dell'arte antica di Lisbona, e quello monumentale della Basilica della "Estrela", con oltre cinquecento statue, opera Machado de Castro.
Anche nei Paesi di lingua tedesca il Presepe è presente in occasione del Natale. La scenografia tipica utilizzata prevede il tipico paesaggio del nord Europa. Tra le usanze più diffuse, c’è il Presepe trasportabile che rievoca "la ricerca dell'alloggio" di Giuseppe e Maria ai tempi del censimento in Palestina. I gesuiti furono in queste zone i maggiori diffusori di quest’arte. Proprio a Monaco di Baviera, all’interno della chiesa dedicata a san Michele, si trova l’antico Presepe del 1605, opera di gesuiti. In queste terre nasce anche il primo Presepe con parti in movimento, opera di Hans Schlottheim, costruito nel 1588 per Cristiano I di Sassonia.
Nei Paesi slavi il tipico Presepe è trasportabile è viene costruito in un piccolo armadietto con tendine, da uno o tre piani. La forma varia dalla piccola chiesa alla stalla. Il Russia si chiama “wertep”, in Polonia “szopka”, mentre in Ungheria “Betlemme”.
Il Presepe in America Latina fu introdotto dai conquistatori come oggetto di culto. La sua diffusione è dovuta ai primi emigranti provenienti dal Vecchio Mondo. Il Presepe latinoamericano è andato acquisendo nel tempo caratteristiche particolari grazie all'integrazione di elementi propri d’ogni regione, diventando “meticcio”. Il Bambinello, chiamato “Manuelito”, infatti, è quasi sempre con la pelle e capelli scuri.
In Messico il Presepe giunse nel 1523, precisamente nello stato di Acolman, portato da tre missionari francescani (Pedro di Gante, Juan di Tecto e Juan di Agorà), i quali evangelizzavano le comunità indigene servendosi anche del Presepe. Ben presto il Presepe prese una fisionomia tipica della cultura indigena del luogo, sovrapponendo l’antica arte maya e azteca a quella europea. Così i personaggi sono fatti di fango, di porcellana, cartapesta, cartoncini, foglia, canna di mais, ghiaccio secco. Il Presepe è adornato e arricchito con gli elementi tipici della campagna, come legno di pino, paglia, piccole rocce, ed altri elementi comuni, perché il principale obiettivo di questa tradizione è continuare a ricordare il luogo semplice dove nacque Gesù.
In Perù il Presepe è collocato nel luogo più elevato dell’abitato, perché dall’alto può proteggere i suoi abitanti. La sua forma è ad altarino ad ante, i cosiddetto “sammarcos”, dipinto con fiori vivacissimi e contenente innumerevoli figurine con scene religiose e profane. Il materiale usato per confezionarli prevede l’uso del legno, pietra e stracci.
In Ecuador il Presepe è molto povero, forse per questo è molto bello. Viene fatto utilizzando la canna di bambù, il cade (i rami che si usano per coprire il tetto delle capanne e delle case perché non s’infiltri acqua quando piove), la pietra e il legno.
In Paraguay la tradizione vuole la presenza del Presepe in tutte le case, per evitare che la sfortuna si abbatta sulla famiglia. In un Presepe paraguaiano, accanto alle statuine tipiche della Natività, non deve mai mancare il fiore di cocco, per dare un profumo all’evento, il fiore del Karaguatá (pianta spinosa dal fiore vistoso) e la frutta di stagione.
Il Presepe più tipico dei Paesi latinoamericani è quello brasiliano. Oltre alla vivacità dei colori, spesso sono introdotti anche personaggi tratti dalla mitologia afro-americana: così accanto al pastore vi è il “lupo mannaro” o il caapora (un genio maligno della foresta). Un altro Presepe tipico del Brasile è quello costruito nella zona nord-est del Paese: esso è chiamato lapinha, ed ha un Bambinello abbigliato con vesti intessute d'oro e pietre preziose. Tipici sono anche i presepi a due piani, dove nella parte inferiore è raffigurata la Natività e, in alto, la Crocifissione di Gesù, circondata da santi particolari a seconda della devozione personale dell'esecutore o di chi ha commissionato il Presepe.
Anche in Argentina il culto del Presepe è molto vivo, esso ricalca grosso modo la cultura del posto. Il materiale è quello tipico del luogo: pietra, legno o cartapesta.
In Africa i primi missionari dovettero faticare molto per convincere la popolazione locale che il “nuovo” Dio aveva sembianze tipiche dell’uomo bianco. Così, inizialmente, i primi presepi erano di gesso non colorato. Col passare del tempo, anche in Africa, la tradizione del Presepe assunse i caratteri tipici del luogo: ecco quindi comparire personaggi dai tipici tratti camusi indigeni, vestiti con abiti dai “colori africani”. Le materie utilizzate sono quelle presenti nel continente: la creta cruda, l'avorio ed i legni pregiati, tra cui l’ebano nero.
Nella maggior parte dell’Asia il Natale arriva silenzioso, specie in quelle zone dove il cristianesimo è religione minoritaria. I primi a portare la rappresentazione della nascita del Cristo in versione tridimensionale furono i gesuiti, che incuriosirono la popolazione locale attraverso quest’arte. Anche in questo continente il materiale utilizzato è tipico del luogo: si va dal legno alla carta di grano di riso.
Il nostro piccolo viaggio attorno al Presepe termina, non prima di aver augurato a tutti voi un felice Natale.
Il Presepe è il simbolo del nuovo che nasce e che cancella in vecchio, allora ... “se nel Presepe contempliamo Colui che si è spogliato della gloria divina per farsi povero, spinto dall’amore per l’uomo” (messaggio Urbi et Orbi di Giovanni Paolo II del Natale 2003), seguiamo quest’esempio allontanando questo mondo dall’odio, dalla violenza e dall’egoismo, e cerchiamo di costruire un Presepe innanzi tutto nel nostro cuore per far nascere l’uomo nuovo.
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