Milioni di uomini del Continente nero rapiti e deportati nelle piantagioni del
Nord e del Sud. Comprati dai coloni bianchi e usati come animali da lavoro
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LO SCHIAVISMO DAL XVI al XIX SEC.:
TRATTA DALL'AFRICA ALLE AMERICHE
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Per più di tre secoli la tratta atlantica degli schiavi è stata una piaga dell'umanità. A partire dal XVI fino alla fine del XIX secolo, milioni di persone sono state comprate in Africa e deportate come schiavi per il lavoro nei campi nelle Americhe. Questa tratta ha coinvolto popoli e nazioni di tutti i continenti, con la parziale eccezione dell'Australia. Gli europei hanno gestito il traffico, gli africani hanno spesso catturato e venduto altri africani, gli arabi hanno commercializzato con gli europei, i coloni e i loro discendenti hanno posto sotto schiavitù nelle piantagioni i neri deportati.
Se la tratta è stata simbolo della capacità dell'uomo di offendere un altro uomo, il movimento che ha portato all'abolizione della tratta è il segno di un riscatto possibile nella storia umana. Così come la tratta è stata un evento tipicamente moderno - consentito dalle accresciute capacità organizzative, dal dominio europeo nei confronti di altre nazioni, dalla modernità dei navigli- così l'abolizione è stata il prodotto di una coscienza nuova e di forme di lotta fino ad allora sconosciute.
Come ha scritto Petré Grenouilleau "l'abolizionismo non è soltanto la prefigurazione dell'attuale ideologia dell'intervento umanitario, con la sua etica dell'urgenza e la sua propensione all'ingerenza negli affari degli stati sovrani, ma di questa ideologia costituisce la prima autentica manifestazione, oltre ad essere una tappa chiave della progressiva affermazione dei diritti universali dell'uomo."
L'aspetto forse più paradossale di questa vicenda è che gli stessi principi che hanno contribuito a determinare la formazione del fenomeno schiavista, ovvero la nascita dei principi nazionali e all'interno di questi il concetto di uomini liberi in seno alla comunità politica, ha poi successivamente condotto alla stessa abolizione della schiavitù.
Gli europei, che nei confronti dei propri concittadini applicarono i principi di libertà e uguaglianza, considerando un oltraggio alla dignità rendere schiavo un proprio simile, si ritrovarono privi di manodopera e asservirono al loro bisogno i neri, ovvero i diversi e gli estranei alla comunità politica. Ma in seguito l'allargamento a principio "universale" della stessa concezione di libertà individuale fu la base del movimento abolizionista.
Un altro aspetto importante e originale di questa transazione fu senza dubbio la rapidità con cui il processo fu portato a termine. Un secolo circa di attività è senza dubbio un periodo di tempo breve per condurre in porto una azione di questo tipo, considerando che fino ad allora nessuna epoca aveva conosciuto la libertà dalla schiavitù. E questo straordinario obiettivo fu ottenuto non tramite una lenta, graduale, universale assimilazione del concetto di libertà, ma tramite l'imposizione di un principio da parte delle potenze occidentali al resto del mondo. Si tratto di un atto sotto certi aspetti violento e non negoziato, con il quale si volle imporre al resto del mondo gli ideali sostenuti da un ristretto numero di nazioni. Anzi, ad essere maggiormente precisi, fu principalmente la Gran Bretagna, nazione dominante nel XIX secolo, ad imporre al mondo il proprio volere.
L'azione svolta dalla Bretagna andò tra l'altro se non a ledere i suoi interessi, come comunque sosteneva parte dell'opposizione interna, sicuramente a penalizzare nazioni africane e colonie che su da questo traffico traevano indubbi vantaggi economici.
Non è infatti un caso che all'interno del mondo africano il concetto di abolizionismo e la lotta per la fine della tratta, non si siano quasi mai sviluppati e nei casi in cui ciò è avvenuto, esclusivamente come forma di risposta alle sollecitazioni culturali e ideali provenienti dall'Europa. La controprova di ciò è che mentre nello spazio coloniale Nord Americano e caraibico amministrato direttamente dalle potenze europee la tratta cessò verso la metà del XIX secolo, fu solo a partire dal 1870 che la tratta iniziò ad essere contrastata nell'impero ottomano, e che in Asia e in Africa fu soprattutto l'influenza coloniale a far nascere una coscienza sul problema, a partire cioè dal 1870 circa.
Una precisa cronistoria degli eventi legati all'abolizionismo richiede, come ha fatto Petré Grenouilleau, una disamina degli atti politici compiuti dalle diverse nazioni europee per porre fine alla tratta.
Certamente il caso danese rappresenta sul piano formale la prima abolizione della tratta che sia stata pronunciata nel mondo moderno. Il problema venne affrontato dalla commissione d'inchiesta danese con un invidiabile pragmatismo e quasi senza alcun riferimento diretto a questioni etiche e morali. I danesi erano influenzati dal dibattito che sul finire del XVIII secolo si stava svolgendo in Inghilterra sul tema dell'abolizionismo, ma preferirono guardare alla questione con occhi pragmatici. Pur essendo una piccola nazione la Danimarca possedeva alcune colonie e la questione fu posta nei termini del reale vantaggio economico che la tratta poteva comportare per questi paesi d'oltremare e per la stessa nazione.
La risposta fu che il commercio degli schiavi non poteva considerarsi redditizio per i costi umani e economici che si era obbligati a sopportare e in base a tale disamina fu deciso di proibire la tratta a partire dal 1792. Tuttavia, per impedire che le produzioni saccarifere danesi poste nelle colonie subissero un calo di manodopera, redditività o competitività, si lasciò aperta una finestra di dieci anni prima di impedire definitivamente qualsiasi forma di commercio di uomini. Questa concessione si rivelò poi a posteriori un grave errore, perché fu proprio dal 1792 al 1803 che la tratta danese di schiavi ebbe il suo apogeo.
La vicenda dell'Inghilterra e delle sue colonie ha invece una fase molto più lunga e complessa di gestazione, come è normale che sia, data l'imponenza dell'impero britannico e i numerosi interessi contrastanti sulla questione della tratta e dello schiavismo più in generale.
Una prima ricognizione sui testi mostra come sin dalla fine del XVII scolo fosse già presente in Inghilterra una cultura, ancora minoritaria ma vivace, contraria alla schiavitù. Tale corrente era sostenuta da gruppi religiosi, in particolare da quaccheri e puritani, ma si avvaleva anche del sostegno di letterati e filosofi, convinti dell'ingiustizia del commercio degli uomini. Il primo atto d'accusa pubblico contro la schiavitù in epoca moderna si può far risalire al 1673, quando il quacchero Baxter definì come crimine contro l'umanità la caccia agli schiavi. A seguire furono i testi letterari "Robinson Crusoe" di Daniel Defoe e il racconto di Moses Bom Sam pubblicato su diversi periodici inglesi nel 1735 a avviare quel processo di umanizzazione dell'uomo di colore che costituisce la base cognitiva e sociale per il riconoscimento dei diritti universali.
La figura di Venerdì, l'abile e affidabile aiutante creato dalla fantasia di Defoe e le rappresentazione cariche di umanità degli schiavi fuggiaschi in Giamaica di Bom-Sam furono alla base di una presa di coscienza della disumanità del fenomeno dello schiavismo.
Fu comunque il movimento religioso dei quaccheri, che poteva contare su circa novantamila fedeli, che rese popolare la critica dello schiavismo. Nelle chiese protestanti le idee dei quaccheri furono diffuse presso ogni strato sociale, grazie all'azione dei pastori che non esitarono a definire mostruosa la tratta e esortarono l'Inghilterra ad abolirla al più presto.
Ma il movimento fondatore dell'abolizionismo inteso come obiettivo politico è quello fondato nel 1787 da Granville Sharp e Thomas Clarkson, che riunirono a Clapham dodici amici formando il comitato per l'abolizione della tratta. Il gruppo fu successivamente definito come la setta di Clapham o i santi di Clapham.
L'idea vincente di questo movimento fu quella di non puntare direttamente alla fine della schiavitù, obiettivo che avrebbe comportato un contrasto diretto con i potenti proprietari delle piantagioni, ma di contrastare indirettamente il funzionamento del sistema schiavistico. Gli schiavi da tempo residenti nelle colonie erano infatti meno facilmente governabili, più abituati a convivere con lo schiavismo e esercitare delle forme di resistenza passiva, rispetto ai nuovi arrivati. Inaridire l'approvvigionamento, avrebbe reso meno economicamente vantaggiosa la schiavitù e avrebbe costretto i proprietari a tenere in maggior conto la salute e il benessere di sottoposti che non potevano più essere facilmente sostituiti.
Nel giro di un paio di anni il movimento conquistò consensi nell'opinione pubblica, e approdò, con il deputato Wilbeforce in parlamento.
Nel 1788 fu applicato il Dolben Act che aumentava gli spazi a disposizione degli schiavi sulle navi usate per la traversata. Furono poi varate una serie di riforme in successione dal 1805 fino al 23 febbraio 1807, quando l'abolizione della tratta fu votata a larga maggioranza sia alla camera dei Lord che ai Comuni. Fu anche deciso che nessuna nave potesse imbarcare schiavi per i territori della Corona e che non fosse più possibile sbarcarne in generale a partire dal 1808.
Per quanto possa sembrare sorprendente, la storia dell'abolizionismo francese fu molto meno efficace e rapida di quella inglese. Il dato può apparire sorprendente se si considera il ruolo centrale svolto dalla filosofia illuministica sia per determinare l'uguaglianza degli uomini sia nello spingere gli uomini di pensiero a impegnarsi attivamente nella risoluzione dei problemi. Invece, per un complesso di ragioni storiche, sociali e anche ideologiche, l'apporto della Francia nella lotta contro la tratta e lo schiavismo fu assai inferiore a quello inglese. In realtà i membri della Convenzione nel 1794 votarono all'unanimità l'abolizione della schiavitù nelle colonie francesi e riconobbero ai liberati la cittadinanza francese. Ma si trattò di un fuoco di paglia, non radicato nell'opinione pubblica e che presto venne spento dall'arrivo al potere di Napoleone Bonaparte, che nel 1802 decise di ripristinare la tratta.
Ma come riuscirono gli intellettuali e i religiosi inglesi convincere i propri connazionali dell'ingiustizia della tratta, dal momento che la schiavitù era stata da secoli perpetrata nel mondo come fatto naturale e che solo l'Europa e una piccola parte delle colonie nel XVII secolo erano immuni da fenomeni di schiavismo?
Anzitutto il primo problema che dovettero affrontare fu quello di vincere i pregiudizi che si erano formati verso gli uomini neri, considerati naturalmente destinati alla schiavitù e appartenenti ad una razza inferiore. I santi di Clapham posero pertanto l'accento sull'umanità degli uomini di colore, coniando il famoso slogan " Non sono forse un uomo o un fratello?". Abili comunicatori, iniziarono anche a prendere di mira i modi inumani con i quali veniva realizzato il trasporto, mostrando in pubblico i disegni delle sovraffollate navi negriere, che tanto impressionarono il filosofo francese Mirabeau da indurlo a parlare di "bare galleggianti". Consci di dover combattere con tutte le armi a disposizione, gli abolizionisti insistettero anche sul carattere antieconomico della tratta, per le perdite di navi e marinai che comportava, per la difficoltà di governare gli schiavi una volta approdati a destinazione, per la possibilità di realizzare con altri prodotti commerci molto più redditizi della compravendita di uomini.
Bisogna comunque rilevare che nonostante la conquista del consenso popolare, il progetto abolizionista non poté dirsi concluso con l'approvazione della norma. La legge antiabolizionista doveva ancora trovare applicazione e questo passaggio richiese concretamente molti anni e un impegno particolare da parte dell'Inghilterra.
Il rallentamento fu certamente dovuto, oltre che a ragioni di interesse economico e di gruppi di potere, anche alle risposte che negrieri e schiavisti seppero dare alle accuse lanciate contro di loro. La difesa della tratta, non più sostenibile sul piano etico, fu condotta principalmente sul piano economico. La tratta era presentata come indispensabile per far sopravvivere le piantagioni, senza le quali, si diceva, il commercio estero sarebbe fallito, comportando il tracollo delle economie nazionali.
Di fronte al riemergere delle argomentazioni a favore della schiavitù e alla forza dei gruppi di pressione affaristici, fu l'azione della Gran Bretagna a svolgere un ruolo decisivo nell'abolizione della tratta. Gli inglesi seppero imporre la propria ideologia e visione senza mai ricorrere ad una azione bellica, ma sfruttando ampiamente la loro superiorità economica e il dominio dei mari. Le guerre napoleoniche furono il pretesto per bloccare le navi negriere francesi per far rispettare il blocco navale, mentre il sistema delle ispezioni, attuato sempre per bloccare Napoleone, consentiva di salire a bordo delle navi negriere di altri paesi. Non trascurabile fu poi il sistema degli scambi che l'Inghilterra costruì con le nazioni di recente formazione che ricercavano il riconoscimento internazionale: Cile, Argentina, Venezuela furono riconosciute in cambio della promessa di abolizione della tratta.
Anche con la Spagna, un colosso nel campo della tratta, gli accordi furono sanciti a seguito della liberazione dai francesi nel 1814, e lo stesso vale per i Paesi Bassi: questi stati accettarono la proposta inglese di una abolizione graduale e lo stesso fece la Francia sconfitta.
Nel 1815 al Congresso di Vienna gli inglesi pressarono le altre nazioni affinché prendessero posizioni nette contro la tratta, ma Russia, Francia, Prussia e Austria fecero solo vaghe promesse. Il sistema degli accordi complessivi non diede mai i suoi frutti e così gli inglesi decisero di ricorrere al sistema degli accordi bilaterali di più semplice gestione. Questi prevedevano l'impegno dei due contraenti nella lotta alla tratta, e si componevano di due punti salienti: il diritto di ispezione reciproca e l'istituzione di un tribunale misto per il giudizio dei reati. Nel 1817 e 1819 Spagna, Portogallo e Paesi Bassi accettarono questo accordo, principalmente in cambio di denaro.
Gli inglesi poterono in questo modo condurre in prima persona la lotta contro la tratta, senza più dover attendere provvedimenti da nazioni interessate solo in apparenza al problema e non risolte alla sua abolizione. A questo punto nove navi inglesi erano poste a sorveglianza delle coste dell'Africa, tra Sierra Leone e l'Equatore. Nel 1831 la monarchia di luglio francese ratificò anch'essa l'accordo, e fu così che il 20 dicembre 1841 le cinque nazioni summenzionate firmarono l'accordo unitario per l'abolizione della tratta, che segnò il definitivo tramonto del commercio tra Africa e America. Viceversa, per una serie di ragioni politiche e culturali che meriterebbero un ulteriore approfondimento, la tratta interna all'Africa e quella orientale rimasero a lungo ancora attive, finchè non furono proprio le potenze occidentali ad impegnarsi per l'abolizione durante il periodo del colonialismo che prese avvio all'incirca nell'ultimo trentennio dell'ottocento.
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BIBLIOGRAFIA
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La tratta degli schiavi, O. Petré Grenouilleau, Mulino, Bologna, 2006
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Il problema della schiavitù nella cultura occidentale, D.B. Davis, Torino, 1971
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The politics of slave. Trade Suppression in Britain and France, 1814-1848, P.M.Kielstra, London , 2000.
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