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Cos'è la Teologia della Liberazione? Perchè ha provocato tante polemiche? Perché altre teologie interessano pochi studiosi e questa è diventata tanto popolare?
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LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE:
CON CRISTO E CON MARX?
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Dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, precisamente dalla conclusione del concilio Vaticano II, alcuni teologi si assunsero la pesante responsabilità d'interpretare i documenti conciliari alla luce della personale esperienza vissuta tra la popolazione indigente di quelle zone del pianeta chiamate "Terzo Mondo". Nacque così quella che è entrata prepotentemente nella storia come la Teologia della Liberazione, un nuovo modo di fare teologia che, partendo dall'analisi marxista, si pone come un'opzione evangelica, politica ed etica in favore dei poveri. Si trattò in pratica di porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano, costruendo una Chiesa popolare e socialmente attiva.
Le origini di questo coacervo di esegesi biblica e teoria rivoluzionaria pacifica in ambito cattolico si possono individuare nell'influenza della Teologia della Speranza del protestante Jürgen Moltmann, ma soprattutto nella Conferenza Episcopale tenutasi a Medellìn dal 26 agosto al 6 settembre 1968. Tema della conferenza fu "La Chiesa nell'attuale trasformazione dell'America Latina alla luce del Concilio Vaticano II". Per la prima volta, dopo quattro secoli l'America Latina passò da un continente da evangelizzare e guidare ad una scuola d'idee per tutta la Chiesa. Almeno l'intenzione fu questa.
Il primo ad utilizzare la formula "Teologia della Liberazione" è stato il teologo peruviano Gustavo Gutièrrez, un peruviano del clero secolare diocesano giunto in Brasile alla fine degli anni Sessanta del Novecento per studiare i movimenti di base. Da questa inchiesta, arricchita dalla conoscenza della realtà dell'America Latina, è nata la sua opera che è ormai un classico, "Teologia della Liberazione". Fu pubblicata nel 1970 e dedicata ad un prete brasiliano, Antonio Pereira Neto, che lavorava con i giovani, assassinato poi dal regime. Poi, questa strada è stata percorsa da molti (Hélder Camara, i fratelli Boff, Leonidas Proaño, frei Betto, Sergio Mendez Arceo e altri ancora).
Gutièrrez, definendo nei primi anni Settanta del secolo scorso i contenuti di questo nuovo modo di fare teologia, «riflessione critica della prassi storica alla luce della parola», ha proposto una originale interpretazione delle Sacre Scritture, rielaborando in questo modo il cristianesimo secondo il punto di vista dei poveri e degli oppressi. Egli ha quindi avuto premura, nel contempo, di precisare che la «Teologia è riflessione, atteggiamento critico. Prima viene l'impegno di carità, di servizio. La Teologia viene dopo, è atto secondo». Gutièrrez muove dalla constatazione della lotta di classe come realtà storica e non come forma ideologica:
«L'universalità dell'amore cristiano è un'astrazione se non diviene storia concreta, processo, conflitto, superamento del particolarismo. Amare tutti gli uomini non vuol dire evitare conflitti, né mantenere un'armonia fittizia. Amore universale è quello che in solidarietà con gli oppressi cerca di liberare anche gli oppressori dal loro stesso potere, dalla loro ambizione e dal loro egoismo: l'amore verso coloro che vivono in una condizione di peccato obbiettivo esige che lottiamo per liberarli. La liberazione dei poveri e dei ricchi si realizza simultaneamente. Si amano gli oppressori liberandoli dalla loro disumana situazione, liberandoli da se stessi. Ma a questo si arriva solo optando decisamente per gli oppressi, cioè combattendo contro la classe degli oppressori. [...]. Oggi nel contesto della lotta di classe amare i nemici suppone riconoscere ed accettare che si hanno dei nemici di classe e che dobbiamo combatterli».
Un'originale spiegazione di cosa è la "Teologia della Liberazione" è stata data da due teologi e fratelli brasiliani Clodovis e Leonard Boff:
«La Teologia della liberazione può effettivamente essere paragonata ad un albero. Chi vi scorge solamente dei teologi di professione non vede altro che l'intreccio dei rami dell'albero. Non vede ancora il tronco, che è la riflessione dei pastori e degli altri operatori, meno ancora vede tutta la trama delle radici che si trovano sotto terra e che sostengono l'intero albero, tronco e rami. E' questa appunto la riflessione vitale e concreta, benché sommersa e anonima, di decine di migliaia di comunità cristiane, che vivono la propria fede pensandola in chiave di liberazione. Si vede qui come riferirsi ai cosiddetti "teologi della liberazione" sia solo indicare la parte superiore dell'albero della teologia della liberazione. Questa conserva la sua vitalità nel tronco e più ancora nelle radici profonde, nascoste sotto terra. Si vede così come tale corrente teologica sia intimamente legata all'esistenza stessa del popolo, alla sua fede e alla sua lotta. Per altro verso è organicamente legata alla prassi pastorale degli operatori, come teoria della loro azione».
La base di elaborazione del pensiero dei teologi della liberazione si ritrova nella realtà delle lotte sociali e nell'impegno in favore della giustizia. La povertà, la miseria, l'ingiustizia, sono fenomeni che si iscrivono nelle strutture dell'oppressione sociale del subcontinente: prima c'è stata la conquista ispanica, poi la colonizzazione e, oggi, il modello neoliberale. Questo spiega perché la Teologia della Liberazione si presenta all'origine, non solo come un metodo di lettura sociologica delle diverse situazioni, ma come ricerca di soluzioni politiche per uscire da condizioni di vita inique e disumane.
Il punto di partenza della Teologia della Liberazione è questo: Gesù il Cristo ha fatto un'opzione assai precisa in favore dei poveri e contro tutti i poteri che opprimono. Questa è la strada da seguire per i teologi della liberazione. Essa dunque, oltre ad essere una Cristologia (cioè una lettura della vita di Gesù come attore sociale nella Palestina del suo tempo), è soprattutto un'Ecclesiologia, ossia una teologia analizzata anche nelle sue realtà storiche e sociali.
Su queste basi, le teologie (si parla correttamente di teologie, e non di teologia, perché ogni discorso teologico è in ogni caso parziale in quanto fa riferimento ed è condizionato dal contesto in cui viene formulato) presenti nella regione, teorizzano il carattere oggettivo delle lotte sociali e politiche per la costruzione di un nuovo ordine di giustizia. Esse sostengono, al contempo, che il metodo dell'analisi sociale comunista si potrebbe benissimo applicare nel contesto latino-americano, senza accettare minimamente il materialismo dell'ideologia marxista.
Ma scegliendo uno strumento d'analisi che si esprime in termini di classi e non di strati sociali, la Teologia della Liberazione ha cambiato le prospettive tradizionali della dottrina sociale della Chiesa. Quest'ultima, criticano i teologi della liberazione, tende ad analizzare la società in termini di gruppi sociali sovrapposti ma non collegati fra loro in maniera strutturale. Ne risulta che il bene comune consiste nel chiedere ad ognuno di contribuire al benessere dell'insieme, rimanendo al proprio posto e senza mettere in questione la struttura stessa della società, che attribuisce un posto e un peso indiscutibile a ogni gruppo sociale.
Con questa teologia la Chiesa locale si è caricata di una propria prospettiva, autonoma dalle altre Chiese cattoliche, di ripensamento della pastorale e della spiritualità, di ridefinizione dei rapporti con la società civile e politica. In definitiva si è sviluppato un movimento che vuole un rapporto più incisivo con le strutture politiche presenti nella regione, che anche a forza di forza potrebbe diventare determinante per la salvezza e la giustizia delle popolazioni latino-americane, soggiogate da un cattivo uso del potere.
Il diffondersi in quasi tutto il subcontinente americano, durante tutti gli anni Settanta del Novecento, di dittature militari o di regimi pesantemente repressivi, incentivò l'impegno dei teologi della liberazione che elaborarono proposte sempre più radicali per far fronte all'aggravarsi della crisi politica e sociale latinoamericana.
Per questo la Chiesa latinoamericana "di base" ha rappresentato l'unica grande istituzione in grado di opporsi ai regimi oppressivi dei diritti dell'uomo, svolgendo un ruolo fondamentale nel denunciare gli abusi e nel favorire il ritorno alla giustizia e alla libertà. Ad esempio in Guatemala, alla fine degli anni Ottanta, determinante fu la mediazione di monsignor Rodolfo Quezada Toruño, vescovo di Zapata e Santo Cristo de Esquipulas, per l'apertura di negoziati tra il governo e la guerriglia su temi quali i diritti umani, il reinsediamento nel territorio nazionale delle popolazioni sradicate dalla guerra, l'autonomia delle comunità indigene che rappresentano il sessanta per cento della popolazione guatelmateca.
Grazie al lavoro dei teologici della liberazione e di sacerdoti attivi, nacquero nel subcontinente le "Comunità ecclesiastiche di base" (CEB), nuclei ecumenici impegnati a vivere una fede di partecipazione ai problemi della società. Le CEB sono costituite da gruppi di persone che, abitando nello stesso bairro (quartiere) o villaggio, si incontrano per riflettere sulla propria realtà sociale e religiosa alla luce delle Sacre Scritture e nella consapevolezza acquisita della drammatica situazione sociale o politica in cui si è inseriti. Da questa analisi, fatta con lo sguardo rivolto alla realtà sociale, esse rivendicano un miglioramento delle condizioni di vita. Notevole sviluppo delle CEB si ebbero soprattutto in Brasile. Qui, grazie anche all'appoggio del cardinale di San Paolo, Paulo Arns, e del vescovo Helder Camara, ne sorsero quasi centomila.
Se la costola più numerosa della Chiesa latinoamericana si dedicò alla lotta contro l'ingiustizia con il solo Vangelo, un'altra - nel desiderio legittimo di trovare nel Vangelo una risposta alle situazioni inaccettabili di ingiustizia e di povertà che affliggevano il continente - finì col ridurre il messaggio evangelico a politica, la figura del Cristo a quella di un guerrigliero rivoluzionario, non già immolatosi liberamente per la salvezza dell'umanità, ma vittima involontaria del potere politico.
E' il caso della Chiesa in Nicaragua, dove numerosi sacerdoti e laici cattolici presero attivamente parte alla lotta armata contro la dittatura di Anastasio Somoza e in seguito sacerdoti come Ernesto Cardenal, Miguel D'Escoto, Fernando Cardenal e Edgar Parrales entrarono nel governo sandinista (divennero rispettivamente ministro della Cultura, ministro degli Esteri, ministro dell'Educazione, ministro del Benessere sociale).
La Chiesa latinoamericana è considerata per necessità dai teologi della liberazione un'istituzione di frontiera, con un tragico bilancio di sacerdoti e vescovi uccisi solo perché schierati dalla parte dei deboli.
Tra questi, credo sia doveroso ricordare il martirio di monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador. Egli denunciò apertamente i misfatti della Destra salvadoregna, arrivando ad invitare i militari a «disobbedire» al regime. Il suo impegno a pubblico oppositore della dittatura in difesa dei più deboli, gli costò la vita. Il 24 marzo 1980 fu ucciso da un miliziano del colonnello D'Aubuisson che gli sparò mentre celebrava la messa nella cappella dell'ospedale dedicato alla Divina Provvidenza.
L'ingiustizia politica diventa ingiustizia sociale e di conseguenza violenza economica. Così, mentre la Chiesa universale si è fatta carico delle istanze della società, propugnando il bisogno di un intervento significativo sul piano politico e sociale; quella locale è passata ai fatti partecipando, a volte, alla stessa tensione rivoluzionaria: non possiamo non ricordare la figura del colombiano Camillo Torres, il prete guerrigliero; a questo si possono aggiungere, come riferito, la partecipazione di molti sacerdoti all'azione che rovesciò nel 1979 in Nicaragua la dittatura di Anastasio Somoza; la partecipazione alla lotta rivoluzionaria ad Haiti del missionario salesiano e sacerdote Jean-Bertrand Aristide, poi ovviamente allontanato dall'Ordine nel 1988, sino a diventare presidente dello Stato.
Le "Teologie della Liberazione", quindi, sono il tentativo di comprendere la fede come liberatrice dei popoli sfruttati politicamente ed economicamente, attraverso l'impegno necessario della partecipazione alle lotte politiche e rivoluzionarie. Si tratta in pratica di teologie che non si domandando se Dio esista, ma dove sia. La base di elaborazione del loro pensiero si ritrova nella realtà delle lotte sociali e nell'impegno dei cristiani in favore della giustizia. Ovviamente l'impegno prospettato dal Vaticano è di tutt'altro tipo. Per questo è presente una "certa" condanna a queste teologie ritenute troppo vicine all'ideologie marxiste, ma che soprattutto rimettevano in discussione il complesso della lettura dogmatica e dunque la posizione dell'autorità religiosa definita come unica ed esclusiva garante dell'ortodossia. Da qui i vari provvedimenti disciplinari a carico degli ecclesiastici che si sono discostati dalla linea vaticana: condanne ed emarginazione dei teologi della liberazione, interdizione dell'insegnamento, censura dei loro scritti, scomunica.
Il primo ad essere scomunicato fu il sacerdote Ernesto Cardenal, che aveva addirittura partecipato alla rivoluzione sandinista nicaraguese contro il dittatore Anastasio Somoza, diventando ministro della Pubblica Istruzione nel governo che si installò dopo la dittatura. Nel corso della sua prima visita in Nicaragua nel 1983, Giovanni Paolo II rimproverò in pubblico il prete Ernesto Cardenal chiedendogli di regolarizzare la sua posizione. Le immagini del papa col dito alzato contro Cardenal, che era in ginocchio, fecero il giro del mondo. Negli ambienti latinoamericani quell'ammonizione risultò una "bestemmia", visto che poi papa Giovanni Paolo II non solo non rifiutò di stringere la mano a Pinochet, ma con lui si affacciò al balcone della Moneda per salutare la folla.
Altri provvedimenti disciplinari più eclatanti furono quelli a carico dei brasiliani Leonard Boff e del vescovo di São Felix do Araguaia, monsignor Pedro Casaldaliga; a questi seguirono l'allontanamento "per sopraggiunta anzianità" di monsignor Helder Camara, uno dei promotori della Conferenza di Medellìn, il quale fu sostituito dal conservatore Cardoso Sobrinho. Vedremo un po' più in dettaglio alcuni provvedimenti presi dalla Santa Sede per contrastare questa teologia.
La Teologia della Liberazione non piacque solo a Roma, anche gli Stati Uniti d'America si allarmarono, o forse è meglio asserire che sentirono minacciati i propri interessi nel sottocontinente. Il famoso "Rapporto Rockefeller" redatto tra la fine degli anni Sessanta del secolo scorso e gli inizi della decade successiva, indicava la Chiesa cattolica del sottocontinente come il maggior problema per gli interessi statunitensi nella sub-continente. Nel rapporto si affermava che la Chiesa cattolica in America Latina era ormai divenuta una "forza orientata al rinnovamento, anche rivoluzionario se fosse necessario", mossa "da profondo idealismo" e "vulnerabile alla penetrazione sovversiva, pronta ad intraprendere, se fosse necessario, una rivoluzione per porre termine alle ingiustizie". Concretamente gli statunitensi temevano i movimenti di liberazione nazionale ora giustificati persino da una teologia cristiana, che indubbiamente li trasformava in veri e propri eroi e liberatori dall'ingiustizie presenti nel sottocontinente.
Il difficile rapporto di Roma con le Comunità di Base latinoamericane. A soli tre mesi dall'elezione, il 25 gennaio 1979, papa Giovanni Paolo II è andato in America Latina per la grande conferenza di Puebla. Il suo predecessore, Giovanni Paolo I, il mite pontefice morto improvvisamente dopo soli trentatré giorni di pontificato, aveva deciso invece di non presenziare personalmente alla grande riunione dell'episcopato latinoamericano di Puebla, in Messico. Aveva stabilito di nominare un suo delegato che seguisse i lavori del Celam, scegliendo di non interferire.
Incontrando i trentadue cardinali, i sessantasei arcivescovi, i centotrentuno vescovi, i quarantacinque sacerdoti, i cinquantuno religiosi, i quattro diaconi permanenti, i trentatré laici riuniti a Puebla, in Messico, papa Wojtyla ha rilanciato, in evidente contrasto con quella "certa teologia" presente nella regione, l'unico grande obiettivo della Chiesa universale, una nuova comunione di fede, precisando che la Chiesa deve «mantenersi libera di fronte agli opposti sistemi, per optare solo in favore dell'uomo».
Papa Giovanni Paolo II partì da una considerazione forte, che risuonò come forti bacchettate: «si pretende di mostrare Gesù come impegnato politicamente, come uno che combatte contro la dominazione romana e contro i potenti, anzi, implicato in una lotta di classe. Questa concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazareth, non si compagina con la catechesi della Chiesa».
Proprio a Puebla Giovanni Paolo, per cercare di riassorbire nel suo disegno cristiano le spinte sociali e politiche (ma anche liturgiche) delle Teologie della Liberazione, comprese che uno dei compiti più urgenti del suo pontificato avrebbe dovuto essere quello di dotare la sua comunità di una dottrina del tutto propria in materia sociale. Contemporaneamente nominò personalmente i tre presidenti dell'assemblea del Celam: i cardinali Sebastiano Baggio ed Ernesto Corripio Ahumada, entrambi contrari alla teologia della liberazione, e il cardinale Aloísio Lorscheider, molto vicino alla stessa teologia.
Accanto alle sanzioni disciplinari e alle scomuniche, Giovanni Paolo ha affidato alla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dal "sceriffo" della teologia cardinale Joseph Ratzinger (divenuto poi papa col nome di Benedetto XVI), il compito di operare una revisione critica della stessa Teologia della Liberazione. La Congregazione ha stilato dei documenti che propongono una lettura diversa del messaggio di liberazione: il primo del 1984, intitolato "Istruzioni su alcuni aspetti della teologia della liberazione", il secondo del 1986 intitolato "Istruzione su libertà cristiana e liberazione".
Nel primo documento, quello del 1984, è condannata ogni forma di ibridazione ideologica e teologica, accusando i teologi cosiddetti della liberazione di «gravi deviazioni teologiche». Pur riconoscendo la drammatica situazione della regione che vede «l'accaparramento della maggior parte delle ricchezze ad opera di un'oligarchia di proprietari privi di coscienza sociale», l'assoluta assenza «dello stato di diritto» che calpesta i più elementari diritti dell'uomo, la «corruzione di certi dirigenti al potere, e le pratiche selvagge di certo capitale di origine straniera», si diffida dal rovesciare queste «strutture generatrici di ingiustizia mediante la violenza rivoluzionaria», perché questa «non è ipso facto l'inizio della instaurazione di un regime giusto». Nel documento, come al solito, non poteva mancare il riferimento al "demonio rosso" rappresentato dal regime sovietico: «Tutti coloro che vogliono sinceramente la liberazione dei loro fratelli devono riflettere su un fatto di grande rilevanza del nostro tempo. Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui essi sono stati privati da parte dei regimi totalitari e atei, che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne per l'uomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire».
Nel documento del 1986, "Istruzione su libertà cristiana e liberazione", è chiaro l'orientamento vaticano che vuole sottrarre alcune idee e alcuni concetti (come quelli di povero e di ingiustizia) da certa letteratura marxista. Precisa è nel documento la presa di distanza da certe culture politiche ispirate dall'ideologia marxista, in quanto confonde il povero del Vangelo con il povero (proletario) di Marx e perché «coloro che screditano la via delle riforme in favore del mito della rivoluzione, non solo nutrono l'illusione che l'abolizione di una situazione iniqua basti di per se stessa a creare una società più umana, ma favoriscono pure l'avvento di regimi totalitari».
La lezione dei documenti in definitiva è la seguente: la fede va tenuta separata dalla politica; il Vangelo è sì fonte di liberazione, ma solo dal "peccato", vale a dire è fonte di liberazione (forse è meglio dire "redenzione") etico-religiosa e non politico-sociale. Quindi la "liberazione" può essere affermata unicamente come categoria puramente spirituale-salvifica, comunque essa deve essere inquadrata necessariamente dentro l'alveo di Santa Romana Chiesa.
Per ri-cristianizzare certe Chiese locali, considerate troppo di sinistra, il Vaticano ha appoggiato un'organizzazione cattolica molto conservatrice, la Congregazione dei Legionari di Cristo. Congregazione già benedetta da Pio XII nel 1946, è stata definitivamente approvata con decreto da Giovanni Paolo II, che nel 1991 ha personalmente ordinato sessanta legionari nel corso di una solenne cerimonia nella basilica di san Pietro. Al contempo vescovi appartenenti all'organizzazione dell'Opus Dei furono introdotti nelle diocesi "calde" del Perù e del Brasile.
Nel documento conclusivo della IV Conferenza dell'Episcopato Latino Americano, tenutasi a Santo Domingo dal 12 al 28 ottobre 1992, la delegazione ufficiale del Vaticano è riuscita ad evitare che nel documento finale si parlasse di "Teologia della Liberazione" e, nello stesso tempo, ad eliminare o ridurre al massimo termini scomodi come "oppressione" e "liberazione", sostituendoli con termini più morbidi come "promozione umana" e "sviluppo della democrazia".
Lo schema centrale, nonostante gli interventi vaticani, si rifà esplicitamente alle Conferenze di Medellìn e Puebla. Esso s'impernia sui «nuovi segni dei tempi» per l'America Latina: i diritti umani, la terra, il lavoro, le migrazioni, l'integrazione, l'urbanizzazione, la politica e l'economia, l'ecologia, la promozione dei diritti della donna e delle culture autoctone. Sulla linea dell'enciclica Centesimus annus, che riconosce l'importanza dell'impresa, del mercato e della proprietà privata, il documento propone un nuovo ordine economico, sociale e politico senza le attuali gravissime disuguaglianze, assieme ad una maggiore solidarietà fra le classi e una maggiore partecipazione popolare. Esso si rivolge ai laici, invitandoli a creare con giustizia nuovi modelli socio-economici a livello locale, nazionale e internazionale.
Nella prospettiva di papa Giovanni Paolo II, la questione sociale del continente deve essere ricondotta unicamente sui binari del pensiero cristiano, per poter intervenire sul piano politico e sociale in maniera meno conflittuale possibile. Così quando la risposta alle ingiustizie diventa violenza, il pontefice la sconfessa: «La violenza non è cristiana!», così ha tuonato papa Wojtyla durante il suo viaggio in Nicaragua nel 1983. Per raffreddare le spinte rivoluzionarie provenienti dal clero, ma anche per allontanare l'accusa alla Chiesa, da parte dei governi della regione, di fomentare la guerriglia, Giovanni Paolo ha deciso di "riequilibrare" gli episcopati più avanzati con una serie di nomine episcopali orientate romanamente.
Giovanni Paolo II ha detto così un forte no alla Teologia della Liberazione, senza proporre tuttavia alcuna alternativa che fosse la visione dottrinale della Chiesa. Questo ha sicuramente contribuito alla crescente migrazione di una parte di cattolici verso le Chiese cristiane riformate.
Il discorso della giustizia in America latina è stato in ogni modo molto a cuore al pontefice polacco, che non ha perso occasione per protestare contro i regimi non democratici presenti nella regione: «I valori come la pace, la libertà, la giustizia e la partecipazione, sono requisiti essenziali per poter avere un'autentica società democratica basata sul libero consenso. La pace non è compatibile con una forma di partecipazione sociale, nella quale solamente alcuni individui instaurano, a loro profitto, un principio di discriminazione secondo il quale il diritto e la stessa esigenza degli altri, vengono a dipendere dall'arbitrio dei più forti». Queste le parole del pontefice durante un discorso fatto in Paraguay nel 1988, davanti ad una platea nella quale molti fedeli si sono imbavagliati per protestare contro la censura governativa.
Giovanni Paolo II tornò in questo continente agli inizi del 1996, dove visitò, dal 5 al 9 febbraio, il Guatemala, il Nicaragua, il Salvador (da lui già visitati nel 1983) e il Venezuela (dove era stato per la prima volta nel 1985). Egli, a distanza di molti anni, trovò novità nel campo politico, con progressi - almeno formali - della democrazia; senza tuttavia riscontrare novità in campo sociale. Di questi cambiamenti politici il pontefice ne fu convinto, anche se purtroppo, a tutt'oggi, l'ingiustizia esiste ancora: «Bisogna dire che vi sono stati tanti cambiamenti dopo il 1989, dopo la caduta dell'Urss. Si sentiva che era un poligono dove c'erano due forze superpotenti che si incontravano, si urtavano e si scontravano. E questi poveri popoli soffrivano di questo. Ora vivono molto più di loro vita autentica, la loro sovranità».
Il compito che Giovanni Paolo si diede, durante questa visita pastorale, fu quello di rilanciare il suo discorso su temi importanti quali la pace, la giustizia, la politica di solidarietà: egli riferendosi alla situazione che trovò, disse: «[...] il necessario cambiamento deve essere di mentalità, di comportamento e di strutture. E dovrà promuovere una cultura della solidarietà che possa prevalere sulla volontà di dominio o di una vita egoistica, così come un'economia di partecipazione, invece di un sistema di accumulazione di beni, che genera un grande divario tra i diversi Stati, ma anche tra i cittadini di uno stesso Paese».
Queste considerazioni resero scomoda la visita pontificia ai gruppi che si opponevano a qualsiasi tipo di riforme che toccavano le tasche dei ricchi, specie in Nicaragua, dove dal maggio 1995 sono stati portati a termine diciannove attentati dinamitardi contro chiese cattoliche.
I campi in cui si muove la politica vaticana di fronte alle realtà latino-americane sono molteplici: accanto alla tradizionale denuncia delle ingiustizie e delle grandi ineguaglianze sociali, assieme ovviamente alla preoccupazione per i diritti dell'uomo e all'opzione per i poveri, c'è la preoccupazione per la difesa e la libertà della Chiesa. Il lavoro diplomatico della Santa Sede si è così sviluppato attraverso la ricerca di concordati, modus vivendi e mediazioni con gli Stati, provvedimenti disciplinari per quei sacerdoti o frati in "odore" di Teologia della Liberazione.
Le "purghe vaticane", ovvero i provvedimenti disciplinari vaticani. Prima di concludere questo nostro breve viaggio attorno alla Teologia della Liberazione in America Latina, credo sia opportuno riferire quali sono stati i più importanti provvedimenti vaticani nella sua "crociata" anticomunista in America Latina.
1979:
- Giovanni Paolo II nomina l'arcivescovo colombiano López, ostile alla Teologia della Liberazione, presidente della Conferenza Episcopale Latino-Americana.
1982:
- Il 29 giugno, in una lettera, il papa scrive ai vescovi del Nicaragua per condannare la "Chiesa popolare" (cioè quella collegata alle "Comunità di base" e alla Teologia della Liberazione).
1984:
- La Congregazione della Dottrina della Fede (Cdf) pone sotto verifica alcune opere del teologo della liberazione peruviano Gustavo Gutièrrez, perché in esse si teme "l'influenza del marxismo";
- il 7 settembre, il francescano Leonard Boff, teologo brasiliano della liberazione, è convocato a Roma;
- in dicembre il generale dei gesuiti, padre Peter-Hans Kolvenbach, espelle dall'ordine padre Fernando Cardenal (fratello di Ernesto), divenuto ministro dell'Educazione nel governo socialista nicaraguense.
1985:
- Con una notificazione dell'11 marzo la Cdf dichiara che "le opzioni di Leonard Boff [contenute nel libro "Chiesa, carisma e potere"] sono tali da mettere in pericolo la sana dottrina della fede". Boff viene "condannato", assieme al cardinale Paolo Evaristo Arns di San Paolo che lo aveva difeso, ad un anno di silenzio;
- il vescovo brasiliano dom Helder Câmara è sostituito da monsignor José Cardoso Sobrinho, che provvede al riordino della diocesi attraverso una lunga serie di richieste di chiarimento - a fronte di allontanamento - di religiosi, sacerdoti e docenti vicini ad una "certa" Teologia della Liberazione.
1988:
- Il nunzio apostolico del Brasile, monsignor Carlo Furno, consegna al vescovo di São Felix do Araguaia, Pedro Casaldáliga, una Intimatio in cui lo si ammonisce per le sue simpatie per la Teologia della Liberazione e s'impongono limiti ai suoi compiti pastorali. Il vescovo rifiuta la lettera.
1989:
- La Congregazione per l'Educazione Cattolica decreta la chiusura in Brasile del seminario regionale del Nordeste 2 e dell'Istituto teologico di Refice, entrambi fondati da monsignor Helder Câmara. La motivazione trova radice nell'educazione "non affidabile" in essi impartita.
1991:
- Il vescovo messicano di Oaxaca, monsignor Bartolomé Carrasco Briseno, è rimosso con la motivazione di essersi compromesso con alcune frange estremistiche della Teologia della Liberazione;
- la Santa Sede fornisce alla Conferenza Latino-americana dei Religiosi un sostegno di coordinamento e verifica pastorale, in considerazione del dilagare di una "certa" Teologia della liberazione;
- si provvede al riesame dell'edizione della Bibbia stampata dalle Edizioni Paoline del Brasile poiché sostenuta da alcuni teologi della liberazione;
- coordinamento alla casa editrice cattolica brasiliana "Vozes", che vede come direttore padre Leonardo Boff. Il religioso, in coerenza con le proprie idee, lascerà la rivista e l'ordine francescano l'anno dopo.
1993:
- Il 28 ottobre, il nunzio apostolico in Messico, monsignor Girolamo Prigione, annuncia la possibile rimozione dalla diocesi messicana di San Cristóbal de las Casas di monsignor Samuel Ruiz troppo "vicino" alle contestazioni del Chiapas e teorico di una chiesa indigena.
1995:
- Monsignor Samuel Ruiz, vescovo del Chiapas, teorico di una "Chiesa indigena" distinta da quella di Gesù Cristo, resta al suo posto, ma viene affiancato da monsignor Raúl Vera Lopez, nominato vescovo coadiutore con diritto di successione.
1997:
- La Santa Sede, dopo la visita apostolica condotta nel 1995 da monsignor Xavier Lozano Barragân nei seminari dei gesuiti in Messico e dopo l'interessamento del prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica cardinale Pio Laghi, fa chiudere l'Istituto Interreligioso e il Centro di Studi cattolici di Città del Messico, dipendenti dalla Conferenza degli Istituti Religiosi Messicani (CIRM) nonché l'Istituto Teologico del Collegio Maximo de Cristo Rey con l'annesso Centro di riflessione teologica retto dalla Compagnia di Gesù. L'opzione praticata a favore della Teologia della Liberazione è la causa principale della "confusione" che regna in questi istituti;
- il segretario della Cdf, monsignor Tarcisio Bertone, in una lettera inviata alla Conferenza dei religiosi della Colombia, biasima le deviazioni riscontrate nella relazione del primo incontro nazionale di teologia della vita religiosa, svoltosi a Bogotà nell'aprile 1996 e pubblicate nella rivista "Vinculum". La relazione della Conferenza dei religiosi della Colombia è ritenuta "pericolosa" poiché pretende di elaborare una teologia della vita religiosa "prescindendo da uno studio serio delle Scritture, della Tradizione e del Magistero".
1998:
- La Cdf riapre ancora una volta la verifica sulla teologia del peruviano Gustavo Gutiérrez;
- in Perù, il cardinale gesuita Augusto Vargas Alzamora, da nove anni primate della Chiesa cattolica di Lima, è sostituito da un membro dell'Opus Dei, monsignor Luis Cipriani.
2000:
- A succedere al cardinale brasiliano Paulo Evaristo Arns, esponente di punta della Teologia della Liberazione brasiliana, che aveva solidarizzato con il tiranno socialista cubano Fidel Castro, è chiamato monsignor Claudio Hummes. La nomina del prelato avviene nonostante le pressioni mass mediatiche, operate anche da ecclesiastici, che chiedevano la nomina di uno dei vescovi ausiliari di Arns oppure dell'arcivescovo di Mariana ed ex presidente della Conferenza Episcopale del Brasile monsignor Luciano Mendes de Almeida.
2005:
- Il 9 gennaio, il Nunzio Apostolico in Brasile monsignor Lorenzo Baldisseri, chiede a dom Pedro Casaldáliga, il noto vescovo "di base" e guerrigliero di São Félix do Araguaia in Brasile, di lasciare la città prima dell'arrivo del suo successore.
A partire dagli anni Ottanta del Novecento vennero alla luce una serie di nuove tematiche legate alla Teologia della Liberazione: critica della razionalità economica, Teologie indigene, Teologie afro-americane, Teologia dell'ecologia, Teologia femminista. Senza entrare nei particolari, è interessante farvi un accenno che permetta di farsi un'idea della diversità dei temi trattati, anche in funzione dei cambiamenti sociali del subcontinente.
La "critica della razionalità economica" nasce dall'assunto del carattere etico che l'economia deve avere. La denuncia dei teologi che criticano la razionalità economica è tutta in funzione delle logiche contorte dell'economia liberale che hanno condotto alle catastrofi sociali ed ecologiche del mondo contemporaneo.
Infatti l'economia neoliberale afferma che certi valori, soprattutto la competitività e l'efficienza, sono supremi e non possono essere annebbiati. Ma questi hanno condotto a una distruzione delle basi della vita, sia materiale che culturale. Gustavo Gutierrez nel "Il Dio della vita", opera del 1982, afferma che "è la vita del povero che costituisce il punto di incontro fra Dio e l'economia, poiché la vita non è soltanto l'eternità, ma l'esistenza concreta di coloro che sono esclusi e oppressi dal sistema economico". La "critica della razionalità economica" porta in definitiva all'affermazione del valore della persona in sé e non come unità di produzione.
Di fronte al carattere "bianco" delle Teologie della Liberazione, sono sorte delle repliche all'interno delle comunità indigene e nere del continente, sviluppando quelle che si sono chiamate "Teologie indigene" e "Teologie afro-americane".
Partendo dal presupposto che da sempre gli indigeni sono soggetti di studi, ma non soggetti di storia, le Teologie indigene si sono imperniate su questioni quali l'autonomia, le culture tradizionali, le religioni locali degli autoctoni del subcontinente.
Quattro importanti incontri di Teologia indigena si sono svolti. Il primo a Città del Messico, nel 1991, il secondo a Panama, nel 1993, il terzo in Ecuador, nel 1994, e infine in Bolivia nel 1997. In questi incontri si è elaborata una nuova prospettiva della Teologia della Liberazione: questa consiste soprattutto nel considerare le culture indigene, oltre come realtà storica collettiva, anche come luoghi teologici.
E' compito specifico della teologia accompagnare teologicamente la costruzione del soggetto indigeno come popolo e come persona, quando sono è messa in pericolo la base economica della sua vita, quando è imposta l'uniformità culturale.
Un nuovo modo di fare teologia con particolare riguardo agli afro-americani è meglio sviluppato a partire dal 1994. In questa data, infatti, si è svolta a Nova Iguaçù (Brasile), sotto gli auspici dell'Associazione dei Teologi del Terzo Mondo, una tavola rotonda su "Cultura nera e teologia". Sviluppando nuove prospettive sui concetti di razze, classi e generi, e proponendo di riconoscere l'alterità dei gruppi afro-americani, è stato dato inizio ad una critica radicale del "feticismo dei bianchi" non solo per demolire una "certa" antropologia etnocentrica, ma anche nel senso stesso della produzione teologica.
Partendo dal presupposto che le risorse sono limitate e che la natura deve essere considerata come spazio vitale e non come semplice risorsa economica, è nata anche la "Teologia dell'ecologia". L'assunto principale dei fautori di questa corrente teologica è la concezione cosmico-ecologica, che considera l'essere umano come in simbiosi con la natura e non come padrone e distruttore di essa. Per questo è stata sviluppata concezione olistica dell'universo, in particolare una relazione positiva e non distruttiva fra l'uomo e la natura.
Anche le donne hanno giustamente rivendicato una propria corrente di pensiero all'interno della Teologia della Liberazione. Questa corrente teologica si fonda sulla constatazione che le donne sono doppiamente oppresse, per l'appartenenza di genere e per la classe sociale: l'emarginazione delle donne, nello spazio sociale, culturale, politico e religioso (compreso quello cristiano-cattolico) è una realtà innegabile. Da queste constatazioni parte un pensiero teologico specifico sulle donne, basato su una concezione unitaria dell'essere umano, considerato anche nelle sue differenze.
Queste concezioni furono tutte discusse in tre importanti congressi (a Città del Messico, nel 1979; a Buenos Aires, nel 1985; a Rio de Janeiro, nel 1993), dove si approntò dettagliatamente l'assunto che anche le donne
devono essere un soggetto teologico specifico di liberazione.
Nel corso della sua esistenza, come abbiamo visto, la Teologia della Liberazione (e i suoi teologi) sono stati perseguitati dai regimi di destra operanti in America Latina, con assassini ed agguati ai suoi esponenti, e duramente criticati o condannati da Santa Romana Chiesa. Tutti i procedimenti disciplinari del Vaticano sono serviti da punizione a chi ha voluto avvicinare Dio a Marx, ma soprattutto sono stati una dura lezione a chi ha voluto rimettere in discussione il complesso della lettura dogmatica e dunque la posizione del papa e della sua "leale" gerarchia, definita come unica ed esclusiva depositaria e garante dell'ortodossia. Ma la Teologia della Liberazione è un'altra cosa, come Leonard Boff stesso riferisce:
«La mia Chiesa è uscita dalla sacrestia. E ha smesso di accendere candele, e di "leggere il Vangelo" sulle teste dei bambini come se fosse un vaccino; di pretendere primizie e primizie della terra da coloro che non hanno né terre né primizie. Ha smesso di preparare l'uomo solo per l'aldilà. Ed è uscita fuori alla ricerca dei "Lontani" [...]. Facendo rilettura del Vangelo ha scoperto che la Parola è la voce di chi non ha voce, è la forza di chi non ha forza. Ha capito che doveva fare la scelta per l'"Altro", il "Lontano". Ed è andata a cercarlo nei campi, nelle piantagioni, nelle fabbriche, nelle segherie, nelle officine, nei mercati. E lo ha coscientizzato. Gli ha insegnato che è un essere umano, creato ad immagine di Dio; che deve unirsi agli altri umani perché l'unione è forza irresistibile contro gli sfruttatori e gli oppressori. E poco a poco, "l'Altro" ha cominciato ad alzare la testa, a sentirsi uomo, a farsi rispettare. Per questo, la mia Chiesa ha conosciuto la persecuzione: l'hanno accusata di essere sovversiva, di voler fare la rivoluzione, di predicare l'odio, la violenza, e la lotta di classe. Hanno perseguitato numerosi suoi figli. Alcuni li hanno assassinati, altri torturati, altri ancora li hanno mutilati, sfigurati, imprigionati, espulsi, fatti sparire. [ma] sono apparsi i Profeti Minori dell'America Latina: Hélder Camara, Leonidas Proaño, Gustavo Gutierrez, Sergio Mendez Arceo. E altri e altri ancora. E questi e tutti gli altri hanno rinvigorito la mia Chiesa nel cammino verso la Liberazione. Il prezzo è stato ed è tuttora alto: molto sangue è stato sparso. Corpi sono stati fatti a pezzi. E poi, passaporti ritirati, articoli sui giornali, libri pubblicati, programmi alla radio e alla televisione contro la mia Chiesa. Ed essa, poveretta, sempre tentata di tornare indietro, di rintanarsi di nuovo in sacrestia. Di benedire ancor con l'acqua santa, distribuire ancora medagliette [...]. Ma poi si ricordava del suo Sposo, trattato pure Lui da sovversivo, da agitatore, da rivoluzionario ("se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi"). Lui è stato assassinato, ma non il suo messaggio. Hanno ucciso molti figli della mia Chiesa ma non la Buona Novella che portavano. La mia Chiesa continua la sua strada. E l'uomo sarà libero: lascerà dietro a sé la schiavitù, la miseria, la disperazione. E la mia Chiesa, incompresa, criticata, ostacolata, sarà salvezza per chi l'ama, per altri perdizione. Ingiuriati, perseguitati, ma cantando, io, la mia Chiesa e i "Lontani" cerchiamo "cieli nuovi e terre nuove", camminiamo verso la Liberazione» [ da America Latina in Preghiera].
Mentre la "Chiesa ufficiale" da una parte condannava i teologi della liberazione, cercando di far rientrare una "certa" Chiesa locale nella preconfezionata sacrestia, e dall'altra dava il sacramento della comunione ai dittatori latinoamericani di turno, un'altra Chiesa era più vicina a Dio che al papa, sfidando a caro prezzo le dittature e promuovendo conquiste importanti nella lotta contro l'ingiustizia politica e sociale.
Tutto il mondo in cui viviamo oggi, con le sue guerre, con la sua violenza politica, con la fame e l'ingiustizia dilagante, è una grande offesa al progetto di Dio. Per questo, ogni cristiano che vive il mistero della fede con gioia, con senso puro di liberazione, che vive l'amore per il Prossimo, l'impegno per la lotta per la giustizia, aiuta i poveri e i diseredati, pratica la Teologia della liberazione.
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