Denigrare prima di storicizzare: è il destino di un decennio cruciale, che gli studiosi trascurano e gli artisti affrontano con presunzione. Tra i personaggi più discussi una vera rivoluzionaria a Downing Street.
|
|
GLI ANNI OTTANTA
DELLA THATCHER
|
|
|
Yuppies, guadagni facili, culto dell'immagine e una buona dose di cinismo. E' questa l'idea, un po' da "Milano da bere", che nell'immaginario collettivo, quanto meno italiano, si ha dei favolosi (o maledetti?) anni Ottanta. Mentre le generazioni che hanno fatto il '68 e il '77, tutti comodamente seduti sulle poltrone che più contano del mondo dei media di casa nostra, non perdono un colpo per descrivere i cupi "anni di piombo" come "anni formidabili", degli Ottanta, a parte un'immotivata nostalgia per la musica dell'epoca, se ne sente parlare solo male. Lo confermano, proprio in questi giorni, anche due spettacoli teatrali, Diario degli anni Ottanta e, soprattutto, I miserabili - Io e Margareth Thatcher di Marco Paolini, molto critici verso quel decennio. A questa impostazione "negativa" risponde il fatuo film Notte prima degli esami (come dire: di quel decennio salviamo solo l'aspetto più giovanilistico e innocente), mentre la pubblicistica e la narrativa pullulano di scritti che demonizzano i massimi protagonisti politici di quell'epoca, Margaret Thatcher e Ronald Reagan. In particolare la "lady di ferro" gode della simpatia solo della solita sparuta minoranza liberale.
Eppure basterebbe andarsi a rileggere le cronache di quegli anni per capire cosa significò per il suo Paese, ma anche per il mondo, la politica liberale della signora Thatcher. Nel 1979 la Gran Bretagna usciva da quello che passò alla storia, parafrasando Shakespeare, come l'inverno del malcontento. L'inflazione era stabilmente a due cifre, il Paese era in piena recessione, il governo laburista si vide costretto nel 1976 a chiedere un prestito al Fondo Monetario Internazionale. Il sindacato, ideologizzato e agguerrito come non mai, metteva in ginocchio la nazione con una lunga serie di scioperi destabilizzanti. Nell'inverno 1978-79 l'Inghilterra era distante anni luce da quella glamour, ricca e felice degli anni Sessanta: cumuli di immondizie si ammassavano per le vie di Londra a causa dello sciopero dei netturbini, l'elettricità era razionata, la settimana lavorativa era di tre giorni. Fu questo lo scenario che vide tornare al potere il partito conservatore.
Margaret Hilda Thatcher nasce a Grantham, nel Lincolnshire il 13 ottobre 1925, figlia di un droghiere e di una sarta. Eletta nella Camera dei Comuni nel 1959, è stata ministro dell'istruzione dal 1970 al 1974. Nel 1975 assurge a leader del partito conservatore che nel 1979 guiderà al successo elettorale. Prima donna Primo Ministro nella storia britannica, resterà in carica per tre mandati consecutivi (record eguagliato da Tony Blair) fino al 22 novembre 1990, giorno delle sue dimissioni.
In quegli 11 anni la lady di ferro rivoluzionò la Gran Bretagna, mettendo fine a decenni di statalismo e rilanciando nel mondo, grazie anche alla comunanza di vedute con il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, le politiche liberali. Un successo che forse non sarebbe stato possibile senza la guerra delle Falklands, che permisero a una Thatcher in difficoltà di essere rieletta dopo il primo mandato. Con il suo avvento, infatti, la crisi economica peggiorò ulteriormente con un crollo del Pil dell'11%. Ma a correre in suo soccorso ci pensò Leopoldo Galtieri, capo della giunta militare argentina, che per cercare di uscire dalla crisi economica e dal crollo dei consensi che lo attanagliava, puntò tutte le sue carte sul sentimento nazionalistico e invase (cade in questi giorni il venticinquennale), le isole Falklands, o Malvinas, situate nel sud dell'Atlantico e appartenenti al Regno Unito. La reazione britannica fu sorprendente: un Paese in declino, sia economico che di fiducia, seppe ritrovare l'orgoglio del suo glorioso passato imperiale e nel giro di pochi mesi riprese il controllo dell'arcipelago. Un successo che consentì alla Thatcher di essere trionfalmente riconfermata al numero 10 di Downing Street. Da allora la lady di ferro impresse un'accelerata alle riforme liberali, vincendo la storica battaglia con il sindacato per la chiusura delle miniere, cominciando un'ampia politica di privatizzazioni e vendendo le case di proprietà pubblica agli inquilini. Una serie di riforme che cambiarono il volto della Gran Bretagna.
Difficile immaginare un leader politico che abbia diviso di più elettori e osservatori: sembra proprio che la Thatcher la si possa amare o odiare. Tertium non datur. Ma le sue politiche, autenticamente rivoluzionarie, insieme a quelle di Ronald Reagan hanno saputo dare una spallata allo statalismo imperante rilanciando il pensiero liberale, permettendo a Gran Bretagna e Stati Uniti di affrontare in modo più attrezzato la globalizzazione. Prova ne è che Tony Blair, successore laburista alla lady di ferro, dopo la breve parentesi di John Major, ha pensato bene di non mettere in discussione nessuna delle riforme realizzate dalla Thatcher. E persino Massimo D'Alema ebbe parole di elogio per le riforme volute dalla Lady di Ferro. Un giorno, quando ci si deciderà finalmente a dare una rilettura più obiettiva di quegli anni, ci sarà spazio anche in Italia per una rivalutazione della politica della signora Thatcher.
|
|
|
|