L’omicidio del capitano Estermann, di sua moglie e del caporale Cédric Tornay: nessuno all’infuori delle autorità vaticane, ha potuto verificare come si siano svolti realmente i fatti e ciò ha lasciato spazio a ipotesi e illazioni
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(Prima Parte) |
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Si è sempre pensato che il Vaticane in fondo potesse essere un angolo dell’universo inviolabile da parte delle forze del Male, ma chi conosce un po’ di storia è informato dei molti intrighi che si nascondono tra quelle mura. Lo stesso papa Paolo VI, il 29 giugno del 1972, nell’omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo, lo aveva confermato: «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa».
Molte sono le vicende che non convincono, troppe sono le oscurità mai illuminate: dai “buchi” miliardari di monsignor Marcinkus, per molti anni potente capo della Banca Vaticana (IOR), alla morte repentina di papa Luciani, che troppo scompiglio voleva portare ai vertici della Curia romana, dal tentativo di assassinio di Giovanni Paolo II alla scomparsa di Emanuela Orlandi, dalla vicenda di cardinali spioni al soldo dell’Unione Sovietica alla strage del maggio 1998 in cui persero la vita un comandante, un caporale e una diplomatica. Questo per restare nella storia contemporanea, perché se andiamo a ritroso nel passato, la storia terrena di Santa Romana Ecclesia è macchiata di ben altro.
Due sono le vicende che più hanno impressionato l’opinione pubblica, anche per le reticenze e le frettolose giustificazioni da parte delle autorità vaticane: l’improvvisa morte di papa Giovanni Paolo I e la strage del 1998 tra guardie svizzere. Della prima vicenda mi sono già occupato (cfr. il mio, “La strana morte di papa Luciani. Un decesso all’italiana?”, in Storia in Network, numero 97, novembre 2004. http://www.storiain.net/artic/artic4.asp), della seconda ci occuperemo in queste pagine.
Esistono dei precedenti che hanno “macchiato” l’onorabilità della Guardia Svizzera, almeno nei nostri tempi.
Un primo fatto di sangue risale all’8 aprile del 1959, quando, nella tarda mattinata di quel giorno, l’allora comandante della Guardia Svizzera, il colonnello Robert Nunlist, fu colpito volontariamente da quattro colpi di pistola dal caporale Adolf Ruckert, il quale aveva tentato poi di suicidarsi, ma l’arma s’era inceppata, cosicché entrambi alla fine rimasero in vita. Nel 1970, invece, Hughes de Wurstemberger, un fotografo, riuscì a superare la selezione e ad arruolarsi per un anno nelle Guardie Svizzere, con lo scopo preciso di documentare la vita di caserma. Negli anni Ottanta, a Castel Gandolfo, un alabardiere ubriaco fradicio si era tuffato nudo nella fontana del Bernini e, prima di essere arrestato, riuscì ad urlare un misto di insulti in italiano e tedesco. Nel 1983 due guardie, nonostante il regolamento prevedesse che dovessero indossare pantaloni lunghi anche in agosto, erano state fotografate in costume sulla terrazza della Torre di Alessandro VI. In quegli stessi anni, l’alabardiere Bernhard Dura, dopo aver prolungato la ferma da due a quattro anni, si convertì al protestantesimo e scrisse un libro assai polemico sulla milizia dal titolo Non più guardia ma cristiano. Nel 1995, per festeggiare lo scudetto della squadra di calcio del loro Cantone, una decina di guardie, dopo aver bevuto, si erano messe a rovinare nella notte le auto parcheggiate in piazza Risorgimento.
Ma chi sono i “guardiani svizzeri del papa”?
Il corpo della Guardia Svizzera Pontificia, la Cohors pedestris Helvetiorum a sacra custodia Pontificis è al servizio del pontefice romano fin dal lontano 1506, anno in cui fu posta la prima pietra della nuova grande basilica di San Pietro. Il 22 gennaio di quell’anno, era di giovedì, un gruppo di centocinquanta svizzeri, arruolati da von Hertenstein, cubiculario pontificio e decano del capitolo lucernese, dopo il tramonto entrò per la prima volta attraverso Porta del Popolo, nello Stato Pontificio, mettendosi al servizio di papa Giulio II. Erano già vestiti a spese del papa e il loro capitano era Gaspare de Silenen, patrizio di Lucerna. Il denaro per le prime spese, 490 ducati larghi e a 970 ducati comuni, era stato anticipato dalla famosa banca dei fratelli Fugger. Già in precedenza, nel 1479, Sisto IV aveva concluso, grazie al lavoro iniziato tre anni prima da un suo legato pontificio, un accordo con i confederati che prevedeva la possibilità di reclutare mercenari elvetici.
Papa Giulio II, attraverso la mediazione del vescovo di Sion, Matteo Schinner, ottenne dagli elvetici anche truppe di combattimento. La gratitudine del pontefice verso la confederazione fu così alta da donare, nel 1512, lo stocco e l'elmo, onori riservati solitamente ai principi, accordando agli svizzeri anche il prestigioso titolo di Defensores libertatis Ecclesiae.
La fedeltà degli svizzeri, nonostante l’attrito con i romani che avevano perso la prerogativa di difendere il papa, ebbe il suo apice il 6 maggio 1527, durante il famoso “sacco di Roma” da parte delle milizie lanzichenecche. Il sacrificio di oltre cento guardie del papa, permise a Clemente VII di avere salva la vita fuggendo attraverso il Passetto di Borgo per raggiungere Castel Sant’Angelo. Alla resa di papa Clemente VII, il 5 giugno, tutte le guardie svizzere furono sostituite da duecento lanzichenecchi. Il pontefice ottenne che gli svizzeri sopravvissuti fossero inclusi nella nuova guardia, ma solo dodici di loro accettarono.
Nel 1542 papa Paolo III, ripristinò in parte la Guardia Svizzera, riprendendo al suo servizio seicento confederati, ripartendoli ugualmente tra Roma, Firenze, Ancona e Bologna. Tali svizzeri furono arruolati per soli tre anni.
La ricostituzione vera e propria del corpo della “Guardia del Pontefice romano” fu decretata da papa Paolo III il 3 febbraio 1548, con un effettivo di duecentoventicinque uomini.
Nel 1555 Marcello II, appena salito al Trono di Pietro, licenziò la Guardia Svizzera: secondo il pontefice il papa non aveva bisogno di uomini armati per sua difesa. Al contrario, nel 1561, tra papa Pio IV e la Guardia Svizzera furono stabiliti i Capitala capitanorum Castodiae Helveticoraum.
Anche nel Seicento e nel Settecento la fedele “guardia del papa” continuò a godere il favore e le cure dei pontefici, ottenendo da Urbano VIII la costruzione del quartiere residenziale per le guardie stesse nell'angolo orientale del palazzo apostolico. Questo quartiere fu ristretto per volere di papa Alessandro VII, per far posto al famoso colonnato che si apre in piazza San Pietro.
Nel 1798 in seguito all'invasione francese e alla prigionia di papa Pio VI, la guardia fu dispersa per essere ricostituita in parte nel 1800 da Pio VII. Nel 1814, papa Pio VII, di ritorno a Roma, affidò al colonnello Carlo Pfyffer d'Altishofen l'incarico di ricostituire un corpo permanente di Guardie Svizzere. Papa Leone XII, nel 1824, ne consolidò poi l'assetto con una convenzione col governo di Lucerna per la quale la Guardia fu portata a duecento uomini. Tale convenzione, con lievi modifiche, vige tuttora.
Secondo alcuni studiosi, il pittoresco costume indossato dalla Guardia del papa lo avrebbe suggerito Michelangelo, secondo altri il disegno sarebbe stato dato da Raffaello, il quale poi sarebbe proprio l'inventore della caratteristica manica larga a sbuffi.
A tutt’oggi, per essere ammessi a far parte della Guardia Svizzera bisogna possedere ben determinati requisiti: essere maschi con un’età compresa tra i diciannove e i trent’anni e con un’altezza non inferiore a centosettantaquattro centimetri, essere ovviamente cattolici battezzati e cresimati, avere la cittadinanza svizzera, avere un particolare certificato di buona condotta.
Dopo aver studiato brevemente la storia delle Guardie Svizzere, torniamo alla nostra triste vicenda.
Nel tardissimo pomeriggio del 4 maggio 1998, intorno alle 19, qualcuno blocca il vice-caporale Cédric Tornay, che aveva ultimato il suo servizio di guardia straordinario nell’androne d’ingresso di una palazzina vaticana dov’era riunito uno dei Gruppi di lavoro linguistici del Sinodo dei vescovi. Lo fa probabilmente a fine servizio, oppure al suo rientro nell’alloggio. La guardia viene portata nello scantinato della palazzina dove abitano i coniugi Estermann, non lontana dal Palazzo Apostolico. Raggiunto il sotterraneo, la guardia è colpita sopra l’orecchio sinistro e perde coscienza. Poi, poco prima delle 21, questo qualcuno, probabilmente accompagnato da altri, riesce ad entrare nell’appartamento privato del neo comandante delle Guardie Svizzere, Estermann, uccidendo con due colpi, uno alla testa e uno al torace, lo stesso ufficiale, che in quel momento stava probabilmente parlando al telefono. Un solo colpo, invece, penetrato dalla spalla sinistra è bastato per eliminare una testimone scomoda: la moglie dello stesso comandante. La signora muore subito, accasciandosi seduta con le spalle al muro. Successivamente il corpo di Cédric Tornay viene trasportato nell’abitazione degli Estermann per allestire la messinscena dell’omicidio-suicidio. Infatti, portato il vice-caporale negli appartamenti privati del comandante Estermann, questo qualcuno rivolge la pistola verso il vice caporale e, infilandola in bocca, spara un solo colpo. Compiuta la strage, inizia ad inscenare il delitto-suicidio perfetto. Il sicario fa impugnare al cadavere di Cédric Tornay la pistola della strage e, probabilmente, spara verso il soffitto, perché è fondamentale che la mano del vice-caporale risulti positiva all’esame del guanto di paraffina. Finito tutto, con calma, la medesima calma usata per la strage, il gruppo lascia lo stabile attraverso il locale sotterraneo e si allontana nell’ombra della sera tra le stradine deserte della Città del Vaticano.
Questo potrebbe essere lo scenario del crimine che si consumò la tarda serata del 4 maggio 1998. La versione ufficiale, quella dettata dalle autorità vaticane, fu completamente diversa.
Fin dall’inizio, la vicenda sembrò infatti ben più complessa di quanto la versione ufficiale lasciasse comprendere e molti dubbi e interrogativi iniziarono a rincorrersi dalla stessa sera della tragedia.
Quello che più inorridisce è la descrizione che è stata fatta da più parti del vice-caporale Cédric Tornay, un ragazzone nato in una cittadina del cantone vallese il 24 giugno 1974, in forza alla Guardia Svizzera da tre anni e mezzo: egli è stato dipinto come un omicida, un suicida, un omosessuale, un prostituto, un drogato, un malato, e chi più ne ha più ne metta. Studieremo più avanti, smontandole, queste terribili accuse.
Ufficialmente i corpi del neo comandante Alois Estermann, di sua moglie Glady Moza Romero, venezuelana e funzionaria dell’ambasciata del suo Paese, e del vice-caporale Cédric Tornay, furono trovati da una suora, sulla cui identità sarà però sempre mantenuto il più assoluto riserbo.
Ecco il primo dubbio: che ci faceva una suora a quell’ora della sera nell’appartamento privato dei coniugi Estermann. Come vi era entrata? I coniugi Estermann, alle 21 di quella sera, dovevano cenare con amici all’Hotel Columbus, di via della Conciliazione, quindi la suora non poteva aver nessun appuntamento con Estermann, che a quell’ora avrebbe dovuto essere fuori di casa.
Nell’appartamento di servizio dei coniugi Estermann, divenuto teatro di una strage, accorrono subito il sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Re, monsignor Pedro Lopez Quintana, assessore per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana, l’ispettore generale della Vigilanza vaticana Camillo Cibin e il sovrastante maggiore Raul Bonarelli, raggiunti subito dopo dal portavoce vaticano Joaquìn Navarro-Valls. Del triplice delitto, non è informato subito l’Ispettorato generale di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano che opera in stretta collaborazione con i colleghi italiani, come previsto dal nuovo concordato.
Nessuna richiesta di collaborazione è quindi inoltrata alle autorità italiane, e dell’inchiesta si occupano le sole autorità vaticane, sotto la guida del Giudice Unico, l’avvocato Gianluigi Marrone, che arriva sul posto un’ora dopo. Quest’ultimo affiderà successivamente il caso al professor Nicola Picardi, “Promotore di giustizia”, che alla fine concluderà per l’archiviazione.
L’appartamento degli Estermann non è sigillato, anzi più passa il tempo e sempre più persone affollano il luogo: la scena del crimine viene irrimediabilmente inquinata.
Dopo circa tre ore dal delitto arriva miracolosamente la versione ufficiale del Vaticano. Attraverso il portavoce Joaquìn Navarro-Valls si viene a sapere che «I dati finora emersi permettono di ipotizzare un raptus del vice-caporale Cédric Tornay che, in un momento di follia, si sarebbe recato nell’appartamento dove avrebbe ucciso con la pistola d’ordinanza il colonnello e sua moglie e successivamente si sarebbe suicidato». Navarro-Valls riferisce anche della presenza di una lettera d’addio, affidata qualche ora prima (le 19,30, precisa il portavoce) a un commilitone dal folle vice-caporale con queste parole: «Se mi succede qualcosa, consegnala ai miei genitori». La versione ufficiale vaticana si conclude con un laconico messaggio: «E’ tutto molto chiaro, non c’è spazio per altre ipotesi».
Nel briefing del 6 maggio, il direttore della sala stampa della Santa Sede conferma questa versione ufficiale: «sono ora in grado di comunicare i risultati delle autopsie eseguite sui corpi del Comandante della Guardia Svizzera Pontificia Alois Estermann e della consorte Signora Gladys Meza Romero, così come del corpo del vice-caporale Cédric Tornay. La salma del comandante Estermann presentava ferite d’arma da fuoco provocate da due proiettili. Un proiettile è penetrato nel viso - zigomo sinistro - interessando la colonna cervicale ed il midollo spinale. L’altro è penetrato nella regione deltoidea sinistra ed è fuoriuscito dalla spalla sinistra per rientrare di nuovo nel corpo sulla faccia laterale sinistra del collo, con decorso verso destra, e penetrare nel canale midollare a livello delle prime vertebre, recidendo il canale midollare e i tessuti cerebrali. La salma della signora Gladys Meza presentava un unico foro nella spalla sinistra, in direzione verso destra, per un proiettile che ha raggiunto la colonna cervicale. La salma del vice caporale Cédric Tornay presentava un foro di uscita nella parte inferiore dell’osso occipitale, per un colpo d’arma da fuoco che è penetrato in corrispondenza della bocca. Sono in corso ulteriori accertamenti sia strumentali che di laboratorio. Da una prima ricostruzione dei fatti e dagli accertamenti autoptici è fondamentalmente presumibile che il vice caporale Cédric Tornay, dopo aver esploso due colpi d’arma da fuoco dalla sua pistola d’ordinanza contro il comandante Estermann e un colpo contro la consorte del comandante, si sia suicidato».
Il 5 febbraio del 1999 arriva la definitiva archiviazione del caso: è stato omicidio-suicidio. Per dimostrare come l’indagine fosse stata svolta con rigore, fu subito sottolineato che a quella soluzione si era arrivati dopo aver condotto «dieci perizie necroscopiche, anatomo-istopatologiche, tossicologiche, balistiche, grafiche e tecnico-telefoniche condotte da illustri specialisti; trentotto audizioni di persone informate sui fatti; cinque rapporti di polizia giudiziaria affidati all’ispettore generale del Corpo di Vigilanza; numerose richieste di informazioni e rapporti a uffici pubblici dello Stato della Città del Vaticano e della Conferenza episcopale svizzera, nonché diversi servizi fotografici e rilievi tecnici».
Sin dall’inizio, la “soluzione” offerta dalle fonti ufficiali del Vaticano sulla strage parve subito stonata.
(1 - Continua)
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BIBLIOGRAFIA
- Bugie di Sangue in Vaticano. Il triplice delitto della Guardia Svizzera, dei Discepoli della Verità. - Kaos Edizioni, Roma 1999.
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Delitto in Vaticano: la verità. Cédric Tornay martire della Chiesa cattolica, di F. Croce – Libreria Croce, Roma 1999.
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Assassinati in Vaticano, 4 maggio 1998. Dalla ragion di Stato alla Giustizia negata, di J. Vergès, L. Brossollet - Kaos Edizioni, Roma 2002.
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Storia della guardia svizzera pontificia, di D. Del Curatolo – Macchione Editore, Varese 2006
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«Wolf: "Nell'attentato al Papa Ali Agca non era solo"», di M. Ansaldo - la Repubblica, 11 aprile 2005.
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