In un secolo e mezzo la rivista dei gesuiti ha attraversato la storia da protagonista, difendendo l'identità culturale cattolica. Talvolta, però, con eccessi antisemiti: dal caso Dreyfus all'ambiguità sulle leggi razziali, all'antisionismo
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La Civiltà Cattolica venne fondata a Napoli il 6 aprile del 1850 da un gruppo di gesuiti che dopo l'uscita del primo numero, furono costretti a trasferirsi a Roma a causa della censura oppressiva dei Borboni. Nei primi mesi di vita La Civiltà Cattolica incontra serie difficoltà nel Regno delle Due Sicilie. Perseguitata prima da consiglieri e da ministri massoni e poi censurata dalla polizia, nel settembre del 1850, la redazione si trasferisce a Roma, dove rimarrà sempre, salvo una breve sospensione delle pubblicazioni nel 1870, dopo la conquista della città da parte delle truppe del Regno d'Italia, e un periodo fra il 1871 e il 1887, in cui gli scrittori risiederanno a Firenze.
Ispiratore e primo direttore della rivista fu il padre Carlo Maria Curci, che la fondò per volere del Papa Pio IX, esule a Gaeta. Il Generale dei gesuiti, padre Joannes Philippe Roothaan, era tutt'altro che entusiasta dell'iniziativa; temeva infatti che la Compagnia potesse essere danneggiata da un'eventuale approccio politico della rivista. Tuttavia, padre Curci, intuì che la diffusione delle idee liberali, agnostiche e antireligiose, portata dal giornalismo moderno, figlio della rivoluzione francese, potesse essere contrastata solo affrontando il nemico ad armi pari. L'intenzione di Pio IX di disporre di uno strumento adatto a difendere il pensiero e «la civiltà cattolica», come allora la si concepiva, minacciata dai nemici della Chiesa (in particolare dai liberali e dai massoni), spinse dunque alla fondazione del periodico. «Di qui il carattere polemico e combattivo - scrive lo studioso Andrea Morigi - che la rivista assunse sin dall'inizio e che mantenne poi per lungo tempo. Era del resto lo stile tipico dell'Ottocento, e gli avversati della Chiesa e del cattolicesimo non erano certo più teneri e moderati nei loro attacchi».
Alla nuova rivista collaborarono uomini di grande valore come i padri Luigi Taparelli D'Azeglio (1793-1862), filosofo del diritto, Matteo Liberatore (1810-1892), cultore della filosofia tomista, Antonio Bresciani (1798-1862), letterato, e Giovanni Battista Pianciani (1784-1862), studioso di scienze naturali, nonché Carlo Piccirillo (1821-1888) e Giuseppe Oreglia di Santo Stefano (1823-1895), a quel tempo ancora studenti. Molti di loro formeranno il primo Collegio degli Scrittori, la comunità autonoma dei redattori dipendente direttamente dal Padre Generale, il superiore della congregazione religiosa , costituito "perpetuamente" il 12 febbraio 1866 con il breve pontificio Gravissimum supremi di Papa Pio IX (1846-1878). Fino al 1933 gli autori conservarono l'anonimato.
Il successo della rivista, legato anche all'efficiente sistema di distribuzione, fu tale che del primo volume se ne ordinarono otto ristampe. Gli associati alla fine del primo trimestre erano già 6.307 e salirono ben presto a 11.800, cifra record per quei tempi, così che il periodico divenne la prima pubblicazione italiana a diffusione nazionale.
Come ha scritto Francesco Dante, la rivista gesuita «non è nata solo come una rivista: è stata il portavoce del cattolicesimo più intransigente, di una concezione del papato universale di fronte ad una società civile che andava rendendosi autonoma». Ciò che si proponeva la redazione del periodico, scriveva il suo primo direttore, Padre Curci, era di «condurre l'idea e il movimento della civiltà a quel concetto cattolico da cui sembra da tre secoli avere fatto divorzio». Trovare dunque una "identità culturale", un proprio motivo di esistere del cattolicesimo.
L'ampiezza e la profondità degli obiettivi perseguiti emergono dal fatto che di un giornale o di una rivista redatta dai gesuiti si parlasse già nel 1846; si tenga presente che la Santa Sede era interessata ad avere una voce ufficiosa e autorevole con cui promulgare e difendere le proprie tesi dinanzi alla Rivoluzione nazionalista, e che le ideologie che in quegli anni si moltiplicavano costituivano un fronte rappresentato dal razionalismo illuministico, dallo "spettro" marxista, e da un insieme di filosofie e discipline che mettevano in secondo piano la visione religiosa del mondo.
Non si può escludere che, per affrontare queste dottrine, i redattori di Civiltà Cattolica abbiano adottato una metodologia che può essere sintetizzata nella formula agere contra: si trattava di opporre la virtù al vizio per far trionfare la volontà di Dio. E nella vita intellettuale di opporre la verità all'errore, applicando tale metodo anche all'economia, al diritto e alle scienze, mentre in ambito politico, il periodico gesuita rivendicava un ruolo a favore della Chiesa. Del resto la storia della rivista è strettamente legata alla vita religiosa, politica e sociale italiana e internazionale, perché essa non è rimasta estranea a nessuno dei grandi avvenimenti degli ultimi centocinquanta anni. Come ha osservato Francesco Dante, «I gesuiti [.] non apparivano per nulla disponibili ad essere considerati marginali nella società di fine Ottocento ma rivendicavano con autorità uno spazio autonomo che avrebbe dovuto renderli protagonisti dell'interpretazione del mondo moderno mediante lo strumento del tomismo».
Fu forse per questo motivo che il periodico della compagnia del Gesù, almeno fino alla scoppio della Seconda guerra mondiale, sembrò rivelarsi particolarmente ostile verso le comunità ebraiche. Le posizioni più estreme, come quelle di Oreglia di Santo Stefano o del Ballerini, che scrivono alla fine dell'Ottocento, vennero ben presto mitigate, ma rimane il fatto che l'avversione per la "razza giudea" non fu rinnegata completamente ancora per diversi anni. La mentalità antisemita, per ammissione dello stesso periodico in un recente articolo (maggio 2000), «appare verso il 1880 e ebbe un largo influsso sulla Francia e su La Croix. La Civiltà Cattolica si limitava a esprimere il pensiero e le direttive del Papa, o aveva una linea propria? La verità sta nel mezzo... Mai la rivista si sarebbe messa in contrasto col Pontefice; essa però poteva esporre con maggiore o minore vigore alcune tesi o moderarle, fosse solo per motivi di opportunità. In ambiti, come ad esempio l'antimassoneria, la consonanza fu perfetta. Non è agevole capire la mentalità di Oreglia, di Ballerini, coglierne le ultime radici, la consonanza con i loro confratelli, con quelli del periodico e con quelli della Compagnia in genere, e le eventuali differenze tra i gesuiti italiani e quelli francesi e tedeschi. Forse il rapporto tra il periodico e la Santa Sede come pure la sua origine spiegano la maggiore cautela dei gesuiti di via di Ripetta e, in definitiva, la loro intransigenza».
Se Oreglia si limita sostanzialmente a descrivere l'ipotetica cospirazione ebraica, il Ballerini passa dalla denuncia del pericolo ebraico a proposte concrete per la difesa da tale pericolo. Il gesuita, ben al corrente della vasta letteratura in proposito (specialmente del noto La France juive del Drumont, uscito nel 1886, un classico dell'antisemitismo), ha idee precise e incisive: tutto il male dipende dall'uguaglianza dei cittadini, concessa in base ai princìpi dell'89; l'unico rimedio possibile è il ritorno puro e semplice alla situazione discriminatoria antisemita tipica dell'ancien régime. L'antisemitismo del Ballerini e della Civiltà Cattolica si acuì durante il caso Dreyfus, davanti al quale la rivista assunse un atteggiamento discriminatorio molto forte. Durante il periodo che intercorre tra questi scritti La Civiltà Cattolica si sforza di cercare e mostrare un certo equilibrio: senza condannare la "razza giudea", ammette che nell'ebraismo la sete di dominio resta un pericolo; l'auspicio è quello per la rinascita di una società ufficialmente e interamente cristiana.
Prima e dopo il 1933, l'atteggiamento della rivista sugli eventi tedeschi resta complesso. Mentre l'opposizione al razzismo esaltato da Alfred Rosenberg, che desta lo sdegno del padre Barbera si fa netta e dura, l'ingenua speranza che Hitler condanni questi estremismi sfocia nel silenzio di fronte alle disposizioni antisemite in Germania. Intanto le misure contro la Chiesa cattolica prese dal nazismo provocano una forte amarezza. È questo il periodo in cui padre Barbera e padre Messineo si sforzano di trovare un concetto di razza, di nazione, di Stato, che si accordi con quello del fascismo senza però riuscirvi. I due giornalisti gesuiti tentano un'esegesi dei principali scritti allora circolanti in campo fascista. Padre Messineo, in contrasto con l'indirizzo filotedesco, giunge alla conclusione che per un'idea corretta di nazione fosse essenziale la coscienza storica e un patrimonio spirituale comune. Egli, pur ammettendo che lo Stato possa pacificamente e lentamente assorbire le minoranze etniche, non coglie nell'unità di razza una delle basi fondamentali dell'unità nazionale. Tuttavia non è ancora il tempo di una totale riabilitazione degli ebrei, e anche padre Messineo rimane preoccupato davanti alla tendenza dell'ebraismo di imporre il proprio dominio alle altre nazioni, di indebolirne la compattezza culturale ed economica.
Il 4 dicembre del 1943, sulla Civiltà Cattolica, nella sezione "Cronaca Contemporanea", compare il seguente articolo che segna una linea di demarcazione.
«Provvedimenti antiebraici - 25 novembre. Il Consiglio dei Ministri approva un "decreto sul sequestro conservatorio delle opere d'arte di proprietà ebraica", per evitarne le dispersioni "e in attesa delle disposizioni che saranno adottate per i patrimoni degli Ebrei". Vien fatto obbligo ai possessori di tali opere di denunciarle, pena la confisca. - 1 dicembre. Un'ordinanza di polizia stabilisce: "1° Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazione appartengano, residenti nel territorio nazionale, debbono essere avviati in campo di concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, devono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell'interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche. - 2° Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazioni delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia". Il 'Giornale d'Italia' commenta esser questa un'applicazione di quanto è detto nel 'Manifesto programmatico' approvato a Verona, dove si dice che "gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri" e che "durante questa guerra sono di nazionalità nemica". L' 'Osservatore Romano' (4 dicembre) rileva: a) che un "Manifesto di partito non può costituire una fonte giuridica, soprattutto quando vige una legge fondamentale dello Stato"; b) che "a nessun cittadino di nazione nemica è stata comminata la confisca totale dei suoi beni"; c) che l'ordinanza di confisca definitiva oltrepassa il Manifesto di Verona dove gli Ebrei sono considerati "nemici temporanei"».
Dopo il 1943 i toni del periodico si smorzeranno, senza comunque diventare mai concilianti con le pretese sioniste. La preoccupazione per la gestione e la tutela dei Luoghi Santi sarà il leitmotiv sia delle encicliche papali sia, di conseguenza, degli articoli d'approfondimento sino al 1949 compreso. Subito dopo la fine della Prima guerra arabo-israeliana, la polemica della Civiltà Cattolica contro il sionismo si fece incalzante, proponendo in più di un'occasione scritti tesi a denunciare i soprusi che gli arabi e i cristiani della Palestina erano costretti a subire; una delle battaglie principali che il periodico gesuita fece propria, accanto alla tutela dei luoghi santi e all'internazionalizzazione di Gerusalemme, fu proprio quella in favore dei profughi, questione che ancora oggi è uno dei principali motivi di disaccordo fra le autorità palestinesi e quelle israeliane.
Negli anni che seguono alla costituzione dello Stato d'Israele, la Civiltà Cattolica continua la sua lotta contro il Sionismo, su cui già in passato si era espressa con toni duri. Il sentimento di comunanza spirituale, professato più volte rispetto al mondo islamico, rientra in una visione più umana e misericordiosa rispetto a quella con cui furono pubblicati gli articoli di Oreglia e Ballerini. Tale svolta è dovuta proprio all'influenza che la Santa Sede ebbe prima con Pio X, ed in seguito con Giovanni XXIII, sino al lungo pontificato di Papa Giovanni Paolo II che influisce inevitabilmente anche sulle scelte della Compagnia di Gesù e sulla rivista, favorendo una ritrovata missionarietà e la ripresa di articoli apologetici. Ordinata alla Nuova Evangelizzazione in un mondo culturalmente sempre più disomogeneo e attratto da punti di riferimento diversi da quelli del Vangelo, l'azione de La Civiltà Cattolica sembra richiamarsi alla sua idea fondatrice: la fede diventa cultura quindi, estendendosi pure ai profili istituzionali, una civiltà. Lo stile della rivista è cambiato profondamente; non più polemica, con una varietà assai maggiore di argomenti trattati, essa cerca di porsi non più in opposizione ma «in dialogo» col mondo moderno, senza venire meno alla verità cristiana e senza compromessi, ma cercando di instaurare un dialogo tra fede e cultura.
Dunque che senso ha chiedersi ora se a muovere la Civiltà Cattolica sia un sentimento filopalestinese, una reminiscenza di antisionismo, una profonda carità cristiana o una mera preoccupazione per i luoghi cari al cattolicesimo? Che sia una questione puramente teologica, per cui un islam che riconosce la saggezza e gli insegnamenti di Cristo è più vicino alla sensibilità della fede cristiana, o che sia una questione di impossibile accettazione di uno stato ebraico in Palestina, ciò che è interessante, al di là dei cambiamenti percettibili o meno della linea editoriale, è il punto di vista nuovo, la prospettiva, sondata forse troppo poco, di una visione che si distacca da quella meramente politica e ne considera nodi problematici insoluti.
Dall'analisi degli articoli della Civiltà Cattolica, organo autorevolissimo della Compagnia di Gesù, emerge che, sebbene il periodico gesuita sia definito da molti come l'organo "ufficioso" della Santa Sede, in realtà non rispecchia in maniera fedele il pensiero ed i sentimenti del Vaticano.
«Un carattere specifico del periodico quindicennale è il suo particolare rapporto con la Santa Sede. Quando il fascicolo della rivista è ancora in bozze viene inviato alla Segreteria di Stato della Santa Sede per l'approvazione definitiva. Il giudizio riguarda essenzialmente tre punti:
1) la conformità degli articoli pubblicati sulla rivista con l'insegnamento ufficiale della Chiesa in materia di fede e di morale; per tale motivo alcuni articoli di particolare rilievo teologico e morale sono rivisti anche dalla Congregazione per la Dottrina della Fede o da altri Dicasteri competenti della Curia Romana;
2) la conformità o almeno la non sostanziale difformità con gli indirizzi seguiti dalla Santa Sede nei confronti degli Stati; per comprensibili motivi, una particolare attenzione è riservata a quanto la rivista scrive sulle vicende politiche italiane;
3) l'opportunità o meno di pubblicare taluni articoli in particolari situazioni.
Il lunedì che precede il primo e il terzo sabato del mese in cui "La Civiltà Cattolica" è pubblicata, il direttore della rivista è ricevuto in udienza in Segreteria di Stato: gli vengono comunicate le osservazioni fatte sul fascicolo e queste sono discusse per decidere quali devono essere necessariamente inserite nella rivista e quali invece sono lasciate al giudizio e alla prudenza del direttore». Questa dichiarazione d'indipendenza, contenuta nella presentazione stessa della rivista, è tanto più vera se si prendono in considerazione gli articoli della fine del XIX secolo. In questi scritti, come già detto, spicca un tono drasticamente antisemita, tono che il Vaticano non ha mai condiviso. In relazione a ciò è bene specificare la distinzione tra antigiudaismo e antisemitismo, che è comunemente ammessa dalla maggioranza degli storici, cattolici e non cattolici. Si parla ad esempio di giudeofobia per indicare il particolare atteggiamento tenuto dalla Chiesa durante i secoli nei confronti degli ebrei. I due concetti inoltre sono stati posti alla base del documento sull'Olocausto pubblicato nel 1998 dalla Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah. Tale documento distingueva nettamente l'antisemitismo razziale, che la Chiesa ha sempre condannato, ritenendolo contrario alla dottrina cattolica sull'originaria uguaglianza del genere umano, dall'antigiudaismo, che nel corso della storia si è andato di volta in volta strutturando sulla base di elementi diversi.
La voci più drasticamente antisemite come quelle di Oreglia di Santo Stefano o del Ballerini si sono andate attenuando nel corso degli anni, sino a venir meno, mutandosi, dopo il 1939, in aperta condanna dell'antisemitismo razziale, e tornando così a rispecchiare la linea Vaticana.
Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, è interessante notare l'impegno di padre Messineo, e dopo di lui di padre Rulli, per la tutela dei diritti umani e la denuncia delle violazioni degli stessi: non a caso la questione palestinese è oggetto di un'attenzione crescente all'interno della rivista. L'impegno per la pace assunto da Paolo VI e poi da Giovanni Paolo II ha influenzato moltissimo il periodico gesuita che ha inaugurato una nuova stagione con articoli di respiro più ampio proprio sui temi della libertà, del diritto internazionale, della tolleranza e dell'apertura verso altre correnti religiose e culturali.
Durante la Guerra fredda la Civiltà Cattolica ha saputo mantenere un atteggiamento estremamente obiettivo e moderato, confermando in pieno la sua fama di specchio bifronte: capace di riflettere sia la linea della segreteria di stato vaticana, che ne controlla in anticipo le bozze, sia i personali convincimenti dei gesuiti che vi scrivono.
Pur non condividendo e, a tratti condannando senza mezzi termini l'impero comunista, tacciato di materialismo, ha preservato la propria indipendenza, e facendosi portavoce unicamente di quello spirito di umana pietà e misericordia tanto caro alla cristianità, ha dimostrato non solo di poter essere uno finestra sulla politica della Santa Sede, ma anche e soprattutto un mezzo di comunicazione libero e sovrano di se stesso.
Rispetto al conflitto mediorientale, come il Vaticano, anche la rivista gesuita esprime in più di un'occasione la propria approvazione per i gesti del leader arabi che si sono aperti verso l'Occidente e hanno cercato la strada del negoziato con Israele. Tuttavia, nonostante la simpatia verso i palestinesi e la loro causa, la Civiltà Cattolica si è fatta anche portavoce della riconciliazione voluta dalla Santa Sede fra cattolicesimo ed ebraismo.
Theodor Herzl, fondatore della dottrina sionista, sognava per Gerusalemme una giurisdizione internazionale, una città che divenisse l'emblema del contatto e dell'apertura fra le tre grandi religione monoteiste. Dopo di lui Paolo VI, Giovanni XXIII e soprattutto Giovanni Paolo II hanno coltivato questo sogno e sperato che un giorno Gerusalemme smettesse di essere luogo di scontro fra civiltà diverse e potesse effettivamente divenire un luogo d'incontro fra culture. In questa direzione si è mosso anche Yasser Arafat, che nel discorso all'Assemblea generale dell'Onu dichiarava di vedere in uno Stato palestinese laico il giusto progetto per consentire una nuova vita in armonia tra ebrei, arabi e cristiani. Questo pensiero dimostra l'impegno sulla via della pace del teorico del sionismo, della Santa Sede, e del leader palestinese, e fa sperare che ben presto Gerusalemme, così come i luoghi santi cari alle tre fedi, possano veramente mutarsi da teatro di guerra in crocevia di comprensione.
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BIBLIOGRAFIA
- I volti della Storia, di S. Romano - Rizzoli, Milano 2001
- La Civiltà Cattolica, di A. Morigi - www.alleanzacattolica.it
- La politica culturale di Civiltà Cattolica, di F. Dante, in Pio X e il suo tempo, di G. La Bella (a cura) - Il Mulino, Bologna 2003
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