Il conte Gilles de Rais, un eroe, maresciallo di Francia a soli 25 anni, ha pagato con l'impiccagione le sue efferate scelleratezze. Non è un personaggio di fiaba ma il protagonista di una vicenda scritta nei documenti giudiziari
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BARBABLU. UNA STORIA
HORROR DEL XV SECOLO
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Barbablù. Una storia horror del XV secolo. La cronaca
vera di una vicenda truce a tal punto da apparire incredibile. Un episodio
mostruoso che si concluse nel mattino di mercoledì 26 ottobre 1440
quando, alle nove in punto, i battenti della Cattedrale di Nantes si aprivano
per lasciar uscire un solenne corteo, guidato dal Vescovo Malestroit, la
mitra dorata sul capo, il pastorale in pugno, le mani guantate di bianco.
Dietro di lui venivano i canonici del capitolo, i sacerdoti, i novizi,
i chierichetti e poi la folla dei popolani. C'era insomma tutto l'apparato
di ogni processione solenne, con cui una città festeggia la fine
di una pestilenza o rende grazie per un miracolo. Ma questa volta l'occasione
era ben diversa: la processione si dirigeva fuori della città e
aveva come meta i prati dell'isola di Biesse: là era pronta la forca
per giustiziare un uomo che si era macchiato di crimini abominevoli: Gilles
de Rais, erede di una fortuna colossale, eroe nazionale alla presa di Orléans,
compagno d'armi di Giovanna d'Arco, maresciallo di Francia a soli venticinque
anni. E ispiratore, secondo i più, del personaggio di Barbablù.
Gilles de Rais saliva sul patibolo a soli trentasei anni: ma in un periodo
cosi breve aveva vissuto con un'intensità frenetica la sua avventura,
provando ad essere di tutto e il contrario di tutto: eroe militare, munifico
nobiluomo, cattolico fervente, ingenuo evocatore di demoni e mostro: tra
il 1432 e il 1440 alcune centinaia di fanciulli e ragazzi vennero uccisi
o fatti uccidere da Barbablù, il più delle volte dopo essere
stati oggetto di abusi sessuali. Ogni sera, dopo i sontuosi banchetti che
si tenevano nel castello di Tiffauges, o in quello di Champtocé,
o in un'altra delle residenze dove conduceva la sua vita errabonda, il
sire di Rais si ritirava, seguito da una corte di pochi intimi, succubi
e profittatori, tra i quali non mancavano mai i due servi, Henriet e Poitou,
che seguiranno il loro signore fin sul patibolo. Nelle stanze del signore
venivano introdotte le vittime: giovinetti del popolo, in genere attratti
al castello col miraggio di entrare nella corte come paggi o servitori,
di poter quindi avere abiti buoni e cibo quotidiano. E per questi infelici
si spalancavano invece le porte di un abisso di sofferenze. Oggetti di
abusi sessuali, prima o dopo esser torturati, venivano infine uccisi quando
la furia del loro "signore" si era finalmente acquietata. I poveri
resti venivano poi bruciati o gettati nelle cantine più profonde.
Si é parlato di "qualche centinaio" : la cifra é
necessariamente approssimativa perché, nonostante I'accurata istruttoria
condotta dai giudici e nonostante la piena confessione dell' imputato,
la macabra contabilità non poté mai essere completata, data
la frenetica attività di Gilles de Rais.
L'impiccagione concluse la carriera del mostro: ma non
si deve pensare che la pubblica esecuzione fosse stata accompagnata dalla
soddisfazione della folla, come spesso accade quando viene giustiziato
chi si é macchiato di crimini particolarmente abietti e come, a
maggior ragione, doveva avvenire quando il criminale apparteneva alla nobiltà,
alla casta quasi sempre intoccabile. Al contrario: le cronache dell'epoca
ci parlano di una giornata di "edificazione" perché Gilles
de Rais aveva saputo, anche in punto di morte, essere protagonista. Reo
confesso dei suoi crimini, si era calato cosi efficacemente nella parte
del pentito, da giungere a commuovere i giudici e la folla. E le sue ultime
parole, davanti al boia, furono di affidamento alla Divina Provvidenza.
Nessuno può dire quanto ci fu di sincero in questo pentimento e
quanto fu invece espressione della malattia mentale che rodeva il sire
di Rais. Di sicuro anche in tribunale e anche sul patibolo aveva saputo
(o voluto) essere un personaggio inclassificabile, centrifugo, unico.
Sul finire del secolo scorso un religioso francese, l'abate
Eugène Brossard, si recò a Nantes per prendere conoscenza
dei documenti e perlustrare i luoghi storici in cui era vissuto Gilles
de Rais. Intenzionato a scriverne la biografia, l'abate visitò meticolosamente
le terre che furono un tempo il dominio del sire di Rais. Si andava dal
sud della Bretagna, a cavallo dell'estuario della Loira a Nantes, al Poitou
e all'Anjou. In questi vasti domini, dove restavano e restano tuttora le
rovine dei castelli di Tiffauges, Champtocé, Pouzauges, Machecoul,
l'abate fece una scoperta: nella fantasia popolare il ricordo di Gilles
de Rais si era confuso e poi sovrapposto con quello del Barbablù
di Perrault. La storia del conte sadico uxoricida é molto antica
e faceva parte della tradizione orale ben prima che Perrault, due secoli
dopo i misfatti di Gilles de Rais, scrivesse la sua nota fiaba. Gilles
de Rais si sposò, una sola volta, e il suo matrimonio fu, come vedremo,
un avvenimento del tutto marginale nella sua vita. La sua furia sadica
é di tipo omosessuale, mentre il personaggio della fiaba rivolge
alle mogli i suoi istinti omicidi (uccidendone sette, numero biblico che
indica una gran quantità). Ma, come ci dice l'abate Brossard "...non
esiste madre o balia che nei suoi racconti abbia esitazioni sui luoghi
abitati da Barbablù: i castelli che furono di Gilles de Rais (...).
Numerosi sono i vecchi che abbiamo interrogato in quei paesi, e i loro
racconti sono unanimi...."
In particolare presso le rovine di Tiffauges si indicava
addirittura la finestrella di una stanza: era li che Barbablù sgozzava
le sue vittime. Cosi il mostro vero e quello della fiaba (che, più
pudicamente, é mostro ma almeno non é omosessuale) si sono
nei secoli mischiati e confusi. Chi fu, nella storia, Gilles de Rais? Un
pazzo, senza dubbio. Un mostro, senza dubbio. Come altrimenti potremmo
classificare I' artefice di una paurosa mattanza di giovinetti? Fu anche,
senza dubbio, il sinistro prodotto di un'epoca di disfacimento. Se purtroppo
personaggi come Gilles esistono e probabilmente sempre esisteranno, é
pur vero che il momento storico in cui visse permise che i crimini durassero
nove lunghi anni (anche se la vox populi ne parlava da molto tempo prima)
e in un certo senso favori anche lo sviluppo della malattia.
Gilles de Rais saliva sul patibolo a soli trentasei anni: ma in un periodo cosi breve aveva vissuto con un'intensità frenetica la sua avventura |
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Quando Gilles de Rais viene al mondo, nel 1404, la Francia
é impegnata verso l'esterno nella Guerra dei Cento Anni con l' Inghilterra
e al suo interno é scossa dalle convulsioni dell'agonia del sistema
feudale. I duchi e i baroni sono impegnati nelle loro guerre reciproche
o nelle loro contingenti alleanze contro il re, figura opaca di un potere
centrale debole. La popolazione é stremata da uno stato di guerra
praticamente infinito, di guerre sempre meno cavalleresche e sempre più
apportatrici di carestie ed epidemie. La Chiesa, custode dell' ordine morale,
é a sua volta infettata da vescovi tanto insipienti quanto feroci,
occupati ad accumulare ricchezze a cui spesso si oppongono predicatori
che, consci del disfacimento, predicano una religiosità sempre più
cupa ed angosciosa, molto più vicina alla morte di Cristo che alla
sua Resurrezione.
La guerra é pratica quotidiana, ma é difficile
stabilire gli schieramenti in una guerra totale, che ha stimmate di furore
cieco e gratuito. La guerra é anche e soprattutto un affare, una
fonte di guadagni, per chi non ha mai saputo fare altro. E i capitani più
capaci hanno ottenuto dai Ioro condottieri la ricompensa più ambita:
oltre alla paga, hanno il diritto di duplice bottino, di cose e di uomini.
Anche se la legge cristiana non consente più la schiavitù,
il riscatto diviene una pratica lucrosa e corrente in cui l'unica regola
comunemente accettata é che venga eseguito rispettando le divisioni
di casta che, nello sfacelo generale, resistono e collaborano, con la loro
intrinseca carica di sopraffazione, a deteriorare ancor di più il
clima morale.
La peste e le carestie completano l'opera omicida dei
mille eserciti, regolari e di sbandati. II Vescovo di Lisieux, Thomas Basin,
calcola che nella sola Normandia "duecentomila anime siano state rapite
in corto intervallo dalla fame e dalla peste".
In questo clima di violenza e di eccesso quotidiani nasce
Gilles de Rais. Non si conosce la data esatta: sappiamo solo che la nascita
avvenne nel castello di Champtocé, sulle rive della Loira, verso
la fine dell'anno 1404. Il matrimonio dei genitori di Gilles era stato
celebrato il 5 febbraio di quello stesso anno, al termine di lunghe trattative
e contenziosi anche giudiziari fra tre ricchissime famiglie: quella del
padre, un Laval-Montmorency; quella del nonno materno, Jean de Craon; e
quella dei Rais, che si estinse nel 1407 nella persona di Jeanne Chabot,
detta Jeanne la Sage. L'anziana signora, invecchiata senza eredi sulle
terre disposte attorno all'estuario della Loira, presso Nantes, conosciute
come "Pays de Rais", era oggetto delle attenzioni tutt'aitro
che disinteressate del cugino Guy de Laval. Questi, con la scusa di perpetuare
il nome dei Rais, era riuscito a farsi nominare erede universale da Jeanne
Chabot. Un altro parente, Jean de Craon, riuscì a convincere l'anziana
castellana che il Laval altro non era che un volgare cacciatore di patrimoni.
Quali fossero i suoi argomenti, non lo sappiamo, né ci sembra da
gentiluomini approfondire l'indagine. Sta di fatto che il testamento a
favore del cugino Guy de Laval veniva annullato e sostituito da un nuovo
testamento a favore dei Machecoul-Craon. La faccenda a questo punto fini
in mano ai giudici che, prudentemente, tirarono le cose in lungo, preoccupati
di non inimicarsi due famiglie ugualmente potenti. E fu un bene, perché
le parti, sbollita l' ira iniziale, capirono che era meglio trovare un
accordo e, attraverso un complicato intreccio di testamenti e di matrimoni
di convenienza, Guy de Laval poteva fregiarsi delle insegne dei Rais, sposando
una figlia dei Craon, Marie, la cui nonna, Marguerite de Machecoul, madre
di Craon, diveniva erede universale di Jeanne Chabot, signora di Rais.
In breve: sarebbe difficile trovare una storia d'amore
all'origine del matrimonio celebrato il 5 febbraio 1404 tra Guy de Laval-Montmorency
e Marie de Machecoul-Craon. Se queste nozze fossero state celebrate al
giorno d'oggi, avrebbero senza dubbio avuto il patrocinio di Mediobanca.
Infatti si consolidava in questo matrimonio una fortuna immensa, nata dall'unione
di tre dei piú ricchi casati di Francia.
Il giovane Gilles ebbe un'educazione non diversa da quella
di tanti altri nobili rampolli. Due precettori ecclesiastici gli insegnarono
a scrivere e leggere correntemente in latino. II giovinetto era un lettore
entusiasta, in particolare di ciò che riguardava la romanità.
La lettura della "Vita dei dodici Cesari" fu l'occasione per
far la conoscenza con uno dei suoi primi "idoli": Caligola, il
corrotto, I'incestuoso, il sadico, ma anche l'esteta, il prodigo, il malato
di titanismo che riesce a sperperare miliardi di sesterzi risparmiati da
Tiberio in quelle che al giorno d'oggi si chiamerebbero "opere pubbliche"
che avevano il solo scopo di soddisfare le manie di grandezza. Nell'etica
medievale era normale mostrare ciò che si definiva "exemplum
ad vitandum", capace di muovere alla virtù proprio per la sua
eccezionale carica negativa. Gli "exempla" apparivano al giovane
Gilles invece come un affascinante programma di vita: l'eccesso, il potere,
la libertà da ogni forma di vincolo morale o giuridico erano la
massima espressione dell'uomo superiore. L'addestramento militare, anch'esso
normale in un giovane nobile e in un'epoca in cui la guerra faceva parte
del quotidiano, era seguito con entusiasmo da Gilles, che apprese a uccidere
scientificamente, a trovare i punti deboli delle armature, a distinguere
i vari tipi di spade, pugnali, mazze, lance.
Se le letture gli avevano fornito i modelli a cui ispirarsi,
la guerra gli avrebbe offerto il campo pratico di applicazione delle sue
attitudini |
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Se le letture gli avevano fornito i modelli a cui ispirarsi,
la guerra gli avrebbe offerto il campo pratico di applicazione delle sue
attitudini. Rimasto orfano a soli undici anni di entrambi i genitori, il
giovane Gilles trovò nel nonno materno, Jean de Craon, il suo tutore
"de facto". Il vecchio Craon, che aveva perso il figlio Amaury
nella battaglia di Azincourt, riversò sul nipote una strana forma
di affetto dispotico e cinico. Disposto a tutto per accrescere le sostanze
e la potenza del giovane Gilles, Jean de Craon non disdegnava affatto il
crimine e la violenza. Veder crescere il nipote crudele, senza scrupoli,
corrispondeva ai suoi piani e alla sua personalità ambiziosa. Ma
il sessantenne Craon era un uomo pratico: non esitava davanti al delitto,
se il delitto aveva un fine pratico chiaro e monetizzabile. Invece il nipote
era un istintivo, che si disinteressava di strategie e calcoli, la crudeltà,
la sopraffazione, il sadismo erano per lui esercizi della sua personalità,
della sua vis interiore, svincolati da ogni previsione su conseguenze,
utili o dannose che fossero.
Sedicenne, Gilles de Rais ebbe finalmente modo di essere
coinvolto di persona in un fatto d'armi, seguito ai torbidi generati dall'uccisione
del duca di Borgogna. Craon si schierò con i Monfort, titolari del
ducato di Bretagna, contro i Penthiévre, fedeli ai Valois. Subì
cosi la devastazione di alcuni feudi ad opera dei nemici, che poco dopo
avrebbero amaramente ripagato le loro effimere vittorie, col trionfo dei
Monfort. Le cronache ci dicono che in quest'occasione il giovane Gilles
poté mostrare come aveva bene appreso gli insegnamenti dei suoi
maestri d'armi, potendo finalmente uccidere e torturare legalmente. Nel
frattempo il terribile nonno si stava preoccupando di trovar moglie al
nipote, secondo la logica che gli era più consona: organizzare un
matrimonio che servisse ad allargare ulteriormente le ricchezze e i possedimenti.
La scelta cadde su Catherine de Thouars, figlia di Milet e di Béatrice
de Montjean. La giovinetta, sedicenne come Gilles, portava in dote nientemeno
che otto castelli. Ci volle un anno e mezzo per giungere alla celebrazione
delle nozze. I due "fidanzati" erano cugini, e il vecchio Craon
si appellò direttamente a Roma per vincere I' opposizione del vescovo
di Angers. L'argomento di Jean de Craon era quello concreto di un uomo
privo d i ogni moralità, ben accetto da una Chiesa che a sua volta
era completamente immersa nel marasma dell'epoca : il danaro. Non si conosce
I'entitá dell'oblazione che il messo di Craon portò a Roma;
si sa però che fu così notevole da rimuovere ogni impedimento
e da indurre anche il vescovo di Angers a mostrarsi più conciliante,
fino a celebrare lui stesso le nozze già osteggiate, quando gli
fu chiaro che anche per lui c'era posto nel banchetto. E il buon prelato
era così disinteressato che I'ultimo ritardo alle nozze fu dovuto
solo alle trattative sull'entità dell'offerta "spontanea"
che Jeans de Craon avrebbe dovuto fare per "beneficiare i poveri"
della diocesi di Angers. Il matrimonio comunque fu per Gilles de Rais un
puro fatto formale, fondiario e finanziario. Una figlia, Marie, nacque
dopo quasi dieci anni di matrimonio. Condannate ad un ruolo subalterno,
moglie e figlia di Gilles de Rais restano ombre cancellate dalla storia,
né si é mai potuto stabilire quanto la moglie fosse a conoscenza
delle perversioni e dei crimini del marito.
Nel 1424, allo scoccare dei vent'anni, Gilles può
assumere finalmente l'amministrazione diretta di tutto il suo immenso patrimonio,
iniziando le manifestazioni di sfarzo decadente di cui amò circondarsi
in tutta la sua breve ma fin troppo intensa avventura terrena. Arazzi,
affreschi, profusione di vetri dipinti iniziarono a rendere meno cupi i
castelli. Le eccezionali disponibilità finanziarie permisero anche
al giovane sire di Rais di dare sfogo a manie di collezionismo di tutti
i tipi, dagli oggetti antichi fino ai reliquiari, ai crocefissi, ai calici.
A tavola si mangiava solo usando vasellame e posateria d'oro. E poiché
la guerra continuava ad occupare buona parte del suo tempo, fece ornare
con perle e smalti anche l'utensileria militare, e intarsiare d'oro i guanti
d'acciaio delle armature. Gli abiti dovevano essere il più possibile
spettacolari, più simili a travestimenti, e confezionati nelle migliori
stoffe. Gilles de Rais divenne ben presto famoso per l'indifferenza assoluta
con cui pagava cifre esorbitanti per togliersi ogni capriccio in materia
di tessuti pregiati, o di oggetti rari, o comunque di ogni stravaganza
che potesse sottolineare la sua grandezza e al tempo stesso la sua indifferenza.
Nel febbraio del 1425 Gilles fa per la prima volta la
conoscenza con la corte del delfino Charles, personaggio mediocre, perennemente
in crisi finanziaria. Subito l'ambiente gli appare insopportabile, penoso.
Ne viene peraltro ripagato con odio e diffidenza: le sue manifestazioni
di prodigalità, che giunsero fino ad imprestare considerevoli somme
al re stesso, senza mai richiederle in restituzione, erano fatte con una
tale distratta freddezza da attizzare i risentimenti degli stessi beneficiati.
Nel febbraio del 1425 Gilles fa per la prima volta la
conoscenza con la corte del delfino Charles, personaggio mediocre, perennemente
in crisi finanziaria |
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Gilles si trovava più a suo agio sui campi di battaglia:
e ben presto i rudi capitani, che diffidavano di questo giovane nobile
che schierava cinque compagnie che si distinguevano per l'eleganza delle
livree, dovettero accorgersi che il sire di Rais era nato per la guerra.
Non solo era un ottimo comandante di uomini, ma mostrava anche un coraggio
personale indiscutibile. Il nonno Jean de Craon aveva spinto il nipote
alle rudezze della vita militare sperando di allontanarlo cosi dalle suggestioni
"decadenti" alle quali il nipote sembrava inclinare: mai calcolo
fu così sbagliato. Gilles de Rais trovò presto il suo spettacolo
preferito: l'impiccagione dei collaborazionisti e di quanti operavano per
gli inglesi. Assisteva personalmente ad ogni esecuzione, né si allontanava
finchè la vittima non aveva esaurito tutto il tragico repertorio
di spasimi, contrazioni e sussulti. II fascino della morte entrava sempre
di più nell'animo del giovane signore, per il quale la guerra era
l'occasione di scoprirsi una vocazione, di inventarsi una figura ed un
ruolo, di tradurre in realtà le fantasie malate che si sviluppavano
nel suo intimo. Non fu mai patriota, ma non fu mai spinto neanche da particolari
desideri di potere o di ascesa politica. Gilles de Rais combatteva, uccideva
e torturava, conducendo una guerra: la "sua" guerra. Tutto il
resto, gli era semplicemente indifferente.
Nell'autunno del 1428 gli Inglesi pongono l'assedio a
Orléans. E in questa contingenza, nella battaglia per liberare la
città assediata, la vicenda di Gilles de Rais si intreccia con quella
di un altro personaggio enigmatico: Giovanna d'Arco. La Pulzella, ispirata
da Dio secondo alcuni, strumento di astuzie politiche secondo altri, era
il contrario di Gilles ed era al contempo una delle poche persone che potessero
intendersi con lui. Entrambi eccessivi, entrambi fanatici, l'una di fervore
mistico, l'altro di freddo estetismo e di crudeltà, i due personaggi
avevano molti punti in comune. A Gilles de Rais era stato affidato il comando
della spedizione di soccorso alla città assediata: era l'uomo più
adatto, perché all'indubbia bravura militare univa il più
completo disinteresse per le trame politiche e di corte. Giovanna d'Arco
scacciava le prostitute che normalmente costituivano il codazzo degli eserciti
in marcia, obbligava truppa e capitani ai sacramenti, redarguiva i bestemmiatori.
Gilles vedeva in Giovanna il soprannaturale portato all'abnorme e apprezzava
lo sprezzo che la Pulzella manifestava con tutti, se il caso lo richiedeva.
La conclusione vittoriosa delle armi francesi diede a Gilles de Rais il
titolo di maresciallo di Francia e il diritto di fregiarsi delle insegne
reali. Il 1° luglio 1429, quando partì il corteo reale, diretto
a Reims per l'incoronazione di Charles VII a Re di Francia, il sire di
Rais non aveva ancora compiuto venticinque anni: era uno degli uomini più
potenti e famosi della Francia che faticosamente stava cercando l'unitá
nazionale e la ricostituzione dell'autorità regia.
Sarebbe interessante, ma non é qui il luogo, ricostruire
le varie fasi della battaglia per la liberazione di Orléans. Ci
preme però notare come la vicenda dell'assedio e la successiva battaglia
contengano in sé tutti i protagonisti e gli elementi di un'epoca
in cui più nulla sembra sicuro e stabile. Abbiamo un re imbelle,
peraltro non ancora incoronato, capace solo di temporeggiare; abbiamo una
ragazza di vent' anni, che la tradizione vuole figlia del popolo, che ha
di sicuro in sé una carica carismatica senza pari, tale da smuovere
il re stesso. Ma nei pregiudizi di un'epoca in cui ormai l'unica morale
era solo quella apparente, la fanciulla deve sottostare anche ad un esame
di un comitato ristretto di dame d'alto lignaggio, per verificarne la verginità.
Se infatti fosse stata inviata dal diavolo, come dicevano alcuni suoi detrattori,
non avrebbe potuto essere, come invece verificò il comitato, "né
corrotta né violentata". E mentre Giovanna inizia la sua avventura
militare invocando il nome di Dio quale suo mandante, i soccorsi alla città
assediata vengono organizzati sulla base di complicati equilibri politici
e possono prendere il via quando viene chiarito un particolare non indifferente:
che la corte reale, perennemente in crisi finanziaria, aveva ricominciato
a battere moneta, avendo ottenuto gli ennesimi prestiti. C'era quindi di
che pagare il "soldo" ai militari.
Lo stesso viaggio del corteo reale a Reims fu tutt'altro
che una marcia trionfale; durante il tragitto, che durò per quindici
giorni, le città di Auxerre, Troyes e Chalons furono convinte con
sostanziosi argomenti a Iasciar passare iI regio corteo. L'incoronazione
nella Cattedrale di Reims avvenne alla presenza di solo tre dei dodici
pari di cui era stato richiesto l'intervento. Insomma, l'unzione solenne
più che un punto di arrivo era una parentesi nel gioco politico
tutt' altro che risolto che contrapponeva ancora il duca di Borgogna al
re, nonché i gruppi di corte in lotta tra di loro, in una Francia
in cui la presenza militare inglese era ancora pesante e fonte di tentazione
per cambi di alleanze, sulla base delle convenienze di potere del momento.
Non scordiamoci infatti che in un clima in cui il richiamo alla Fede era
costante e quasi ossessivo, e in cui si potrebbe quindi pensare che gli
stimoli ideali fossero comunque determinanti, era assolutamente normale
(come avvenne per la stessa liberazione di Orléans che i nobili
sottoscrivessero col re o con i suoi procuratori dei regolari contratti
in cui venivano meticolosamente fissate le retribuzioni dei capitani e
della truppa, il numero di armati che il nobile si impegnava a mettere
in campo, i premi in caso di vittoria, e cosi via. Sicché la fedeltà
alla corona, che si voleva legittimata da Iddio stesso, passava sempre
attraverso lo studio del notaio e l'ufficio del tesoriere.
L'inattività
Mentre a Giovanna d' Arco veniva concesso di sfogare le
sue frenesie belliche con una sorta di piccola guerra contro... |
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seguita alla liberazione di Orléans
e all' incoronazione del re mal si confacevano a Gilles de Rais e a Giovanna
d' Arco, spinti entrambi, da diverse motivazioni, a continuare a combattere.
Entrambi insistettero con il re per attaccare Parigi e il re li autorizzò.
Ma segretamente, per poterli "scaricare" in caso di necessità.
La spedizione si risolse in un nulla di fatto, il 13 settembre 1429, con
un improvviso ordine regio di ripiegamento, dopo un sabotaggio ordito,
secondo i più, dallo stesso cugino di Gilles de Rais, La Tremoille,
potente e intrigante ministro del re.
Mentre a Giovanna d' Arco veniva concesso di sfogare le
sue frenesie belliche con una sorta di piccola guerra contro la città
di Saint-Pierre-le-Moustier (che non suscitava gli appetiti di alcuno e
quindi poteva servire a togliersi di torno la sempre più ingombrante
Pulzella), Gilles de Rais rientrava a Champtocé dove apprendeva,
con la massima indifferenza, che la moglie Catherine aveva messo al mondo
una bimba, cui fu dato il nome di Marie. Gilles era insoddisfatto e inquieto.
Lo sfogo militare era, almeno temporaneamente, sospeso, e con esso anche
lo sfarzo, l'esibizione di sé stesso che sempre accompagnava le
sue imprese. Come molti reduci il sire di Rais faticava a riprendere i
ritmi di una vita normale, con l'impossibilità di scaricare su oggetti
adeguati il gusto della violenza, contratto ormai come una malattia cronica.
Inoltre per la prima volta Gilles si accorse che le sue casse languivano:
il soldo ai capitani e alla truppa era stato superiore ai rimborsi regi.
E fu sulla fine di quel 1429 che il sire di Rais mise in vendita il castello
di Blaison: é il primo atto di una liquidazione di beni che qualche
anno più tardi assumerà cadenze sempre più serrate
e rovinose. Del resto Gilles neppure pensava di potersi privare dello sfarzo
che doveva far da contraltare alla sua insoddisfazione: e riprese le spese
folli per collezioni sempre più stravaganti, per un lusso maniacale
nelle pretese di perfezionismo e per alimentare la piccola corte che lo
seguiva ovunque, fatta di servi e profittatori, di adulatori laici e religiosi,
di quella stessa varia umanità dalla quale trarrà poi i complici
per i suoi crimini.
La situazione politica era però ancora in movimento.
All'inizio del 1430 il reggente inglese, Bedford, cercò un'alleanza
col duca di Borgogna contro il re Charles. Ne seguirono altri due anni
di guerre e di torbidi (nel corso dei quali avvenne anche la cattura di
Giovanna da parte del duca di Borgogna, che poi la vendette agli inglesi
per lire diecimila) che s i conclusero con la battaglia di Lagny, nella
bassa Marna, non lontano da Parigi. Qui l'esercito francese, ancora una
volta sotto il comando di Gilles de Rais, schierò diecimila uomini,
costrinse gli inglesi allo scontro aperto e li vinse. Eravamo alla fine
del 1431.
Nell' autunno dell' anno successivo Jean de Craon si ammalava
e moriva. Gilles aveva sempre subito l'autoritá del vecchio ribaldo
che, solo al tramonto, incominciava ad intuire il mostro che stava maturando
in quel nipote in cui aveva riposto tutte le sue speranze. Con un ultimo
gesto patetico, il vecchio volle lasciare le sue armi al fratello minore
di Gilles, René, quasi a dargli una tardiva investitura. Ma ormai
per Gilles, con la morte del nonno, cadeva l'ultimo ostacolo alla totale
ed esaltante libertà; ma nel contempo, nel suo animo di adolescente
mai maturato, si apriva un enorme vuoto. Sopraggiunse un altro avvenimento
pubblico a rinchiuderlo ancor più nel circolo privato delle sue
ossessioni: la caduta di La Tremoille, suo protettore a corte, la cui carriera
politica fu interrotta dalla regina Yolande con lo sbrigativo ed efficace
sistema dell' accoltellamento. Fu per l'incapacitá dei sicari o,
come dicono alcuni, per l'obesitá da tricheco del ministro, che
l'attentato non fu mortale. Sta di fatto che, secondo lo spirito pratico
dell'epoca, l'ex-potente fu convinto a ritirarsi dalla scena politica in
cambio della vita, con l'aggiunta, che non guastava mai, di quattromila
scudi d'oro. Ora Gilles era completamente solo. Solo con sé stesso,
con le sue ossessioni. E per sua stessa confessione fu in quel periodo
che iniziò la sua tremenda attività di mostro.
Il primo fanciullo che scomparve fu Jean Jeudon, dodicenne
apprendista del pellaio di Machecoul, Guillaume Hilariet |
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Il primo fanciullo che scomparve fu Jean Jeudon, dodicenne
apprendista del pellaio di Machecoul, Guillaume Hilariet. Il buon artigiano
non aveva alcun motivo di sospettare nulla quando nella sua bottega si
presentò un personaggio altolocato, che faceva parte normalmente
del seguito del sire di Rais, Gilles de Sillé. Questi gli chiese
"in prestito" il ragazzo per mandare un messaggio urgente al
castello. I1 ragazzo parti, emozionato dall' incarico e con la speranza
di ricevere un premio. A sera non era ancora tornato e il pellaio, con
l'umiltá dovuta per le differenze di rango, si permise di chiedere
notizie. E iniziarono cosi le prime risposte vaghe, che sarebbero poi state
ripetute per decine, centinaia di volte, con la signorile seccatura che
un cavaliere doveva pur mostrare verso un popolano. Che ne era del ragazzo?
Forse era stato mandato per una commissione in un villaggio vicino. Ma
forse per la strada era stato rapito dai briganti. O forse, non si era
sentito parlare di un fanciullo annegato nel fiume? Più volte si
parlò anche di un misterioso cavaliere scozzese" che aveva
reso con sé il fanciullo per farne un paggio. Che c' era dunque
da preoccuparsi? Il ragazzo andava a star bene....
L'elenco delle nefandezze a cui erano sottoposti i fanciulli
e, più raramente, le fanciulle, é francamente orrendo e si
evince dagli atti processuali, che raccolgono la completa confessione di
Gilles de Rais e dei due servi, Henriet e Poitou, che seguirono il loro
padrone in tutte le possibili crudeltà e bassezze e che lo seguiranno
poi sulla forca. Ma bisogna dire che, se i due servi erano i "fedelissimi",
le persone ammesse ad assistere, e talora a partecipare, agli infernali
riti notturni erano ben di più. La variegata corte del sire di Rais
non ignorava ciò che accadeva nelle stanze in cui le torce restavano
accese fino a notte fonda: ma il processo colpi Gilles de Rais, troppo
smisurato nel suo crimine, e i due servi, troppo umili per salvarsi. Le
ragioni di convenienza lasciarono in libertà non pochi complici.
Col tempo poi lo stesso atto sessuale contro natura venne a noia e i riti
notturni erano dedicati, per lo più, all'uccisione, alla tortura,
al sadismo più scatenati. Poi passava la notte, sorgeva di nuovo
il sole e Gilles de Rais tornava ai suoi nuovi tormenti diurni: quelli
mistici. In un incredibile miscuglio, Barbablù finanziava un gruppo
di cantori della Cappella di Machecoul, che tenevano bellissimi concerti
di musica sacra. Ma i cantori erano tutti giovinetti "graziosi, di
modi gentili ed educati". Non mancava mai alla Messa, ma intanto si
interessava all'alchimia ed alle evocazioni diaboliche, cadendo vittima
di due profittatori, il prete corrotto Blanchet e un astuto furfante fiorentino,
Francesco Prelati, che lo aveva convinto di essere in contatto con un diavolo,
di nome Barron, dal quale Gilles sperava anche di trovare un rimedio alle
situazione sempre più drammatica delle sue finanze.
Siamo nel 1437 quando le voci sul sire di Rais sono ormai
troppo insistenti e costringono il vescovo di Nantes ad inviare investigatori
nelle varie residenze di Gilles per accertare cosa ci sia di vero in racconti
che paiono frutto di fantasie malate. Quel buon prelato condusse inizialmente
l' inchiesta in modo un po' fiacco, anche perché era stato uno dei
maggiori profittatori delle svendite che Gilles de Rais continuava a fare
delle sue proprietà e pare fosse ancora debitore di saldi che l'interessato
non si sognava neanche di chiedere, perso com'era nei suoi fantasmi. Ma
l'inizio delle investigazioni costringe Gilles e i suoi fedelissimi ad
una frenetica attività di occultamento dei cadaveri non bruciati.
Non sono sufficientemente veloci: troppe erano le vittime e con troppa
noncuranza erano state gettate nelle cantine o nelle latrine dei castelli
prima di adottare prendere l' uso, più prudente, di bruciare quei
poveri resti nei camini.
Iniziano i primi ritrovamenti di resti umani: le voci
erano vere. E il 14 settembre 1440 il maresciallo di Francia Gilles de
Rais viene arrestato su ordine del vescovo Malestroit, avendo commesso
reati che erano di competenza dell'autorità ecclesiastica: eresia,
orribili evocazioni (del demonio), sodomia. Restava di competenza dell'autorità
civile il reato di omicidio. Ma già erano sufficienti le violazioni
alla legge ecclesiastica per consegnare Gilles al boia.
E Gilles de Rais volle vivere il processo, ultimo atto
di una vita smisurata, in modo smisurato. Da mostro esecrando divenne pentito
acceso dalla fede. E infatti, ammettendo tutti i suoi crimini, si dilungò
a raccomandare si genitori di esser vigilanti sui loro figli, perché
crescessero nella Fede, senza indulgere alle mollezze e ai vizi. Una sola
cosa chiese "in ginocchio, con umiltà e lacrime" ai suoi
giudici: che gli venisse ritirata la scomunica, perché egli, nel
suo vagare confuso tra alchimie ed evocazioni diaboliche, mai aveva perso
nozione del fatto che la Salvezza é solo Nostro Signore e la Sua
Chiesa. I giudici gli ritirarono la scomunica. Non solo. Quando il suo
corpo si distese nell'immobilità, dopo i fremiti dell' mpiccagione,
venne adagiato in una bara e "accudito da damigelle di alta condizione".
Venne portato nella chiesa dei carmelitani, per l'ufficio religioso, e
poi sepolto nella Chiesa di NotreDame des Carmes, a Nantes.
E i due servi, Henriet e Poitou? Troppo umili: fu concesso
loro di pentirsi, ma i loro corpi furono poi dati alle fiamme e le ceneri
disperse. Tre secoli e mezzo dopo, la Rivoluzione Francese suscitò
anche a Nantes disordini e saccheggi e anche la chiesa di Notre-Dame des
Carmes fu devastata. Le tombe furono scoperchiate e, in una sorta di postuma
giustizia, i resti di Barbablù andarono a confondersi con la terra
e col vento.
E gli orgogliosi castelli, per i quali il vecchio Jean
de Craon tanto aveva brigato, con ogni mezzo lecito ed illecito? Subirono
danni irreparabili nel corso delle ultime lotte feudali ed ancor oggi emergono
nelle campagne, rovine abbandonate e neri monconi di torri sbrecciate.
Tra quelle desolanti rovine il primo biografo di Gilles de Rais, l'abate
Brossard, trovò ancora, nel secolo scorso, resti di ossa umane.
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