Il Giappone allestì nei territori dell'Estremo Oriente laboratori con cavie umane: queste "fabbriche della morte" utilizzavano uomini e donne, prigionieri di guerra e dissidenti. Negli esperimenti si distinse la famigerata Unità 731
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I FANTASMI DEL PASSATO:
LA "SPORCA GUERRA" DEL GIAPPONE
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(Parte Seconda) |
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Sino al 1945 l'Unità 731 studiò e sperimentò su civili e prigionieri di guerra le reazioni a peste bubbonica, tifo, antrace, botulino, vaiolo, paratifo A e B, salmonellosi, epatite A e B, morva, tubercolosi, colera, salmonella, meningite, febbri emorragiche, dissenteria, pertosse, scarlattina, encefalite, malattie veneree, cancrena gassosa, febbre maltese, tularemia, febbri ricorrenti, difterite, congelamento e dozzine di altre patologie, tra cui la febbre gialla.
Per poter studiare speditamente quest'ultima malattia, nel febbraio del 1939, il Giappone arrivò persino a richiedere al Rockefeller Institute for Medical Research di New York campioni di virus della febbre gialla. Ufficialmente il campione sarebbe servito per studiare dei vaccini, ma le intenzioni giapponesi erano quelle di ottenere ceppi particolarmente letali del virus della febbre gialla con l'obiettivo di trasformarli in armi biologiche. La richiesta fu inoltrata dal Tenente Colonnello Ryoichi Naito, braccio destro di Ishii. Quando l'istituto statunitense respinse la richiesta, il ricercatore nipponico tentò di corrompere un tecnico dell'istituto offrendogli tremila dollari, ma senza successo. Un'inchiesta statunitense sull'accaduto mise in allarme il Dipartimento di Stato ma la minaccia nipponica non fu presa in considerazione, perché il Giappone era lontano dagli Stati Uniti e non poteva lanciare attacchi massicci in America; secondo gli americani, i giapponesi, essendo asiatici, non erano in grado di sviluppare armi biologiche sofisticate senza l'aiuto dell'uomo bianco.
Nel frattempo in Manciuria l'attività delle "fabbriche della morte" proseguiva. Accanto alle ricerche offensive, furono effettuate anche studi di tipo difensivo: oltre venti milioni di dosi di diciotto differenti vaccini furono prodotte e testate per salvaguardare l'esercito nipponico da malattie comuni e altamente infettive. Furono compiuti anche diversi esperimenti per trovare un rimedio efficace al congelamento e all'assideramento.
Le cavie utilizzate per gli esperimenti erano per lo più giovani di sesso maschile, ma in diverse occasioni anche le donne, soprattutto le gestanti, furono utilizzate per i test, specie quelli riguardanti le malattie veneree come la sifilide. Questi non solo erano prigionieri di guerra o dissidenti antigiapponesi, ma anche vagabondi o persone sole.
Per stabilire la quantità necessaria di vaccino da usare in vista di un futuro utilizzo in guerra, le cavie venivano infettate con dosi differenti di microrganismi letali. Oppure molti prigionieri, in inverno, venivano condotti all'aperto e fatti congelare. Successivamente, per poter continuare gli esperimenti anche nei mesi caldi, furono costruite delle vere e proprie stanze di congelamento artificiale.
E' difficile, a tutt'oggi, stabilire quante furono le vittime della pazzia di Ishii (dal 1938 diventato colonnello) e colleghi: a tutti i prigionieri veniva assegnato un numero che partiva da 101 ed arrivava a 1500. In pratica ogni numero di soggetto morto veniva assegnato ad un altro prigioniero.
Accanto all'Unità 731 molte altre "fabbriche della morte" furono costruite nei territori occupati dai giapponesi in Estremo Oriente, molte delle quali specializzate nella coltura e nella sperimentazione di determinate malattie.
Queste le principali fabbriche della morte giapponesi in Asia:
Unità giapponesi di sviluppo e sperimentazione
della guerra biologica | Collocazione
geografica
| Unità 731 o Unità Ishii | Pingfan
| Unità 1644 o Unità Tama | Nanjing
| Unità 1855 | Beijing
| Unità 100 o Unità Wakamatsu | Changchun
| Unità 673 o Unità Songo | Sunyu
| Unità Togo | Beiyinhe
| Unità 543 | Hailaer
| Istituto sanitario delle ferrovie della Manciuria del Sud | Dalian
| Distaccamento dell'Unità 731 | Haerbin
| Distaccamento dell'Unità 731 | Shenyang
| Distaccamento dell'Unità 731 | Anda
| nome sconosciuto | Shanghai
| Unità 8604 o Unità Nami | Guangzhou
| Unità 9420 o Unità Oka | Singapore
| nome sconosciuto | Burma
| nome sconosciuto | Rangoon
| nome sconosciuto | Bangkok
| nome sconosciuto | Manila
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L'efficacia delle armi batteriologiche preparate in laboratorio fu regolarmente sperimentata, oltre che sui prigionieri internati nei vari campi di concentramento, anche sul campo.
Il primo attacco chimico arrivò nel 1939, nell'offensiva di Wuhan: dall'agosto e fino alla fine di ottobre di quell'anno, l'esercito nipponico utilizzò per oltre trecento volte gas velenosi contro le truppe nemiche. L'anno dopo, a marzo, il quartier generale giapponese diede il permesso al generale Okamura Yasuji di usare ben quindicimila barili di gas velenoso.
Il primo attacco biologico, invece, che vide direttamente impegnata l'Unità 731 avvenne nell'estate del 1939, a Nomonhan, al confine tra il Manchukuo e la Mongolia. Dopo il trasporto a bordo di camion, numerosi bidoni metallici carichi di 225 litri di liquido gelatinoso infettato con batteri di tifo, furono gettati nelle fiume. Il risultato fu deludente: i batteri del tifo non sopravvissero alle acque gelide del fiume, mentre quaranta membri dell'Unità 731, a causa della mancanza di particolari misure di sicurezza, contrassero il virus. Nonostante il fallimento dell'operazione, fu decretato un aumento di fondi e di personale da destinare a vecchi e nuovi centri scientifici.
Due pericolosi esperimenti di guerra batteriologica furono
portati a termine sulla popolazione civile nel 1940: il 4
ottobre sulla cittadina di Chuhsien o Juxian, nella
provincia dello Shantung, il 29 dello stesso mese invece su
Ningbo, nella provincia dello Chechiang o Zhejiang. In quest'ultima occasione, un aereo carico con oltre 120 chili di grano contaminato (70 chili con batteri del tifo e 50 chili con batteri del colera), assieme a milioni di pulci veicolanti la peste bubbonica, furono disperse nell'aria. Contemporaneamente furono avvelenati numerosi pozzi idrici ricorrendo a batteri di tifo e colera resistenti all'acqua. Gli effetti dell'attacco biologico, poi studiato in loco dagli scienziati dell'Unità 731, causò la morte di almeno 99 persone. Nessun morto fu causato, invece, a Chinhua, dove il 28 novembre del 1940 aerei giapponesi lanciarono una grande quantità di germi.
La Cina, attraverso il suo ambasciatore a Londra, Wellington Koo, presentò subito il suo atto ufficiale di protesta al Governo britannico e alla Commissione per la Guerra nel Pacifico. Si legge nella nota di protesta: «In almeno cinque occasioni durante i primi due anni le Forze Armate giapponesi hanno tentato di usare la lotta batteriologica in Cina. Hanno cercato di scatenare un'epidemia di peste lanciando materiali infetti da aeroplani». Eppure, agli occhi degli occidentali, quella apparve allora come semplice propaganda.
A questa protesta ufficiale seguì, nell'aprile del 1942, un rapporto dei tecnici e degli scienziati della Croce Rossa cinese. Il documento, chiamato "Rapporto Qian" (dal nome del capo che guidò l'indagine scientifica, Wen Quai Qian) denunciava e documentava tutti gli attacchi biologici causati dai giapponesi. Il governo cinese riunì una conferenza stampa in cui invitò molti giornalisti internazionali. Il "Rapporto Qian" fu tradotto in varie lingue, tra cui l'inglese, e distribuito a dieci ambasciate straniere accreditate in Cina. Anche in questa occasione il rapporto non servì a smuovere l'attenzione delle potenze internazionali e dell'opinione pubblica mondiale su tali crimini contro l'umanità.
Nel frattempo la sporca guerra giapponese proseguiva. Il 4 novembre 1941 un aereo dell'Unità di Ishii riuscì a disperdere nel cielo della piccola cittadina di Changde, nella provincia del Hunan, trentasei chili di pulci infette, e quintali di grano, riso e cotone intrisi di batteri della peste. Nella piccola cittadina si iniziò ben presto a morire di peste.
Nel 1942, invece, fu utilizzata l'antrace. La città di Fuxing, al confine tra le province delle Zhejiang e Jiangxi, fu la prima città vittima di questi attacchi biologici. In questa occasione furono utilizzati uccelli vivi cosparsi d'antrace.
Altri attacchi o esperimenti furono condotti sulla provincia dello Yunnan e, in particolare, sulle città di Chongshan, Baoshan, Shangrao. Nell'agosto del 1943, la stessa sorte toccò alla provincia dello Shandong, poi alle province dell'Hebei e dell'Henan.
A partire dal metà 1942 furono regolarmente utilizzati, assieme a ordigni convenzionali, anche le famigerate "bombe Yagi", bombe di ceramica con all'interno mosche vive contaminate dal colera. Chi non morì sotto gli attacchi convenzionali, fu irrimediabilmente contaminato dal colera; questo iniziò a propagarsi anche fuori dai centri bombardati poiché la popolazione impaurita prese a riversarsi sui territori circostanti in cerca di riparo.
I metodi di diffusione delle malattie non avvenivano solo attraverso la dispersione aerea: gli scienziati delle varie Unità distribuivano materiali e cibi contaminati nei villaggi. Furono usate anche false vaccinazioni come metodo di contagio.
Anche l'epilogo della vicenda legata alle Unità di studio scientifico e sperimentazione di armi non convenzionali è stato vergognoso.
Il 9 agosto del 1945, in seguito all'invasione sovietica della Manciuria, tutte le varie Unità scientifiche e di sperimentazione esistenti nel territorio furono distrutte assieme alla documentazione relativa agli studi scientifici effettuati. Prima della loro distruzione, gli uomini dell'Unità 731 liberarono migliaia di ratti che provocarono la peste in numerose contee delle province di Heilungchiang e Kirin. Ovviamente quasi tutte le "cavie" ancora in vita furono uccise con iniezione letali o fucilate e gli scienziati e il personale tecnico ripararono in Giappone.
Al momento della resa, nell'agosto del 1945, ebbe inizio uno dei momenti più oscuri nella storia americana: gli Stati Uniti infatti, per evitare che i dati giapponesi sulla guerra biologica cadessero in mano sovietica, si impegnarono a sottrarre gli scienziati dell'Unità 731 al Tribunale di Tokyo, deputato a giudicare i crimini di guerra in estremo Oriente. Così tutti i membri dell'Unità 731, compreso Ishii, si salvarono, in cambio dei loro dati, dall'accusa di crimini di guerra. Era l'inizio della Guerra Fredda.
Nel 1945 il Giappone era sotto la responsabilità del generale statunitense Douglas MacArthur, cui fu affidata la rinascita democratica del Paese pur conservando l'Imperatore.
Solo una settimana dopo la resa giapponese il Dipartimento di Stato USA affidò al Colonnello Sanders il compito di localizzare la macchina da guerra biologica e lo stesso Ishii. Nei tre mesi successivi, Sanders interrogò molti importanti comandanti militari e scienziati dell'Unità 731, principalmente Yoshijiro Umezu, Capo dello Stato Maggiore dell'Esercito, il comandante della gendarmeria dell'imperatore dello Stato fantoccio del Manchukuo, il Colonnello Tomosa Masuda, il vice di Ishii, e il Maggiore Jun'ichi Kaneko, esperto in bombe batteriologiche. Del capo delle Unità scientifiche nipponiche nessuna traccia.
L'importanza di rintracciare e interrogare Ishii divenne prioritaria. Poco dopo lo scienziato nipponico fu individuato e, per sviare l'opinione pubblica, fu dichiarato morto. I giornalisti poterono assistere ai suoi falsi funerali. Ishii fu interrogato dal 17 gennaio al 25 febbraio 1946 dal Colonnello Thompson. Nell'interrogatorio lo scienziato giapponese si assunse tutta la responsabilità, allontanando l'accusa di implicazione dell'Imperatore Hirohito.
Tutti i programmi di ricerca biologica effettuati dall'Unità 731 furono secretati, specie quelli riguardanti esperimenti su cavie umane. La segretezza tuttavia durò poco. Nel gennaio del 1946, infatti, apparve sul "New York Times" un articolo che riportava un rapporto dell'U.S. Army, in cui si affermava che tra le vittime degli esperimenti di Ishii c'erano anche dei cittadini americani.
Il 6 maggio 1947 MacArthur inviò al Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa la richiesta di immunità ufficiale per Ishii e colleghi in cambio di importanti e ulteriori informazioni. Il 13 marzo 1948 il ministero della Difesa USA telegrafò al generale MacArthur autorizzando lo stesso ad accordare a Ishii e colleghi la totale immunità. Solo trenta membri dell'Unità 731 furono portati davanti al Tribunale di Tokyo per i crimini di guerra l'11 marzo 1948. Ventitrè di loro furono ritenuti colpevoli, cinque furono condannati a morte, ma nessuna sentenza fu eseguita. Entro il 1958 tutti i condannati erano liberi.
L'unica inchiesta giudiziaria mossa contro i fatti legati alle Unità di ricerca e sperimentazione batteriologica avvenne a Khabarovsk, in Unione Sovietica, nella Siberia orientale. Dal 25 al 31 dicembre del 1949 furono portati alla sbarra dodici membri delle varie Unità legate alla guerra non convenzionale, catturati dai sovietici nel 1945 nel momento in cui l'URSS, nel corso della sua avanzata in Manciuria, si imbatteva nelle diverse "fabbriche della morte". Le prove furono raccolte nei quattro anni precedenti al processo e si basavano su diciotto volumi che raccoglievano interviste e testimonianze di soldati giapponesi collegati alle varie Unità di sperimentazione di armi di distruzione di massa. Tutti gli imputati confessarono di aver commesso terribili crimini contro civili cinesi e di aver utilizzato negli esperimenti uomini, donne e bambini, anche sovietici e americani. I dodici imputati accusarono anche l'imperatore Hirohito di essere a conoscenza del programma di guerra biologica e di aver dato il via libera alla costruzione dell'Unità 731 e affini.
I dodici uomini imputati erano: il generale Yamada Otozoo, il chimico Takahashi Takaatsu, il veterinario Hirazakura Zensaku, gli infermieri Kikuchi Norimitsu e Kurushima Yuji, i batteriologi Kawashima Kiyoshi, Nishi Toshihide, Karasawa Tomio, Onoue Masao e Sato Shunji.
Il processo di Khabarovsk non ebbe un forte impatto mediatico, ma la stampa sovietica mise bene in evidenza come Shiro Ishii e molti suoi colleghi fossero al sicuro e liberi in Giappone.
I dodici giudicati a Khabarovsk furono condannati a pene detentive che andavano da un minimo di due anni ad un massimo di venticinque. Nessuno fu condannato a morte, malgrado la natura dei crimini e sebbene la legislazione sovietica prevedesse la pena capitale per reati di entità infinitamente minore. Tutti furono rimpatriati nel 1956, anno delle liberalizzazioni seguite alla morte di Stalin. Anche in questo caso, le pene furono lievi perché probabilmente anche il governo sovietico avrebbe voluto ottenere informazioni utili da parte degli scienziati giapponesi.
Finita la guerra, numerosi scienziati giapponesi legati al programma di guerra biologica giapponese non solo si ritrovarono liberi, ma ottennero anche incarichi di prestigio. Naito Ryoichi, Kitano Masaji e Futagi Hideo, tra i principali pianificatori degli attacchi biologici in Cina e responsabili dei molti esperimenti sugli esseri umani all'Unità 731, fondarono nel 1947 una "Banca del sangue", la Japan Blood Plasma Company, che si assicurò nel 1950 un fruttuoso contratto con gli Stati Uniti per le forniture di sangue ai soldati americani impegnati nel conflitto coreano. Altri intrapresero la carriera accademica: il dottor Ishikawa Tachiomaru, ex patologo dell'Unità 731, divenne preside dell'Istituto di medicina dell'Università Kanazawa, una delle più illustri istituzioni giapponesi; Tabei Kazu, responsabile di molti esperimenti sul tifo nell'Unità 731, divenne docente di batteriologia a Kyoto; Ogawa Toru, ex addetto alla selezione dei ceppi più virulenti dell'Unità 1644, divenne professore alla Facoltà di medicina di Nagoya; Yoshimura Hisato, esperto degli esperimenti sul congelamento presso l'Unità 731 divenne presidente della Società di Meteorologia e guidò numerose spedizioni in Antartide per studiare, questa volta su dei volontari, gli effetti del freddo estremo sulla fisiologia umana; Wakamatsu Yujiro, ex capo dell'Unità 100, divenne membro scientifico dell'Istituto Nazionale della Salute e lavorò per vari istituti sanitari, specializzandosi nella ricerca pediatrica sulle infezioni da streptococco.
Più "sfortunato" fu Shiro Ishii, che non poté ottenere alcun incarico né in istituzioni private né pubbliche. Lo scienziato, dopo aver ottenuto la più completa immunità da parte degli Stati Uniti in cambio delle sue conoscenze, si ritirò nella sua casa nella prefettura di Chiba, nelle vicinanze di Tokyo. Condusse una vita tranquilla insieme alla sua famiglia, percependo un'ingente pensione da generale di divisione. Morì da libero cittadino, all'età di sessantasette anni, di cancro alla gola.
(2 - Fine)
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BIBLIOGRAFIA
- Unit 731: Japan's Secret Biological Warfare in World War II
, di P. Williams e D. Fallace - Hodder and Stoughton, London 1989.-
Factories of Death. Japanese Biological Warfare, 1932-45, and the American Cover-up
, di Sheldon H. Harris - Routledge, London 1994.-
Unit 731 Testimony, di H. Gold - Tuttle Publishing, Tokyo 1996
-
Le armi biologiche della guerra di Corea, di S. Endicott e E. Hagerman - "Le Monde diplomatique", luglio 1999.
-
The Rape of Biological Warfare, di Yin J. - Northpole Light, San Francisco 2001.
-
Orrori e misteri dell'Unità 731 la "fabbrica" dei batteri killer, di M. Lupis - "La Repubblica", 14 aprile 2003.
-
Storia del Giappone Contemporaneo 1945-2000, di D. De Palma - Bulzoni Editore, Roma 2003.
-
I medici del Sol Levante. Gli esperimenti segreti giapponesi. 1932-1945, di D. Barenblatt - Rizzoli, Milano 2004.
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