Nel 1992 un archivista del KGB porta all'estero un'enorme mole di documenti che attesta la presenza in Europa occidentale di una rete di collaboratori dell'ex Urss. È il "dossier Mitrokhin", che in Italia sarà oggetto di una commissione d'inchiesta
IL DOSSIER MITROKHIN E L'OMBRA DEL KGB SULL'EUROPA
(Parte Prima)
di MATTEO MASETTI
«È mia ragionata e ragionevole convinzione, suffragata da fortissimi indizi, che Aldo Moro fosse stato rapito da Brigate Rosse guidate dal KGB, convinzione divenuta certezza dopo aver raccolto presso la Procura di Budapest le prove materiali della relazione organica fra servizi sovietici e brigatisti italiani» (Agenzia Giornalistica Italia, 03.10.2006). Queste parole si riferiscono ad uno dei filoni del lavoro, coperto dal quasi totale silenzio da parte della stampa italiana, svolto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il cosiddetto "dossier Mitrokhin". Presidente di questa Commissione - di cui facevano parte rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione - è stato il giornalista e senatore Paolo Guzzanti, al quale si deve anche la citazione vista sopra.
Quando i
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Paolo Guzzanti
lavori della Commissione si conclusero con una relazione, la stampa internazionale e soprattutto le televisioni dedicarono più di duemila servizi ai riscontri contenuti nella relazione finale, mentre in Italia ne parlarono solo pochi giornali.
Il fine istituzionale della Commissione era di «accertare la veridicità e l'affidabilità delle notizie contenute nel dossier Mitrokhin, senza alcuna strumentalità e propaganda di parte, ma con l'obiettivo di cercare di ricostruire quello che è avvenuto in Italia in anni cruciali che hanno interessato straordinari cambiamenti politici e sociali; anni funestati da stragi, terrorismi, assassinii, ma anche anni caratterizzati da una straordinaria ripresa economica e da una grande partecipazione popolare alla vita politica del paese. Si vuole verificare se cittadini italiani che avevano o hanno tuttora responsabilità istituzionali ed economiche, menzionati nel dossier, abbiano agito con lealtà verso la propria patria e non abbiano compiuto atti di tradimento; si vuole stabilire se la natura di finanziamenti pervenuti dall'ex Unione Sovietica a persone e soggetti politici siano legittimi o abbiano avuto altri scopi» (Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il "Dossier Mitrokhin" e l'attività d'intelligence italiana istituita con legge nr. 90 del 07.05.2002 e Documento conclusivo sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta, doc. n. 374, prot. n. 4208 del 15.03.2006).

La Commissione ha provveduto quindi ad acquisire la documentazione raccolta e prodotta in precedenza e approvata nella seduta del 9 febbraio 2000 con una "Relazione sull'attività svolta dai Servizi di informazione e sicurezza in ordine alla cosiddetta Documentazione Mitrokhin". A questo riguardo il Comitato ha riscontrato: «l'assenza di una prassi codificata nel trattamento di questi documenti da parte dei Servizi d'informazione e sicurezza; la mancanza di qualsiasi atto che certifichi le modalità di trasmissione dal SISMI al Ministro della difesa dei dati relativi alla vicenda; il mancato coordinamento tra SISMI e SISDE; il fatto che sino all'aprile del 1998 nessuna misura di controspionaggio era stata presa con riferimento alle persone chiamate in causa dal dossier».
Si è quindi tentato «di accertare i modi e le procedure di ricevimento dei report dal servizio collegato britannico (MI6); le modalità con cui le informazioni contenute nel dossier sono state trattate dal servizio di informazione e sicurezza militare (SISMI); i riscontri compiuti da tale servizio sulle informazioni ricevute; la completezza dell'informativa data ai Governi dell'epoca e le disposizioni impartite da questi ultimi». La Commissione ha quindi proceduto, oltre a verificare e acquisire dal SISMI i documenti originali del dossier Mitrokhin nonché i racconti stenografici delle sedute, a svolgere un ciclo di libere audizioni nei riguardi dei presidenti del Consiglio dal 1995 al 1999 (Lamberto Dini, Romano Prodi e Massimo D'Alema), ai diversi responsabili dei servizi di intelligence dell'epoca nonché al presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga.
Riguardo al contenuto dei report «emerge chiaramente che il KGB era presente in Italia con contatti nella politica, nella pubblica amministrazione, nell'imprenditoria, nel giornalismo e nella Chiesa (ad esempio nel 1980 la residentura del KGB di Roma aveva avuto l'ordine di considerare la "penetrazione in Vaticano" un obiettivo prioritario). Partendo proprio da questo ultimo dato e da quanto scritto nell'ultimo libro del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II dal titolo Memoria e identità - in cui per la prima volta parla dell'attentato alla Sua persona come "una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza scatenatesi nel XX secolo" - la Commissione ha ritenuto opportuno avviare un ciclo di audizioni al fine di verificare l'eventuale ruolo svolto dal KGB e dai Servizi segreti dei Paesi dell'ex Patto di Varsavia nell'attentato del 13 maggio 1981».
Infine, per chiarire e completare alcuni aspetti dell'inchiesta, la Commissione ha effettuato delle missioni in Francia ed in Ungheria al fine di acquisire materiale documentale di estremo interesse per questo lavoro di verifica e analisi.

Ma vediamo ora di analizzare la figura di Mitrokhin e come viene alla luce il suo famoso dossier. Vassilj Nikitich Mitrokhin nasce nel 1922 nel distretto di Ryazan (Russia Centrale) e partecipa alla Seconda Guerra Mondiale come ufficiale dell'esercito. Nel 1944 si laurea in diritto e inizia quindi la sua carriera nell'intelligence estera sovietica. Alla fine del 1956, a seguito di sue moderate critiche riguardanti il modo in cui era stato diretto il KGB, viene
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Il simbolo del KGB
rimosso dalle operazioni all'estero. La svolta della sua «odissea intellettuale», come lui stesso la definì, avvenne però nel 1968 a seguito della repressione della Primavera di Praga, quando Mitrokhin capì che il sistema comunista era ormai irriformabile. Da allora iniziò a maturare l'idea di compilare un archivio che documentasse le operazioni del KGB all'estero, come tentavano di fare coraggiosi dissidenti con la stampa clandestina (samizdat, cioè "edito in proprio"). Per una curiosa e fortunata coincidenza nel giugno 1972 Mitrokhin divenne il responsabile dell'archivio della sede centrale del KGB a Mosca e per 12 anni, cioè fino al suo pensionamento avvenuto nel 1984, riuscì a trascrivere a mano una enorme quantità di documenti top secret che poi ribatteva a macchina e riordinava nella sua dacia nei fine-settimana. Con la sua scelta, ovvero quella di trascrivere documenti segretissimi, Mitrokhin rischiò la vita sua e della sua famiglia: se fosse stato scoperto sarebbe stato fucilato senza tanti processi.
L'anno successivo alla dissoluzione dell'URSS Mitrokhin riuscì a trasferire la sua documentazione fuori dal Paese. Nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1992, come in una perfetta spy-story, Mitrokhin riuscì a raggiungere in treno Riga, capitale della Lettonia ormai indipendente, portando con sé una parte del suo archivio opportunamente selezionato e nascosto in una valigia: lì riuscì ad avere un incontro presso l'ambasciata britannica dopo un fallito tentativo con quella americana. I diplomatici inglesi capirono subito di avere di fronte del materiale scottante e di avere a disposizione una fonte di importanza straordinaria, pertanto verso la fine di quell'anno autorizzarono l'ingresso in Gran Bretagna di Mitrokhin che portò con sé, assieme alla sua famiglia, anche il prezioso archivio. Mitrokhin visse così in una località segreta fino alla morte, avvenuta nel 2004.

Il lavoro svolto da Mitrokhin, composto da quasi 300.000 schede, venne così decodificato, tradotto e classificato da parte del servizio segreto inglese sotto l'attenta e pignola visione dell'autore e consegnato ad ogni Paese a cui i report (schede) si riferivano: all'Italia vennero recapitate 261 schede tra il 1995 e il 1999. Nonostante questi rapporti contenessero un enorme numero di notizie di reato riferite a persone identificate o identificabili, i direttori del SISMI dell'epoca non trasmisero nulla agli organi giudiziari (a parte le schede nr. 237 e 238 con oggetto "Locazione e contenuti dei nascondigli del KGB in Italia", che avevano portato al reperimento e bonifica di apparati radio con dispositivi esplosivi di protezione occultati in provincia di Roma e Rieti). Allo stesso tempo il SISMI evitò accuratamente di incontrare e ascoltare il teste Impedian (ovvero Mitrokhin), nonostante fosse offerta questa opportunità per ben tre volte nel corso del 1996 dal servizio segreto inglese MI6 «per ottenere tutti i chiarimenti che avrebbe potuto dare sulle identità, le attività, il ruolo e l'importanza delle persone». Il SISMI non dette mai alcuna risposta alle tre offerte ma decise che la soluzione migliore fosse incontrare la fonte in tempi successivi. A questo proposito il SISMI aveva chiesto di poter sentire Mitrokhin come testimone, cosa che non era possibile in quanto la fonte non poteva testimoniare davanti a una magistratura estera. Ma questo "rifiuto" da parte di MI6 era inteso semplicemente al fatto di non far testimoniare Vassilij Mitrokhin davanti alla magistratura italiana, di certo non a collaborare con il SISMI, come infatti documentato dalla triplice offerta di quell'anno.
Pertanto «i comportamenti omissivi del servizio, avallati, se non addirittura determinati, dall'Autorità politica, hanno compromesso la possibilità di accertare le responsabilità di chi ha operato per esercitare lo spionaggio in Italia a favore dell'Unione Sovietica».

In un articolo apparso su "Il Giornale" del 19.01.2006, Paolo Guzzanti ha scritto: «Sappiamo oggi che la storia dell'assassinio del Papa progettato a Mosca, la sua esecuzione affidata ad Agca ed alcuni altri che avrebbero dovuto poi essere fatti espatriare in un furgone con targa diplomatica dall'ambasciata bulgara ai Parioli, è molto più complessa e la commissione Mitrokhin con una lunga serie di audizioni dei magistrati che hanno investigato, da Martella a Priore, da Marini a Imposimato, ha fatto gravi e importanti scoperte [.]. Non si capirebbe nulla di questa storia intrecciata e confusa se non esistesse un libro, A Cardboard Castle?, che raccoglie tutti i verbali delle riunioni dei ministri della
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Vassilij Mitrokhin
Difesa dei Paesi del Patto di Varsavia dalla fine della guerra alla fine del Patto di Varsavia. Questi verbali mostrano e dimostrano senza la più lontana possibilità di dubbio che fin dagli anni Cinquanta, ma in modo più organizzato e dispendioso dai primi anni Settanta con un picco che sta a cavallo fra rapimento, interrogatorio e soppressione di Aldo Moro e il tentativo di eliminare il papa, l'Unione Sovietica aggiornava continuamente piani dal costo economico suicida, per lanciare un attacco improvviso all'Europa occidentale con una rapidità tale, due settimane, da dissuadere gli Usa dall'ingaggiare un duello termonucleare per riconquistare un'Europa ormai persa. Questi piani cominciarono a scricchiolare con l'arrivo di Ronald Reagan sulla scena internazionale e il suo scudo stellare, inaccessibile per costi e tecnologia all'URSS, oltre al fallimento nel controllo della Polonia e all'installazione degli Euromissili in risposta allo schieramento aggressivo degli SS20 sovietici».
Vista la sommaria elencazione di questi fatti, procederò con ordine per l'analisi e l'approfondimento storico.
Parlo anzitutto, oltre che dei documenti citati dei ministri della Difesa del Patto di Varsavia, di un insieme di notizie emerse da fonti ufficiali tedesche, austriache e ungheresi dalle quali si è appreso che esistevano dei piani d'invasione dell'Europa occidentale, nella quale l'Italia appare in una posizione importante e tuttavia periferica rispetto ad un attacco che doveva investire in maniera fulminea la Germania e la Francia per poi ottenere il controllo dell'intera Europa nella quale, dopo la fine delle violentissime e rapidissime ostilità, si sarebbero installati dei governi fantoccio sotto il dominio incontrastato dell'Unione Sovietica.

Per essere in grado di scatenare un attacco di questa portata, occorreva mantenere una macchina da guerra perfettamente oliata e pronta scatenare un Blitzkrieg che richiedeva la costituzione e il mantenimento operativo della più grande armata mai vista nella storia. Inoltre è evidente che un attacco della NATO verso est non avrebbe avuto alcuna speranza di successo, in quanto oltre all'inferiorità delle forze, la continuità dello schieramento del Patto di Varsavia dal Circolo polare artico fin quasi al Mediterraneo avrebbe consentito di tagliare sul fianco qualsiasi penetrazione da ovest. L'URSS inoltre disponeva di un potenziale di truppe di AT (aerotrasportabili) a prontezza immediata di circa 90.000 uomini, affiancate dalle unità speciali Spetsnaz, ovvero commandos addestrati e preparati a operare nelle condizioni più estreme e dipendenti direttamente dal GRU, il famigerato servizio segreto militare che anche oggi continua ad operare con lo stesso nome. A questo riguardo è importante ricordare le linee-guida della dottrina militare sovietica basata sul marxismo-leninismo, che vede il mondo come un campo di battaglia delle classi e dei sistemi sociali ed è certo della «inevitabile vittoria del socialismo».
A metà degli anni Settanta, in coincidenza della crisi americana seguita al ritiro dal Vietnam, inizia per i sovietici il periodo di massima opportunità per la conquista manu militari dell'Europa occidentale con il minimo rischio di risposta da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Durante quegli anni si stima inoltre che l'URSS abbia destinato dall'11 al 15% del suo PIL per spese militari contro il 5% degli USA. Pertanto il collasso economico che si manifesterà alla fine degli anni Ottanta è riconducibile anche alle spese elevatissime per gli armamenti, mentre le popolazioni civili di quei Paesi sono costrette al razionamento alimentare e a lunghe file per la spesa quotidiana.
Tornando al piano di attacco, il Paese contro cui portare la manovra principale era la Germania che, secondo una corretta valutazione del Patto di Varsavia, avrebbe fatto perdere alla NATO il territorio più ricco di risorse e più vasto nel cuore del suo schieramento. La caduta della Germania avrebbe significato la caduta dell'intera Europa. L'attacco, previsto con l'impiego di armi convenzionali e atomiche tattiche, si sarebbe quindi diretto su Danimarca, Belgio e Olanda per raggiungere infine la Francia e conquistarla. L'offensiva avrebbe operato anche contro paesi neutrali quali Svizzera, Austria, Svezia e Jugoslavia. In questo contesto l'Italia rappresentava un fronte non meno importante, in quanto le basi aeree e marittime del Nord Italia avrebbero costituito dei punti di partenza per i rinforzi strategici americani; era quindi importante conquistarle nel più breve tempo possibile. L'invasione dell'Italia del Nord era un'azione solo apparentemente secondaria, in realtà costituiva una componente irrinunciabile della manovra principale sul fronte centrale. La missione era infatti quella di attaccare la frontiera italiana, penetrare nella pianura padano-veneta e occupare l'area strategica Padova-Milano-Torino.

Nel dicembre 1977 il Patto di Varsavia schierò i cosiddetti "missili di teatro" SS20. Si
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L'attentato a Giovanni Paolo II. Fu ordito dal KGB?
trattava di vettori dotati di testate nucleari puntati contro tutti i paesi NATO e in particolare contro la Germania, la Francia e l'Italia. Fu un atto di aperta ostilità militare - come la mobilitazione generale in passato - al quale si aggiunse la creazione di un comando unificato di guerra sotto la guida dell'URSS. Tuttavia il Patto di Varsavia era attraversato da tensioni interne, in quanto la Polonia chiedeva una zona "denuclearizzata" al centro dell'Europa (il cosiddetto "piano Gomulka"): secondo Guzzanti «la chiave di questi piani d'invasione era la Polonia, destinata peraltro a una massiccia distruzione atomica di rappresaglia perché l'attacco sovietico prevedeva l'uso di oltre mille bombe come quella di Hiroshima sulla sola Germania». Inoltre la Romania, sotto la dittatura di Nicolae Ceaucescu, continuava a disertare le riunioni dei ministri della Difesa dichiarando che non avrebbe mai partecipato a una guerra aggressiva contro l'Occidente. Infine il movimento Charta 77, sorto in quel periodo a Praga, fu un ulteriore segnale di dissenso nei confronti del comunismo.
Nel frattempo in Europa occidentale si assiste a una massiccia mobilitazione dei movimenti pacifisti al grido "meglio rossi che morti", per impedire lo schieramento di missili americani in risposta a quelli sovietici. È pertanto significativo come l'arma della propaganda, usata in maniera spregiudicata, mascherasse attraverso il Movimento mondiale della pace (World Peace Council) l'intenzione di creare un terreno favorevole alla guerra, strumentalizzando e cercando di mettere in condizione di sottomissione psicologica i governi occidentali. Erano anche questi gli obiettivi che il KGB si era prefissato al fine di inquinare e disinformare in maniera capillare l'opinione pubblica.
L'invasione sovietica dell'Afghanistan, avviata il giorno di Natale del 1979, è una tappa di questa espansione militare da parte dell'URSS, che vuole così estendere il raggio della propria aviazione e chiudere, in caso di guerra, la via d'accesso al Golfo Persico per fermare il flusso di petrolio verso l'Occidente.
Comunque, i rovesci militari sovietici in Afghanistan, la risposta della NATO con l'installazione dei missili Pershing e Cruise in Europa e la successiva decisione del presidente americano Ronald Reagan di realizzare uno "scudo stellare" di difesa, tagliano qualsiasi speranza di attacco strategico da parte del Patto di Varsavia che, solo nel maggio 1987 (a seguito di una riunione del Comitato Consultivo) adotta una linea puramente difensiva.
L'economia basata sulle spese militari e le spese per la macchina propagandistica (che tra il 1979 e il 1982 brucia oltre 10.000 miliardi di dollari) porteranno al definitivo collasso economico dell'URSS.
(1 - Continua)
 
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BIBLIOGRAFIA
  • Commissione parlamentare d'inchiesta concernente il "dossier Mitrokhin" e l'attività d'intelligence italiana. Documento conclusivo sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta, doc. n. 374, prot. n. 4208 del 15.03.2006.
  • G.R.U. le plus secret des services sovietiques, 1918-1988, di P. F. de Villemarest e C. A. Kiracoff - Stock, Parigi 1988.
  • Il GRU, il più segreto dei servizi sovietici 1918-1988, di O. Sanguinetti, in "Cristianità", anno XIV, n. 163-164.
  • Mistero Medjugorie, di A. Socci - Piemme, Casale Monferrato 2005.