Fu notevole il contributo delle donne nell'Assemblea Costituente del 1946. Grazie a loro, il dibattito sul concetto di famiglia, sui figli nati fuori dal matrimonio, sui nuclei familiari di fatto e le madri nubili, fu affrontato in un'ottica nuova e moderna. La difesa a oltranza del principio di parità dei sessi nei diversi campi del vivere civile trovò poi sbocco nell'art. 3 della nostra carta fondamentale.
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Le prime deputate italiane
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Alla consultazione elettorale del 2 giugno 1946 per la prima volta prendono parte le donne: a votare sono 12.998.131 cittadine italiane. Il 30 gennaio 1945, infatti, il Consiglio dei Ministri aveva approvato lo schema di un decreto che riconosceva finalmente alle donne il diritto di voto.
Stranamente, o a conferma della scarsa attenzione per il tema da parte della classe politica, in esso non si faceva alcun accenno all'eleggibilità delle donne per la quale si dovette attendere l'art. 7 del Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946 (G.U. n. 60 del 12 marzo 1946).
Dopo il Decreto Luogotenenziale n. 23 dell'1 febbraio 1945 (G.U. n. 22 del 20 febbraio 1945), di estensione del diritto di voto, le donne avevano partecipato ad un altro importante organismo, la Consulta Nazionale, composta da esponenti dell'antifascismo designati dai partiti politici. Per la prima volta tra i 430 membri del prestigioso organismo v'erano anche 13 donne tra cui figure prestigiose dell'antifascismo al femminile. Ne fecero parte cinque comuniste (Adele Bei, Teresa Noce, Rina Picolato, Elettra Pollastrini, Gisella Della Porta), due democristiane (Laura Bianchini e Angela Cingolani Guidi), tre socialiste (Clementina Calligaris, Iole Lombardi e Claudia Maggioli), due azioniste (Bastianini Martini Musu e Ada Marchesini Gobetti) e una liberale (Virginia Quarello Minoletti).
E proprio alla Consulta Nazionale si registrò il primo intervento di una donna ad una assemblea rappresentativa politica italiana. Il discorso, tenuto dalla Cingolani, responsabile del Movimento Femminile DC, mise subito in evidenza l'insoddisfazione per gli spazi politici lasciati alle donne: «Colleghi consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest'aula. Non un applauso dunque per la mia persona, ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del Paese. (.) Parole gentili, molte ne abbiamo intese nei nostri riguardi, ma le prove concrete di fiducia in pubblici uffici non sono molte in verità. Qualche assessore (.) una vice sindaco come la nostra di Alessandria e qualche altro incarico assai, assai sporadico: eppure nel campo del lavoro, della previdenza, della maternità e infanzia, della assistenza in genere e in quella post-bellica in specie, ci sarebbe stato modo di provare la nostra maturità e capacità di realizzatrici».
Anche altre Consultrici intervennero nei lavori dell'importante organismo. La comunista Rina Picolato si occupò dei temi della famiglia, dell'infanzia, dell'educazione e dell'istruzione dei minori. La socialista Claudia Maffioli da ex partigiana ricordò il sacrificio delle donne nella Resistenza.
Già nella primavera del 1946 le italiane avevano votato nelle prime consultazioni amministrative parziali per i consigli comunali e provinciali, ma è il 2 giugno sempre del 1946 che la partecipazione delle donne al voto assume il significato di un evento storico, anche se, è inutile negarlo, furono pochissime le donne candidate.
Se, infatti, concentriamo l'attenzione sui tre partiti che riscossero maggiori consensi (DC, PSIUP e PCI) essi presentarono complessivamente solo 110 donne, pari al 6,5% dei candidati. La percentuale cala ancora di più se si guarda a coloro che vennero elette perché esse rappresentarono il 4,6% di tutti gli eletti dei tre partiti.
Una pattuglia di 21 donne (pari al 3,7% dei Costituenti) entrò, dunque, nell'Assemblea Costituente. Esse erano nove comuniste (Adele Bei, Nadia Gallico Spano, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce Longo, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), nove democristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), due socialiste (Bianca Bianchi e Angelina Merlin), una dell'Uomo Qualunque (Ottavia Penna Buscemi).
Le democristiane provenivano in genere dalle associazioni cattoliche e femminili o dal mondo della scuola, mentre molte comuniste erano state in clandestinità ed avevano partecipato alla Resistenza.
A dispetto del numero, piuttosto esiguo, le prime deputate della storia d'Italia diedero un contributo significativo nella definizione della legge fondamentale dello Stato, specialmente quelle che presero parte ai lavori della "Commissione dei 75".
La Commissione dei 75 venne nominata il 19 luglio 1946. Presieduta da Meuccio Ruini, si divise in tre sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri dei cittadini, la seconda sull'ordinamento costituzionale, la terza sui diritti e doveri economico-sociali.
Della prima sottocommissione fece parte la comunista Nilde Iotti, della terza la democristiana Maria Federici, la socialista Angelina Merlin e la comunista Teresa Noce. Nessuna donna fece parte della seconda sottocommissione. In seguito venne chiamata a far parte della prima anche la democristiana Angela Gotelli in sostituzione della dimissionaria Penna Buscemi.
Pur con le differenze dei rispettivi partiti, spesso le Costituenti fecero causa comune sui temi dell'emancipazione femminile cui sarebbe stata dedicata, anche se non esclusivamente, gran parte della loro attenzione. E difatti esse furono chiamate come
La Commissione dei 75 venne nominata il 19 luglio 1946. Presieduta da Meuccio Ruini, si divise in tre sottocommissioni |
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relatrici ad affrontare delicatissimi argomenti quali la famiglia o i diritti delle lavoratrici, iniziando una "settorializzazione" dei compiti che, se da un lato fu espressione di una speciale sensibilità femminile, dall'altro avrebbe pesato a lungo sulla futura vita parlamentare e politica delle donne, tagliando l'interesse femminile da tematiche che il sesso maschile continuò a rivendicare come proprie.
Non si può, d'altro canto, negare che, grazie all'apporto delle donne costituenti, alcuni principi di parità trovarono spazio nella Costituzione.
Le prime "onorevoli" della storia d'Italia dovettero innanzitutto combattere contro una mentalità che le considerava semplici "variabili" della famiglia, con forti dubbi sulle loro capacità politiche. Tutti i partiti, infatti, giunsero all'appuntamento con la Carta costituzionale completamente impreparati sulla "concezione giuridica della parità". La cultura dei parlamentari maschi ignorava tutto della storia delle donne. Essi, nel trattare i temi della condizione femminile, mostrarono tutti i loro limiti, richiamandosi a "concessioni ideologiche", all'esigenza egualitaria della nuova società, alla valorizzazione della famiglia. Nessuno di loro citò mai figure femminili che pur in passato si erano occupate di tali tematiche.
Ma vediamo in dettaglio il lavoro delle Costituenti. Nella prima sottocommissione emerse subito un forte contrasto sul tema della famiglia tra i due relatori, Nilde Iotti e il democristiano Camillo Corsanego, che occupò le sedute svoltesi tra il 30 ottobre e il 13 novembre 1946.
Tre i punti di dissenso tra i due: Corsanego riteneva che il diritto originario della famiglia fosse preesistente a quello dello Stato, la Iotti no; mentre per la relatrice era necessario che padre e madre avessero gli stessi diritti e doveri, il relatore sosteneva delle precisazioni che, di fatto, intaccavano tale principio; Nilde Iotti, a differenza del collega, voleva introdurre una uguale posizione giuridica tra figli illegittimi e figli legittimi.
Così la Iotti perorò la causa dell'integrale parità femminile rispetto ai diritti dell'uomo: «Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, nel campo politico, piena uguaglianza col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata giuridicamente in modo tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina».
Ma il Corsanego oppose che l'eventuale eguaglianza non doveva sovvertire l'unità funzionale della famiglia, il cui capo legittimo non poteva essere che il padre. Pur riconoscendo i diritti della donna, moglie e madre, non si doveva sconvolgere, dunque, "la naturale gerarchia della famiglia", una famiglia - insisteva il deputato democristiano - che rappresentava una istituzione naturale, dotata di diritti innati, anteriori e superiori a qualsiasi legge positiva, elemento primario e fondamentale della società.
Lo scontro tra i due venne superato grazie alla proficua mediazione di Aldo Moro e Palmiro Togliatti, anch'essi membri della prima sottocommissione.
Problemi simili venivano registrati in terza sottocommissione. Qui, però, la presenza di ben tre donne portava spesso ad una presa di posizione che andava al di là dell'appartenenza partitica, anche se non mancarono differenze dovute proprio alla diversa filosofia politica di riferimento.
Così anche tra le due relatrici Angelina Merlin e Maria Federici si accese la divergenza sulla priorità della famiglia rispetto allo Stato. La prima presentò un testo incentrato sulla donna e i diritti, suoi e dei figli, nei confronti dello Stato, mentre la seconda sostenne che, solo dopo aver raggiunto un accordo sulla parte della Costituzione dedicata alle garanzie economico-sociali della famiglia, si sarebbe dovuto avviare il discorso con il soggetto vero di quelle provvidenze, cioè la famiglia. Quest'ultima tesi ebbe l'adesione dell'altra correlatrice, la comunista Teresa Noce, la quale dichiarò di essersi attenuta al tema proposto, cioè «le garanzie economico-sociali per l'assistenza della famiglia, considerando la famiglia in senso molto generale e completo».
La Merlin ribadì, dunque, nella seduta del 13 settembre 1946, che la donna aveva «una importanza decisiva nella formazione della famiglia». Una donna, anche non sposata, se aveva dei figli poteva «ugualmente costituire la propria famiglia». La donna, sotto questo aspetto, era «la creatura più importante, l'essere intorno al quale si forma(va) il nucleo familiare».
Per l'esponente socialista il riconoscimento della funzione sociale della maternità non interessava «solo la donna, o l'uomo, o la famiglia», interessava «tutta la società». Proteggere la madre significava proteggere la società alla sua radice, poiché intorno alla madre si costituiva la famiglia e, attraverso essa, si garantiva «l'avvenire della società».
Maria Federici, dal canto suo, ammetteva la necessità di introdurre un articolo contenente garanzie economico-sociali, un articolo «riassuntivo di tutte le garanzie già ricordate» che avevano per oggetto «la tutela e lo sviluppo della famiglia», in quanto questa rappresentava «la cellula viva e vitale, che a sua volta produce(va) altre cellule per costituire il tessuto sociale».
Una volta d'accordo sull'opportunità di fare un solo articolo riguardante le garanzie economico-sociali della famiglia, la deputata democristiana pensava fosse preferibile «cominciare con il vero soggetto», appunto la famiglia. Nelle formulazioni proposte dalla Merlin e dalla Noce, invece, il concetto di famiglia pareva "scomparso", poiché si parlava solo di lavoratrici, di figli, ecc. A questa famiglia, "soggetto dell'articolo", andavano assicurate provvidenze in materia di retribuzioni, cioè i salari familiari, e di accesso alla proprietà, con particolare riferimento alla casa.
Nel dibattito intervenne Teresa Noce ribadendo che la questione della maternità non poteva essere separata da quella della famiglia. Era, dunque, necessario affermare, in un articolo specifico della Carta Costituzionale, in qual modo lo Stato dovesse intervenire per tutelare la maternità: «Oggi la maternità è considerata in generale, in Italia, come qualche cosa che riguarda l'individuo, mentre essa rappresenta anche una funzione naturale nobilissima della donna, in quanto provvede alla creazione di nuove generazioni, le quali non possono non interessare la Nazione tutta, trattandosi dell'avvenire e dell'interesse della collettività. In conclusione, la maternità deve essere considerata come una funzione sociale che interessa tutta la collettività e non soltanto la madre o la famiglia, e lo Stato deve predisporne una tutela e una protezione efficace».
Dopo aver posto al centro del dibattito costituzionale la famiglia come "soggetto di diritti" le stesse relatrici si preoccuparono dei figli nati fuori dal matrimonio, senza tralasciare i problemi posti dai nuclei familiari di fatto e dalle madri nubili.
Del resto - affermava la Federici - bisognava tener conto dell'eccezionale periodo storico che aveva moltiplicato il numero delle madri nubili che, con due o tre figli, formavano «vere e proprie famiglie». Era necessario estendere ad esse tutte le garanzie possibili, in modo che i figli rimanessero «stretti vicino alla madre». A tale scopo proponeva un articolo a parte su un aspetto così delicato della questione, riconoscendo a queste madri «la qualifica di capo-famiglia», in quanto esse avevano la responsabilità di mantenere i loro figli e dovevano avere «tutti i diritti provenienti dalla loro qualifica di lavoratrici, oltre che da quella di madri».
Tale tesi veniva condivisa anche dalle altre relatrici, pur con varie differenziazioni. Così la Noce teneva a precisare che «la lavoratrice capo di famiglia» era quella che manteneva la famiglia e per mantenere la famiglia svolgeva un lavoro. Ma la donna lavoratrice non era soltanto l'operaia, bensì anche quella che, avendo una numerosa prole da allevare, non poteva lavorare. In tal caso sarebbe venuta a mancare la qualifica di capo-famiglia che le avrebbe consentito di godere di una determinata assistenza. La donna operaia aveva qualche diritto, ma la donna casalinga, la massaia rurale, la contadina non avevano alcun diritto all'assistenza.
Le questioni ponevano seri problemi. Non a caso la Merlin, la Noce e la Federici si divisero nella presentazione di un testo incentrato sul riconoscimento del "valore sociale" della maternità ed il sostegno ad istituzioni previdenziali ed assistenziali.
Mentre, infatti, Teresa Noce voleva garanzie «ad ogni madre e ad ogni bambino, indipendentemente dal loro stato civile», le altre due relatrici puntavano a collegare «le condizioni di lavoro» alle funzioni e doveri della maternità ed al loro adempimento.
Questo il testo proposto dalla Noce e da Gustavo Ghidini: «La Repubblica riconosce che è interesse nazionale la protezione della maternità e dell'infanzia; predispone le istituzioni e i mezzi valevoli ad assicurare ad ogni madre a ad ogni bambino, indipendentemente dal loro stato civile, condizioni umane di trattamento economico e sanitario. Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, create o integrate dallo Stato, devono tutelare la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo».
Questo, invece, quello presentato dalla Merlin e dalla Federici: «La Repubblica riconosce che è interesse sociale la protezione della maternità e dell'infanzia. In particolare, le condizioni di lavoro devono consentire il completo adempimento delle funzioni e dei doveri della maternità. Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte o integrate, ove occorra, dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo».
Messa ai voti nella seduta del 18 settembre 1946, la proposta Noce-Ghidini non fu approvata, né venne accettato l'altro suggerimento di introdurre nel dettato costituzionale il principio secondo cui lo Stato avrebbe dovuto garantire «ad ogni donna», qualunque fosse «la sua situazione sociale e giuridica», la possibilità di procreare «in buone condizioni economiche, igieniche e sanitarie». Venne, invece, approvato il testo Merlin-Federici che ottenne anche l'appoggio di Amintore Fanfani.
Pur con queste ed altre differenziazioni, il lavoro delle tre donne nella terza sottocommissione fu sempre improntato ad una difesa ad oltranza del principio di parità
Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte o integrate, ove occorra, dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo |
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tra i sessi nei diversi campi del vivere civile, perché esso fosse sempre garantito e rispettato in ogni articolo della nuova Carta Costituzionale, con una attenzione costante alla maternità, all'infanzia, alla donna lavoratrice. Grazie dunque a loro la sottocommissione potè concludere i propri lavori su tali importanti tematiche proponendo i seguenti testi: «Art. 2. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro e adeguata alle necessità personali e familiari. Alla donna sono riconosciuti, nei rapporti di lavoro, gli stessi diritti che spettano all'uomo. Art. 4. La Repubblica riconosce che è interesse sociale la protezione della maternità e dell'infanzia. In particolare le condizioni di lavoro devono consentire il completo adempimento delle funzioni e dei doveri della maternità. Istituzioni previdenziali, assistenziali e scolastiche, predisposte o integrate dallo Stato, devono tutelare ogni madre e la vita e lo sviluppo di ogni fanciullo. Art. 5. La Repubblica assicura alla famiglia condizioni economiche necessarie alla sua difesa e al suo sviluppo. Qualora la famiglia si trovi nell'impossibilità di educare i figli, è compito dello Stato di provvedervi. Tale educazione si deve compiere nel rispetto delle libertà del cittadino. Art. 7. L'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto pubblico è libero ai cittadini, salvo le limitazioni stabilite dalla legge, senza distinzione di sesso, razza, religione e fede politica».
Vi è da dire che tali formulazioni, insieme a quelle uscite dalla prima sottocommissione, subirono alcune modifiche e soppressioni da parte del Comitato di Redazione, composto di 18 membri, nel quale non vi era nessuna donna.
A tali modifiche, specialmente a quelle del testo sulla famiglia, si opposero la Federici, la Merlin e la Noce. La prima intervenne nel dibattito per portare a conoscenza di tutta la Commissione dei 75 il diverso contenuto del testo uscito dalla terza sottocommissione, cui «con sorpresa» erano stati aggiunti altri due commi, dando all'intero articolato un significato generico che stravolgeva la filosofia di quanto approvato. A tale posizione dava il suo appoggio anche Nilde Iotti, formando nella Commissione dei 75 un fronte unico tra le Costituenti. Il testo venne, dunque, rinviato al comitato di redazione che emendò l'articolato presentando un elaborato che, pur non accogliendo in pieno i suggerimenti delle esponenti politiche, lasciava comunque spazi di manovra per successivi interventi legislativi a favore della famiglia.
Quel "fronte comune" femminile che si era realizzato durante i lavori della Commissione, cui non mancò l'apporto di sensibili Costituenti maschi, riprese forza nel dibattito nell'assemblea plenaria cui presero parte le altre Costituenti.
E grazie a tale fronte venne respinto il tentativo di snaturare il principio di parità nell'accesso agli impieghi pubblici contenuto nel futuro articolo 51. Il testo venne infatti presentato in aula con il pericoloso "inciso" dell'espressione «conformemente alle loro attitudini, secondo le norme stabilite dalla legge» che poteva rialzare gli steccati della discriminazione del sesso femminile nell'accesso al lavoro.
La concorde reazione delle donne non si fece attendere e l'inciso venne eliminato. Così tuonò la Federici: «.le attitudini non si provano se non con il lavoro; escludere le donne da determinati lavori significherebbe non provare mai la loro attitudine a compierli. Ma evidentemente qui c'è l'idea di creare una barriera nei riguardi delle donne. (.) Se vogliamo fare una Costituzione veramente democratica dobbiamo abolire, una volta per sempre, ogni barriera ed ogni privilegio che tenda a spingere le donne verso i settori limitati, all'unico fine di tagliare ad esse la via di accesso a tutti i pubblici uffici e cariche elettive; la donna dovrà fare liberamente la sua scelta, seguendo il suo spontaneo desiderio, guidata dall'educazione o da altri elementi di valori anche spirituali, mai per ragione di una ingiustizia che la offende profondamente».
Un'altra bomba venne disinnescata il 26 novembre 1947 quando in assemblea si discusse della nomina dei magistrati. Per timore di una ulteriore discriminazione verso le donne Maria Maddalena Rossi presentò un emendamento all'allora art. 98 (futuro art. 106) che aveva il seguente tenore. «Le donne hanno accesso a tutti gli ordini e gradi della magistratura».
Così motivò la richiesta la sua presentatrice: «Così emendato, il secondo comma dell'articolo 98 diventa un corollario logico dell'articolo 48, nel quale è affermato il diritto della donna ad accedere a tutte le cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizione di uguaglianza rispetto agli uomini. Voler limitare o addirittura vietare l'accesso delle donne alla Magistratura, come è nello spirito dell'articolo nel testo del progetto e come ancor più chiaramente è nelle intenzioni di alcuni colleghi, secondo quanto è emerso nel corso del dibattito su questo Titolo, contraddice e alla lettera e allo spirito dell'articolo 48. L'Assemblea non vorrà dare una prova così palese di incoerenza».
Ma esso venne respinto con votazione a scrutinio segreto che registrò 153 voti contrari e 120 a favore del suo accoglimento.
Per evitare che ciò potesse in futuro interpretarsi come una volontà contraria all'accesso delle donne in magistratura venne presentato il seguente ordine del giorno firmato dagli onorevoli Federici Maria, Delli Castelli Filomena, Rossi Maria Maddalena, Mattei Teresa, Titomanlio Vittoria, Rapelli, Rivera, Storchi, Bellato, Cremaschi Carlo, Salvatore, Raimondi, Firrao: «L'Assemblea Costituente, considerato che l'articolo 48 garantisce a tutti i cittadini di ambo i sessi il diritto di accedere alle cariche elettive e agli uffici pubblici, in condizione di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, afferma che per quanto riguarda l'accesso della donna alla Magistratura l'articolo 48 contiene le garanzie necessarie per la tutela di questo diritto».
Come si vede, il contributo delle onorevoli nell'Assemblea Costituente fu considerevole, non solo sui temi menzionati tanto cari alle donne, ma anche su altre importanti questioni sui cui esse non fecero mai mancare il loro apporto. Così Nilde Iotti si spese per l'unità della regione Emilia-Romagna contro la tesi di Giuseppe Fuschini a favore di due distinte regioni, Laura Bianchini intervenne sulla Scuola, Angelina Guidi Cingolani il 6 maggio 1947 propose un emendamento aggiuntivo all'articolo che trattava degli accordi internazionali di lavoro, Vittoria Titomanlio il 4 giugno intervenne sull'autonomia regionale indicando tutti i vantaggi del progetto regionalista.
Una cosa è certa: senza le donne nell'Assemblea Costituente non si sarebbe mai avuto l'art. 29 sull'uguaglianza dei coniugi nel matrimonio, né l'art. 37 sulla donna lavoratrice o l'art. 51 («tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza»).
Certo molti problemi nacquero proprio durante quel lavoro e furono, indubbiamente, il risultato della vittoria delle tesi dei deputati uomini su quelle delle deputate donne, troppo poche e di poco peso politico. Pensiamo al tenore dell'articolo 29 che confermava una certa ambiguità, forse voluta dallo stesso dibattito, tra il principio dell'unità della famiglia e la parità dei coniugi, per cui qualcuno ritenne che il primo avrebbe di fatto cancellato il secondo. Lo stesso Calamandrei fu contrario a ciò che considerava «un inutile pasticcio», contrapposto al codice vigente e solo la riforma del diritto di famiglia del 1975 scrisse la parola "fine" su una questione su cui erano stati versati fiumi di inchiostro.
Un altro esempio è rappresentato dalla dicotomia esistente tra l'art. 36 («Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa») e l'art. 37 («La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione»).
Ora, senza entrare nel merito del contenuto delle norme indicate, giova sottolineare il "metodo" usato dal Costituente, consistito nel redigere un articolo generale sui diritti del lavoratore (art. 36) e poi uno specifico sulla donna lavoratrice (art. 37), quasi ad indicare che nel termine generico "lavoratore" non sarebbe entrato affatto "la lavoratrice" per la cui parificazione ci sarebbe stato bisogno di una ulteriore norma, più specifica.
Ciò avrebbe indotto qualcuno a ritenere che l'esistenza di un articolo "specifico" dimostrava "l'assenza della donna" nel termine "lavoratore" dell'articolo precedente,
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore...» |
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mettendo in tal modo in dubbio la sua presenza negli altri casi. Ciò viene ulteriormente convalidato dalla "dissimetria" tra i due articoli per le frasi seguenti: nell'art. 36 viene espressa la preoccupazione che «il lavoratore» possa «assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa», mentre per la «lavoratrice» la precisazione dell'art. 37 è quella di «assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione», amplificando la differenza tra l'uomo lavoratore, vero dominus dell'attività, e la donna lavoratrice, delineata «nel suo ruolo di madre e casalinga».
Certo l'interpretazione, a parere dello scrivente, potrebbe anche essere un'altra, e cioè che la specificazione ulteriore dell'art. 37 vada letta in ossequio al principio della uguaglianza sostanziale e della effettività dei diritti costituzionali enunciato all'art. 3 della Costituzione, per cui senza di essa ci saremmo trovati di fronte ad un principio solo formale e di difficile attuazione.
Ma, aldilà di scelte e dubbi interpretativi che avrebbero avuto un qualche peso negli anni a venire, non si può negare che senza l'apporto delle Costituenti difficilmente il principio fondamentale contenuto nell'art. 3, che respinge ogni discriminazione anche di sesso, avrebbe potuto permeare tutti gli articoli della nostra carta fondamentale.
Come abbiamo potuto vedere il contributo delle deputate alla nascita della Costituzione non fu ispirato da uno sterile "rivendicazionismo di genere" ma dalla consapevolezza che lo sviluppo della società dovesse passare inesorabilmente per l'allargamento dei diritti di cittadinanza alla popolazione femminile, per la costruzione di una vera democrazia compiuta nel nostro Paese.
Così, infatti, descrisse gli intenti e le speranze di quella pattuglia di donne Teresa Mattei: «la nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro Paese, non è l'esigenza di affermare la nostra personalità contrapponendola alla personalità maschile, facendo il solito femminismo che alcuni decenni fa aveva incominciato a muoversi nei vari Paesi d'Europa e del mondo. Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino ad un'assurda identità con l'uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Per ciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro. E' nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile (.). Ed ugualmente, là dove si sancisce ogni più importante e nuova conquista sociale è sempre compresa e spesso in forma esplicita una conquista femminile. Non vi può essere oggi infatti, a nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia essere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla donna insieme all'uomo, se si voglia veramente che la conquista affermata dalla Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore avvenire d'Italia».
3. Le Costituenti
1) Bei Adele. Nata a Cantiano di Pesaro il 4 maggio 1904, operaia e sindacalista, durante il fascismo era fuggita in Russia dove aveva rafforzato il suo marxismo. Ritornata in clandestinità, nel 1933 era stata arrestata e condannata a 18 anni di reclusione dal Tribunale Speciale. Dopo averne scontato 8, fu al confino a Ventotene per 2 anni. Partecipò attivamente alla Resistenza. Componente della Consulta Nazionale, fu eletta alla Costituente per il PCI e fu segretaria della III Commissione per l'esame dei Disegni di Legge. Eletta nel 1948 al Senato, venne riconfermata alla Camera dei Deputati per 17 anni consecutivi. Morì nel suo paese natale il 15 ottobre 1974.
2) Bianchi Bianca. Nata il 31 luglio 1914 a Vicchio, in provincia di Firenze, laureata in pedagogia e filosofia, era insegnante. Attiva nella Resistenza, fu dirigente del PSIUP e giornalista. Eletta alla Costituente per il XV collegio di Firenze, venne riconfermata alla Camera dei Deputati nel 1948. Durante la Legislatura fu segretaria della Commissione Istruzione. Morì nel suo paese natale il 9 luglio 2000.
3) Bianchini Laura. Nata a Castenedolo di Brescia il 23 agosto 1903, laureata in Filosofia, era docente di storia e filosofia nei licei. Cattolica antifascista, prese parte alla Resistenza bresciana e milanese, diventando redattrice del giornale clandestino "Il Ribelle" sul quale si firmava con gli pseudonimi di Penelope, Don Chisciotte, Battista. Tra gli altri suoi incarichi nella lotta per la liberazione si ricordano quello di componente del comando delle Fiamme verdi e dell'esecutivo del CLN Alta Italia. Sospettata dalla polizia fascista, lasciò Brescia per fuggire a Milano dove ebbe l'incarico di coordinare la stampa clandestina. Aderì alla Democrazia Cristiana, facendo parte del gruppo dei dossettiani. Dirigente di partito, fece parte della Consulta Nazionale e fu componente del Consiglio Nazionale della DC. Fu eletta alla Costituente per il collegio di Brescia con 30.716 voti di preferenza. Nuovamente eletta il 18 aprile 1948, fu componente della Commissione Istruzione Pubblica e Belle Arti della Camera. Nel 1953 abbandonò la vita parlamentare, ritornando all'insegnamento. Dirigente dell'Azione Cattolica e della Fuci, morì a Roma il 27 settembre 1983.
4) Conci Elisabetta. Nata a Trento il 23 marzo 1895, insegnante di lettere, era figlia di un senatore del Partito Popolare. Insieme a lui e ad Alcide De Gasperi venne mandata al confino nel 1915 a causa dei suoi sentimenti irredentisti. Dopo il primo conflitto mondiale si trasferì a Roma dove fu Presidente della Fuci e partecipò alla fondazione del Partito Popolare. Durante il fascismo si dedicò all'insegnamento. Iscritta alla Democrazia Cristiana, fu dirigente del movimento femminile DC. Deputato alla Costituente, fece parte della Commissione per gli Statuti Speciali. Venne rieletta in quattro successive legislature. Seguace di De Gasperi, dopo il 1950 si avvicinò ai dorotei. Delegata Nazionale femminile del partito fino al 1964, partecipò attivamente al dibattito politico degli anni '60. Morì a Trento il 1° novembre 1965.
5) Delli Castelli Filomena. Nata a Città S. Angelo (Pescara) il 28 settembre 1916, si laureò in Lettere presso l'Università Cattolica di Milano. Professoressa di lettere nelle scuole medie, venne eletta alla Costituente per il collegio dell'Aquila con 24.211 preferenze. Dirigente della DC, venne riconfermata alla Camera dei Deputati nella tornata elettorale del 1948. Nel 1955 ritornò a Montecitorio in sostituzione di Giuseppe Castelli Avorio nominato giudice costituzionale. Tra i suoi incarichi si ricorda anche quello di Sindaco di Montesilvano (Pescara).
6) De Unterrichter Jervolino Maria. Nata a Ossana di Trento il 20 agosto 1902, era laureata in Lettere. Presidente della Fuci femminile negli anni '20, si era iscritta alla Democrazia Cristiana dove ricoprì l'incarico
Elisabetta Conci dopo il primo conflitto mondiale si trasferì a Roma dove fu Presidente della Fuci e partecipò alla fondazione del Partito Popolare |
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di Delegata Nazionale femminile e membro della Direzione Nazionale. Fu Sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel governo Scelba, in quello Segni e nel gabinetto Zoli. Morì nel suo paese natale il 27 dicembre 1975.
7) Federici Maria. Nata a L'Aquila il 19 settembre 1899, insegnante di lettere, fu la prima presidente del CIF, conservando tale incarico fino al 1950. Aderì alla Democrazia Cristiana e venne eletta alla Costituente nel collegio unico nazionale. Non si ricandidò più al Parlamento. Morì a L'Aquila il 28 luglio 1984.
8) Gallico Spano Nadia. Nata a Tunisi il 2 giugno 1916 in una famiglia d'emigrati in Tunisia, nel 1938 aderì al partito comunista insieme ai fratelli Loris, Ruggero e Sonia. Attivista antifascista, insieme al marito Velio Spano e agli stessi fratelli, fu condannata a 6 anni di reclusione dal Tribunale di Petain. Sfuggita alla cattura, raggiunse l'Italia nel 1944 dove diresse i gruppi femminili del PCI. Eletta all'Assemblea Costituente, venne riconfermata in Parlamento nelle prime due Legislature repubblicane. Fu dirigente dell'UDI e del settimanale "Noi Donne" che diresse sino al 1945. Fu presidente dell'Unione Donne Sarde fino al 1958. Morì a Roma il 19 gennaio 2006. Tre settimane prima della sua scomparsa venne pubblicato un suo libro di memorie dal titolo Mabruk. Memorie di un'inguaribile ottimista. "Mabruk" in tunisino significa benedizione, speranza.
9) Gotelli Angela. Nata a Borgotaro di Parma il 28 febbraio 1905, dopo l'8 settembre era entrata nella Resistenza affiancando le brigate partigiane. Iscritta alla Democrazia Cristiana, ricoprì l'incarico di Vice Delegata nazionale del movimento femminile. Deputata alla Costituente, venne riconfermata in Parlamento nelle prime tre Legislature repubblicane. Fu Sottosegretario alla Sanità nei gabinetti Fanfani bis e Tambroni, al Lavoro nel II governo Segni. Morì nel suo paese il 20 novembre 1996.
10) Guidi Cingolani Angela Maria. Nata a Roma il 31 ottobre 1896, si laureò in lingue e letterature slave presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Attivista del movimento cattolico, collaborò a diversi giornali. Nel 1919 aderì al Partito Popolare Italiano, assumendo l'incarico di segretaria del gruppo femminile romano. Nel 1921 fondò il Comitato Nazionale per il Lavoro e la Cooperazione femminile di cui fu segretaria fino al 1926. Nel 1922 venne nominata dal Ministero dell'Industria e Commercio componente del Comitato delle piccole industrie e dell'artigianato. Nel 1925 vinse il concorso nell'Ispettorato del Lavoro e nel 1929 fu tra le fondatrici dell'Associazione nazionale delle professioniste ed artiste. Iscritta alla Democrazia Cristiana, fu la prima Delegata Nazionale del movimento femminile. Entrò a far parte della Consulta Nazionale e, poi, dell'Assemblea Costituente. Fu la prima donna ad avere un incarico governativo come Sottosegretario per l'Artigianato al Ministero dell'Industria e del Commercio nel settimo gabinetto De Gasperi del 1951. Morì a Roma l'11 luglio 1991.
11) Iotti Leonilde. Nata a Reggio Emilia il 10 aprile 1920, rimase orfana di padre nel 1934. Si laureò in Lettere all'Università Cattolica di Milano dove ebbe come professore Amintore Fanfani. Per qualche tempo si dedicò all'insegnamento ma poi, convinta antifascista, passò all'attività politica. Partecipò, così, alla Resistenza nei gruppi clandestini comunisti di difesa della donna. Eletta alla Costituente per il collegio di Parma con 15.936 preferenze, venne sempre riconfermata alla Camera dei Deputati fino a ricoprire l'incarico di Presidente della stessa per tre legislature, dal 1979 al 1992. Dimessasi da deputato il 18 novembre 1999 per gravi ragioni di salute, morì a Roma il 4 dicembre di quello stesso anno.
12) Mattei Teresa. Nata a Genova l'1 febbraio 1921, laureata in Filosofia, nel 1938 venne espulsa
da tutte le scuole per essersi rifiutata di assistere alle lezioni di difesa della razza. Componente dei gruppi clandestini di "Giustizia e Libertà", nel 1943 entrò nel Partito Comunista, partecipando alla lotta partigiana a Firenze come "staffetta". Tra le fondatrici dei "gruppi di difesa della donna" e dell'UDI, fu lei ad introdurre la mimosa come simbolo della giornata della donna. Eletta all'Assemblea Costituente nelle liste del PCI, fu segretaria del primo Parlamento repubblicano. Nel 1955 venne espulsa dal partito perché contraria allo stalinismo e alla linea togliattiana.
13) Merlin Angelina. Nata il 15 ottobre 1889 a Pozzonovo di Padova, insegnante, aderì al PSI nel 1919. Durante il Regime venne arrestata due volte per attività antifascista, licenziata dall'insegnamento per rifiuto del giuramento e mandata in Sardegna al confino. Tra le fondatrici dell'UDI, membro della direzione nazionale del partito, partecipò alla Costituente. Senatrice nelle prime due Legislature repubblicane, nel 1958 venne eletta Deputato. A lei si deve la legislazione degli anni '50 contro le "case chiuse". Morì nel suo paese di nascita il 16 agosto 1979.
14) Minella Molinari Angiola. Nata a Torino il 3 febbraio 1920, insegnante, durante la guerra era stata volontaria della Croce Rossa. Dopo l'8 settembre aveva preso parte alla Resistenza nei gruppi badogliani piemontesi, prima, e con le formazioni garibaldine poi. Dirigente nazionale dell'UDI, entrò nella Costituente per il PCI. Nel 1948 e nel 1953 venne riconfermata alla Camera dei Deputati mentre nel 1963 e nel 1968 venne eletta al Senato. Morì a Torino il 12 marzo 1988.
15) Montagnana Togliatti Rita. Nacque a Torino il 6 gennaio 1895. Di professione sarta, a vent'anni si iscrisse al Partito Socialista dove divenne dirigente provinciale e regionale del movimento giovanile. Fu tra i fondatori del PCI a Torino nel 1921. Venne inviata a Mosca quale delegata del III Congresso dell'Internazionale. Nel 1924 sposò Palmiro Togliatti e fu costretta alla clandestinità espatriando in Russia. Dirigente comunista, svolse importanti missioni in Francia e in Spagna durante la guerra civile. Tra le fondatrici dell'UDI, guidò l'importante associazione femminile sino al 1964. Eletta alla Costituente quale capolista della circoscrizione bolognese con 68.722 preferenze, nel 1948 entrò al Senato per il collegio di Imola in Emilia Romagna. Morì a Roma il 18 luglio 1969.
16) Nicotra Verzotto Maria. Nata a Catania il 6 luglio 1913, casalinga, era stata durante la guerra volontaria della Croce Rossa, conseguendo la medaglia d'oro. Dirigente dell'Azione Cattolica e delle Acli, si era iscritta alla Democrazia Cristiana, diventando nel 1954 Vice
Nicotra Verzotto Maria, nata a Catania il 6 luglio 1913, casalinga, era stata durante la guerra volontaria della Croce Rossa, conseguendo la medaglia d'oro |
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Delegata Nazionale del movimento femminile. Eletta alla Costituente per il collegio di Catania con 22.838 preferenze, venne riconfermata in Parlamento nelle due successive Legislature.
17) Noce Longo Teresa. Nata a Torino il 29 luglio 1900, era stata prima operaia socialista e poi comunista con la fondazione del nuovo partito. Durante il Regime era scappata a Mosca per sfuggire all'arresto, ma rientrava clandestinamente in Italia ogni qual volta vi era da organizzare scioperi di mondine ed operaie. Combattente nella guerra di Spagna, prese parte alla lotta partigiana in Francia col nome di battaglia di "Estella". Internata due volte in un campo di concentramento, era stata anche fondatrice e direttrice di alcuni giornali femminili francesi. Componente della Consulta Nazionale, venne eletta alla Costituente quale capolista della circoscrizione di Parma con 47.219 preferenze. Nel 1948 e nel 1953 fu rieletta deputato. Morì a Torino il 22 gennaio 1980.
18) Penna Buscemi Ottavia. Unica donna alla Costituente per il Partito dell'Uomo Qualunque in rappresentanza del XXIX collegio di Catania (11.765 preferenze), era nata a Caltagirone il 12 aprile 1907. Fu componente della Commissione dei 75 soltanto dal 19 al 24 luglio 1946 quando diede le dimissioni. Dopo tale esperienza non si impegnò più in politica. Morì nella sua città natale il 2 dicembre 1986.
19) Pollastrini Elettra. Nata a Rieti il 15 luglio 1916, a 18 anni era espatriata in Francia con la famiglia. Attivista comunista, prese parte alla lotta internazionale contro il fascismo, combattendo nella guerra civile spagnola. Arrestata a Parigi, venne inviata al confino. Trasferita all'ergastolo femminile di Aichach, vi rimase sino alla fine della guerra. Componente della Consulta Nazionale, fu eletta alla Costituente per il PCI. Nel 1948 e nel 1953 venne riconfermata alla Camera dei Deputati. Morì a Rieti il 2 febbraio 1990.
20) Rossi Maria Maddalena. Nata il 29 settembre 1906 a Codevilla (Pavia), si laureò in Chimica. Iscritta al Partito Comunista, durante il fascismo venne arrestata e inviata al confino. Partecipò alla Resistenza. Eletta alla Costituente per il PCI, venne riconfermata alla Camera nelle prime 3 Legislature repubblicane. Presiedette l'UDI dal 1947 al 1956. Morì nel suo paese natale il 19 settembre 1995.
21) Titomanlio Vittoria. Nata a Barletta il 21 aprile 1899, di professione insegnante, era dirigente regionale dell'Azione Cattolica. Deputata alla Costituente per la Democrazia Cristiana eletta nel collegio XXIII di Napoli, venne rieletta alla Camera nel 1953, nel 1958 e nel 1963. Morì nella sua città natale il 28 dicembre 1988.
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BIBLIOGRAFIA
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Le donne all'Assemblea Costituente, di L. Artioli Laura, in "Il Parlamento Italiano", Vol. XIV, Nuova CEI Edizioni, Milano 1989.
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La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, Camera dei Deputati, voll. VI-VIII, Roma 1971.
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Le donne e la Costituzione, Camera dei Deputati, Atti del Convegno promosso dall'Associazione degli ex parlamentari (Roma 22-23 marzo 1988), Roma 1989.
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Atti della Consulta Nazionale. Discussioni dal 25 settembre 1945 al 9 marzo 1946, Roma 1946.
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Un approccio di genere: le donne nell'Assemblea Costituente, di M. Strazza, in "Lezioni di Diritto Pubblico", Tarsia Edizioni, Melfi 2007.
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