La fuga dei criminali nazisti e ustascia in Sudamerica fu agevolata da organizzazioni cattoliche. Con la Guerra Fredda i nemici di ieri diventavano gli alleati di oggi.
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"Ratline", il patto
con il demonio
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Questa è una storia sporca con un'altrettanto sporca morale. Una storia in cui le vittime sono state uccise due volte, perdendo ancora. Mentre molti carnefici hanno vinto ancora, ottenendo la possibilità di una nuova vita. Con la scusa di combattere il comunismo molti criminali sono stati "perdonati", passando da nemici di ieri ad amici di oggi.
Un romanzo di Frederick Forsyth, Dossier Odessa, racconta di un gruppo di membri delle SS che, in previsione della sconfitta, si erano raccolti in un'organizzazione segreta chiamata O.D.E.SS.A., acronimo di Organisation der Ehemaligen SS-Angehorigen ("Organizzazione degli ex-membri delle SS").
Questo organismo aveva il triplice scopo di salvare i camerati dalle forche degli Alleati, esportare gli ingenti capitali che molti ufficiali tedeschi avevano accumulato negli anni del nazismo (soprattutto quelli proveniente dalla confisca di beni, preziosi e quant'altro ai deportati nei campi di sterminio) e creare un Quarto Reich che completasse l'opera di Hitler.
Per quanto romanzesca sia la trama inventata da Forsyth, il suo racconto però si avvicina in modo inquietante alla realtà. Infatti, già a due mesi dalla fine della guerra, furono approntati i primi piani di fuga per i dirigenti nazisti: il ministro dell'Interno del Reich e comandante delle Schutzstaffel (le famigerate SS) Heinrich Luitpold Himmler, quando vide che tutto era perduto, diede vita all'operazione Außenweg, affidandone la direzione al giovane capitano delle SS Carlos Fuldner.
Non solo Odessa è quindi esistita davvero, ma il cuore e il cervello dell'intera operazione era a Roma nel cuore del Vaticano. Attraverso la cosiddetta "Via dei Monasteri" (detta anche ratline o Rattenlinien ovvero la "via dei ratti"), la Chiesa cattolica non fu solo complice dell'operazione, ma protagonista indiscussa a vari livelli: i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (francese il primo e argentino il secondo), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, tra cui il futuro cardinale genovese Giuseppe Siri, il vescovo austriaco Alöis Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell'Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il vescovo argentino Augustín Barrère, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il francescano ungherese della parrocchia di Sant'Antonio di Pegli a Genova, Edoardo Dömoter, padre Carlo Petranovic, il sacerdote pallottino Antonio Weber e molti uomini che facevano parte dell' "Entità", il servizio segreto del Vaticano. Monsignor Montini (il futuro papa Paolo VI) era a conoscenza della cosiddetta "Via dei Monasteri" (secondo alcuni storici il futuro Paolo VI fu, assieme a Tisserant e Caggiano, uno dei "progettisti" della via di fuga dei criminali nazisti).
La fuga verso "porti sicuri", non riguardò unicamente i criminali di guerra tedeschi, ma anche molti ustascia (termine che in croato significa "insorgere", "risvegliare" e che è utilizzato per designare gli appartenenti al movimento cattolico-nazionalista croato di estrema destra che si opponeva a un regno di Jugoslavia federativo) e gerarchi italiani.
Questi ultimi, come Cesare Maria De Vecchi e Luigi Federzoni, espatriarono quando ancora erano ricercati dalla giustizia, grazie ai documenti falsi e alla protezione dei salesiani.
Più eclatanti sono invece le protezioni garantite agli ustascia. Si trattava di criminali che, per conseguire il risultato di uno Stato (la Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%, non avevano esitato a compiere fucilazioni di massa, decapitazioni, bastonature a morte, suscitando orrore perfino negli alleati nazisti.
Alla fine della guerra circa settecentomila persone erano morte nei campi di sterminio ustascia a Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano soprattutto alla popolazione serba ortodossa, ma nell'elenco figuravano anche moltissimi ebrei e zingari.
Il principale teorico del regime croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote cattolico romano che predicava la "purificazione religiosa" e l'"igiene razziale" per fare della Croazia una "terra ripulita da elementi considerati estranei".
Molti ustascia, a iniziare dal dittatore fantoccio Ante Pavelic, beneficiarono dell'aiuto della Chiesa di Roma. Pavelic fu nascosto fino a maggio del 1946 nel Collegio Pio Pontificio, quindi trasferito in un edificio del complesso di Castelgandolfo, residenza estiva dei pontefici, dove quasi ogni settimana si riuniva con il cardinale Montini. Nel dicembre del 1946, il leader degli ustascia si rifugiò nel convento di San Girolamo, per poi trasferirsi a Genova. Qui, mentre si stava imbarcando per l'Argentina fu intercettato dai servizi segreti statunitensi e riuscì a nascondersi nel monastero di Santa Sabina. L'11 ottobre 1948 il criminale ustascia riuscì ad imbarcarsi per l'Argentina sulla nave Sestriere, in cabina di prima classe: aveva con se il passaporto della Croce Rossa numero 74369 a nome di Pal Aranyos, un ingegnere ungherese. Lo scortarono due agenti dell'Entità, restando con lui come guardie del corpo per ben due anni.
Tra i più noti criminali di guerra fuggiti in Sud America attraverso la Ratline, ricordiamo anche Adolf Eichmann (l'organizzatore della soluzione finale degli ebrei), Josef Mengele (medico autore di efferati esperimenti nel campo di Auschwitz), Heinrich Müller (capo della Gestapo), Richard Glücks (ispettore dei campi di concentramento), Klaus Barbie (comandante della Gestapo a Lione), Erich Priebke (coinvolto nell'eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma), Gerhard Bohne (responsabile del programma di eutanasia per lo sterminio degli handicappati fisici e mentali), Bilanovic Sakic (responsabile del campo di concentramento croato di Jasenovac), Franz Stangl (comandante del campo di concentramento di Treblinka), Walter Rauff (l'inventore dei camion-camera a gas), Edward Roschmann (l'ex comandante del ghetto di Riga), Josef Schwammberger (comandante altoatesino del ghetto di Przemsy), Herman von Alvensleben (responsabile in Polonia della morte di almeno ottantamila persone), Carl Vaernet (medico danese inventore, a suo dire, della "inversione della polarità ormonale", che poteva dare una soluzione al problema dell'omosessualità). A loro si aggiunsero anche criminali di guerra o collaborazionisti francesi del rango di Marcel Boucher, Fernand de Menou, Robert Pincemin ed Emile Dewoitine.
Molti beneficiarono dell'esilio in Sudamerica. Si trattò nella maggior parte di "manovali" dell'Olocausto e della guerra sporca di Hitler. Tutti iniziarono nella nuova patria una vita tranquilla, col beneplacito dei regimi di destra latinoamericani, soprattutto dell'esordiente regime peronista, ma anche col viatico di Washington.
Molti sono gli studi su questa vicenda, come molti sono i documenti che comprovano le solidarietà e le complicità nella fuga dei criminali di guerra. Come il rapporto finale della Comisiòn para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina (Ceana), costituita a suo tempo presso il Ministero degli Affari Esteri dal presidente argentino Menem e di cui è stato coordinatore scientifico lo storico Ignacio Klich dell'università di Westminster in Gran Bretagna.
L'organizzazione Odessa progettò minuziosi piani di fuga, tracciando tre itinerari principali: il primo partiva da Monaco di Baviera e si collegava a Salisburgo per approdare a Madrid; gli altri due percorsi partivano da Monaco e, via Strasburgo o attraverso il Tirolo, giungevano a Genova (il terminale ove operava l'arcivescovo Giuseppe Siri), dove i gerarchi potevano imbarcarsi verso l'Egitto, il Libano, la Siria, il Sudamerica.
Le vie di fuga convergevano sempre verso Memmingen, un'antica cittadina tra la Baviera e il Württemberg, per poi dirigere su Innsbruck ed entrare in Italia attraverso il valico del Brennero. Gli spostamenti tra Germania meridionale, Austria, Tirolo e Italia settentrionale si svolgevano in grande sicurezza a tappe di circa cinquanta chilometri, a ognuna delle quali corrispondeva una "stazione" gestita da tre-cinque persone che conoscevano solo la stazione precedente e quella successiva.
Il corridoio vaticano comprendeva due vie di fuga: Svizzera-Francia-Spagna-Gibilterra-Marocco-Sudamerica; Svizzera-San Girolamo-Genova-Sudamerica. Il primo fu praticato specialmente dai nazisti e da tutti i collaborazionisti del regime di Hitler, il secondo principalmente dagli ustascia che, prima di fuggire, trovarono sicuro alloggio presso il convento di San Girolamo, un monastero croato in via Tomacelli a Roma.
Come abbiamo visto, il capitano delle SS Carlos Fuldner fu scelto dal Reichsführer delle Schutzstaffel Himmler per coordinare la fuga dei nazisti dalla Germania. L'attività di Fuldner fu frenetica. Egli stabilì contatti a tutto campo per portare a conclusione gli ordini del suo superiore. Il primo contatto permise a Fuldner di ottenere il sostegno dell'allora ministro svizzero di giustizia, Eduard von Steiger, e del capo della polizia Heinrich Rothmund. In questo modo fu allestita alla Markgasse 49 di Berna la "filiale" svizzera di Odessa.
L'altro contatto Fuldner lo ebbe con il vescovo argentino Antonio Caggiano, che portò alla nascita della cosiddetta "Via dei Monasteri". Il capitano nazista incontrò per la prima volta l'alto prelato a Madrid, nel ristorante Horcher in via Alfonso XIII. Caggiano era accompagnato da due uomini dell'Entità (il servizio segreto vaticano), di cui solo di uno si conosce il nome, Stefan Guisan.
Nel 1946 il cardinale Caggiano si recò in Vaticano offrendo alla Segreteria di Stato, a nome del governo di Buenos Aires, la disponibilità del Paese sudamericano a ricevere ex nazisti "perseguitati" dagli Alleati.
Nel frattempo il capitano Carlos Fuldner, che aveva passaporto argentino, divenne direttore della Daie, la "Dirección Argentina de Immigración Europea", con sede a Genova in via Albaro. La Daie divenne il terminale europeo della "via dei topi".
L'ufficio genovese della Daie faceva pervenire a Buenos Aires l'elenco delle persone da ospitare. A Buenos Aires le pratiche erano sbrigate dalla "Sociedad Argentina de Recepción de Europeos" (Sare), fondata nel maggio del 1947 da Pierre Daye, un criminale di guerra belga in stretti rapporti con Peron e con l'arcivescovado argentino.
L'interessamento di Peron e della Chiesa argentina era così alto, che le primissime riunioni della Sociedad si tennero alla "Casa Rosada", mentre la prima sede della Sare si trovava in un vecchio palazzo di proprietà della curia di Buenos Aires, in via Canning.
Ottenuti da Fuldner gli elenchi dei nazisti da far fuggire, la Sare spediva a Genova i visti d'ingresso, completi delle foto dei criminali ma intestate a nomi fittizi. Da Genova, la pratica passava a Roma, dove la sede della Croce Rossa rilasciava i passaporti relativi ai nomi falsi, rispedendoli a Genova. Fatto ciò, bastava trovare posto per i fuggitivi sulla prima nave per l'America Latina.
Il cardinale Giuseppe Siri (eletto vescovo ausiliare di Genova l'11 marzo 1944, e arcivescovo della stessa città il 14 maggio 1946) fu coinvolto direttamente in questi progetti di fuga. Fu tramite due associazioni, entrambe da lui fondate, che la Curia genovese possedeva per l'assistenza ai profughi, che l'arcivescovado di Genova diede assistenza alla rete di fuga.
Il diretto coinvolgimento di monsignor Siri trova conferma non solo nelle risultanze della "Comisión para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina", costituita dal presidente argentino Menem nel 1997, ma anche in una nota del "Counter Intelligence Corps" (servizio segreto militare statunitense), dove si afferma che Siri dirigeva "una organizzazione internazionale il cui scopo era favorire l'emigrazione di europei anticomunisti in Sudamerica [.]. Questa classificazione di anticomunista deve estendersi a tutte le persone politicamente impegnati contro i comunisti, ovvero fascisti, ustascia, e altri gruppi simili".
Le due associazioni che facevano capo all'arcivescovado di Genova erano la "Auxilium", fondata nel 1931 come ente di assistenza e beneficenza, e il "Comitato Nazionale Emigrazione in Argentina", impiantato invece nel 1946. Anche la Pontificia Commissione di Assistenza aveva un ufficio nella stazione ferroviaria della città (Porta Principe).
Un importante centro di accoglienza della struttura gestita da Siri fu la chiesa genovese di San Teodoro, ove molti fuggiaschi sostarono e ricevettero cibo, assistenza, documenti per imbarcarsi sulle navi della salvezza. Il parroco di San Teodoro, Bruno Venturelli, fu ringraziato per il suo operato da William Guyedan, ex ministro francese del governo di Vichy condannato per collaborazionismo.
Importante pedina del canale genovese per la fuga degli ustascia fu padre Karl Petranovic: dai primi mesi del 1946 fino all'inizio del 1952 avrebbe gestito direttamente i rapporti tra Vaticano, Croce Rossa, Auxilium e "Comitato Nazionale Emigrazione in Argentina". Petranovic, già cappellano ustascia, fuggì nel 1945 rifugiandosi a Milano. Da questa città passò a Genova, con tanto di "raccomandazione scritta" da parte del cardinale Shuster: "Eccellenza reverendissima - si legge nel biglietto rivelato il 2 agosto 2003 dal "Secolo XIX" - don Carlo ha conoscenza, in lingua e in cultura, della situazione dei rifugiati e dei profughi di guerra dell'Est e della Germania. Per questo è persona che può sostenere l'opera di carità dell'Auxilium". Petranovic si occupò di prelevare da Roma i passaporti per una nuova vita dei nazisti in fuga. Egli stesso, a sua volta, fuggì in Canada, a Niagara Falls, ospite di una comunità di suore. L'8 giugno 1988, padre Petranovic ottenne anche il titolo di monsignore.
A Genova operava anche un altro sacerdote: don Edoardo Dömöter, francescano di origine ungherese, divenuto, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, parroco della chiesa di Sant'Antonio di Pegli. Negli archivi del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra esiste una richiesta, la numero 100940, sottoscritta e inoltrata da padre Dömöter alla sede genovese della Croce Rossa per un passaporto intestato a tale Riccardo Klement, in realtà Adolf Eichmann.
A tenere i collegamenti tra nazisti e Vaticano furono Fuldner e padre Krunoslav Draganovic. Quest'ultimo, oltre ad essere segretario della Confraternita romana di San Girolamo, era anche "Visitator apostolico" per l'assistenza pontificia ai croati, cioè un funzionario della segreteria di Stato del Vaticano che dipendeva direttamente da monsignor Montini. Draganovic visitava ufficialmente i campi dei prigionieri di guerra e come Visitator apostolico era riconosciuto come rappresentante della Santa Sede dalle autorità alleate.
Fuldner e Draganovic, si servirono a loro volta di Reinhard Kops, da parte tedesca, e di Gino Monti di Valsassina (nobile italiano di origine croata), da parte vaticana. Reinhard Kops usava il nome fittizio di Hans Raschenbach e un passaporto falso fornito dall'Entità vaticana.
Fu proprio don Krunoslav Stjepan Draganovic ha firmare il passaporto, rilasciato il 16 marzo del 1951 dalla sede genovese della Croce Rossa, a Klaus Altmann, meccanico d'origine tedesca in procinto di imbarcarsi sul piroscafo Corrientes alla volta di Buenos Aires; dietro questa identità si nascondeva Klaus Barbie.
Tra le altre persone "difese" da Draganovic figurano gli ex-ministri del governo ustascia Dragutin Toth, Vjekoslav Vrancic, Mile Starcevic e Stjiepo Peric, così come l'ex-capo dell'aviazione Vladimir Kren. Alcuni di loro si nascondevano all'interno dell'Istituto di San Girolamo o in Vaticano.
Il terminale austriaco di Draganovic fu padre Vilim Cecelja, già collaboratore del regime di Ante Pavelic durante la guerra e schedato dal governo di Tito come criminale di guerra numero 7103. Cecelja fu il sacerdote che officiò la cerimonia del giuramento di Pavelic, impartendo così la benedizione della Chiesa al regime fantoccio dei nazisti. Provvisto di documenti americani e della Croce Rossa, Cecelja potè svolgere il suo compito viaggiando liberamente nella zona di occupazione statunitense.
La rete di ecclesiastici impegnati nel facilitare la fuga di nazisti e fascisti faceva capo, a Roma, a monsignor Alois Hudal, rettore fino al 1952 del Pontificio Collegio di Santa Maria dell'Anima.
Nella relazione conclusiva presentata dalla Comisiòn para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina nel 1999, le responsabilità di padre Hudal sono lampanti. In una lettera del 31 agosto 1948 il vescovo Hudal spiega a Peron che i visti richiesti non sono per profughi ma "per combattenti anticomunisti il sacrificio dei quali durante la guerra ha salvato l'Europa dalla dominazione sovietica".
A Roma il vescovo Alois Hudal si servì di monsignor Heinemann e del sacerdote Karl Bayer: il primo era incaricato di esaudire le richieste dei nazisti rifugiati a Santa Maria dell'Anima, l'altro proteggeva e assisteva i criminali nazifascisti in fuga. Quest'ultimo era stato un paracadutista dell'esercito hitleriano, poi imprigionato nel campo di Ghedi, vicino Brescia, e fatto fuggire grazie all'aiuto di Draganovic. Divenuto membro del clero cattolico, fu inserito all'interno dell'organizzazione ecclesiastica che assisteva i criminali nazifascisti in fuga, procurando loro falsi documenti, denaro, cibo, lettere, alloggi.
Karl Bayer ammise (nel libro di Gitta Sereny, In quelle tenebre, Adelphi, Milano, 2005) che papa Pio XII forniva denaro per aiutare i nazisti in fuga, "a volte col contagocce, ma comunque arrivava".
Un altro piccolo pezzo dell'ingranaggio che permise la fuga dei nazisti fu la ricca ereditiera Margherite d'Andurain, che aveva stretti contatti in Vaticano attraverso il nunzio a Parigi e con il vescovo austriaco Alois Hudal. Proprietaria di uno yatch, il Djeilan, la d'Andurain attraversava regolarmente lo stretto di Gibilterra sino a Tangeri. Il 5 novembre 1948 il suo corpo senza vita fu ritrovato nella baia di Tangeri.
Nel Catechismo della Chiesa cattolica (Parte Terza - Sezione Prima - Capitolo Primo - Articolo 8 - V. La proliferazione del peccato - 1868) si dichiara: "Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando 'vi cooperiamo': prendendovi parte direttamente e volontariamente; comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli; non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo; proteggendo coloro che commettono il male".
Aiutare criminali a sottrarsi alla giustizia è dunque per la Chiesa un crimine altrettanto grave, che prevede la colpa di chi vi è coinvolto in prima persona e la responsabilità morale di chi lo approva.
L'autodifesa della Chiesa cattolica è sempre consistita nel negare di conoscere l'identità di tali criminali e di voler in ogni caso assicurare assistenza a chiunque. Ma questo, come abbiamo visto, non è proprio vero. Infatti, se non mancarono nella Chiesa "complici" solo per malinteso spirito di carità cristiana (come traspare da diari e testimonianze di alcuni rettori di conventi che, pur conoscendo le "gesta" di alcuni criminali, diedero loro ugualmente rifugio), altri furono favoreggiatori veri e propri, diventando correi per i crimini contro l'umanità.
Anche se molti uomini della Chiesa di Roma, attraverso atteggiamenti ambigui, complicità e vere e proprie attività di copertura e aiuto si sono macchiati di complicità coi nazisti, questo non vuol dire che tutta la Chiesa è criminale. Certamente queste complicità sono responsabilità che, oltre ad essere meritevoli della punizione divina (e su questo non ho dubbi!), conseguirebbero anche quella degli uomini. Ma quest'ultima, purtroppo, non c'è stata!
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Giustizia, non vendetta
, di S. Wiesenthal - Mondadori, Milano, 1989 -
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I nazisti che hanno vinto. Le brillanti carriere delle SS nel dopoguerra, di F. Calvi - Piemme, Casale Monferrato, 2007
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Oltremare sud. La fuga in sommergibile di più di 50 gerarchi nazisti, di J. Salinas J. e C. De Napoli - Tropea, Milano, 2007
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The Vatican Files, - sito web: http://www.vaticanfiles.net/default_eng.htm
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