Nel settembre del 1943, nel caos che segue l'armistizio, a Matera e a Rionero in Vulture le truppe tedesche si rendono protagoniste di rappresaglie nei confronti della popolazione civile. Il bilancio finale sarà di 37 vittime.
Due eccidi nazisti in Basilicata
di MICHELE STRAZZA
Ricostruire le vicende degli eccidi di Matera e Rionero in Vulture nel 1943 significa, innanzitutto, per poterli meglio comprendere, collocarli all'interno della situazione della Basilicata all'indomani dell'8 settembre, giorno dell'armistizio con gli Alleati.
Proprio in quella serata di fine estate anche i lucani apprendono dalla radio l'annuncio dell'armistizio.
La notizia del proclama di Badoglio fa velocemente il giro di tutti i paesi della Lucania mentre la popolazione manifesta la propria gioia e i propri dubbi sul futuro, volgendo il pensiero ai tanti cari che stanno per tornare a casa.
I tanti lucani sotto le armi, infatti, dopo essere stati messi di fatto in libertà dai propri comandanti, si apprestano a compiere il lungo viaggio di ritorno, spesso senza mezzi, a piedi, ed evitando di percorrere le strade per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi in ritirata.
Potenza, nei giorni 8 e 9 settembre, subisce un duro bombardamento aereo ad opera delle forze alleate, con morti e feriti.
La guerra continua ad avvicinarsi sempre più. I bombardamenti alleati colpiscono Pisticci, la ferrovia Foggia-Potenza, Maratea, Lauria, la stazione ferroviaria di Metaponto, Nemoli. Viene anche mitragliato, tra lo scalo ferroviario di Grassano e quello di Grottole, un treno proveniente da Napoli e diretto a Taranto.

La situazione economica è intanto peggiorata. I centri rurali, ma anche gli stessi
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capoluoghi Potenza e Matera, sono ormai chiusi in una povera autarchia alimentare. I prezzi sono alle stelle per la rarità delle merci e le difficoltà dei trasporti, la speculazione e il contrabbando imperversano.
Oltre a Potenza anche Matera viene occupata. Fra il 10 ed il 20 settembre le truppe tedesche incendiano carri e littorine delle ferrovie calabro-lucane e distruggono il deposito ferroviario. Il 18 settembre si ha un assalto dei magazzini materani da parte di contadini e braccianti, che vengono facilmente dispersi dai tedeschi. Il Palazzo della Milizia viene trasformato in prigione nella quale vengono rinchiusi 12 ostaggi, la maggior parte militari sbandati.
Un reparto della VII Armata era riuscito a sfuggire però ai rastrellamenti ed era rimasto agli ordini di un sottotenente di complemento di Matera, Francesco Nitti, che nel dopoguerra racconterà i fatti cui prese parte.
Il 20 settembre le truppe germaniche lasciano la città: restano soltanto pochi tedeschi con tre camionette.
Nel pomeriggio del giorno successivo si sparge la voce gli ultimi occupanti stanno per andare via ma ecco che avviene l'irreparabile. Due tedeschi si recano nella gioielleria della signora Michelina Caione, in via San Biagio, e si fanno consegnare anelli e altri oggetti. A questo punto intervengono alcuni militari italiani al comando del capitano Cozzella il quale chiede loro cosa intendano fare dei preziosi. I tedeschi rispondono che hanno intenzione di portarli via per "ricordo", senza dare credito al tentativo dell'ufficiale italiano di convincerli a lasciare perdere dicendo che non si tratta di oggetti d'oro.

Mentre i militari germanici si innervosiscono sempre di più anche a causa della presenza nel negozio di ben 11 uomini, oltre le due donne, i militari italiani aprono il fuoco. Uno dei due tedeschi cade subito al suolo ma l'altro riesce a impugnare la pistola mitragliatrice e a sparare due colpi che, però, non giungono a segno. Pur ferito, il militare germanico riesce ad uscire dal negozio ma, colpito dall'esplosione di una bomba a mano lanciatagli contro, muore subito dopo.
A questo punto i soldati italiani cercano di nascondere il corpo del tedesco finito sulla strada, trascinandolo giù per una ripida scalinata, ma vengono visti da due commilitoni dell'ucciso che provvedono a dare l'allarme. Parte la rappresaglia. Le camionette germaniche percorrono le strade principali mitragliando su cose e persone: otto civili perdono la vita.
E' l'inizio dei combattimenti in città, cui partecipano numerosi contadini, artigiani, professionisti, finanzieri, agenti di P.S., gente di ogni ceto e di ogni mestiere.
Così il racconto di Nitti: «Si sparò nella piazza centrale dal magazzino vestiario della finanza e dal tetto della piccola Chiesa Mater Dei su cui si era inerpicato il contadino Di Cuia con altri due, si sparò dalle finestre di alcune case di Via Nazionale sulla colonna tedesca in ritirata; si sparò dalla Prefettura. Un gruppo di agenti di P.S., scavalcando alcuni muri di cinta e facendosi una breccia nel muro dell'edificio delle carceri, riuscirono a spostarsi di fronte ai giardini pubblici dov'erano tedeschi con mitragliatrici; un ragazzo del Sasso, con gravissimo pericolo di vita, riuscì a penetrare nella Questura dove si fece riempire le tasche e un fazzoletto di munizioni per pistole automatiche, che portò ai militari della Sottozona nel rione San Biagio. Il parroco di San Giovanni Battista, Monsignor Marcello Morelli, era uscito sulla piazzetta antistante alla Chiesa e di lì rincuorava militari e civili che accorrevano ai posti dove si combatteva».

Al Rione San Biagio, intanto, presso la sede della società idroelettrica, viene fatta saltare la cabina elettrica e fucilati i tecnici che avevano cercato di impedirlo.
Ricorda Nitti: «. numerosi altri tedeschi erano corsi poco dopo le ore 17 alla sede della Società Lucana di Elettricità, con l'evidente proposito di distruggere la cabina elettrica. Aperta violentemente la porta gridarono agli impiegati, agli operai, ai due ingegneri di
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Matera
uscire; e poiché qui erano le abitazioni del personale di servizio, anche i familiari furono spinti sulla strada. Uno degli operai si nascose tra le macchine. Quando tutti furono usciti dai locali, mentre alcuni guastatori provvedevano in tutta fretta alla posa di due mine nella sala macchine, gli altri, con improvviso e violento fuoco di mitragliatrici e fucili mitragliatori, uccidevano l'ingegnere Raoul Papini, Pasquale Zicarelli impiegato e Michele Frangione studente diciannovenne, figlio di Salvatore Frangione, impiegato della Società. L'ingegnere Mirko Cairola e Salvatore Frangione furono gravemente feriti; quest'ultimo decedette poi presso l'Ospedale. La signora Maria Di Nava, moglie dell'ing. Cairola, si salvò gettandosi a terra».
I tedeschi si ritirano, asserragliandosi nella caserma della milizia. Verso sera accettano la resa, preoccupati di sfuggire alle truppe della VIII Armata alleata che stanno arrivando da Montescaglioso, montano sulle camionette e si allontanano mentre salta per aria il Palazzo della Milizia: 11 ostaggi muoiono sotto le macerie che insieme alle altre 10 vittime degli scontri danno il totale del sangue materano versato.
La mattina del giorno successivo, il 22 settembre, i primi reparti di truppe canadesi entrano in città.
Sul punto in cui si ergeva il Palazzo della Milizia i materani posero un cippo a perenne memoria, così come la lapide sulla facciata del Palazzo di Governo ricorda quei giorni in cui Matera diventò la prima città italiana che si ribellò ai tedeschi, meritando la medaglia d'argento al valore civile della Resistenza.
Sulla lapide vi è scritto: "Nel tragico giorno 21-IX-1943 mentre i tedeschi devastatori compivano orrenda strage di ostaggi innocenti il popolo materano sorto in armi cacciava il feroce nemico e col sacrificio di suoi animosi figli si ridonava alla libertà. Monito agli oppressori incitamento agli oppressi".

Anche Rionero in Vulture, paese natale di Giustino Fortunato, a nord della Basilicata, paga un duro tributo di sangue.
Già dall'11 settembre si era fermato in paese un reparto tedesco in ritirata insieme a un manipolo di paracadutisti italiani. Il 16 settembre la popolazione rionerese, per paura della distruzione da parte tedesca dei magazzini viveri dell'Intendenza della VII Armata (cosa che avvenne in seguito), assalta gli stessi magazzini ubicati nei pressi delle casette asismiche del Rione Sant'Antonio, portando via sacchi di farina, di riso e altri generi alimentari.

I tedeschi intervengono sparando sulla folla. Alla fine sul selciato resta Antonio Cardillicchio, di 17 anni, colpito mentre tenta di trascinare un sacco di farina. Perde la vita anche una donna, Elisa Giordano Carrieri, che resta intrappolata nei magazzini e perisce nel successivo incendio.
Pochi giorni dopo, il 24 settembre, nei pressi del Calvario, alla periferia del paese, un contadino, Pasquale Sibilia, svegliato di soprassalto dalle grida della figlia, esce di casa imbracciando un fucile. Vede un sergente dei paracadutisti che sembra gli stia rubando una gallina e gli spara, ferendolo di striscio. Il militare risponde al fuoco colpendo all'inguine il Sibilia.
Parte la dura rappresaglia. Il capitano dei paracadutisti, autorizzato dall'ufficiale tedesco, fa rastrellare 16 giovani che, insieme al Sibilia, portato su una barella, vengono trucidati a colpi di mitragliatrice. Uno soltanto, Stefano Di Mattia, creduto morto perché svenuto, sfugge al massacro giacendo sotto i corpi dei compagni. I morti furono: Emilio Buccino, Antonio Di Pierro, Pasquale Di Lucchio, Pietro Di Lucchio, Marco Grieco, Michele Grieco, Donato Lapadula, Giuseppe Libutti, Angelo Mancuso, Donato Manfreda, Giovanni Manfreda, Pasquale Manfreda, Antonio Santoro, Gerardo Santoro, Giuseppe Santoro e, naturalmente, Pasquale Sibilia.
Sul posto venne, poi, eretta una stele monumentale sormontata da una fiaccola bronzea a perenne memoria. A Rionero, ma solo recentemente, è stata insignita della medaglia d'argento al valor civile.
BIBLIOGRAFIA
  • Regio Vulturis, di E. Cervellino - Venosa, Osanna, 2003.
  • Tre ore di Matera, di C. Levi, in "L'illustrazione italiana", n.12 (1952).
  • Provincia di Confino. La Lucania nel ventennio fascista, di L. Sacco - Fasano, Schena, 1995.
  • Amiche e compagne. Donne e politica in Basilicata nel dopoguerra (1943-1950), di M. Strazza - Consiglio regionale della Basilicata-CRPO, Lavello, Finiguerra Arti Grafiche, 2008.