Dal 1927 al 1957 la leggendaria corsa automobilistica che fece impazzire gli italiani. Nel 1936 la Società delle Nazioni, per scoraggiare la politica coloniale del fascismo, mise l'embargo sul carburante destinato all'Italia
MANCA LA BENZINA? LA MILLE
MIGLIA CORRE A CARBONELLA
di LIONELLO BIANCHI
Quella volta che Campari perse le staffe, letteralmente. Successe nel l'edizione del 1932. Il successo andò a Borzacchini, amicone di Nuvolari, che batté la Mercedes di Broschek-Sebastian. A Perugia avvenne il fattaccio. Campari, detto il "negher" era passato primo, ma subito dopo fu costretto al ritiro per una spettacolare uscita di strada. Secondo il "negher" quell'incidente era avvenuto per colpa del suo compagno Sozzi in quel momento al volante. Con la macchina finita contro un muro, i due piloti uscirono indenni, ma Campari, inferocito, balzato fuori dall'abitacolo, prese a inseguire il malcapitato Sozzi, minacciandolo davanti agli sbigottiti spettatori con un pesante martello. Anche questo faceva parte della Mille Miglia.
La Scuderia Ferrari che debuttò, come accennato nella prima puntata, con vetture Alfa Romeo, nel 1933 si prese subito le sue brave soddisfazioni Per il "Drake" Enzo Ferrari furono esperienze molto utili. I duelli tra Nuvolari e Varzi si ripeterono nel 1934, vittoria del primo che stabilì un primato della corsa a una media di 114 km orari. Ma l'anno successivo toccò a Carletto Pintacuda portare al trionfo l'Alfa Romeo biposto della scuderia Ferrari alla fantastica media di 210 km orari, nuovo record.
Fu questa una corsa travolgente, con la biposto Alfa Romeo ricavata da una monoposto che obbligò il marchese Della Stufa (compagno di Pintacuda) a restare pigiato come una sardina per 14 ore, il tempo della gara. Quando scese dalia vettura, al traguardo di Brescia, il minuto marchese aveva un'espressione stralunata, quasi incapace di partecipare alla gioia per il successo. La gente in festa non capiva ma applaudì ugualmente.
Clicca sulla immagine per ingrandire
Due Alfa Romeo in gara
alla Mille Miglia del 1940
Passavano le varie edizioni della corsa, malgrado molteplici difficoltà politiche. Nel 1936 l'industria italiana dovette lottare contro le sanzioni economiche inflitte dalla Società delle Nazioni al Bel Paese in conseguenza della campagna coloniale in Etiopia. Le case automobilistiche furono costrette a gareggiare con vetture alimentate da carburante autarchico. Addirittura sei macchine in quell'edizione del '36 andavano a carbonella (sic).
Correvano gli anni della leggendaria Topolino (costruita dalla Fiat) che si distinse, inutile dirlo, anche sulle strade della Mille Miglia. Era la prima vettura - diciamo così - utilitaria, con pretese peraltro raffinate e sportive.
Restavano comunque i bolidi i dominatori della scena, a cominciare dalle Mercedes e dalle Alfa Romeo.
La tragedia sempre in agguato in gare di questo tipo no n poteva mancare. Difatti nel 1938 avvenne una vera e propria catastrofe, sui viali della circonvallazione di Bologna. Durante il secondo passaggio dal capoluogo emliano la Lancia Aprilia contrassegnata con il numero 101 sbandò in maniera terrificante nell'attraversamento dei binari del tram a un incrocio, andando ad abbattere un albero e piombando sulla foIIa.
Il bilancio di quel terribile incidente fu pesante: sette bambini morti e venticinque persone rimaste ferite. Un giorno di festa di una scolaresca, allegra e spensierata, si era trasformato così in un giorno di dolore e lutto. Sembrò che questa tragedia potesse segnare la fine delle Mille Miglia. Infatti, il giorno successivo un laconico comunicato del governo fascista annunciava: "II ciclo delle Mille Miglia sulle strade nazionali é definitivamente chiuso".
A dispetto delle inchieste che seguirono non si conobbero mai le vere cause di quel pauroso e grave incidente (meccaniche, umane...). Ci si appellò a una tragica fatalità. In effetti la Mille Miglia per come si era andata sviluppando sempre all'insegna della velocità più spinta era diventata di anno in anno sempre più pericolosa, considerato che si correva su strade normali, con la gente che s'assiepava ai bordi, arrampicata sugli alberi e sui muretti prospicienti. Pochi privilegiati potevano godersi lo spettacolo delle auto che passavano dai balconi di casa.
Le medie di velocità erano intanto passate dai settantasette km orari della prima edizione ai centotrentacinque e oltre, dal 1927 al 1938 la velocità delle macchine era più che raddoppiata. Di pari passo era aumentato anche il pubblico e in alcuni punti era davvero incontrollabile nonostante l'impiego dei Carabinieri e della Milizia. Anche per questi motivi di ordine pubblico il provvedimento preso dal governo all'indomani della tragedia di Bologna apparve tempestivo e sostanzialmente corretto.
Anche la stampa sportiva dell'epoca approvò, come si può leggere in uno degli articoli di un grande pilota, protagonista anch'egli in diverse Mille Miglia, Giovanni Lurani che fu più tardi anche presidente dell'Automobile Club: "Questa decisione drastica ma abbastanza logica chiuse la serie delle Mille Miglia classiche di prima della guerra mondiale, e fino al 1940 non si parlò di riprendere in qualche modo la fantastica corsa che dodici edizioni eccezionali avevano già reso famosa".
Nel 1940 ad ogni modo la Mille Miglia tornò. E ciò a dispetto dei venti di guerra incombenti; il 10 giugno venne proclamato l'intervento bellico dell'Italia con i1 discorso (ormai storico) del Duce dal balcone di piazza Venezia.
Rivisse la Mille Miglia su un circuito stradale ridotto, rispetto a quello tradizionale della Brescia-Roma-Brescia che comprendeva il giro di mezza Italia, con passaggi in diverse regioni. Per iniziativa di Giovanni Lurani che lanciò l'idea sulla rivista Auto Italiana si studiò un percorso differente, circoscritto alle provincie di Brescia, Cremona e Mantova. Il progetto venne prontamente appoggiato dai fondatori della Mille Miglia, in particolare Renzo Castagneto e dai suoi vecchi amici ovvero Canestrini, Maggi e Mazzotti. Nacque in tal modo la tredicesima edizione della Mille Miglia ribattezzata ufficialmente "Primo Gran
Clicca sulla immagine per ingrandire
Tazio Nuvolari durante
la gara del 1948
Premio Città di Brescia". Il circuito stradale era racchiuso nel triangolo Brescia-Cremona-Mantova, in pratica lo stesso percorso del Circuito di Brescia del 1 907.
III circuito stradale scelto aveva la forma di un triangolo isoscele, un triangolo isoscele che venne conosciuto in tutto il mondo. Il suo vertice era ovviamente a Brescia, gli angoli della base a Cremona e a Mantova. La lunghezza era di centosessantacinque chilometri, e le auto dovevano percorrerlo nove volte per coprire in totale millequattrocentoottantacinque chilometri.
Il via veniva dato non più dal viale del Rebuffone, che era stato lo scenario delle partenze e degli arrivi di tutte le precedenti edizioni delle Mille Miglia, ma alla periferia di Brescia, al curvone del Foro Boario oltre il sottopassaggio della ferrovia Milano-Venezia: lì cominciava con un rettilineo la provinciale che portava a Cremona; Questa città non veniva attraversata, perché le macchine al chilometro 48 dovevano imboccare il nuovo raccordo stradale che le immetteva nella Statale 10 in direzione di Mantova.
Si attraversavano i paesi di Cicognolo, Piadena, Bozzolo, San Martino dell'Argine, Marcaria, Ospitaletto e Castellucchio. Al km. 104 del percorso, all'altezza della frazione Grazie, le macchine non proseguivano per Mantova ma attraverso una strada comunale toccando Rivalta e Sacca, a Goito si immettevano nella Provinciale Mantova-Brescia, che veniva raggiunta attraverso Cerlongo, Guidizzolo, Castiglione delle Stiviere, Montichiari e Castenedoio. Alla periferia di Brescia, dopo essere transitate al Foro Boario, le vetture si immettevano nel viale Duca degli Abruzzi, cioè nella Statale 45 bis Brescia-Cremona e, dopo aver percorso un secondo rettilineo trovavano il traguardo da tagliare al termine dei giri stabiliti.
Il circuito che si svolgeva interamente nella bassa pianura padana comprendeva perlopiù lunghi rettilinei, poche curve, scarsi saliscendi.
C'erano ad ogni modo alcune insidie costituite dai passaggi a livello. Le curve pericolose erano quattro, esattamente a Manerbio all'imbocco del ponte, all'ingresso di Pontevico, a Robecco sull'Oglio alle Grazie senza contare quelle all'entrata di Castiglione delle Stiviere e di Montechiari. Più che altro erano spettacolari le due curve paraboliche allestite all'entrata e all'uscita del raccordo stradale di Cremona, un velocissimo rettilineo asfaltato lungo due km e largo otto metri che grazie all'interessamento del potente gerarca di allora Farinacci che era di Cremona (già concorrente nel 1928) venne predisposto a tempo di record proprio per la corsa sul triangolo isoscele più famoso del mondo.
Benché la guerra divampasse ormai in tutta Europa, la nuova Mille Miglia, rinata sul percorso ridotto, poté a buon diritto fregiarsi del titolo di internazionale, perché le varie case straniere non vi rinunciarono. Al punto che francesi e tedeschi, nemici in guerra, vennero a trovarsi alloggiati nel medesimo albergo e sia gli uni sia gli altri si comportarono con senso sportivo. Giunsero addirittura alla vigilia della corsa a familiarizzare tra loro, ritrovandosi a cena nello stesso ristorante nel centro di Brescia, con scambi di battute.
Tra le vetture in lizza le tedesche della Bmw, le francesi della Delage.
Per l'Italia c'erano le Alfa Romeo, le Fiat e le Lancia. Non mancavano le Topolino denominate le "belvette" per la loro aggressività in corsa. Le sorprese di quell'anno ad ogni buon conto furono le due macchine costruite da Enzo Ferrari nella sua fabbrica Auto Avio Costruzioni e denominate con la sigla "815". In effetti, possono considerarsi queste due vetture che parteciparono alla Mille Miglia le prime Ferrari anche se non ne portavano ancora il nome, divenuto tanto prestigioso in seguito.
Le rivelazioni di quest'edizione della corsa bresciana furono ad ogni buon conto le carrozzerie delle vetture, che presentavano soluzioni ultramoderne e straordinariamente aerodinamiche. Alcune vetture sembravano disegnate dal vento tanto erano filanti. Da segnalare che in quella eccezionale passerella trionfò la carrozzeria milanese: Touring che aveva vestito le Alfa Romeo, il prototipo Ferrari e una delle berline tedesche.
Scomparso Campari, il grande assente era Tazio Nuvolari, che non aveva trovato a sua disposizione una macchina competitiva, oltre ad Achille Varzi, il suo grande rivale, da qualche anno appartatosi dal mondo delle corse trascinato dalla sua insaziabile fame di droga. Sul proscenio erano apparsi nuovi piloti, a cominciare da Clemente Biondetti e Carletto Pintacuda, da Nino Farina, laureato in legge, nato a Torino nel 1906, figlio
Clicca sulla immagine per ingrandire
La sofferta vittoria della
Ferrari di Villoresi nel 1951
primogenito del maggiore dei fratelli Farina (Giovanni) che avevano fondato l'omonima carrozzeria. Farina si era affacciato alle corse negli Anni Venti e per il stile spregiudicato - il suo motto era "o la va o la spacca" - si era imposto presto nelle simpatie degli appassionati e persino di Nuvolari. Spericolato, Farina fu coinvolto in numerosi incidenti tanto che quando si ritirò dal l'attività agonistica dopo aver vinto il titolo di campione del mondo nel 1955 si raccontò che egli aveva trascorso almeno cinque anni della sua vita di pilota in ospedale.
La Mille Miglia del 1940 fu la più veloce di tutte quelle precedenti, vinta dal barone tedesco Von Hanstein che con la sua Bmw fece registrare una media (fantastica per allora) di 166,723 km orari, con il giro più veloce alla media di 174,102. Subito dopo si abbatté su tutta l'Europa e nel mondo la guerra.
Dopo cinque lunghi anni, arrivò finalmente la pace.
Cominciarono gli anni della rinascita. Tempi duri quelli post bellici, ma ugualmente pieni di speranze. Le ferite e le lacerazioni prodotte dalla guerra e dalla spaccatura del paese, durata dal 141 al 1945, lasciarono il segno in Italia, anche dopo la costituzione della Repubblica. Toccò allo sport contribuire a unire gli italiani. Il calcio in primo luogo, ma anche le altre discipline. Ripartì anche la Mille Miglia nel 1947 .
Fu un ritorno all'antico nel senso che si corse sulle strade del percorso originale quello da Brescia a Brescia passando per Roma. La novità era costituita dall'inserimento nel circuito di Torino e Milano, che aumentavano il numero di km. raggiungendo i 1823, Mille Miglia sì, ma marine.
Dopo innumerevoli e comprensibili difficoltà organizzative, la Mille Miglia del 1947 prese il via alle venti e 11 minuti del 21 giugno. Parteciparono oltre centocinquantacinque macchine. Due le macchine italiane nuove: la Ferrari e la Cisitalia. Su una delle cinque Cisitalia c'era Tazio Nuvolari, alla partenza dato favorito.
Franco Cortese era alla guida della Ferrari 1 25, Emilio Villoresi era al volante di una Maserati A 6GCS, a Clemente Biondetti era affidata una Alfa Romeo 2900. Il campo insomma era agguerrito. Nuvolari a dispetto di una certa inferiorità della sua vettura rispetto alle altre riuscì a passare in testa subito dopo Roma. Sembrava che il "mantovano volante" potesse coronare con successo la sua cavalcata, sennonché nel tratto tra Asti e Torino un violento nubifragio ostacolò non poco le macchine scoperte tra cui quella di Nuvolari, che venne superato da Biondetti con la sua ben più comoda e coperta Alfa Romeo. Vano fu l'inseguimento di Nuvolari sul percorso autostradale Torino-Milano. A Brescia arrivò secondo. Ma la gente che aspettava sul traguardo lo volle ugualmente portare in trionfo.
A quel punto Nuvolari a cinquantacinque anni avrebbe voluto ritirarsi dalle corse, e lo avrebbe fatto senz'altro, se non fosse intervenuto Enzo Ferrari che andò di persona a incontrarlo nel suo eremo a Gardone Riviera sul lago di Garda: non lontano dal Grand Hotel: tra i testimoni alcuni giornalisti dell'epoca tra cui Leone Boccali. Il Drake lo invitò ad andare con lui a Maranello: "Ti voglio far vedere le mie nuove macchine'. "Nivola" accondiscese, e una volta a Maranello si innamorò delle vetture al punto che accolse con il suo inconfondibile entusiasmo la proposta di correre su una di esse la Mille Miglia del 1948.
Una Mille Miglia sul tradizionale percorso ma con una differenza che molte strade non vennero chiuse al traffico privato, con tutti i pericoli che potevano derivare non solo per i piloti della gara ma anche per i privati cittadini. La Mille Miglia che prese il via di sera da Brescia venne seguita dal quartier generale dell'organizzazione attraverso contatti telefonici con i punti strategici e nevralgici, tenuti dall'instancabile Renzo Castagneti, coadiuvato dal capo ufficio stampa Leone Boccali, il fondatore del Calcio Illlustrato e uno dei padri dei giornalismo sportivo italiano, e dal cronometrista Cleto Radice, che in tale ruolo aveva partecipato a tutte le edizioni delle Mille Miglia.
Fin dalle prime segnalazioni che Leone Boccali forniva via via ai colleghi giornalisti nella sala stampa dell'hotel Vittoria di Brescia i grandi personaggi dell'auto sembravano aver preso le prime posizioni. A Forlì in testa era passato Piero Taruffi con la sua piccola Cisitalia ma Nuvolari con la sua Ferrari veniva dato in costante ripresa e stava guadagnando posizioni su posizioni. Nei pressi di Cattolica Taruffi fu costretto bruscamente al ritiro per un guasto alla guarnizione della testa. Successivamente lungo la via Flaminia nelle vicinanze di Cagli toccò alla coppia Roll-Gaboardi su una delle due Alfa Romeo ufficiali abbandonare: Nuvolari vide la macchina con il cofano alzato in panne mentre i piloti si affannavano invano sul motore. Poteva essere la svolta della corsa. Si entrava nel mezzo di un percorso accidentato con curve e salite, Nuvolari con la sua Ferrari che filava bene affrontò quel tratto con grande determinazione. Però su quelle curve il campione cominciò a sentirsi male, era costretto a sporgersi sovente dal finestrino tormentato dai mal di gola e di stomaco. La sua marcia verso Roma ad ogni modo proseguiva, a dispetto dei suoi dolori fisici. Al controllo di Roma era primo assoluto.
Imboccata la via Aurelia, prese a stare meglio ma nel contempo era la sua macchina a soffrire qualche battuta a vuoto. A un controllo sul ponte Milvio ci fu un inconveniente spiacevole. Il mantovano volante si era fermato, arrestandosi bruscamente, forse troppo.
I meccanici Ferrari avevano alzato il cofano per un rapido controllo al motore, ma quando
Scorsero febbrili, rapidi i secondi, i minuti, non c'era tempo. Così Nuvolari fece da solo, prese il cofano e lo staccò con forza
tentarono di rinchiuderlo non ci riuscirono. Scorsero febbrili, rapidi i secondi, i minuti, non c'era tempo. Così Nuvolari fece da solo, prese il cofano e lo staccò con forza. Quindi risalì in macchina e ripartì così. Il rischio sarebbe stato se fosse venuta la pioggia. E la minaccia del maltempo io innervosì molto man mano che risaliva la Penisola e si avvicinavano gli Appennini. E avvenne l'incidente. Nuvolari stava sorpassando un concorrente sulla breve salita del Romito, quando ci fu un urto violento contro la parete rocciosa. Nuvolari abilmente riuscì a tenere il volante e malgrado la vettura girasse su sé stessa a impedire che si ribaltasse, rimettendola in carreggiata. Ma si era rotto il perno della sospensione posteriore destra, danneggiata una balestra. Con mezza macchina scassata, Nuvolari arrivò primo anche a Firenze. La gente di tutt'Italia seguiva le vicende via radio con apprensione e sempre più interesse per le sorti di Nivola. C'erano davanti a lui i passi della Futa e della Raticosa Col cuore sospeso l'Italia alla radio non aveva orecchi che per la Ferrari numero 1049. Raccontava qualche anno dopo Leone Boccali che al centro stampa arrivarono nel cuore della notte centinaia e centinaia di telefonate per sapere di Nuvolari. Superati i due passi, Nuvolari si lanciò su Bologna, dove transitò ancora in testa. "Ce la farà anche stavolta" commentava la gente. Tra Modena e Reggio Emilia arrivò la pioggia che nessuno avrebbe voluto. E pochi istanti dopo la notizia che nessuno avrebbe voluto sentire: 'Nuvolari si é ritirato a Villa Ospizio, a un chilometro dalla città". Il Paese si ammutolì. Proprio un tremendo destino aveva appiedato Nuvolari in una località chiamata Ospizio.
Mentre la Ferrari era abbandonata sul ciglio della strada sotto una pioggia battente, il campione venne trasportato in una vicina canonica e adagiato sul letto del prete. Al suo capezzale arrivò Enzo Ferrari: "Ti rifarai l'anno prossimo". E lui scuotendo la testa: "No, non ci sarò io in corsa l'anno prossimo".
Al traguardo arrivò primo Biondetti con un'altra Ferrari.
Finita l'era di Nuvolari, le Mille Miglia si protrassero nella loro tradizionale formula fino al 1957.Sulle strade di quella gara prestigiosa si distinsero di volta in volta piloti divenuti celebri anche in Formula Uno, a cominciare da Taruffi, l'ingegnere delle corse, per continuare con Stirling Moss ed Eugenio Castellotti che perse la vita in un tragico incidente sulla pista di Monza, con i De Sanctis e i Paolo Marzotto. Nomi celebri, entrati nella leggende delle quattro ruote al pari di Alberto Ascari, di Fangio e Gendebien. L'edizione del 1957 coronò la carriera di Piero Taruffi, che vinse e subito dopo annunciò il suo ritiro dalle corse. Ma quell'edizione - la ricordiamo anche noi che fummo tra gli spettatori giovanissimi sul rettilineo di Padenghi - fu anche l'ultima a seguito di un grave incidente che costò la vita al pilota De Portago, una giovane promessa spagnola. A Guidizzolo mentre la sua vettura era lanciata a 290 chilometri all'ora, uscì di strada in seguito allo scoppio di una gomma. Insieme al pilota morì il suo secondo, Nelson, ma vennero uccisi anche dieci persone travolte dalla vettura che si schiantò fuori strada. Da qui la decisione di mettere fine alla Mille Miglia
Ma il mito risorgerà sia pure sotto formula diversa negli Anni Ottanta.
(2 - Fine)
<<
BIBLIOGRAFIA