Nella Genova del XV secolo il potere reale era nelle mani di organizzazioni private. Uno stato nello Stato, sopravvissuto alle ripetute invasioni straniere, che possedeva le colonie della Repubblica
LE "COMPERE" DI SAN GIORGIO
di GIOVANNI PIZZORNO
Si parla sempre delle quattro Repubbliche marinare, come se fossero state entità simili; ma invece furono diversissime. Amalfi è quasi un'invenzione, e durò pochissimo; Comacchio (la sconosciuta nemica di una Venezia agli albori) avrebbe altrettanti diritti di essere conosciuta. Pisa durò di più, fino alla fine del Duecento; solo Venezia e Genova resistettero fino all'invasione napoleonica. Ma anche le due "grandi" furono diversissime fra loro. Venezia era un vero stato: oligarchico, certo, ma con un sistema di controlli e di contrappesi che impedirono dittature e colpi di stato e che imbrigliavano la lotta di classe. Genova invece fu sempre un agglomerato di famiglie, aristocratiche e borghesi in lotta perenne fra loro e mai una vera società statale: soprattutto dalla fine del Trecento si susseguirono i colpi di stato e le aperture agli stranieri, mescolate alle rivolte popolari e alle lotte di classe. Dal 1394 al principio del '500, Genova fu invasa e dominata dai francesi (1396/1409, 1458/61 e 1499/1522); dal marchese del Monferrato (1409/13) dai duchi di Milano, prima i Visconti (1421/1435) poi dagli Sforza (1464/78 e 1488/99). Saccheggiata dagli spagnoli nel 1522, Genova fu poi portata da Andrea Doria sotto il protettorato della Spagna, che ne riconobbe l'indipendenza formale (1528).
Venezia invece non fu mai invasa dagli stranieri, e nel 1509 sopportò
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La flotta genovese in una formazione
comandata da Andrea Doria
addirittura una guerra contro l'impero, sul fronte che fu poi della guerra del '15, contro il papato e contro i vari potenti italiani; e sopravvisse. Inoltre, Venezia fu una grande potenza imperiale almeno fino alla pace di Passarowitz del 1714, quando dovette rinunciare alla Morea (Peloponneso); ma conservò fino alla fine la Terraferma, l'Istria e la Dalmazia. Genova invece perse le colonie d'Oriente dopo la caduta di Costantinopoli (1453); e già quelle e la Corsica erano state affidate all'amministrazione di enti private, quali le maone e le compere. La repubblica di Venezia possedeva le navi mercantili e, naturalmente, le militari.
A Genova le navi mercantili, come le ricchezze agricole e finanziarie, erano nelle mani delle grandi famiglie: la ricchezza era privata, lo Stato era poverissimo e pieno di debiti. Addirittura Genova non possedeva una flotta militare permanente, e doveva fare immensi debiti ogni volta che doveva armarne una. Insomma, Genova era un coacervo di famiglie ricche, nemiche fra loro e pronte ad aprire le porte della Repubblica agli stranieri, per combattere i clan rivali; lo Stato era debole, povero, pieno di debiti. Naturalmente i ricchi si volevano tutelare da questo Stato povero e indebitato, che essi stessi avevano contribuito a impoverire. Così nel Trecento si diffusero le maone e le compere, associazioni di privati che avevano beni tali da renderle autonome dalla repubblica. Le maone erano associazioni degli appaltatori delle imposte, le compere associazioni di creditori dello Stato. Nel 1378 la Repubblica aveva affidato la Corsica alla Maona che prese il nome dell'isola, e nel 1453 la Repubblica attribuì la Corsica alle Compere di San Giorgio. Nata al principio del Quattrocento, la Casa di San Giorgio in pochi decenni diventa potentissima, svincolata dalla Repubblica e più potente di essa. Indebitata per l'uso dei mercenari nelle guerre marittime e terrestri fin dal Duecento, alla fine del secolo successivo Genova si era trovata in un vortice d'indebitamento crescente, per la guerra di Chioggia (finita nel 1381), per la conquista di Famagosta e le imprese belliche del doge Antoniotto Adorno. Per fronteggiare la marea del debito pubblico, la repubblica dapprima ricorse alle imposte dirette, poi ai prestiti forzosi. Ma, per pagare gli interessi ai creditori, e ammortizzare il debito pubblico, Genova dovette aumentare più volte le imposte indirette (sul commercio e sugli articoli di prima necessità: pane, sale, vino). In tali condizioni, nel 1405 (sotto la prima dominazione francese), Genova risolse di unificare gran parte dei titoli di credito con la creazione dell"Officium procuratorum S. Georgi", sostituito nel 1407 dalle "Compera S. Georgi", nelle quali venivano unificati i debiti contratti dallo stato dopo il 1330 ("compera regimini, S. Petri, Gazarie, novae S. Paoli", più la maona di Cipro e, nel 1409, l'appalto di Chio e Focea, per 28 anni).
In passato, le compere ricevevano interessi del 10 o dell'8 per cento; le nuove Compere S. Giorgio unificarono tutti i crediti all'interesse del 7 per cento, con un danno dei creditori, compensato però dalla certezza di ricevere il dovuto oltre che dall'esenzione di nuove imposte. Contemporaneamente, alle nuove Compere di San Giorgio erano confermate le imposte date in garanzia alle antiche compere che avevano sostituito, e in particolare il monopolio del sale. Mentre le finanze dello stato peggiorano, la vita pubblica si fa sempre più insicura e soltanto il dominio straniero garantisce qualche tranquillità. Decadono i commerci insidiati, nella prima parte del secolo da Firenze, dai porti di Barcellona e della Francia; ma la Casa di San Giorgio fa aumentare in continuazione la sua potenza economica e il suo peso politico. Nel 1441 la Casa si dà una costituzione. modificata quattordici anni dopo: il risultato è che le Compere di San Giorgio sono dirette da otto procuratori e protettori, nominati per anno e scelti fra ventiquattro nobili e mercanti che possiedano almeno mille lire di debito pubblico. Ma il potere "legislativo" era nelle mani di 52 consiglieri, scelti fra i creditori: i consiglieri nominavano quattro sindaci che esaminavano gli atti dei procuratori, sottratti quindi, dal 1425, all'autorità dello stato.
Del resto, già nel 1418 la repubblica aveva rinunziato a vedere i libri contabili delle Compere e nel 1431 rinunzia anche formalmente a inserirsi nel monopolio del sale. In passato, vi sono stati studiosi che hanno voluto vedere nelle compere le antenate delle società commerciali per azioni. Questa tesi è stata negata, mi sembra a ragione, da uno studioso tedesco, il Sieveking, che ha dimostrato come la Casa di San Giorgio non fosse una società commerciale, ma un'organizzazione politica a favore della classe dei
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La pianta di Genova disegnata nel XIV secolo
capitalisti. Nata come associazione dei creditori dello stato, divenne appalto delle imposte, banca e ufficio coloniale; in questo senso, semmai, la Casa di San Giorgio precorre le organizzazioni inglesi dei creditori dello stato (1694) e la Compagnia delle Indie. Al principio, le imposte venivano appaltate dalla repubblica alla Casa per permetterle di ricavarne gli interessi per i creditori. Disponendo di molto denaro, la Casa esercitò dal 1407 anche funzioni bancarie, concedendo prestiti solo agli appaltatori d'imposte e allo stato: gli utili venivano impiegati per l'estinzione dei debiti amministrati dalla Casa. Questa non si era proposta il credito per sviluppare il commercio e le industrie, ma esercitava le funzioni bancarie perché inizialmente era obbligata a fare allo stato prestiti a termine: da parte sua, lo stato, per garantire i prestiti, concedeva nuovi appalti d'imposta alla Casa. Per esempio, San Giorgio nel 1412 prestò al governo 31.200 lire, nel 1431 addirittura 200mila, in cambio di varie imposte e soprattasse: così il centro di gravità delle finanze statali si sposta nelle Compere di San Giorgio. Queste, già nel 1414, avevano ottenuto che un terzo delle multe agli evasori delle tasse portuali fosse destinato "alla pulizia del porto e per il restauro delle dighe". Più avanti, la Casa migliorò anche le dogane e i magazzini, per facilitare l'attività delle imprese commerciali e industriali, produttrici d'imposte. Ma, presa in mezzo fra i soci-creditori e lo stato che aumentava continuamente il debito, la Casa di San Giorgio, avvalendosi della piena autonomia conquistata, nel 1444 rinunciò a funzionare come istituto di credito (tornò a essere banca soltanto nel 1586).
La liquidazione delle attività bancarie ridiede nuova forza alla Casa che tra il 1437 e il 1454 incorporò definitivamente tutte le compere minori (le ultime in cambio di un prestito per la spesa della flotta da opporre ad Alfonso d'Aragona). Così, anche se non era banca, la casa continuava a prestare soldi alla repubblica e a trarne vantaggi: nel 1451, quando Genova doveva finanziare la guerra contro il marchese Del Carretto, San Giorgio presta 40mila lire in cambio dell'imposta sulla rendita dell'anno. Nel 1451, la Casa paga il restauro del Palazzo del mare, divenuto poi Palazzo delle dogane, e ne ottiene in cambio la proprietà. L'anno dopo, ottiene il diritto di applicare la tortura agli evasori fiscali. Il capitale della Casa, che nel 1417 era di 2.734.000 lire, passa a quasi otto milioni nel 1454 e a dodici milioni nel 1470. Dapprima amministratrice dei crediti verso lo stato, e degli appalti delle imposte, divenuta poi soggetto di diritti giudiziari, la Casa riuscì a superare anche le opposizioni del clero che possedeva buona parte del debito pubblico, ma predicava il divieto d'usura; e ottenne perfino il beneplacito di papa Callisto, dopo il dilagare dei turchi a Costantinopoli e oltre. Un altro passo nello svuotamento del potere statale fu compiuto con l'amministrazione coloniale.
La dissestata repubblica non aveva il denaro necessario per mantenere l'integrità delle colonie e nemmeno del proprio territorio. Nel 1378 aveva ceduto l'amministrazione della Corsica alla maona che prese il nome dall'isola; nel 1426, per un debito di 8mila lire contratto con Francesco Spinola, gli diede in pegno la Valle d'Arroscia e Pieve di Teco; Ovada è ceduta in pegno a Isbardo di Guarco per un prestito di 4.500 lire; e l'anno dopo Carlo Lomellini ottiene Ventimiglia per dieci anni in cambio di 3mila ducati d'oro. Non fa quindi meraviglia che a un certo punto Genova pensasse di cedere alla Casa l'amministrazione delle colonie. Comincia con Famagosta, nel 1447, attribuita a San Giorgio per 29 anni; sei anni dopo affida la Corsica alla Casa che ne assume le spese di amministrazione e difesa in cambio di tutte le rendite dell'isola. L'affidamento non fu facile, perché l'isola era divisa fra Genova (Calvi e Bonifacio), Galeazzo di Campofregoso (San Fiorenzo, Biguglia, Bastia e Corte) e alcuni signori indipendenti, mentre gli Aragonesi avevano già effettuato uno sbarco, e il papa si considerava signore dell'isola. La repubblica comperò per 8.500 lire le terre del Campofregoso e le cedette insieme alle proprie alla Casa, che con cento fiorini tacitò il papa. Nello stesso 1453, dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi, la colonia genovese di Pera dovette sottomettersi ai nuovi conquistatori. La repubblica pensò che l'unica possibilità di salvezza per le altre colonie d'Oriente poteva consistere nel loro passaggio alle Compere di San Giorgio, che godevano di prestigio in tutto il mondo e anche fra i turchi. Nel novembre dello stesso anno si scioglie l'"Officium Romanie", che aveva governato le colonie dal 1313: dopo Famagosta e la Corsica, anche la Crimea, Scio e Lesbo passano a San Giorgio. La Casa di San Giorgio amministrò la Corsica attraverso un governatore dal quale dipendevano i podestà di Calvi e Bonifacio e i castellani di Bastia, Biguglia, San Fiorenzo e Corte. Inizialmente, la Casa lasciò le amministrazioni locali ai podestà corsi e rispettò i diritti della popolazione nei "Capitula Corsorum", riconosciuti in cambio del giuramento di fedeltà a San Giorgio. Ma la durezza dei governatori e i tentativi dei Fregoso d'impadronirsi dell'isola, favoriti addirittura dal doge-arcivescovo Paolo Fregoso, provocano nuove sollevazioni dei corsi.
Nel 1464 la Casa cede la Corsica al duca di Milano in cambio di 2mila lire annue, e la
La Casa di San Giorgio amministrò la Corsica attraverso un governatore dal quale dipendevano i podestà di Calvi e Bonifacio
riacquista, nel 1482, dal doge Battista Fregoso. Le Compere si trovano di nuovo di fronte alla rivolta endemica della popolazione, e la reprimono con l'assassinio dei capi e l'incendio dei borghi ribelli (dovranno affrontare altre sollevazioni nel 1501, 1503, 1507). Per le colonie del Tauro (Crimea) valeva la costituzione di Caffa modellata sulla genovese: il console al posto del doge, gli otto anziani riuniti in Consiglio, e una serie di uffici dipendenti. Dal console di Caffa dipendevano i consoli di Soldaia (Sudak), Cembalo (Balaklava), Samastri, Tana, Copa, Sebastopoli, Trebisonda. Le colonie non furono un affare per la Casa di San Giorgio: ormai minacciate dai turchi nei loro commerci, non davano più rendite e anzi costavano molto per il materiale da guerra, le guarnigioni e per gli stessi tributi che la Casa pagava al sultano per tenerlo tranquillo. In ogni caso, non durarono molto. Mentre le colonie veneziane erano raggruppate intorno alla Morea e quindi la difesa ne era più facilmente organizzabile, quelle genovesi erano più lontane e disperse. Nel 1459 i turchi prendono Samastri, nel 1464 il re di Cipro conquista Famagosta.
Nel 1474 cadono Caffa e tutte le colonie di Crimea: il dominio della Casa è sopravvissuto poco più di vent'anni alla caduta di Costantinopoli. Intanto, sotto il dominio degli Sforza, si rafforza il partito nobiliare: nel 1490 il doge Agostino Adorno abolisce l'imposta diretta a Genova (lasciandola solo nei territori dipendenti) e inasprisce le imposte indirette in città colpendo i consumi delle classi popolari, già da tempo danneggiate dal fatto che gli artifices (artigiani e commercianti) erano pagati in moneta d'argento, progressivamente svalutata di fronte all'oro. Non è un caso che il beato Angelo da Chivasso fosse riuscito a istituire a Genova il Monte dei pegni, che faceva prestiti contro pegno al modico interesse del 10 per cento. Ma la svalutazione dell'argento e l'aumento delle imposte indirette non si risolvono con i palliativi. Mentre i nobili e i mercanti operanti nella Casa di San Giorgio si arricchiscono sempre di più e compensano la perdita del prestigio del cessato dominio coloniale con acquisti più vicini (Sarzana nel 1484, Lerici nel 1497), nel popolo si stanno formando le condizioni per la rivoluzione del 1506. Pochi anni dopo, Machiavelli nelle Istorie Fiorentine (libro ottavo, XXIX) diede, del rapporto fra le Compere di San Giorgio e la Repubblica, una sintesi efficacissima: col progredire del potere economico e politico delle Compere di san Giorgio, i cittadini "hanno levato lo amore dal Comune come cosa tiranneggiata e postolo a San Giorgio come parte bene e ugualmente amministrata". E che, mentre lo stato cambia facilmente governo locale o signoria straniera, i cittadini s'infischiano di chi sia il vincitore e, chiunque egli sia, l'ufficio di San Giorgio gli fa giurare l'osservanza delle sue leggi: "le quali infino a questi tempi non sono state alterate perché, avendo armi e denari e governo, non si può sanza pericolo di una certa e pericolosa ribellione, alterarle. Esemplo veramente raro e dai filosofi in tante loro immaginate e vedute repubbliche mai non trovato, vedere drento a un medesimo cerchio, infra i medesimi cittadini, la libertà e la tirannide, la vita civile e la corrotta, la giustizia e la licenza; perché quello ordine solo mantiene quella città piena di costumi antichi e venerabili. E s'egli avvenisse, che con il tempo in ogni modo avverrà, che San Giorgio tutta quella città occupasse, sarebbe una repubblica più che la viniziana memorabile".
BIBLIOGRAFIA
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