Nel 1916 si concentrò in quell'area il cuneo della Strafexpedition austroungarica. Oggi rimangono a testimoniare quegli eventi fortezze, forti e cittadelle d'altura.
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L'Altopiano di Asiago
nella Grande guerra
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L'Altopiano di Asiago è stato travolto direttamente dagli eventi della Prima guerra mondiale. Nel 1916, nel corso della Strafexpedition (quasi un milione di uomini in armi, fra combattenti e relativo supporto logistico, la più grande battaglia di montagna mai combattuta dall'uomo), l'esercito austroungarico sfondò improvvisamente sul fronte trentino.
Dapprincipio l'attacco si estese dalla sella di Carbonare alla Val Lagarina, ma il 20 maggio si infuocò all'estremità occidentale dell'Altopiano e velocemente dilagò su di esso, facendolo diventare un enorme e tremendo campo di battaglia fino agli ultimi giorni del conflitto.
Il 23 maggio gli austroungarici conquistarono Cima Portule, vera e propria chiave di volta per il controllo dell'Altopiano fino alla sua conca centrale.
Stando al piano originario l'offensiva doveva iniziare il 10 aprile, ma i ritardi accumulati nella sistemazione delle artiglierie e la neve costrinsero al rinvio di oltre un mese, con la seria possibilità che gli italiani arrivassero a conoscere i preparativi per l'attacco.
In effetti, l'Ufficio situazione e operazioni di guerra del Comando Supremo italiano aveva già intercettato verso la fine di gennaio vaghe segnalazioni di possibili e credibili intenzioni nemiche di lanciare un attacco in forze dal Trentino. Altre preoccupanti notizie giunsero nei mesi seguenti dall'Ufficio informazioni della 1ª Armata, ma il generale Cadorna era convinto che l'Altopiano fosse inespugnabile.
Durante la forzata attesa, la propaganda avversaria spronò l'orgoglio delle truppe adunate per l'assalto, sollecitandole a una "spedizione punitiva" (Strafexpedition, appunto) contro il nemico italiano "fedifrago" che il 26 aprile 1915, quand'era ancora ufficialmente legato all'Impero austroungarico e a quello tedesco dal trattato di Triplice Alleanza, aveva firmato a Londra un patto segreto con le nazioni dell'Intesa entrando di fatto in guerra.
Alla tutela del patrimonio storico compreso in quell'area il Ministro dei Beni Artistici e Culturali ha dedicato una legge apposita, la 78/2001, che non solo riserva una particolare attenzione agli altopiani vicentini, ma fa esplicito riferimento alla Strafexpedition.
Tra il folto bosco di abeti e faggi, ben visibile dalla piana di Asiago, si impongono alla vista i ruderi di una ottocentesca caserma-fortilizio, il Forte Interrotto (da Hinterknotto, termine cimbro), un edificio imponente che sorge a 1392 metri in una splendida posizione, poco sotto l'omonimo monte, dominando l'intera conca centrale dell'Altopiano dei Sette Comuni o di Asiago come è comunemente chiamato.
Il forte venne edificato dall'esercito italiano negli anni 1883-85 su ordine del generale Piannel. Questo tipo di costruzione in pietra e laterizio rispecchia la tipologia costruttiva delle prime fortificazioni di fine '800 la cui funzione era di osservatorio e caserma di confine a protezione della sottostante Val d'Assa. Col passare del tempo le costruzioni di questo tipo vennero trasformate in vere e proprie "macchine offensive" rendendo sorpassati i materiali usati.
Occupato dagli austriaci e trasformato in osservatorio, venne devastato nel 1918 dalle cannonate italiane e inglesi.
Da qui si entra nel tracciato dei capisaldi occupati dagli austriaci dopo il 1916.
Attorno al Monte Zebio e agli immediati contrafforti di Monte Mosciagh e Monte Tondo si combatté dal maggio del 1916 fino all'ottobre del 1917.
Ci fu una battaglia parallela che vide l'esercito italiano patire l'attacco austroungarico. L'offensiva indusse l'esercito a indietreggiare fino a ritirarsi al margine sud dell'Altopiano. Con la nuova linea di difesa invernale, gli austroungarici trasformarono Monte Zebio nella loro base: una fortezza naturale vanamente cinta d'assedio dalle brigate Sassari, Milano, Perugia, oltre che dai reggimenti bersaglieri 5°, 9° e 14°.
Qui si sperimentarono, oltre alle bombarde e ai grossi calibri di artiglieria, i lacrimogeni e i lanciafiamme, ma anche i gas asfissianti.
Oggi da Malga Galmarara, lungo una comoda strada bianca, si sale verso la selletta del Dubiello, punto panoramico aperto sulla piana di Asiago. A Ovest si apre la Valle del Portule, delimitata da Cima Meatta, l'Aia dell'Orsara e dall'omonima Bocchetta. Sullo sfondo Cima Portule e Cima Trentin. La valle si apre a catino ed è caratterizzata da incantevoli pozze d'alpeggio. La strada corre lungo il versante dello Zoviello e dell'Arsenale da cui si può notare una frana di crollo di notevoli proporzioni. Dopo un tratto di strada militare che si sporge nel vuoto a guisa di cengia, si entra nell'atmosfera rustica di Malga Portule, per poi raggiungere la località Monumenti (a quota 1787). Qui sale la Erzherzog Eugen-Strasse da Bocchetta Portule e parte verso il Bivio Italia, la Karl-Strasse.
Siamo nel cuore delle retrovie austroungariche della Grande guerra.
Lungo la Karl-Strasse si incontrano via via opere militari logistiche e di ricovero fino alla conca di Campo Gallina (quota 1855).
Mario Rigoni Stern ha scritto che soprattutto «i recuperanti leggevano la storia della Grande Guerra che sconvolse l'Altopiano, negli scavi e nelle cose, non nelle parole dei generali, e conoscevano gli schieramenti opposti, sapevano di artiglierie e di ogni genere, di armi, di scontri e di battaglie e di come erano avvenute, e del carattere dei contendenti e del loro comportamento durante gli attacchi o nel riparo delle caverne o nel riposo delle baracche».
La maggior parte degli uomini dell'Altopiano, ritornati nei loro paesi completamente distrutti, pur di ricostruirsi con dignità un futuro, fece il recuperante. Nel 1919-1920 l'amministrazione militare diede inizio alla bonifica del territorio con la raccolta dei resti mortali dei soldati, di migliaia di ordigni esplosivi, di armi. Ai rastrellatori militari e civili fu consegnato un bracciale bianco e verde che doveva chiaramente «indicare a chi deve rivolgersi la popolazione per ottenere l'immediata soppressione degli artifizi esplosivi». Nell'ottobre del 1919 riprese la bonifica degli ordigni, ma il servizio raccolta dei rottami metallici fu presto interrotto dall'esercito, in seguito alla convenzione che ne accordava l'esclusiva alle ditte private. Molti che avevano lavorato nella bonifica per l'esercito continuarono quindi a farlo per conto proprio. In una terra da ricostruire, quest'attività rappresentò una opportunità di guadagno e praticamente tutti quelli che erano stati sui campi di battaglia si misero a raccogliere e a vendere rottami a peso. Ci fu chi lo fece per ripulire la propria terra e chi invece lo praticò come lavoro per vivere, senza nessun permesso.
Campo Gallina è stato uno dei luoghi chiave per tutti i recuperanti. Questo straordinario complesso logistico austriaco divenne, dopo l'arretramento delle truppe austroungariche al termine della Strafexpedition (giugno 1916), un punto strategico della 6a Divisione di Fanteria austroungarica, organizzato come una vera e propria cittadella a quasi 2000 metri di altezza, dotata di ospedale, spaccio, cinema, chiesetta, baraccamenti, ricoveri e magazzini.
All'interno dell'ampia conca dominata dall'imponente "monumento agli eroi" si possono notare ancora oggi i resti dell'ospedale da campo n. 1303, del cimitero militare e, seminascosto tra i pini mughi, il basamento della piccola chiesetta, la Mecenseffy Kapelle che fu smontata, trasportata e ricostruita a Roana dopo la guerra per sostituire quella del paese andata distrutta dai bombardamenti.
Salendo lungo la strada che porta al Bivio Italia inoltre, si possono ancora oggi vedere i resti delle cisterne dell'acquedotto che dalla val Renzola, attraverso la Bocchetta di Portule, raggiungeva l'Ortigara, i resti della stazione di transito della teleferica n. 13 proveniente dalla Piana di Vezzena e, vicino ai resti del comando della Divisione, il monumento che ricorda il comandante della 6a Divisione, generale A. E. von Mecenseffy, caduto il 6 ottobre 1917 alle pendici del Corno di Campo Verde (la Selletta Mecenseffy).
A proposito di questo fatto vale la pena parlare dell'osservatorio "Torino", chiamato in codice militare col nome di "ELSA G", situato a quota 2098 sul ciglio settentrionale di Cima della Caldiera, a ridosso della Valsugana.
Da qui, il giorno 6 ottobre 1917 alle ore 13,45 circa, parti l'ordine di sparare una salva di artiglieria sull'unico chilometro e mezzo della Karl-Strasse che era scoperto e in vista degli osservatori italiani.
Attraversava quel pezzo di strada una piccola colonna di auto austriache. Il tiro italiano era già stato inquadrato da tempo su quel corto tratto di rotabile e quel giorno, andò fatalmente a segno. Su una di quelle vetture viaggiava appunto il Comandante della 6a Divisione austroungarica Artur Edler von Mecenseffy, che ritornava al suo comando a Dosso del Fine, dopo essere stato a ispezionare i reparti del 27° Reggimento Stiriano "Albert I König der Belgier", del 17° Reggimento Carniolo "Kronprinz" e quelli del 7° Battaglione "Feldjäger" sloveno.
Colpito da una scheggia di granata, il generale morirà prima di arrivare al piccolo ospedale di Campo Gallina, distante 4 chilometri circa. Il destino volle che il generale fosse colpito 75 passi prima di scollinare la sella (che oggi porta il suo nome) da cui si sarebbe potuto nascondere alla vista degli osservatori nemici, protetto dalla dorsale Nord del Corno di Campo Verde.
Sepolta con tutti gli onori del grado e del rango nel piccolo cimitero di Campo Gallina, la sua salma, per ordine del Capo di stato maggiore Franz Conrad von Hötzendorf, fu successivamente traslata a Vienna nella tomba di famiglia nel cimitero di Döbling.
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