Dopo Caporetto l'esercito italiano istituì un servizio di propaganda affidato a ufficiali di complemento che nella vita civile svolgevano attività intellettuali. Destinato a migliorare le condizioni morali e materiali dei soldati e delle popolazioni del territorio controllato dalle armate, il Servizio P impiegò nella sua attività i giornali di trincea e le "conversazioni" con la truppa.
Propaganda di guerra:
il Servizio P
di STEFANIA MAFFEO
Nel corso della prima guerra mondiale, dopo la sconfitta di Caporetto del 24 ottobre 1917, fu ravvisata l'esigenza di una moderna opera di propaganda diretta verso i soldati. Con la circolare del 9 gennaio 1918 il Comando Supremo istituì in tutto l'esercito un'organizzazione di propaganda, assistenza e vigilanza denominata Servizio P ("un vero e proprio servizio di informazioni sul morale delle truppe adibendovi [.] anche ufficiali appositamente scelti e fiduciari di sicurissima fede e di provata serietà da ricercarsi - senza pregiudizi aprioristici - in ogni campo di persone e sfruttando opportunamente i risultati della censura epistolare"). Affidato perlopiù a ufficiali di complemento che nella vita civile svolgevano attività intellettuali (vi collaborarono Piero Calamandrei, Giuseppe Lombardo Radice, Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici e Gioacchino Volpe), il Servizio P aveva lo scopo di migliorare le condizioni morali e materiali dei soldati e delle popolazioni dei territori controllati dalle armate.
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Per quanto concerne l'assistenza, era raccomandato di limitare il malcontento, curando il benessere morale e materiale delle truppe: gli ufficiali del Servizio P gestivano le Case del soldato, distribuivano doni e sussidi in denaro alle famiglie dei bisognosi, concedevano licenze premio, facevano da tramite con le associazioni che inviavano al fronte indumenti e generi di conforto e organizzavano il riposo nelle retrovie con feste e giochi sportivi. Il 24 maggio 1918 una informativa della 1ª armata riportava la seguente spiegazione: "Si è chiamato Servizio P. e non Servizio Propaganda prima di tutto perché occorre evitare, quanto più ci si avvicina ai reparti di truppa, di parlare di propaganda e propagandisti". Vennero quindi evitati incontri con agitatori politici esterni, preferendo l'impiego di giornali di trincea e conferenze con gli ufficiali inferiori che vivevano a contatto con i combattenti (per loro venivano organizzate conferenze e forniti "spunti di conversazioni coi soldati"). Essi dovevano evitare discorsi troppo alti e patriottici per spiegare la necessità della resistenza con argomenti comprensibili a tutti i militari. "Una propaganda semplice, inavvertita, adatta alla mentalità del soldato è sicuramente efficace perché poche parole dette in forma piana, con accento di profonda convinzione e che sembrino occasionate da un incontro non cercato, rimangono impresse nell'animo del soldato".
Una ulteriore funzione svolta dal Servizio P fu la vigilanza, sia verso i soldati (segnalazione di proteste e cedimenti morali), sia verso i comandi (segnalazione di insufficienze nella gestione delle truppe per sfruttamento eccessivo dei reparti e scarsa cura delle loro condizioni di vita).

Per un'attenta analisi del Servizio P non si può prescindere dal pregevole volume di Gian Luigi Gatti, Dopo Caporetto. Gli ufficiali P nella Grande Guerra: propaganda, assistenza, vigilanza, con una ricca fonte bibliografica comprendente circolari, relazioni e fogli di propaganda custoditi presso l'Archivio Centrale di Stato e l'Archivio dello Stato Maggiore dell'Esercito.
Il Servizio P fu uno strumento duttile e articolato (era presente un ufficiale preposto in tutti i Comandi, dalle Armate alle Compagnie) che consentì a Diaz e Badoglio di "sentire il polso" dell'esercito potendo così curarne il morale e l'efficienza.
Uno stretto contatto con il Servizio P fu mantenuto dalle Opere Federate di Assistenza e Propaganda Nazionale dirette da Ubaldo Comandini. Queste, infatti, fornirono agli ufficiali P il copioso materiale a loro disposizione per la propaganda e controllarono i soldati in licenza.
Un primo tentativo di istituire un servizio di propaganda era stato fatto nel gennaio del 1916 presso il Comando Supremo dell'Esercito, creando un Ufficio Stampa affidato al Colonnello Eugenio Barbarich: il suo compito era quello di produrre materiale propagandistico da diffondere attraverso il governo. Nel corso di quell'anno, per sollevare il morale delle truppe ci si servì semplicemente della lettura di circolari esortative o coercitive.
Fu solo nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto, che giunsero maggiori finanziamenti per la propaganda. All'inizio del 1918 (circolare del 9 gennaio) fu quindi istituito il Servizio P; ad aprile si insediò la Commissione centrale interalleata di propaganda sul nemico guidata da Ugo Ojetti. Prima dell'emanazione, a maggio, delle norme organizzative uniche valide per tutte le armate, ognuna di esse fu libera di gestire autonomamente il Servizio P. Ad agosto fu introdotto un regolamento generale, intitolato Norme generali per i servizi di indagini, di propaganda e controspionaggio fra le truppe operanti e le popolazioni e di propaganda sul nemico.
Il Servizio P
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faceva riferimento al Comando Supremo, all'Ufficio Informazioni per la vigilanza sullo spirito delle truppe e all'Ufficio Stampa per il materiale da lanciare sul nemico e da distribuire ai militari italiani. La produzione di quest'ultimo veniva diversificata a seconda dei destinatari: per i soldati si preferirono giornali di trincea, grandi manifesti murali, cartoline e foglietti, pellicole cinematografiche e spettacoli teatrali itineranti, mentre per gli ufficiali si aggiunsero anche conferenze tenute da oratori, docenti universitari, deputati e glorie dell'esercito, quaderni di "Collegamento morale" e opuscoli, nonché approfonditi "Spunti di conversazione" (nel primo numero sotto il titolo era riportata questa dicitura: "N. B. Avvertenza agli ufficiali: Non leggano questi 'spunti' ai soldati, ma li studino, per adoperarne il contenuto nella minuta ed occasionale conversazione con graduati e soldati più intelligenti"), "Temi di conferenze", "Fatti e commenti", "Notiziari", "Piccola posta" e "Bollettini" per la propaganda orale ai militari.
Presso ogni armata funzionava un organo politico, la Sezione P, che emanava le direttive per il servizio, stampava i materiali, inviava al Comando Supremo una relazione quindicinale sull'attività svolta e sul morale delle truppe, controllava il lavoro delle sottosezioni da cui riceveva analoga relazione. Proprio le sottosezioni P erano quelle che meglio conoscevano la situazione fra i commilitoni e, spesso, erano dotate di fondi autonomi per la stampa di materiale. Le circolari venivano perlopiù firmate dal sottocapo dell'esercito Pietro Badoglio, dal capo del Servizio Informazioni Colonnello Odoardo Marchetti e dal capo dell'Ufficio Stampa e Propaganda Tenente Colonnello Eugenio Barbarich.

Una circolare del 27 febbraio 1918 approvò la diffusione dei periodici politici, dopo scrupolosa revisione, e dei giornali di trincea, in particolare la "compilazione di giornaletti satirico-umoristici di Armata". Ogni armata ebbe il suo giornale, che seguiva una propria linea editoriale per quanto riguarda le malignità sul nemico, gli sfottò ai governanti austro-ungarici o l'esasperazione comica dei luoghi comuni. Qualcuno riusciva anche a farlo attraverso un'iconografia pregiata - si pensi a "La Ghirba", diretta da Ardengo Soffici -, cogliendo risultati di tutto rispetto. Del resto, basti pensare che i fanti-redattori di quegli anni avevano nomi destinati alla celebrità: Gaetano Salvemini, Emilio Cecchi, Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, Pietro Jahier, Giuseppe Ungaretti, Curzio Malaparte, Salvator Gotta, Enrico Sacchetti, Umberto Brunelleschi, Antonio Rubino, Aldo Zamboni, Mario Bazzi e moltissimi altri. Al fronte arrivava anche qualche quotidiano, come il "Corriere della Sera" e "Il Secolo". La differenza sostanziale tra i quotidiani civili e i giornali di trincea era tutta nel carattere di questi ultimi che, salvo rare eccezioni, come "L'Astico", non miravano a informare bensì a compiere propaganda tramite barzellette, filastrocche e illustrazioni (anche per la poca familiarità dei soldati con la parola scritta). Si producevano, per questo motivo, manifesti murali figurati, di grandi dimensioni, con colori vivaci e poche parole. Stesso criterio fu adoperato per la diffusione di foglietti, manifestini e opuscoli, che però vennero sospesi nell'estate del 1918 per l'indifferenza/diffidenza dei soldati nei loro confronti.
Furono utilizzate anche le cartoline in franchigia. Il Servizio P metteva così in atto una doppia propaganda: nei confronti del militare che la scriveva e verso la famiglia che la riceveva. Alcuni soldati, però, protestarono contro l'invadenza delle immagini di propaganda (predominavano messaggi visivi riguardanti l'orrore suscitato dal barbaro invasore, la necessità di resistergli e ricacciarlo, infine la speranza di vincerlo, ottenuti con disegni satirici e umoristici), che toglievano spazio alla scrittura.

Il Teatro del Soldato era stato istituito fin dall'estate del 1915. Tra le rappresentazioni più gradite vi erano quelle dei burattini, molto utili in quanto la propaganda patriottica era presentata in maniera spontanea, semplice e popolare. Gli spettacoli, interpretati da famosi professionisti, erano invece divisi in tre momenti: una commedia di un atto seguita da canzonette e danze (a volte veniva eseguito anche un atto lirico, il Rigoletto o l'Aida di Verdi). Berthold Bretch battezzò questo genere con la definizione "teatro gastronomico", cioè di piacevole ingestione e facile digestione.
Il servizio di vigilanza e propaganda fu istituito pure presso i contingenti all'estero, in Francia e in Albania, ma non venne esplicitato il compito di assistenza alle truppe; inoltre mancava la fondamentale struttura di corrispondenza diretta fra ufficio centrale, sezioni e ufficiali.
Il Servizio P fu attivo anche nei campi di concentramento per i reduci dalla prigionia nei
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territori dell'Impero Asburgico (aperti per i primi tre mesi del 1919). Si temeva che questi reduci si fossero arresi volontariamente al nemico: nei loro confronti fu quindi messa in atto "un'azione di controllo e di repressione, piuttosto che di assistenza" (Giovanna Procacci).
Gli ufficiali P esercitavano la propaganda morale tradizionale, intrattenevano conversazioni familiari con i soldati e organizzavano manifestazioni ricreative di vario genere. Gli addetti al Servizio P venivano scelti tra i militari che avevano maggiori capacità culturali e che da civili avevano svolto attività intellettuali. Di solito privi di alti gradi, erano chiamati personalmente dai comandi di armata (nelle circolari si evidenziavano, tra i requisiti, "cultura, eloquenza e patriottismo, ma anche sano entusiasmo, maturità e prudenza di giudizio". E ancora: "Gli ufficiali P devono essere uomini di fede e di cultura, spiriti pronti e desti"). Gatti sottolinea che non venivano considerati i precedenti politici dei potenziali ufficiali P.
Veniva lasciata loro una certa libertà quanto alle forme da adottare per l'educazione e la propaganda. Il materiale fornito suggeriva solo alcuni argomenti, ma era compito degli ufficiali proporli e svilupparli con i soldati: spesso era esplicitamente vietata la lettura del foglio alla truppa. Del resto, i destinatari della propaganda delle sezioni P non erano i soldati ma gli ufficiali, che dovevano essere convinti dei messaggi da sviluppare ai sottoposti.
Dalla lettura degli scritti privati degli addetti al Servizio P emerge una chiara soddisfazione per l'attività svolta a ogni livello di responsabilità. Tale compiacimento derivò loro dalla ritrovata identità come intellettuali, dal fuggire l'alienazione della vita in trincea ma non la condivisione dei pericoli della guerra: Prezzolini fu tra i primi ad attraversare il Piave, Calamandrei fu il primo ufficiale italiano a entrare a Trento, Lombardo Radice tra i primi a Trieste e a Fiume.

Va evidenziato che i primi propagandisti dell'esercito della Grande Guerra furono i cappellani militari. Si dedicavano all'assistenza, distribuendo giornali cattolici ("Mentre si combatte" e "La stella del soldato"), immagini religiose, piccoli doni (Ercole Smaniotto, capo dell'ufficio informazioni e animatore del Servizio P della Terza Armata, scrisse che il soldato "ha bisogno di sentirsi amato, curato e protetto e, sia detto senza sua offesa, ha bisogno che nessuno si presenti a lui colle mani vuote"; pertanto consigliava agli ufficiali di avvicinarsi alla truppa offrendo cioccolato, sigari, sapone o uno specchietto) e sussidi in denaro. I cappellani gestivano le Case del soldato (dove si potevano trovare cartoline, materiale per scrivere, libri, grammofoni con dischi, bocce, teatrino e cinematografo) e favorivano la trasmissione della corrispondenza, prestandosi a leggere e scrivere lettere per i combattenti analfabeti. Nel 1918 alcuni cappellani furono anche nominati ufficiali P.
Le conversazioni degli ufficiali inferiori con le truppe avvenivano giornalmente. Non esistendo documenti da cui evincere il modo in cui venivano tenute e accolte dai commilitoni, "è ragionevole supporre che molto dipendesse dalle sensibilità individuali, dal carisma del propagandista e dalla disponibilità dei recettori" (Gatti). I soldati venivano incoraggiati ad esprimere i loro dubbi per non subire passivamente le conferenze. In un vademecum per gli addetti al Servizio dell'undicesimo corpo d'Armata si legge: "Nel caso che nei confronti dei conversari gli venga fatta qualche domanda imbarazzante, anziché rispondere affrettatamente, dimostrando preoccupazione, avvertirà il soldato che oggetto di uno dei prossimi conversari sarà la sua domanda, e continuerà sull'argomento che si prefisso di trattare, senza turbarsi".
L'intero Servizio P, dal carattere fortemente politico, si prefisse l'ammaestramento patriottico sia nei confronti dei soldati - soprattutto contadini, a cui vennero spiegati concetti come nazione e popolo - sia verso gli ufficiali inferiori - perlopiù appartenenti alla media e piccola borghesia - nell'ottica di una rieducazione volta alla formazione di un "uomo nuovo". Gli effetti del Servizio furono immediati: le truppe diedero maggiori garanzie di tenuta a partire dal maggio-giugno 1918 fino allo sfondamento delle linee austro-ungariche a Vittorio Veneto, avvenuto nel successivo mese di ottobre. Giuseppe Prezzolini scrisse: "Una parte del merito ce l'ha avuta anche il Servizio P. Sì, in coscienza quegli uomini che seppero crearlo, che gli dettero, come in talune armate ha veramente avuto, quel carattere d'umanità profondo e di simpatia, di cordiale interessamento e di altezza morale che esso ha raggiunto, sì, in coscienza quegli uomini possono dire di avere contribuito largamente alla vittoria".

Vinta la guerra, il Servizio P rimase operativo fino all'estate del 1919 e fu esteso ai
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territori occupati. Era necessario "indirizzare il soldato alla disciplina civile": furono intensificate le attività delle Case del soldato, aprendone anche di nuove, incentivata la frequenza delle scuole analfabeti e istituiti programmi di istruzione professionale per i militari di ogni ordine e grado.
Il Servizio P sulle truppe continuava l'opera di assistenza e propaganda tramite conversazioni "occasionali", mentre furono individuati altri ufficiali per svolgere il servizio di vigilanza sulle popolazioni - cui furono affiancati graduati e soldati che conoscevano i dialetti della zona - in un'opera di diffusione dello "spirito di italianità". Il Comando Supremo raccomandò al Servizio P l'interazione con l'"Opera Nazionale Pro Combattenti", alla quale gli ufficiali addetti fornivano una relazione dettagliata dei risultati emersi dalla somministrazione del questionario "Schema di quesiti a rivolgere ai combattenti".
Con la smobilitazione militare e il ritorno alla vita civile la propaganda fu abolita. Con una circolare del 25 luglio 1919 Armando Diaz ordinò la "soppressione integrale, in quanto portano onere al bilancio dello Stato, di tutte quelle spese genericamente comprese nel titolo 'per la propaganda' (stampe, pubblicazioni, ricordi, feste, erogazioni, ecc.)".
Lombardo Radice (il quale ebbe a dire che "dieci anni di vita universitaria non equivalgono questo unico anno indimenticabile, né per la quantità, né per la qualità del lavoro che ho potuto seguire") e Gioacchino Volpe avrebbero voluto trasferire l'esperienza della "propaganda educativa" anche nel Paese, istituendo un apposito ente all'interno del Ministero della Pubblica Istruzione, ma il progetto non trovò consensi. Il pedagogista siciliano ripiegò quindi sulla fondazione della rivista "Educazione nazionale". Non fu l'unica testata a testata a voler far sopravvivere nella vita civile l'esperienza del Servizio P: anche "La nuova giornata" e "Il nuovo contadino. Giornale del popolo agricoltore" perseguirono il medesimo obiettivo, anche se ebbero vita brevissima.
Se durante la guerra il Servizio P propugnò il legame morale, ossia l'intima comprensione e la collaborazione tra soldati e ufficiali inferiori e tra questi e i comandi superiori, nel dopoguerra l'arroventato clima politico lasciò sempre meno spazi per il dialogo e per una conoscenza reciproca come preludio alla cooperazione tra le classi.
BIBLIOGRAFIA
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  • L. Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 - Bollati Boringhieri, Torino 1976.
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  • L. Fabi, La prima guerra mondiale 1915-1918 - Editori Riuniti, Roma.
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