L'aviazione italiana tra le due guerre fu specchio e metafora del regime. Terreno privilegiato di propaganda, suscitò in Italia un vero e proprio culto del volo. Lo dimostra un saggio di Eric Lehmann pubblicato da UTET
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Tra le due guerre mondiali l'aviazione - soprattutto quella civile, allora praticamente agli albori - godette di un successo mediatico e di una attenzione impensabile ai giorni nostri. Erano gli anni delle trasvolate di Lindberg, che per primo collegò senza scalo la East coast americana con il Vecchio continente. Erano gli anni dei raid aerei verso terre ancora remote come il Giappone e l'Australia, a bordo di idrovolanti spinti da motori incerti e pilotati da uomini assetati di avventura.
Dopo il debutto ufficiale dei "più pesanti dell'aria" (i "più leggeri" erano i dirigibili e i palloni aerostatici) nella Prima guerra mondiale, il mondo occidentale sembrò preso da una passione frenetica per il volo. E già c'era chi immaginava da lì a poco i cieli solcati da piccoli aeroplani-utilitaria pronti a soppiantare le quattro ruote negli spostamenti casa-lavoro. Se c'era un luogo fisico in cui collocare la modernità e il futuro dell'umanità quello era il cielo.
Non può stupire quindi l'attenzione dedicata anche in Italia alla dimensione del volo negli anni Venti e Trenta dello scorso secolo, con il corollario di aeroclub nati come funghi, di raduni aerei ai quali accorrevano folle di appassionati e di record di velocità sbalorditivi. Ma non solo. Perché il conflitto appena concluso aveva dimostrato anche le notevoli potenzialità di sviluppo bellico dell'arma aeronautica: assi come Francesco Baracca avevano incarnato il mito dell'ardimento bellico, dell'eroe solitario impegnato in duelli regolati da un codice che serbava tracce delle antiche regole cavalleresche.
Poteva il fascismo sottrarsi a questa infatuazione e al mito che sprigionava? La risposta è un deciso nò. Ma fino ad ora l'argomentazione a sostegno della tesi era nascosta tra i paragrafi o tra le note a piè di pagina di qualche saggio sulla storia del fascismo o sulla vita di Mussolini (che al volo dedicò molte attenzioni). A riorganizzare la materia, analizzando lo stretto legame tra fascismo e ambienti aviatori ci ha pensato Eric Lehmann, studioso di storia della cultura militare e aeronautica, con questo saggio recentemente pubblicato da UTET (Le ali del potere. La propaganda aeronautica nell'Italia fascista, Torino 2010, pp. 340, euro 24,00). La sua tesi è che «i successi aviatori italiani non furono soltanto strumentalizzazioni per la gloria del regime così come avveniva negli altri stati moderni (la Germania nazista sviluppò per esempio una sua "mistica nazionale della salvezza mediante l'aviazione"), bensì diventarono il veicolo privilegiato - non certo l'unico - di rappresentazione ideale del fascismo, della sua propensione alla velocità, al rischio e alla modernità. L'Italia fascista si configura dunque [...] come un caso originale di uso politico e ideologico dell'aeronautica».
Ciò dipende, spiega Lehmann, da almeno due motivi. In primo luogo l'identificazione metaforica del regime con l'aviazione, iniziata fin dai primi anni dopo la presa del potere, denunciando il presunto stato di abbandono in cui era stata lasciata la nostra aeronautica negli immediati anni postbellici. «Dapprima funzionale alla strategia fascista di appropriazione dell'identità interventista, questa identificazione ebbe poi una collocazione centrale nella pedagogia totalitaria svolta dal regime che intendeva operare sugli italiani una rivoluzione antropologica per infondere loro quelle virtù di cui la propaganda bellica aveva dotato gli assi: determinazione patriottica, energia e coraggio indomabili, spirito di sacrificio».
Il secondo motivo è dovuto al fascino che il volo esercitò su Mussolini, il quale prese lezioni di pilotaggio tra il 1920-1921 - senza però conseguire il brevetto -, viaggiò ripetutamente in aereo e si fece attribuire nel 1937 il brevetto di pilota militare, anche se «ebbe sempre cura di volare esclusivamente su apparecchi con doppi comandi senza sedersi mai al posto riservato al primo pilota, che usava affidare ad aviatori di grande perizia ed esperienza». Un mezzo bluff, insomma. Ma funzionale a suscitare negli italiani un'ammirazione e un'adesione mistica alla figura del duce che, soprattutto nel corso degli anni Trenta, verrà a più riprese immortalato a bordo di numerosi velivoli, alla stregua di un uomo della provvidenza letteralmente calato dal cielo sul destino del popolo. «Le peregrinazioni aeree del capo fascista e la sua presunta eccellenza nel pilotaggio costituiscono in definitiva un aspetto del mito mussoliniano, di quella pedagogia dell'esempio incentrata sulla persona del duce, modello insuperabile di virtù virili e profeta di uno stile di vita e di governo decisamente moderni, all'opposto degli usi in vigore nell'Italia liberale».
Tuttavia, è vero che prima ancora di conquistare il potere il fascismo, e di conseguenza il suo aspirante duce, puntarono molto sull'aeronautica e sugli aviatori, considerati una vera e propria élite della società moderna. "La vie dell'aria", "La gazzetta dell'aviazione" e "L'ala d'Italia" sono solo alcune delle testate giornalistiche sorte tra la fine degli anni Dieci e l'inizio degli anni Venti per sollecitare l'attenzione del nascente movimento fascista ai destini dell'aviazione, ritenuti scarsamente tutelati dai primi governi postbellici. Ancor prima della marcia su Roma sorsero Gruppi aviatori fascisti oggetto di lotte di potere all'interno del partito. Bisognerà attendere però il 1925 affinché Mussolini prenda in mano definitivamente la questione, riformando la gestione dell'aviazione e togliendola alle influenze dei ras locali. In quell'anno nacque infatti il ministero dell'aeronautica, che faceva della forza aerea un corpo indipendente dall'esercito e dalla marina.
E nello stesso anno Francesco De Pinedo realizzò la prima delle sue grandi imprese, il raid intercontinentale che con un idrovolante SIAI S16 ter lo portò da Sesto Calende a Melbourne, quindi a Tokio e a Roma. Nel 1927 De Pinedo mise a segno un altro raid, questa volta verso l'America Latina, gli Stati Uniti e il Canada. I suoi successi furono salutati dalla stampa come «il trionfo della virtù di cui è forte la storia nuova, quella che maturò ed irruppe dalla fiera passione fascista», proiettando il suo artefice ai vertici della gerarchia militare.
Ma se l'impresa solitaria svolse un ruolo di richiamo propagandistico nei primi anni del regime, con gli anni del consenso il regime puntò tutto su una forma di eroismo di gruppo che testimoniasse la disciplina e l'organizzazione dell'Italia mussoliniana. Sarà Italo Balbo a traghettare verso la serialità le imprese individuali di De Pinedo. Assunta la guida del dicastero dell'aeronautica nel 1929, l'ex ras del fascismo cremonese fece delle crociere aeree composte da gruppi di velivoli una formidabile vetrina per l'Italia nel mondo. Prima mettendosi alla testa della crociera transatlantica Italia-Brasile tra il dicembre 1930 e il gennaio 1931, poi con la famosa trasvolata del Decennale che nel luglio del 1933 portò 25 idrovolanti SIAI Marchetti SM.55 da Orbetello a Chicago e poi a New York.
Personaggio di grande carisma, Balbo era oltretutto un ottimo pilota. Spiega infatti Lehmann che «alla perizia professionale utile all'affermazione della sua autorità sugli aviatori che egli comandava, Balbo associava innegabilmente il coraggio di esporsi personalmente ai rischi inerenti alla pratica regolare del volo, virtù eminentemente fascista che, grazie alle lodi reiterate della stampa, rafforzò l'ascendente che egli esercitava sul pubblico, in Italia e all'estero».
Un ascendente che però rischiava di mettere in ombra quello del capo del fascismo, tant'è che Mussolini non ci penserà due volte a destituirlo nel 1933. Da quel momento la propaganda si incaricherà di fare del duce e dei suoi famigliari il centro di tutte le imprese aviatorie. I figli maggiori, Vittorio e Bruno, il nipote Vito e il genero Galeazzo Ciano, tutti titolari di brevetti di pilota, costituiranno tra il 1933 e il 1936 la nuova aristocrazia del cielo. Il "clan" mussoliniano si cimenterà in alcune missioni durante la guerra di Etiopia e, con Bruno Mussolini, parteciperà a raid e a record di velocità.
Il volume di Lehmann non manca di evidenziare l'organizzazione degli strumenti di propaganda per creare una coscienza nazionale aviatoria. Come le attenzioni esclusive dedicate da Balbo a una compagine di cinque giornalisti (Nello Quilici, Mario Massai, Adone Nosari, Michele Intaglietta ed Ernesto Quadrone: la cosiddetta "pentarchia"), alla quale sola era consentito testimoniare le sue spedizioni aeree. O come la pubblicazione di numerosi volumi dedicati alle crociere transatlantiche (Stormi in volo sull'oceano, La centuria alata, Passeggiate aeree sul Mediterraneo), che facevano la loro comparsa in libreria già poche settimane dopo la fine dell'impresa e venivano poi inseriti nei programmi di esame ginnasiali.
Notevole fu anche la produzione di documentari e cinegiornali di ambientazione aviatoria, dedicati soprattutto alla celebrazione di grandi imprese, mentre decisamente poco numerosi furono i documentari sulla alla guerra aerea in Etiopia e Spagna, sull'industria aeronautica o i film di fiction (si possono citare solo L'armata azzurra e Luciano Serra pilota).
Un cenno a parte meritano le attività sportive, ludiche o paramilitari. Nell'opera di inculcare nel popolo italiano un atteggiamento vitalistico e sprezzante del pericolo, il volo ebbe un ruolo di grande importanza. Che non mancò di suscitare tra le masse una grande seduzione. Alla fine del 1929 le diverse associazioni aeronautiche si fusero con l'Aero Club d'Italia, a sua volta dipendente dal ministero dell'aeronautica, e il Paese cominciò finalmente a dotarsi di strutture aeroportuali moderne. Furono organizzati grandi meeting aerei, mostre ed esposizioni sugli aeromobili da turismo. L'industria nazionale fu stimolata a produrre (a dire il vero senza grande successo) aeroplani da turismo, mentre le competizioni aeree internazionali, come la Coppa Schneider, suscitavano tra il pubblico una passione difficilmente replicabile ai giorni nostri. Per i giovani, prima l'Opera Nazionale Balilla e poi la Gioventù Italiana del Littorio misero a punto, nella seconda metà degli anni Trenta attività mirate come l'aeromodellismo e il volo a vela. L'obiettivo? Selezionare una élite del cielo che sarebbe poi stata incanalata in un percorso militare nell'Accademia aeronautica di Caserta.
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BIBLIOGRAFIA
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Le ali del potere. La propaganda aeronautica nell'Italia fascista
, di E. Lehmann - UTET, Torino 2010, pp. 340, euro 24,00
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