Con l'ascesa di Ivan il Terribile, nel principato da cui nacque l'odierna Russia si assistette all'allontanamento dei boiari dal potere, alla limitazione delle prerogative della Chiesa e a una radicale riorganizzazione burocratica e amministrativa.
Il Principato Moscovita nel XVI secolo
di ROBERTO RUGHI
Il principato moscovita nel XVI secolo era caratterizzato da una struttura sociale e politica dominata dalla nobiltà terriera dei boiari. Diversamente da quanto possa apparire a un primo sguardo il sistema di potere boiaro non faceva altro che favorire la cooperazione e la gestione amministrativa, facendo perno sulla stabilità della propria classe, legata ai possedimenti territoriali attraverso il servizio prestato allo Stato, la pomest'ia. L'istituto del pomest'e consisteva nel possesso condizionato, e originariamente non ereditario, da parte degli ufficiali di terre in cambio dello svolgimento, entro i limiti di questi territori, di servizi amministrativi, giudiziari e militari. In particolare erano tre le tipologie di terre date in concessione: le terre nere, coltivate dalle comunità di contadini liberi, soggette all'imposizione diretta; i votciny dei monasteri; i votciny dei boiari. Il Sudebnik emesso nel 1550 conteneva limitazioni al diritto dei principi di appannaggio e dei boiari sulla possibilità di
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Ivan IV il terribile
riscatto di terre vendute o perdute dagli antenati. Ciò innescò un processo di mobilità della proprietà terriera a tutto vantaggio dei pomesciki, i grandi proprietari.
Nei secoli successivi gli zar tentarono insistentemente di eliminare le differenze tra le terre concesse agli ufficiali in servizio e quelle ereditarie dell'aristocrazia boiara, votchina. Gli ufficiali vennero divisi in: ufficiali ereditari, sluzhilye liudi po otechestvu, che comprendevano i boiari, i dvorianstvo, che avevano una posizione intermedia e i " figli dei boiari", deti boiarskie, che esercitavano il proprio ufficio nelle cittadine di provincia; e ufficiali non ereditari, sluzhilye liudi po priboru.
Votcina e pomest'e si presentano, alla fine del Cinquecento, come due realtà economiche molto simili, ma con fortune diverse. Di fatto molti rappresentanti del primo ceto andarono incontro a un impoverimento, mentre i rappresentanti del secondo si arricchirono, grazie alle molteplici concessioni di terre nere e all'appropriazione delle terre meridionali, dove prese a diffondersi il servaggio.

Il sistema politico-amministrativo creato da Ivan III nei primi anni del XVI secolo trovò un'applicazione particolare da parte del nipote Ivan IV (1547-1584) "il Terribile". Una volta salito al potere, il Terribile emanò un nuovo codice, detto " dei Cento Capitoli" che presentò al Sabor, ma solo per ratificarlo, non per ottenerne l'approvazione. Seguendo la linea tracciata dal Sudebnik emanato dal nonno, la nuova legge ribadiva che l'aristocrazia di sangue, alla quale si veniva ad associare la nuova nobiltà di servizio, poteva continuare a partecipare all'esercizio della giustizia solo per delega sovrana. Ivan associò così l'eredità bizantina del regno per volontà divina (nel 1472, papa Sisto IV aveva celebrato a Roma il matrimonio tra Ivan III e Sofia Paleologo, nipote dell'ultimo imperatore bizantino; così Ivan e i suoi eredi diventavano i campioni della fede cristiana, in particolare contro la minaccia musulmana) con una pratica del tutto laica della gestione dello Stato. Con questo codice, lo zar sanzionava importanti limitazioni alla Chiesa, che storicamente deteneva un ruolo molto importante nella società russa e in particolare nel mondo slavo. Si vietarono le donazioni alla Chiesa e si fissò un limite ai diritti riconosciuti tradizionalmente ad essa.
Dagli anni Cinquanta del XVI secolo i poteri dei governatori locali vennero diminuiti e limitati. Nel 1549 la nobiltà di servizio venne sottratta alla giurisdizione dei governatori locali e sottoposta a quella degli organi centrali di giustizia; a lei fu assegnato il diritto di giudicare i contadini delle proprie terre. Al tempo stesso si tentò di regolamentare l'esazione dei tributi e delle tasse stabilite dai governatori.
Nel 1555 tutti i distretti vennero autorizzati per legge a sostituire i governatori con autorità elettive, che sarebbero state responsabili dell'amministrazione, della giustizia e dell'esazione tributaria locale. Contemporaneamente vennero adottate misure atte al miglioramento dell'efficienza della nobiltà. Nel 1550 si effettuò la prima redistribuzione su larga scala delle terre della corona adiacenti a Mosca, a vantaggio della nobiltà moscovita, allo scopo di avvicinarla al potere centrale aumentandone la disponibilità al servizio. La centralizzazione del comando militare e dell'amministrazione aveva portato alla formazione di numerosi ministeri (gli izby, poi prikazy) retti per lo più da d'jaki e preposti a varie funzioni, dalle nomine militari (razrjadny prikaz), alla distribuzione dei feudi (pomestnyj prikaz), alla direzione della politica estera (posol'skij prikaz ).

L'impianto politico amministrativo messo in piedi in Moscovia
a livello locale e centrale subì un periodo di grave crisi negli anni sessanta del XVI secolo, durante il periodo detto dell'Oprichina.
L'inizio della crisi si più far risalire all'inizio degli anni Sessanta, quando Adashev e il consigliere Silvestro, i due più importanti collaboratori dello zar negli anni delle grandi riforme, vennero destituiti. Nel 1564, la diserzione del suo più grande generale e amico, Kurbskij, la sconfitta in Lituania e la minaccia di invasione su due fronti, spinsero Ivan IV a prendere personalmente in mano la situazione. Egli inscenò un colpo di Stato, fuggì da Mosca e si reco ad Aleksandrovskaja Sloboda, da dove inviò due messaggi in cui accusava di tradimento la classe di governo e il clero e annunciava la decisione di abbandonare il trono. La mossa di Ivan venne recepita dal popolino e dalla classe mercantile con grande apprensione; fu questo larghissimo strato della società a implorare il principe di tornare a Mosca. Ivan impose, come condizione fondamentale al proprio
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La cattedrale di S. Basilio a Mosca nel XVI secolo
ritorno, che gli venisse riconosciuto il diritto di disporre a proprio piacimento dei disertori e annunciò la formazione di una corte speciale (l'oprichina), da insediare in alcuni distretti, dai quali sarebbero stati cacciati i nobili. Il resto del territorio (zemscina) rimase amministrato secondo le regole vigenti.
La Bojarskaja duma venne messa in disparte e sostituita da un consiglio dipendente direttamente dal sovrano. La società politica e l'amministrazione moscovita subirono una spaccatura, con la creazione di una amministrazione parallela a quella dello Stato. Il dualismo di governo venne accentuato dalla concessione del titolo di "gran principe" al capo della zemscina, il tataro Simeon Bekbulatovic. La corte speciale finì per avere sotto il proprio controllo metà del territorio russo, mentre la zemscina continuava a veder diminuire il proprio territorio, sia dal punto di vista dell'estensione che da quello dell'importanza economica. L'esperimento dell'oprichina non ebbe lunga vita, le sconfitte subite nei primi anni Settanta da parte dei tatari della Crimea, che arrivarono a saccheggiare Mosca (1571), e l'insostenibilità delle violenze perpetrate sulla società spinsero Ivan IV a tornare sui propri passi e a riunificare l'esercito e l'amministrazione.
L'analisi degli eventi relativi all'oprichina risulta alquanto complessa, tant'è che nella storiografia russa esistono due correnti di pensiero relative alle finalità delle riforme e ai metodi adottati da Ivan IV per raggiungerle. Platonov sostiene che l'oprichina non fu altro che la continuazione delle prime riforme dello zar con metodi diversi, il tentativo di affermare l'autorità centrale distruggendo il potere dei boiari che dominavano la corte e l'amministrazione. Crummey e altri sostengono che l'esperimento di Ivan non fosse un progetto di ingegneria sociale ma semplicemente l'espressione di una personalità paranoica alla ricerca di maggiore sicurezza in un mondo minaccioso.

La morte di Ivan IV (1584) lasciò il paese in difficoltà. Nonostante durante il suo regno fossero state gettate le basi per il futuro impero asiatico degli zar, con la conquista e la colonizzazione del kahnato di Siberia, e nonostante la perdita di Narva (1581) fosse stata compensata dall'apertura del commercio con l'Inghilterra e i Paesi Bassi attraverso la via del mar Bianco e della Dvina nel nord, il suo successore, Fedor I, ereditò una situazione alquanto difficile. Come disse in una relazione del 1588 l'ambasciatore inglese Giles Fletcher: «Questa politica maligna e questo esercizio di tirannide (sebbene ora siano cessati) ha così stravolto il paese e lo ha da allora così riempito di malanimo e odio mortale, che mai esso verrà estinto (come sembra ora sia)e finirà col divampare di nuovo nell'incendio della guerra civile».
Come aveva ben previsto Giles Fletcher, il periodo compreso tra la morte di Ivan IV e l'ascesa al potere di Michele Romanov fu caratterizzato da una costante instabilità sia interna che esterna. La successione dinastica portò al potere il figlio Fedor, considerato un inetto, che regnò fino al 1598. Sin dalla metà degli anni Ottanta però il compito di proseguire sulla strada dell'unificazione interna e dell'espansione esterna venne preso nelle mani di Boris Godunov, cognato dello zar. Egli, come sostiene Giraudo, si dimostrò inizialmente un fedele esecutore delle direttive lasciate da Ivan IV, ma non riuscì a far altro che inasprire i rapporti con la nobiltà di sangue e deteriorare la condizione dei contadini (unica forza lavoro e unica fonte di reclutamento per l'esercito). Godunov non riuscì neppure a creare una nuova dinastia, dato che dopo la sua morte ebbe inizio un periodo di quasi 10 anni di guerre civili, caratterizzato dall'alternarsi sul trono di avventurieri, come i due falsi Demetri, e di discendenti di famiglie nobili che costruirono la propria fortuna nei burrascosi anni dell'interregno tra la morte di Vasili III (1533) e l'ascesa di Ivan IV (1547). Gli uni e gli altri sostenuti da sovrani stranieri, svedesi e polacchi, oltraggio di cui la coscienza nazionale russa non avrebbe permesso il perpetrarsi.
Questi anni di torbidi furono attraversati da esplosioni di malcontento popolare, come quello che, sotto la guida del "brigante" Bolotnikov, portò all'assedio di Mosca nell'autunno del 1606, e che continuò a ispirare rivolte simili fino al 1615, specialmente durante il regno di Vasilij Sujskij.
Dopo l'occupazione di Mosca da parte dell'esercito polacco, nel 1611, fu proprio un esercito reclutato sulla base del malcontento patriottico che liberò la capitale e istituì una sorta di consiglio di governo boiaro, che tenne le redini dello Stato fino alla capitolazione del 26 ottobre 1612, in seguito alla quale ci si avviò alla "elezione" di Michele Romanov (1613).
BIBLIOGRAFIA
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  • The northern wars, war and society in north-eastern Europe, 1558-1721, di R.I. Frost - Edimburgo, 2000;
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