Il pantano afghano è stato un duro colpo all'imperialismo sovietico: l'Armata Rossa è stata messa a dura prova da un "armata di straccioni". Proprio come sta accadendo ora all'esercito statunitense.
Afghanistan 1979-1989:
il Vietnam dell'URSS
di RENZO PATERNOSTER
Per quasi dieci anni, tra il dicembre 1979 e il febbraio 1989, l'Afghanistan - antico snodo strategico per il dominio dell'Asia meridionale fin dai tempi di Alessandro Magno- fu "il Vietnam della Russia". Vi morirono non meno di quattordicimila soldati russi e due milioni di afghani. Quella in Afghanistan fu una guerra sanguinosa che segnò la contrapposizione tra il mondo arabo e l'impero sovietico. Fu soprattutto una guerra che contribuì a portare alla ribalta le milizie dei mujaheddin e la loro "guerra santa", esportata successivamente in Cecenia, Bosnia, Kashmir, Cina occidentale, Indonesia, Nord Africa, ma anche in Occidente, con gli attentati alle torri gemelle di New York e al Pentagono dell'11 settembre 2001.

L'Afghanistan è una delle tante repubbliche
asiatiche che vive ancora un travagliato presente. Governato praticamente da clan, è un Paese musulmano fortemente impregnato di nazionalismo. L'ultimo re, Mohammad Zahir Shah (1914-2007), regnò con un sistema feudale fino al 1973 quando, a seguito di un colpo di stato, venne spodestato dal cugino Mohammed Daoud Khan, ex primo ministro del Paese. Il golpe, incruento, venne attuato mentre il re si trovava in Italia.
Con Mohammed Daoud Khan nasceva la prima Repubblica Afghana, destinata però a spegnersi in breve tempo. Nel 1978, infatti, il filo-sovietico Partito Democratico del Popolo afghano (PDPA) dà il via alla Rivoluzione di Aprile che porta alla nascita della "nuova"
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Soldati sovietici in Afghanistan
Repubblica Democratica dell'Afghanistan, governata dal leader del partito Noor Mohammad Taraki, uomo forte ma non gradito alle gerarchie religiose.
Taraki avviò una serie di riforme in senso socialista, volte alla laicizzazione del Paese, tra cui la riforma agraria, la legalizzazione dei sindacati, i rinnovamenti nell'area sanitaria e della salute pubblica, la lotta contro la coltivazione dell'oppio, l'emancipazione femminile (assegnando alle donne il diritto di voto, imponendo loro l'istruzione obbligatoria e vietando il burqa e i matrimoni combinati). Alcune donne ebbero posti nel governo e sette di loro furono elette in Parlamento.
Alcuni di questi cambiamenti suscitarono l'ostilità dei proprietari fondiari, dei trafficanti di droga, delle autorità religiose e dei fondamentalisti islamici (Taliban). Gli avversari delle riforme iniziarono così una dura opposizione al governo, forti degli aiuti provenienti dall'Arabia Saudita e dal Pakistan, interessati a soffiare sul fuoco del fondamentalismo, e dagli Stati Uniti, preoccupati della collaborazione sovietica con il governo.
Nel settembre 1979 Taraki veniva assassinato su ordine del vice primo ministro Hafizullah Amin, che prendeva il suo posto alla guida del Paese. La situazione si fece caotica: il PDPA iniziava a sgretolarsi, la guerriglia islamica - riunita in un unico fronte di resistenza alla modernizzazione e sostenuta da Iran, Pakistan e Cina - si avviava a controllare gran parte del territorio.
Fu in questo quadro che Leonid Breznev decise di intervenire nella faida che stava dilaniando Kabul. Dopo aver firmato un trattato di alleanza con il governo di Muhammad Taraki e appoggiato il successivo golpe, l'URSS, che già non si fidava di Amin - sospettato di legami con la CIA - e che temeva un'espansione della ribellione islamica alle vicine repubbliche di Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, decise di invadere il Paese. Alle tre del pomeriggio (ora di Mosca) del 25 dicembre 1979, l'Armata rossa entrava a Kabul. Due giorni dopo, venticinque componenti del "Gruppo Alfa", l'élite degli Spetsnaz, i reparti speciali sovietici, assaltavano il palazzo presidenziale uccidendo il presidente Hafizullah Amin. Al suo posto si insediava Babrak Karmal.

Il pretesto era stato dato dall'uccisione di un generale sovietico inviato in Afghanistan come consigliere del governo golpista. In realtà si trattava di un "intervento preventivo strategico regionale". Si era in piena Guerra fredda e il controllo anche di una piccola parte del globo da parte di uno dei due maggior contendenti appariva di rilevanza cruciale. Nel "grande gioco" della Guerra fredda la pedina afghana consentiva infatti l'avvicinamento al Mare Arabico, al Golfo Persico e all'Oceano Indiano.
A trasformare l'Afghanistan da Stato clientelare a vero e proprio satellite dell'URSS avevano contribuito non solo lo spettro dell'effetto domino della vittoriosa Rivoluzione Islamica guidata dall'Ayatollah Ruhollah Mustafa Mosavi Khomeyni in Iran, ma anche il crescente interesse sovietico per il petrolio del Medio Oriente e la minaccia rappresentata da un Pakistan "cliente" degli USA. La CIA, del resto, era già da tempo che tendeva la sua longa manus verso quest'area e con la perdita dell'Iran gli USA erano rimasti privi di un punto strategico in cui schierare, contro l'URSS, i missili a lungo raggio: l'Afghanistan poteva essere un'ottima soluzione alternativa. A questo va aggiunto che l'Afghanistan era stato individuato dalla Casa Bianca anche come sito idoneo per la costruzione di un oleodotto per il trasporto del petrolio dal Kazajstan e dal Turkmenistan fino all'Oceano Indiano.

Il governo federale degli Stati Uniti d'America era ostile alle riforme del governo Taraki, soprattutto alla riforma agraria che prevedeva la nazionalizzazione della terra. Per questo, già dalla metà 1979, iniziò a organizzare l'esercito dei mujaheddin. Il 3 luglio di quell'anno il presidente Carter firmò la prima direttiva, la cosiddetta Operazione Cyclone, per aiutare
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Mujaheddin in posa su un tank russo
segretamente gli oppositori del regime filosovietico di Kabul. Quello stesso giorno, con una nota al presidente statunitense, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski spiegava che quell'aiuto avrebbe determinato un intervento armato dell'Unione Sovietica in Afghanistan: «Non abbiamo spinto i russi ad intervenire - dirà poi in un'intervista lo stesso Brzezinski a Le Nouvel Observateur il 15 gennaio del 1998 - ma abbiamo consapevolmente aumentato le probabilità di un loro intervento».
Con l'Operazione Cyclone la CIA avrebbe creato una rete internazionale coinvolgente tutti i Paesi arabi per rifornire i mujaheddin di soldi, armi e volontari per la guerra. USA, Arabia Saudita e altri Paesi sostenitori avrebbero speso oltre quaranta miliardi di dollari per i mujaheddin, ai quali si unirono nel corso dei dieci anni di guerra centomila musulmani fondamentalisti provenienti da Pakistan, Arabia Saudita, Iran (i famosi pasdaran iraniani, ossia le "guardie della rivoluzione") e Algeria, armati e addestrati dalla CIA. E Osama bin Laden fu uno dei mujaheddin che affiancò la guerriglia locale dei Taliban armati.
Base dell'operazione sarebbe stato il Pakistan, dove vennero costruiti campi di addestramento e centri di reclutamento. I mujaheddin afghani diventarono rapidamente una potente forza militare, rendendo dura la vita dell'esercito sovietico.

Indubbiamente il Cremlino trovava nell'Afghanistan la soluzione alla stagnazione del modello di crescita estensiva dell'economia programmata sovietica e, soprattutto, la sua invasione avrebbe rappresentato la prima mossa di quella teoria geopolitica che gli americani chiamavano "effetto domino", ossia "se uno Stato chiave in una determinata area fosse stato preso dai comunisti, gli Stati vicini sarebbero caduti come pezzi di un domino, diventando anch'essi socialisti uno dopo l'altro". Tutto questo per anticipare gli americani già attivi - come abbiamo visto - in questa regione del mondo.
L'invasione dell'Afghanistan fu la prima mossa sovietica. A questa, secondo le intenzioni di Mosca, avrebbe dovuto seguire la "conversione" del Pakistan al socialismo sovietico, anche in chiave anti-indiana.
L'Iraq, la Giordania e l'Egitto, dove già erano presenti commissari politici sovietici, sarebbero entrati successivamente e completamente nella sfera d'influenza russa intravvedendo la via al nazionalismo pan-arabo, mentre l'Arabia Saudita avrebbe approfittato della situazione per svincolarsi dalle compagnie petrolifere occidentali trovando nei Paesi del blocco comunista un ottimo cliente.
Gli altri Stati del Golfo (Kuwait, Oman, Qatar, Emirati Arabi) seppur filo-americani, sotto la nuova pressione geo-strategica si sarebbero rinchiusi in una equidistante neutralità, senza più fornire petrolio agli Stati Uniti e ad Israele.
Questi piani di Mosca prevedevano di mettere alle strette tutti i Paesi europei sotto l'influenza statunitense, poiché totalmente dipendenti dal petrolio del Medio Oriente. Mentre gli USA avrebbero iniziato ad attingere alle proprie riserve. In questo modo si sarebbero aperti nuovi scenari geopolitici a vantaggio dell'URSS.
Mosca aveva anche previsto le reazioni del mondo all'invasione militare dell'Afghanistan. Il Cremlino non era assolutamente preoccupato di una ritorsione militare da parte dell'Occidente, poiché riteneva che non vi era il rischio di un confronto diretto con gli Stati Uniti. Con l'invasione del Paese i Sovietici avevano sicuramente messo in conto che si sarebbe verificata una forte protesta sia da parte del Terzo Mondo sia da parte dell'Occidente, tuttavia ritennero che la condanna sarebbe stata solo verbale e di breve durata a causa degli interessi contrapposti e delle differenze di opinione tra le altre potenze. Infatti, non ci furono ritorsioni clamorose da parte degli USA e dei Paesi occidentali, solo una condanna formale da parte dell'ONU (Risoluzione numero 35), un embargo su tutte le forniture di grano e di tecnologie, e il boicottaggio delle Olimpiadi che si celebrarono nel 1980 a Mosca.

Con l'invasione, l'obiettivo primario fu quello di occupare i centri nodali del Paese e stabilizzare il governo attraverso la lotta senza quartiere alla guerriglia fondamentalista. Tuttavia la situazione divenne subito più complessa: la debolezza delle Forze armate regolari afghane portò l'URSS a impegnarsi direttamente nelle operazioni di controguerriglia con un esercito certamente poco preparato a tali operazioni e, soprattutto, poco adatto a un teatro di guerra montuoso.
Occupati Kabul e gli altri principali centri del Paese, l'Armata Rossa si diresse verso Passo Khyber, il valico montuoso strategico fra Pakistan e Afghanistan, con l'intento di rendere impenetrabile la frontiera.
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Babrak Karmal, presidente fantoccio insediato da Mosca
La Resistenza afghana, pur formata da ben sette partiti politici tra loro divisi in tradizionalisti e fondamentalisti, era tuttavia saldamente unita dall'odio per l'URSS e nella fede in Allah. La guerra contro i sovietici fu combattuta da formazioni molto variegate: dai bambini di dodici anni fino ai veterani della terza guerra d'indipendenza afghana, gli ultraottantenni che avevano affrontato e battuto gli inglesi nel lontano 1919.
I mujaheddin, oltre ad essere "armati" di fede e dotati di Ak-47 - i Kalashnikov che avevano sottratto nelle caserme dell'esercito regolare - e di missili terra-aria Stinger forniti dagli americani, utilizzarono la tecnica "mordi e fuggi" già attuata dai Vietcong contro gli americani. Guidati da Ahmed Shad Massoud, uno dei più popolari capi dei guerriglieri fondamentalisti, detto il Leone di Panishir (dal nome della valle in cui combatteva e in cui fu più eroica l'opposizione ai sovietici), i mujaheddin erano ovunque: oltre che nelle zone più interne, anche al Passo di Salang, al confine con l'URSS e nella Provincia di Herat, zona di frontiera con il Turkmenistan. In questo modo potevano sbarrare la strada alle truppe "fresche" inviate da Mosca.
Anche per l'Unione Sovietica, come già per gli USA in Vietnam, la guerra in Afghanistan si trasformò ben presto in un lungo, estenuante stillicidio.
Gli eventi militari furono caratterizzati dalla disfatta nella battaglia di Paghman del 1981, venti chilometri a sud di Kabul, dal fallimento di due offensive lanciate dai russi a giugno e a settembre dello stesso anno, e dalle disastrose azioni militari fra i picchi dell'Hindu Kush. Piuttosto che un conflitto convenzionale, fu quindi una guerra di resistenza contro la "resistenza". All'Armata Rossa non restò che copiare la strategia americana nel Vietnam: bombardamenti aerei e interi villaggi rasi al suolo.

A partire dal 1985 le vicende della guerra in Afghanistan furono strettamente legate agli eventi in corso in Unione Sovietica.
L'artefice del conflitto, Leonid Breznev, morì il 10 novembre 1982. Il suo successore Yuri Andropov, ex capo del KGB, confermò la linea del predecessore. Nel 1985 Michail Gorbacëv, divenuto Segretario Generale del Comitato Centrale del PCUS, decise di dare il via a una riforma radicale dello Stato attraverso la Perestrojka ("ristrutturazione") e l'Uskorenie ("accelerazione" dello sviluppo economico), assieme alla Glasnost ("trasparenza") dei rapporti tra Stato e cittadino, dei comportamenti dei pubblici funzionari, della distribuzione dei posti di responsabilità. Con queste riforme radicali la strada per l'implosione della dittatura sovietica era incominciata.
Con Gorbacëv perse vigore anche la dottrina Breznev che aveva reso possibile l'ingerenza sovietica nelle questioni interne dei "Paesi fratelli". In quest'ottica fu deciso il ritiro unilaterale dei soldati sovietici dall'Afghanistan, che iniziò il 25 maggio del 1986 e si concluse il 15 febbraio del 1989.
Nel frattempo in Afghanistan, il 20 novembre del 1986 un Karmal ormai impotente contro la guerriglia, rassegnò le dimissioni su invito di Mosca. Al suo posto si insediò Haji Mohammed Chamkani, politico legato alla PDPA. Dopo poco più di un anno gli succederà Sayd Mohammed Najibullah, già capo del KHAD, la polizia segreta afghana.
Grazie a una campagna miliare guidata personalmente dal nuovo presidente Najibullah, nel settembre del 1987 furono arrestati circa quarantamila guerriglieri. Fu tuttavia una vittoria effimera, poiché la guerriglia si riorganizzò, continuando la guerra civile e riconquistando molte zone attorno a Herat e Kandahar.
Fu così che Najibullah abbandonò momentaneamente l'idea militare per abbracciare le vie diplomatiche: propose un tregua con l'apertura di negoziati, contemporaneamente promosse una nuova Costituzione, cambiando anche il nome dello Stato in "Repubblica dell'Afghanistan", offrì seggi e ministri ai partiti d'opposizione, nominò primo ministro Mir Hussein Sharq, uomo slegato da qualsiasi partito. Tuttavia i mujaheddin non scesero a compromessi e la guerra civile continuò.
La guerra d'invasione sovietica ha nel suo bilancio quasi due milioni di morti afghani e oltre cinque milioni di profughi, mentre tra i sovietici i morti furono circa quindicimila.
Con la ritirata sovietica, varie forze militari dei mujaheddin lasciarono l'Afghanistan andando a lottare in Algeria, Cecenia, Kosovo e Cachemire: iniziò così la storia della rete armata in difesa del fondamentalismo islamico, primo nucleo di al-Qaeda.
Un'altra parte di questi mujaheddin, i Taliban, restarono nel Paese e continuarono la lotta armata in una sanguinosa guerra civile, sino ad impossessarsi del potere e proclamare la nascita, il 17 aprile del 1992, della Repubblica Islamica dell'Afghanistan.
BIBLIOGRAFIA
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  • I misteri dell'Afghanistan. Dalle origini alla caduta dei Taliban, di Cirone G. - Datanews, Roma 2002
  • Le invasioni dell'Afghanistan. Da Alessandro Magno a Bush, di Orfei G. - Fazi, Roma 2002
  • Guerra alla verità. Tutte le menzogne dei governi occidentali e della Commissione "Indipendente" USA sull'11 settembre e su Al Qaeda, di Ahmed Nafeez Mosaddeq - Fazi, Roma 2004.
  • Il nemico del mio nemico. Afghanistan 1979-1989. La guerra segreta del deputato Wilson, di Crile G. - Il Saggiatore, Milano 2005
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  • Un secolo di guerre, di Garibaldi L. - White Star, Vercelli, 2008