Con il colpo di Stato del 1973 il generale Pinochet rovescia il governo di Allende e instaura una feroce dittatura che sopprime le libertà democratiche, sospende ogni attività dei partiti e avvia una dura repressione contro gli oppositori del regime.
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Cile 1973-1990: il governo del terrore di Pinochet
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«Cittadini cileni, parla il Presidente della Repubblica dal palazzo della Moneda. La situazione è critica, siamo in presenza di un colpo di Stato che vede coinvolta la maggioranza delle Forze Armate. In questo momento infausto voglio ricordarvi alcune delle mie parole pronunciate nell'anno 1971, ve lo dico con calma, con assoluta tranquillità, io non ho la stoffa dell'apostolo né del messia. Non mi sento un martire, sono un lottatore sociale che tiene fede al compito che il popolo gli ha dato. Ma stiano sicuri coloro che vogliono far regredire la storia e disconoscere la volontà maggioritaria del Cile; pur non essendo un martire, non retrocederò di un passo. Rimarrò qui nella Moneda anche a costo della mia propria vita. La storia non si ferma né con la repressione né con il crimine. Questa è una tappa che sarà superata. Questo è un momento duro e difficile: è possibile che ci schiaccino. Ma il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori. [.] Pagherò con la vita la difesa dei principi cari a questa mia patria. Cadrà l'ignominia su quelli che hanno violato le promesse, tradito la parola, rotto i principi delle forze armate. Il popolo deve stare all'erta e vigilare. Non deve lasciarsi provocare, ma neppure lasciarsi massacrare; deve difendere le sue conquiste. Deve difendere il diritto di costruirsi con il proprio lavoro una vita degna e migliore. Una parola per quelli che, dicendosi democratici, hanno istigato questa sollevazione, per quelli che, dicendosi rappresentanti del popolo, hanno creato turbamenti e hanno manovrato per rendere possibile questo passo che getta il Cile in un precipizio. In nome dei più sacri interessi del popolo, in nome della patria, vi parlo per dirvi di avere fiducia. La storia non si legge né con la repressione né con la criminalità. Questa è una tappa che verrà superata, è un momento duro e difficile. E' possibile che ci schiaccino, ma il domani è del popolo, dei lavoratori. L'umanità avanza per la conquista di una vita migliore. Compatrioti è possibile che facciano tacere le radio, e allora vi saluto per sempre, in questo momento passano gli aerei. E' possibile che ci distruggano. Ma sappiamo che siamo qui almeno come esempio, per mostrare che in questo paese vi sono uomini che tengono fede agli impegni che si sono assunti. Rimarrò per mandato del popolo, e per la volontà cosciente di un Presidente che ha la dignità della sua carica. Forse è l'ultima volta che mi posso rivolgere a voi. L'aviazione ha bombardato le torri di Radio Portales e Radio Corporation. [...] La storia è nostra è il popolo che la fa. Lavoratori della mia patria, desidero ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete posto in un uomo che è stato solo un'interprete di grandi aneliti di giustizia, che ha giurato di rispettare la Costituzione e la legge, e che lo ha fatto. [...] Sicuramente Radio Magallanes verrà ridotta al silenzio e la mia tranquilla voce metallica non giungerà più. Non importa, continuerete a sentirla. Sarò sempre insieme a voi, almeno sarò ricordato come un uomo degno, leale con la propria patria. [...] Viva il Cile, viva il popolo, viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole, sono certo che il sacrificio non sarà inutile. Sono certo che sarà almeno un esempio morale contro la viltà e il tradimento».
Così Salvador Allende informò del colpo di Stato la Nazione e salutò per l'ultima volta il suo popolo, prima di morire.
Le circostanze della sua morte, avvenuta alle 14,10 dell'11 settembre del 1973, non sono ancora chiare: la versione ufficiale, confermata dal suo medico personale, è che il Presidente si tolse la vita con un fucile AK-47 donatogli da Fidel Castro, mentre altri sostengono che fu ucciso dal capitano golpista Roberto Garrido, mentre difendeva la Moneda, il palazzo presidenziale.
Allende è stato il primo presidente socialista democraticamente eletto nelle Americhe e che democraticamente governava il suo Paese.
Il golpe cileno del 1973 si inserisce in una stagione di colpi di stato che sconvolsero l'America meridionale negli anni Settanta del secolo scorso. Una stagione in cui gli interessi delle grandi multinazionali, che avevano il controllo delle materie prime, e ufficiali di destra si coalizzarono per difendere i loro interessi a costo di spargere un mare di sangue, tutto in nome e per conto dell'anticomunismo.
L'azione parte dalla Marina a Valparaiso e si sviluppa nella capitale Santiago con il bombardamento aereo del palazzo presidenziale. Il governo di Unidad Popular è di colpo cancellato. Migliaia di prigionieri sono concentrati nello Stadio Nazionale. Più di 1.800 oppositori sono uccisi nei primi giorni, con esecuzioni di massa.
Non esistono prove certe che gli USA appoggiarono direttamente il colpo di Stato di Pinochet nel 1973, ma l'amministrazione Nixon fu indubbiamente contenta del suo esito. Documenti declassificati durante l'amministrazione Clinton, mostrano che il governo degli Stati Uniti e la CIA avevano cercato di rovesciare Allende nel 1970, immediatamente dopo la sua elezione ("Progetto Fubelt"), ma le pretese del loro coinvolgimento diretto nel colpo di Stato non sono né dimostrate né contraddette dalle prove documentali disponibili al pubblico; molti documenti potenzialmente rilevanti rimangono tuttora coperti da segreto.
Un documento della CIA, pubblicato nel 2000 e intitolato "Le attività della CIA in Cile", rivela che i servizi segreti statunitensi appoggiarono attivamente la giunta militare solo dopo il rovesciamento di Allende (già dopo pochi mesi dal golpe, a novembre, gli USA concessero un credito di trecento milioni di dollari al regime di Pinochet) e che molti degli ufficiali di Pinochet divennero informatori pagati della CIA o dell'esercito statunitense, anche se alcuni erano noti per essere coinvolti in abusi contro i prigionieri.
Il colpo di Stato, indipendentemente dal grado di coinvolgimento degli USA, fece raggiungere al governo statunitense l'obiettivo di sradicare la minaccia del socialismo in Cile e portò al potere un regime favorevole agli interessi di Washington.
Appena soli quattordici giorni dopo il golpe, gli Stati Uniti d'America riconobbero ufficialmente il governo della Giunta, legittimando così a livello internazionale il colpo di stato dei militari.
La Junta militare era formata da quattro dirigenti: i generali comandanti dell'Esercito Augusto Pinochet Ugarte, dell'Aviazione Gustavo Leigh Guzmán, della Marina José Toribio Merino Castro, dei Carabineros César Mendoza Durán. Questi decisero per una presidenza a rotazione e nominarono Pinochet capo permanente della giunta.
La Junta dichiarò di aver attuato il golpe per instaurare "la cilenità, la giustizia e l'ordine" compromessi, a suo dire, dai comunisti al governo. Per questo la giunta militare si autonominò autorità suprema della Nazione, sommando in sé le funzioni costituenti, legislative ed esecutive.
Dalla giunta golpista riuscì a emergere e ad affermarsi il generale Augusto Pinochet Ugarte, l'ufficiale che nemmeno un mese prima del golpe, il 23 agosto 1973, era stato nominato da Allende a capo dell'Esercito cileno, e che il presidente socialista riteneva persona fedele ai principi della Costituzione, tanto da fargli pensare, allo scoppio della rivolta, che il fedele Augusto fosse rimasto tra le prime vittime del golpe. Tuttavia, la lealtà del generale al suo presidente durò appena diciotto giorni.
Pinochet, dunque, consolidò ben presto il suo controllo all'interno della Giunta, prima mantenendo la guida solitaria di essa, sino al 27 giugno 1974, e poi facendosi proclamare, il 27 giugno 1974, Jefe Supremo de la Nación (Capo Supremo della Nazione).
L'11 settembre stesso iniziarono le persecuzioni e gli arresti di massa, perché non si trattava solo di sostituire un ceto politico, ma di sbaragliare la presenza sociale della sinistra. Per questo la Giunta, o sarebbe meglio dire Pinochet, dichiarò illegali i partiti legati a Unidad Popular, procedendo al sequestro dei loro beni. Non solo. Chiunque fosse ritenuto anche solo vicino al governo di Unidad Popular fu fermato e portato nei centri di detenzione sparsi in tutto il Paese.
Caso emblematico è lo stadio nazionale di Santiago. Esso non è un impianto isolato, ma una struttura di un vasto comprensorio sportivo non distante dal centro che, dall'11 settembre al 9 novembre, fu trasformato in una immensa prigione. La Croce Rossa stimò in circa settemila le persone che furono detenute nello stadio nei primi dieci giorni successivi al golpe.
Sin dai primissimi giorni della dittatura furono imposti atti normativi idonei a trasformare completamente le istituzioni cilene: fu sciolta l'Assemblea nazionale, si cancellò la personalità giuridica dei sindacati, furono distrutti tutti registri elettorali, si istituirono norme che permettevano di togliere la cittadinanza cilena e di espellere dal Paese cittadini indesiderati.
Con la dichiarazione dello stato d'assedio e dello stato d'emergenza, si realizzarono le condizioni perché l'apparato militare potesse attuare "legalmente", per via amministrativa, la repressione della dissidenza e la cancellazione del comunismo all'interno del Paese.
La repressione fu demandata alla giurisdizione penale ordinaria, che si basava non sul codice penale del 1874 in vigore nel Cile pre-golpe, ma su una serie di leggi speciali emanate dalla Giunta.
Lo strumento politico più efficace divenne, però, la violenza fisica illegale: tortura sistematica dei prigionieri, esecuzioni in massa e, desapariciòn, la scomparsa definitiva e misteriosa di persone arrestate dal regime.
La gestione della repressione ebbe due fasi: nel primo periodo, che andò da settembre a dicembre del 1973, fu condotta congiuntamente dai militari e dai carabineros, coadiuvati da civili appartenenti all'estrema destra; nel secondo periodo, che andò dal gennaio 1974 al novembre 1989, le operazioni furono compiute principalmente dalla DINA (Direcion Nacional de Inteligencia), prima, e dalla CNI (Central Nacional de Informaciòn), dopo, le polizie segrete del regime.
Il primo periodo si caratterizzò per le esecuzioni sommarie e gli omicidi degli arrestati: i corpi erano poi fatti sparire, rilasciando false versioni concernenti quanto era accaduto. Il secondo periodo si caratterizzò per la tortura sistematica, omicidi e terrorismo di stato.
La DINA operò con ampi poteri in vari centri segreti e di detenzione ("Centro de interrogación y tortura de José Domingo Cañas 1315", conosciuto come il "Cuartel Ollague", "La discoteca", "Venda Sexy", "Villa Grimaldi", "Londres 38") distribuiti in tutto il Paese facendo riferimento al Ministero degli Interni.
Nel 1977 fu sciolta e sostituita con la Central Nacional de Informaciòn (CNI), che svolgeva gli stessi compiti con gli stessi uomini. La modifica, di pura facciata, fu dettata dall'evidente implicazione di uomini della DINA, nell'omicidio dell'ex diplomatico e attivista politico contro la dittatura Orlando Letelier, ucciso con una enorme quantità di esplosivo a Washington, il 21 settembre 1976, assieme alla sua segretaria Ronny Karpen Moffitt, cittadina statunitense.
I primi a essere perseguitati, accanto ai fedelissimi del presidente Allende e del suo partito, furono gli uomini del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria), un'organizzazione comunista cilena: a metà del 1975 tutti gli aderenti furono arrestati, mentre il segretario generale, Miguel Enriquez Espinoza, fu ucciso in uno scontro a fuoco con i militari il 5 ottobre del 1974.
Il regime perseguì la dissidenza anche fuori dal Paese. Fra le azioni contro personaggi eccellenti, ricordiamo - oltre a quella dell'ex diplomatico Orlando Letelier - quella contro il generale Prats e la moglie, assassinati nel 1974 a Buenos Aires; il fallito attentato del 1975 a Roma ai danni di Bernardo Leighton, ex vicepresidente della Repubblica.
Nel gennaio del 1978 l'Onu condannò il Cile per violazione dei diritti umani. In risposta Pinochet indisse un referendum in difesa della "dignità" del Cile, per dimostrare al mondo il consenso popolare di cui godeva il suo regime. Ottenne il 75% dei voti a favore, in una consultazione senza registri elettorali e senza la minima garanzia di segretezza del voto.
Nel corso della dittatura Pinochet adottò un modello liberista molto spinto, mutuato dall'economista statunitense Milton Friedman e dalla "Scuola di Chicago", contando sul pieno appoggio dell'oligarchia e della classe media, ed anche su quello delle multinazionali, cui andò il controllo delle imprese precedentemente nazionalizzate. La libera importazione di prodotti, con i tassi d'importazione notevolmente abbassati, garantì agli USA un'enorme esportazione verso il Paese, mentre all'interno diminuì del 15% la produzione industriale, che a sua volta accentuò la disoccupazione. L'enorme indebitamento del Paese con il FMI e le banche internazionali diedero il colpo di grazia all'economia cilena, causando la svalutazione della moneta e il collasso del sistema creditizio privato.
Nel frattempo, durante il suo regime, il comandante Pinochet si preoccupò soprattutto della "sua" economia: 26,3 milioni di dollari furono versati con undici identità false in conti segreti nel Banco Riggs negli Stati Uniti (si scoprì successivamente che il generale aveva ben 125 conti bancari fuori dal Cile con una fortuna stimata intorno ai 28 milioni di dollari), mentre nove tonnellate di oro furono depositate nella Hong Kong & Shanghai Banking.
Pinochet si preoccupò anche di guadagnarsi una fetta di paradiso in terra tessendo amicizie e ottime relazioni con la Santa Sede.
Nonostante la ferocia, il dittatore - dal suo punto di vista - era un cattolico fervente. Si racconta che fu "graziato" dal Provvidenza, grazie alla Madonna che lo preservò dalla morte in un attentato nel 1986: la prova fu il profilo della Vergine disegnato dalle pallottole sulla sua Mercedes corazzata. La maggior parte della gerarchia ecclesiastica cilena certamente non la pensava come lui, anzi aveva un bel numero di sacerdoti e vescovi contro. Ma per sua fortuna c'era un Nunzio apostolico a tenere a bada questi religiosi ritenuti troppo politicizzati.
Il Nunzio era monsignor Angelo Sodano, poi diventato nel 1991 Segretario di Stato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Sodano, per tutta la durata della sua nunziatura, si dimostrò un freddo diplomatico che antepose la ragion di Stato alla difesa dei valori cattolici di solidarietà e giustizia. In pratica preferì difendere la Chiesa-istituzione più che l'incolumità delle vittime della dittatura, barcamenandosi fra qualche moderata protesta per singoli crimini del regime (come i sequestri di alcuni sacerdoti o la richiesta di espatrio per i militanti del MIR che si erano rifugiati nel palazzo della Nunziatura) e inviti alla pacificazione.
Il Nunzio riuscì finanche a organizzare, grazie all'intervento di alcuni membri dell`Opus Dei che ricoprivano posizioni importanti nel governo cileno, una visita pontificia nel Paese. La visita pastorale si realizzò nell'aprile del 1987 e culminò con Giovanni Paolo II che si affacciò con Pinochet a un balcone della Moneda. In effetti, tutto il viaggio sembrò una legittimazione del regime da parte del pontefice e della Santa Sede.
Questo feeling continuò anche quando Pinochet divenne ex dittatore: il 18 febbraio 1993, giorno delle sue "nozze d`oro", Pinochet ricevette due affettuosi messaggi di auguri da parte del segretario di Stato vaticano Sodano e di Giovanni Paolo II: "Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa, Signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d`oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine - si legge nella lettera inviata dalla Santa Sede - con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale".
Ancora più caloroso fu il messaggio del cardinale Sodano. In una lettera egli scriveva di aver ricevuto dal pontefice "il compito di far pervenire a Sua Eccellenza e alla sua distinta sposa l`autografo pontificio qui accluso, come espressione di particolare benevolenza".
La Santa Sede non abbandonò il generale nemmeno quando Pinochet fu arrestato in Gran Bretagna su mandato del giudice spagnolo Baltasar Garzon, che lo accusava di violazioni di diritti umani nei confronti di diversi cittadini spagnoli durante gli anni della dittatura. In un passo diplomatico "confidenziale", la Santa Sede chiese, per motivi umanitari, il rimpatrio dell'ex dittatore nella sua patria, la sola - nelle intenzioni vaticane - ad aver diritto di giudicarne l'operato.
All'opposto del Nunzio vi era il coraggioso arcivescovo di Santiago, Raùl Silva Henriquez, rifugio spirituale delle vittime del regime. Grazie al "Comitato di cooperazione per la pace in Cile" (sciolto d'ufficio nel 1975 da Pinochet), prima, e poi alla Vicaria de la Solidaridad, entrambi istituiti dal monsignore, i cileni perseguitati dal regime trovano assistenza legale e medica.
La Vicaria faceva anche controinformazione su quanto accadeva nel Paese, organizzava mense popolari e distribuiva generi alimentari per le poblaciones (le baraccopoli che circondavano Santiago). Il coraggioso arcivescovo riuscì persino a sfidare Pinochet indicendo nel 1978 "L'Anno dei diritti umani in Cile", durante il quale Sodano pensò bene di defilarsi e non partecipare alle manifestazioni.
Due rapporti su torture e repressione durante il regime di Pinochet, hanno messo in luce i reati contro il popolo cileno e l'umanità del dittatore sanguinario travestito da Presidente di Stato.
Il primo rapporto è stato elaborato dalla Comisión Nacional sobre Prisión Política y Tortura (Commissione nazionale sulla detenzione politica e la tortura), di nomina ufficiale e presieduta dal vescovo cattolico Sergio Valech (per questo chiamata anche Commissione Valech). Nella relazione finale sono rese pubbliche le testimonianze di 35mila cileni che subirono torture e violenze, pur secretando di fatto i nomi dei torturatori fino al 2054.
Il secondo rapporto è intitolato "Nosotros, los Sobrevivientes, Acusamos" e, a differenza del primo, contiene centinaia di nomi di persone (militari, medici, giornalisti, avvocati, imprenditori) coinvolte nella spietata condotta della dittatura, assieme ad un elenco dei luoghi in cui questi crimini furono commessi. Il documento è stato pubblicato integralmente dal quotidiano cileno La Nación.
Grazie a questi due rapporti si ha un quadro completo di quello che avvenne in Cile sotto la dittatura. A parte la desapariciones di oltre trentamila cileni, le torture, le esecuzioni, si scopre anche che nelle prigioni politiche si arrivò persino a torturare bambini per costringere i loro genitori a confessare. Nel dossier della Commissione Valech sono stati accertati almeno ottantasette casi.
La desapariciones non riguardò solo gli oppositori del regime, ma anche di bambini di questi, sottratti alle madri per essere dati in affidamento a sostenitori del regime che non potevano avere figli.
La via del tramonto del sanguinario dittatore arrivò nel 1982, quando un'ondata di protesta contro il carovita coinvolse tutto il paese. L'anno dopo un'altra protesta coinvolse i minatori del rame che proclamarono uno sciopero generale l'11 maggio. A queste seguirono altre.
Alternando momenti di dura repressione (stato d'assedio dal 1984 al 1985) e finte negoziazioni, Pinochet riuscì in qualche modo a mantenere in vita il programma di costruzione di una democrazia autoritaria e a imporre, nel 1988, la sua figura come candidato unico alla presidenza. Nella consultazione lo scarto tra chi lo voleva ancora alla presidenza e chi non più, fu troppo alto per permettere brogli: il 54,685% dei cileni, infatti, si espresse nel plebiscito per il no. Il voto popolare permise elezioni libere che si tennero l'anno successivo, il 14 dicembre. Dalla consultazione risultò eletto il democristiano Patricio Alwyn con il 55,2%, mentre la destra con Hernan Buchi ottenne il 29%. Pinochet restò tuttavia a capo dell'esercito fino al marzo 1998. Una volta abbandonata questa carica, grazie ad un articolo della Costituzione che egli stesso aveva scritto per i presidenti rimasti in carica almeno sei anni, divenne senatore a vita. Il suo mandato senatoriale rese più dura una sua eventuale incriminazione in Cile.
Il tramonto definitivo arrivò nel 1998, quando Pinochet si recò a Londra per un'operazione chirurgica. Amnesty International e altre organizzazioni chiesero subito il suo arresto per violazione dei diritti umani. Nel frattempo, un coraggioso giudice spagnolo, Baltasar Garzon, fece emettere un mandato di cattura internazionale, chiedendo di incriminare il generale per la morte di cittadini spagnoli durante la dittatura cilena. Pinochet fu messo agli arresti domiciliari nella clinica in cui era ricoverato, in attesa di estradizione verso la Spagna. Il Ministro dell'Interno del Regno Unito, il laburista Jack Straw, il 2 marzo 2000 decise di liberare Pinochet e di permettere il suo ritorno in Cile, negando quindi l'estradizione e adducendo "ragioni umanitarie".
Arrivato in Cile la Corte Suprema del Cile votò per togliere a Pinochet l'immunità parlamentare (tredici voti a favore e nove contrari), ed egli fu quindi inquisito. La stessa Corte riconobbe tuttavia di non dover procedere al processo per motivi medici (demenza vascolare subcorticale), sospendendo di fatto il procedimento nei confronti dell'ex dittatore. Pinochet si dimise dal Congresso e visse quietamente da ex senatore in una lussuosa villa di Santiago.
Il 3 dicembre 2006, all'età di 91 anni, un arresto cardiaco e un edema polmonare lo costringe a subire un intervento di bypass. Il 10 dicembre 2006, Pinochet muore per scompenso cardiaco presso l'Ospedale Militare di Santiago del Cile.
Pinochet è morto libero nonostante i suoi crimini. Chissà se mai è riuscito a leggere quella scritta apposta sul monumento che Santiago ha voluto dedicare ai desaparecidos cileni: Todo mi amor esta aquì y se ha quedado pegado a las rocas, al mar, a las montanas (Tutto il mio amore sta qui dove è rimasto attaccato alle rocce, al mare, alle montagne). Un atto d'amore per il Cile racchiuso in un vincolo tra memoria e oblio.
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BIBLIOGRAFIA
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