Nel 1808 i francesi invadono la Spagna. Hanno di fronte quella che sembra una massa di "straccioni", la quale, tuttavia, costringerà i generali di Napoleone a ripassare i Pirenei dopo sei anni di lotta spossante e inconcludente.
LA GUERRIGLIA SPAGNOLA
di MASSIMO IACOPI
Nel 1808 per assicurarsi il controllo del Mediterraneo e nell'intento di rendere "stagno" il blocco continentale, Napoleone è costretto ad imporre la sua dominazione sulla penisola iberica, troppo aperta all'influenza inglese. Si tratterà, dice il Bonaparte con malcelato ottimismo, di una impresa da ragazzi. E' vero peraltro che dopo l'avvento al potere della dinastia dei Borboni, agli inizi del 1700, la Spagna sembra ormai votata al ruolo di alleato docile della Francia. L'esempio della guerra vittoriosa condotta dalla Convenzione a sud dei Pirenei nel 1793-95 ha convinto l'Imperatore che basteranno alcune decine di migliaia di uomini per assicurarsi il successo di una campagna spagnola ben condotta. Si tratta in effetti di una corsa contro il tempo nei confronti dell'Inghilterra, già saldamente impiantata in Portogallo. Il cotone e la lana merinos di queste terre meridionali rappresentano oggetto della bramosia dei commercianti e degli industriali stranieri. La Spagna sulla quale l'Imperatore e i Francesi sono molto male informati, sembra una preda sacrificale: il popolo è considerato inerte, l'economia sonnecchiante, l'esercito regolare in uno stato pietoso e la famiglia reale in pieno discredito. Le prime truppe francesi penetrano nell'autunno del 1807, agli ordini del maresciallo Murat, che arriva a Madrid il 23 marzo 1808. Napoleone ottiene senza difficoltà l'abdicazione del re Carlo IV e l'esilio di suo figlio Ferdinando VII, deportato nel castello di Valençay per tutta la durata del conflitto.

Presentandosi come il rigeneratore del Paese, l'Imperatore conta di assicurarsi la benevolenza passiva della popolazione e l'appoggio determinante della parte più evoluta della nazione. Le truppe napoleoniche trovano al loro fianco diversi collaboratori, "los afrancesados". Primariamente partigiani della pace e desiderosi di riforme, questi accettano, il più sovente senza entusiasmo, di abbandonare Ferdinando VII al suo triste
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2 maggio, 1808: Pedro Velarde difende l'artiglieria
destino e si schierano dalla parte del nuovo sovrano imposto da Napoleone, nella persona del fratello maggiore Giuseppe. Questi collaboratori dei Francesi, qualificati dai loro avversari "traditori" oppure "Giuseppini" (partigiani di Giuseppe), rappresentano una minoranza rispetto ai resistenti, che concludono fra loro una sacra alleanza, fragile e di circostanza, attorno a qualche parola chiave atta a galvanizzare le energie: la Patria, esposta allo smembramento e alla perdita della sua identità; Re Ferdinando VII, che non ha ancora subito l'usura del potere; la Religione, messa in pericolo dai Francesi miscredenti e anticlericali. Nel maggio 1808, dopo Madrid, si sollevano tutte le province.
Dal 25 settembre 1808 viene costituito un governo insurrezionale patriottico, la Junta Centrale. E se Giuseppe Bonaparte riesce a mantenersi a Madrid dal gennaio 1809 all'agosto 1812, il governo spagnolo insurrezionale, divenuto Consiglio di Reggenza, nel gennaio 1810 esercita la sua autorità sulla maggior parte del Paese. Ideologicamente i patrioti o "veri spagnoli" si dividono in assolutisti e liberali. I primi difendono lo status quo ante; i secondi, proprio come gli afrancesados, reclamano le riforme, pur rifiutando tutte quelle imposte dall'occupante. Questi liberali, che si identificano con la borghesia nascente, approfittano della caduta del potere per suscitare nel 1808 a Cadice, rimasta in mano dei patrioti, una rivoluzione politica che si sostanzia in una assemblea parlamentare: le Cortes straordinarie, riunite nel settembre 1810, che promulgano una Costituzione, parzialmente ispirata alla Costituzione francese del 1791.
Nel resto del paese, girando le spalle a questi cambiamenti politici, i nobili e gli ecclesiastici si industriano a portare il popolo nella lotta contro l'invasore per continuare a difendere, allo stesso tempo, i loro privilegi e i loro interessi minacciati. Questa mobilitazione popolare spiega, in ultima analisi, la sconfitta finale delle truppe napoleoniche, i cui ultimi elementi evacuano la Catalogna nella primavera del 1814, quattro mesi dopo la firma del Trattato di Valençay (11 dicembre 1813), con il quale la Francia riconosce Ferdinando VII come monarca legittimo della Spagna.

Se alla fine l'impresa spagnola si fosse ridotta ad un semplice scontro fra due eserciti regolari probabilmente la questione si sarebbe risolta facilmente, come pronosticato da Napoleone. Nella realtà, nello scontro fu implicata l'intera nazione spagnola, senza che il campo pro francese abbia potuto controbilanciare, in effettivi e determinazione, il campo dei nemici di "Napoladron" (Napoleone ladro). Le motivazioni dei guerriglieri (gli spagnoli hanno coniato questa parola) come abbiamo visto sono molto diversificate. Accanto a quelli preoccupati di difendere l'integrità della patria nel suo insieme, altri sono decisi solo ad impedire che i nemici invadano il loro villaggio. Altri ancora prendono le armi per usarle contro i loro compatrioti che collaborano con i Francesi. Infine, il gusto dell'avventura, la speranza di profitti materiali ma soprattutto quello di fuggire dalla miseria sono il movente che induce molta povera gente a entrare nella guerriglia.
A causa della penuria di armamento i guerriglieri ricorrono in un primo tempo a soluzioni empiriche e di fortuna. La mancanza di armi da fuoco e di vestiario spiega la pratica di combattimento all'arma bianca e il sistematico recupero di uniformi dell'avversario. Prima di ricevere nel 1812 delle uniformi blu di origini inglesi, degli shakot e delle ghette, i guerriglieri navarresi avevano un abbigliamento a dir poco pittoresco. Sulla testa, annodato al di sopra della nuca, un fazzoletto che passa sotto il cappello. Sulla spalla il fucile, sulle spalle o sul fianco il tascapane che serve anche da cuscino, che normalmente contiene una crosta di pane, un pezzo di baccalà, un oncia di cioccolato, la pipa, del tabacco e a volte qualche effetto di ricambio. Agganciata alla cintura di cuoio c'è la cartucciera o una borsa di stoffa come surrogato. Una parte di questi abiti è confezionata dalla popolazione, il cui ruolo, decisivo peraltro, supera largamente questo semplice lavoro d'ago. Gli abitanti curano i feriti, forniscono alloggio e dei pasti abbondanti allorché i guerriglieri rientrano dalle azioni, affamati e spossati. Nell'ambito della popolazioni si reclutano anche le spie, incaricate di seguire i movimenti del nemico, informandone i cabesillas (i capi locali). La memoria collettiva conserverà il ricordo delle imprese di questi capi di piccoli gruppi (partidas), quali El Pastor (Pastore), El Estudiante (Studente), El Medico. Altri soprannomi di capi, molto banali, si riferiscono ad un particolare del vestiario o ad un tratto fisico specifico: El Chaleco (Gilet), El Manco (Monco).

A partire dalla fine del 1808 la pubblicazione di una Ordinanza evidenzia la preoccupazione del governo patriottico spagnolo di mettere ordine nel movimento della guerriglia,
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Una popolana accende il cannone durante l'assedio di Aragona
che minaccia in ogni momento di degenerare in anarchia. Il testo dell'ordinanza fissa le paghe per i vari livelli di responsabilità dei guerriglieri e un abbozzo di ordinamento nel quale i partidas dovranno avere grandezza ideale di 100 uomini, dei quali la metà a cavallo. Una seconda Ordinanza porta la data del 17 aprile 1809. L'articolo 1 offre una migliore definizione globale della guerriglia, che viene chiamata "corsa terrestre", per analogia e assimilazione del concetto dei corsari, che effettuano appunto la "corsa marittima": «Tutti gli abitanti delle Province occupate dalle truppe francesi, in condizione di portare un arma, sono autorizzati ad armarsi, anche di armi proibite, per attaccare e spogliare, tutte le volte che se ne presenterà l'occasione, dei soldati francesi, sia soli che in drappello, per impadronirsi dei viveri e degli effetti a loro destinati, in poche parole procurare loro tutto il male e causare tutti i danneggiamenti possibili».
Questa Ordinanza è ciò che si può definire un appello alla guerra totale, con il sostegno della popolazione, invitata a fornire ai guerriglieri informazioni e nutrimento. Altri articoli dell'Ordinanza ricordano che l'esercito irregolare deve operare all'unisono con l'esercito regolare, che, in ogni caso, conserva la preminenza. In tale contesto i cabecillas organizzano liberamente le loro azioni che assumono forme molto diverse: i guerriglieri attaccano le scorte, si impadroniscono di convogli di armi, liberano i prigionieri e i disertori imprigionati, che vengono portati verso la frontiera pirenaica, fucilano i soldati attardati, intercettano la posta e i corrieri e occupano, a volte, anche dei piccoli punti fortificati.
Uno dei primi successi eclatanti ottenuti dai guerriglieri, che gli Spagnoli mitizzano per evidenti motivi, ha per teatro l'area montagnosa e boscosa nelle vicinanze del comune catalano di El Bruch de Arriba. Il 6 giugno 1808 delle truppe provenienti dal Regno di Napoli, comandate dal generale Schwartz, vengono improvvisamente attaccate presso un bivio. Gli assalitori, forti di alcune centinaia di uomini, sono dei volontari locali rinforzati da disertori e inquadrati da ufficiali svizzeri al servizio della Spagna.
Secondo una regola tattica, che diventerà in seguito un classico, gli Spagnoli si ritirano in direzione del villaggio non appena i fucilieri nemici, riavutisi dalla sorpresa, si lanciano al loro inseguimento. Ma grazie ai rinforzi trovati sul posto, i fuggitivi si rivoltano rapidamente contro l'avanguardia che, sconcertata da questa reazione inattesa, ripiega in disordine. Schwartz, udendo il suono delle campane nel villaggio vicino, teme una sollevazione generale concertata e decide di ritirarsi. In definitiva grazie all'appoggio popolare, reale o supposto, la guerriglia ha potuto tenere il campo.

Come tutte le sconfitte subite davanti alla guerriglia, quella di Schwartz è di poco conto e, soprattutto, non è irrimediabile e pur tuttavia assume i toni della catastrofe. Il colonnello La Faille ne fornisce la ragione nelle sue Memorie e Racconti della campagna di Catalogna dal 1808 al 1814: «Così dai primi giorni delle ostilità, i Catalani, ancora senza capi e senza armi, assistettero alla fuga delle nostre truppe davanti a loro. La notizia di un successo così inatteso, il primo ottenuto dagli Spagnoli in questa guerra si sparse con la rapidità del fulmine e con tutte le esagerazioni dell'orgoglio nazionale. Questa fu la causa che infiammò gli spiriti che peraltro, non erano troppo preparati ad una sollevazione».
Nella vecchia Castiglia, dalle parti di Segovia, si mette in luce il famoso Juan Martin Diez, meglio conosciuto col soprannome di El Empecinado (L'ostinato). Questo vecchio lavoratore dei campi, divenuto poi Maresciallo di Campo nel 1821, à la bestia nera del generale Hugo, che non riuscirà a catturarlo. Come Juaregui, detto El Pastor, come il terribile prete Jeronimo Merino, l'Empecinado sfida i generali di Murat che disperdono con facilità le loro truppe senza mai conseguire il suo annientamento.
Le nuove
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L'assalto al monastero di San Engracia, a Saragozza (1809)
direttive emanate dal Governo spagnolo in data 15 settembre 1811 rivelano l'esistenza di forme deviate di guerriglia. Invece di combattere i Francesi alcune partidas se la prendono con gli abitanti dei villaggi che maltrattano e taglieggiano; refrattari a qualsiasi autorità, i loro uomini sono dei veri e propri delinquenti. Per lo più nazionalisti e quindi inclini a celebrare le gesta eroiche della guerriglia, gli storici spagnoli del XIX secolo hanno sottovalutato o passato sotto silenzio questi episodi negativi del movimento.
I militari napoleonici da parte loro hanno sottolineato, a ragione, la gravità delle conseguenze della guerriglia. In primo luogo, la perdita del controllo delle grandi vie di comunicazione, ad eccezione di qualche grande asse (quale quello Bayonne-Madrid via Burgos), si ripercuote negativamente sulle operazioni, in quanto ritarda o paralizza la trasmissione degli ordini. In maniera generale tutti gli spostamenti di truppe, di munizioni, di rifornimenti e di fondi avvengono in un clima incerto e pericoloso e con delle scorte molto consistenti. Migliaia di uomini che potevano essere impiegati nelle operazioni principali vengono immobilizzati nella lotta alla guerriglia o ridotti a marciare lungo le vie principali senza ottenere risultati tangibili.
La minaccia costante di colpi di mano nelle borgate e nei villaggi, o di imboscate mortali lungo le vie di comunicazione, suscita nei soldati napoleonici una paura ossessiva e un disperato senso di impotenza. Alcuni di loro, come riferisce il generale Hugo nelle sue relazioni, prendono la cattiva abitudine di nascondersi.

Le rappresaglie, con il loro crescendo, alimentano un clima di terrore. Alla fine del 1811, Cruchaga fa assassinare quattro soldati francesi ad Estella, in Navarra. In risposta il generale Abbé ordina l'impiccagione di 20 ostaggi. Gli Spagnoli a loro volta sospendono a degli alberi i cadaveri mutilati di 9 soldati napoleonici e i Francesi replicano con l'esecuzione di altri 18 ostaggi e di 18 parenti di guerriglieri.
La prima misura di ordine militare che ha lo scopo di combattere la guerriglia sul terreno è quella dell'invio, a partire dall'autunno 1809, di squadroni della Gendarmeria. Cavaliere e fucilieri sono agli ordini del generale Busquet. Queste truppe d'élite hanno il compito di riportare l'ordine o, per lo meno, di assicurare le comunicazioni, specie fra Bayonne e Madrid e fra Perpignano e Barcellona. Ma qualche migliaio di uomini in più sono ben lontani dal garantire e proteggere i numerosi convogli che viaggiano lungo questi due assi. Vengono rinforzate sempre di più le scorte, con il risultato di ritardare i convogli. Partito da Irun il 4 febbraio 1812 sotto la protezione di circa 3 mila soldati e di due cannoni, un convoglio di una sessantina di veicoli giunge a Madrid l'11 marzo, dopo oltre un mese!
I militari imperiali comprendono immediatamente che né i fucilieri né i cavalieri né i gendarmi sono in condizione di annientare i partidas. Conoscendo il valore e l'importanza dell'appoggio della popolazione, i francesi concepiscono quindi un tipo di formazione paramilitare con il compito almeno di impedire ai guerriglieri l'accesso alle città e ai villaggi. Le guardie nazionali e le milizie urbane sono destinate simultaneamente al controllo dell'ordine pubblico e a controbattere l'azione della guerriglia. Nella maggior parte dei casi, però, questi tentativi sono destinati all'insuccesso. Per i Francesi il miglior modo di combattere questo fenomeno sarebbe stato quello di opporre una controguerriglia. Solo in un caso specifico questo tentativo prende corpo. In Catalogna un capo della guerriglia tale Juan Pujol, detto Boquica, si è guadagnato una reputazione sinistra. Per misteriose ragioni Pujol abbandona la causa patriottica per servire i Francesi, con i quali egli dichiara di condividere l'ateismo e l'anticlericalismo. Ma in realtà il vero obbiettivo dei suoi uomini è quello di far bottino. Secondo le sue affermazioni, egli ha avuto ai suoi ordini circa 600 uomini e in determinate situazioni egli appoggia le operazioni militari imperiali, mentre il più spesso le sue prodezze si limitano al saccheggio, all'incendio e all'assassinio.

Nessuno sa esattamente quante partidas hanno effettivamente operato nell'insieme del territorio nazionale e molti interrogativi sono ancora senza risposta. Il colonnello Juan Priego Lopez, uno studioso contemporaneo, stima che ben cinquantamila francesi si sono sforzati di contenere un numero di guerriglieri valutati intorno a venti-venticinquemila. Da parte spagnola, è opinione comune che i guerriglieri furono i veri vincitori del conflitto più che i soldati dell'esercito regolare, spesso e volentieri sconfitto nei grandi scontri campali. C'è da dire inoltre che certi guerriglieri e dei cabecillas popolari sono stati oggetto di un processo di mitizzazione le cui numerose tracce persistono nel XIX secolo nella canzoni, nella stampa, nei racconti storici e nei romanzi popolari. Adorati dai loro compatrioti, El Empecinado, El Pastor e i loro uomini hanno ispirato molti ritornelli e canzoni per esprimere l'amore e l'ammirazione per i patrioti. "il mio fidanzato è un lanciere/ di Don Julian/ Se egli mi ama tanto/ io l'amo ancor di più/ Egli ha preso il mio cuore/ l'ha appeso alla sua lancia/ Viva i lancieri/ e morte alla Francia".
Calmata l'esaltazione e tornata la pace, la guerriglia lascia una traccia durevole e negativa in Spagna. L'eroica resistenza delle popolazioni delle città assediate e l'abilità dei guerriglieri riescono a convincere i Francesi che il popolo spagnolo, fino a quel momento disprezzato, si è svegliato. Per contro, sebbene valorizzato dalla vittoria finale, l'esercito spagnolo entra in una crisi profonda. In effetti il reclutamento massiccio dei civili nella guerriglia e le promozioni folgoranti di numerosi cabecillas hanno creato, a fronte dell'esercito tradizionale, un esercito plebeo e pletorico che nel 1814 non accetta di essere ridotto all'inattività e rinviato alle proprie case. Questi cabecillas aureolati di gloria, che Ferdinando VII invidia e teme, si lanciano nella battaglia politica. Da questo stato di cose nascerà, attraverso intrighi e pronunciamientos, la realtà propria della Spagna dei decenni e del secolo successivi, che il romanziere spagnolo, Perez Galdos chiama il "Caudillaje", la stagione di caudillos. La grande scuola del disordine genera un lungo seguito di militari turbolenti e ambiziosi, i caudillos, che aspirano a detenere il potere politico senza accomodamenti e spartizioni.
BIBLIOGRAFIA
  • D. G. Chandler, Le campagne di Napoleone - Rizzoli, Milano 1994
  • R. Chartrand, Spanish guerrillas in the Peninsular war 1808-14 - Osprey, Londra 2004
  • J. Priego López, Guerra de la Independencia 1808-1814 - Madrid 1992