Sono anni di grandi conquiste in ambiti molto diversi: lavoro, famiglia, maternità. Ma sono soprattutto la battaglia per il divorzio e l'aborto a catalizzare gli interessi dei movimenti femminili organizzati
Il femminismo negli anni '70
di MARIA LOMBARDI
La "seconda ondata" del femminismo si diffonde in Italia a partire dal 1968 e soprattutto durante gli anni '70. Si parla di "seconda ondata" perché l'attenzione non viene posta più sulla richiesta di uguaglianza e assimilazione al mondo maschile, come avveniva per le prime rivendicazioni femministe durante l'Ottocento, ma proprio sulle differenze. Si vuole costruire una società che tenga conto delle peculiarità femminili garantendo allo stesso tempo l'uguaglianza dei diritti.
Il nuovo pensiero femminista identifica le differenze sessuali e biologiche come base della discriminazione, peculiarità che si traducono poi in differenze sociali e culturali, relegando la donna a un ruolo subalterno. Per porre fine a queste discriminazioni vengono quindi rifiutate le teorie di Freud secondo le quali le caratteristiche anatomiche femminili definiscono e determinano la psiche, i sogni e l'intero futuro della donna. Si vuole rompere il binomio anatomia-ruolo della persona.
Non si tratta di un movimento unico e organizzato a livello centrale, nascono molti gruppi, spesso differenti tra loro. Elda Guerra, in un volume dedicato all'argomento parla infatti di femminismi, al plurale appunto, «per tentare di dare conto della pluralità delle forme, della molteplicità delle voci e dei gesti in cui si è incarnata l'espressione della soggettività femminile, in termini di soggettività politica».
La studiosa Anna Rossi-Doria periodizza il femminismo italiano degli anni Settanta in quattro fasi: la nascita dei primi gruppi (1968-1972), la formazione dei collettivi (1972-1974), il movimento di massa (1975-1976) e infine la crisi (1977-1979).

Durante il '68 le idee di uguaglianza che pervadono la lotta e l'impegno degli studenti e dei partiti di sinistra, non trovano poi un riscontro reale nel rapporto tra uomo e donna. Le
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ragazze si rendono conto di essere relegate ai margini e a ruoli subalterni all'interno stesso dei movimenti (vengono spesso definite "gli angeli del ciclostile") e, presa coscienza di questa discriminazione, creano spazi solo femminili in cui incontrarsi e discutere. Optano quindi per una politica separatista.
Il taglio netto è nella presa di coscienza femminile che "il personale è politico". È nel privato di ciascuna donna, nella relazione di coppia, nel rapporto sessuale, nella famiglia che si esercita e si perpetua il dominio e il controllo sessuale e sociale sul sesso femminile.
La critica politica delle donne parte quindi da un ambito quotidiano ed extra-pubblico per eccellenza, come la sfera della domesticità, per mostrarne gli effetti pubblici e oppressivi. Attraverso la pratica dell'autocoscienza la casa si trasforma da simbolo dell'isolamento delle donne a spazio politico.
La cellula-base del femminismo della seconda ondata è proprio il piccolo gruppo di sole donne in cui si discutono argomenti estranei alla concezione tradizionale della politica, le esperienze di vita quotidiana, le relazioni, i sentimenti. Si inizia a porre l'attenzione su temi assolutamente nuovi, come ad esempio il proprio corpo e la propria sessualità.
Donne d'ogni età e di ogni condizioni sociale, si raccolgono in "collettivi", uscendo così dall'isolamento familiare. Come si legge in uno dei molti giornali che vedono la luce in questi anni ad opera delle donne (il mensile toscano Rosa): «è un fenomeno tipico dei nostri giorni l'aggregazione di gruppi di donne mosse non solo da intenti direttamente politici, ma anche dalla volontà di discutere secondo un diverso taglio e altrettante diverse discipline, il vero significato politico, economico, sociale della vita delle donne di ieri e di oggi, e soprattutto di interrogarsi sulle prospettive dell'emancipazione della donna».

I gruppi nati in Italia sono tantissimi e diversi tra loro. Il primo movimento femminile organizzato nel nostro paese è il Movimento di liberazione della donna, nato nel 1969. I suoi obiettivi primari sono la legalizzazione dell'aborto e la creazione di asili-nido. È aperto sia alle donne sia agli uomini.
Nel 1970 è la volta di Rivolta femminile (primo gruppo separatista) che esordisce con il manifesto intitolato "Sputiamo su Hegel". Viene rifiutato l'uomo come portatore di un ruolo predominante. «Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione dell'umanità [.]. Hanno giustificato nella metafisica ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna».
Quasi nello stesso periodo appaiono sulla scena i collettivi femminili del Movimento studentesco romano che combattono contro il ruolo secondario della donna nel processo produttivo.
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Oltre ai gruppi separatisti si sviluppa anche una presa di coscienza da parte delle stesse donne impegnate nella politica ufficiale. Esse si rendono conto delle regole gerarchiche inesorabilmente maschili vigenti nei partiti.
Nell'ambito della nuova sinistra nasce il Collettivo Femminista comunista, che per prima cosa rivendica l'autonomia. Esistono poi organizzazioni particolari, come il Cisa (Centro italiano sterilizzazione e aborto) che mette in piedi a Firenze, grazie all'opera di Emma Bonino e Adele Faccio, una clinica per aborti.
In tutte le città principali, ma anche in provincia, troviamo i collettivi, gruppi nei quali non esistono regole gerarchiche di organizzazione. I collettivi crescono e da gruppi ristretti si passa a un fenomeno sociale e diffuso. Ci sono numerose manifestazioni, incontri, nascono radio libere, giornali, case editrici, gruppi teatrali e consultori autogestiti. Dall'interno all'esterno, alla vita pubblica.
Grazie al vigoroso impegno, questi movimenti risvegliano l'attenzione sia dell'opinione pubblica sia del mondo politico, a cui vengono proposte temi di discussione e progetti di legge. Ne è un esempio l'impegno portato avanti nel sostenere le battaglie referendarie, raccogliendo le firme per la depenalizzazione dell'aborto e per la legge di iniziativa popolare sulla violenza sessuale (introdotta solo nel 1996), da configurarsi come reato contro la persona (della donna: e non contro la "moralità pubblica ed il buon costume", come nel codice civile fascista).

Gli anni settanta sono gli anni delle grandi conquiste femminili in diversi ambiti. In campo lavorativo già il decennio precedente aveva visto l'approvazione di alcune importanti leggi. Nel 1961, ad esempio, veniva sancito il diritto alla parità di stipendio nel settore industriale: fino ad allora l'essere uomo garantiva la percezione di una busta paga più generosa. L'ingiusta sperequazione salariale su base sessuale viene vietata anche nel campo commerciale e in agricoltura.
Il 1963 è un anno importante: abbiamo l'istituzione della pensione alle casalinghe, il divieto di licenziamento per matrimonio e il riconoscimento del diritto della donna ad accedere a tutte le cariche, compresa la Magistratura.
Leggi come quella che tutela le lavoratrici madri o quella che prevede l'istituzione degli asili nido, entrambe del 1971, sono modifiche concrete apportate dal neofemminismo per il progresso sociale e civile.
Oltre ai benefici pratici derivanti da questi due provvedimenti legislativi, vengono in tal modo riconosciuti il valore sociale della maternità e l'importanza del lavoro extradomestico della donna, il cui posto era tradizionalmente tra le mura di casa. La maternità e la cura dei figli restano però una prerogativa femminile, per il padre non viene infatti prevista la possibilità di assentarsi e usufruire dei permessi in caso di malattia del bambino.
Tale diritto sarà esteso anche all'uomo solo dopo l'approvazione della legge dal titolo "Parità di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro". Si tratta della legge presentata dal ministro del lavoro Tina Anselmi (la prima donna a essere nominato ministro in Italia, nel 1976), approvata dal Senato nel dicembre del 1977. La legge n. 903 vieta le discriminazioni su base sessuale per quanto riguarda l'accesso al lavoro, l'avanzamento di carriera e il trattamento economico.
Fino ad allora le donne dovevano andare in pensione a 55 anni, cioè prima di aver raggiunto il massimo pensionabile, mentre gli uomini a 60. La nuova legge offre invece la possibilità di scegliere. È prevista la reversibilità della pensione della moglie al marito, anche se non invalido. Importante è anche la fiscalizzazione del periodo di allattamento, non più a carico della singola azienda ma delle mutue. L'affermazione dell'uguaglianza è accompagnata da una notevole limitazione della tutela del lavoro femminile, cadono i divieti riguardanti i lavori ritenuti insani e pericolosi o moralmente nocivi (come la vendita di alcolici). Il divieto di lavoro notturno resta in vigore ma a partire dalle 24 e non dalle 22 e può inoltre essere rimosso dalla contrattazione collettiva.

Altro argomento molto dibattuto è l'aborto: i gruppi femministi rivendicano la libertà di scelta. Nonostante il codice in vigore dai tempi del fascismo lo punisse come "delitto contro l'integrità e la sanità della stirpe", gli aborti clandestini esistevano. Si era creato un enorme giro di affari e purtroppo anche di vite. Sono soprattutto le donne dei ceti più umili ad essere maggiormente esposte a rischi non avendo la possibilità di sostenere spese troppo elevate.
Nel
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1973 il deputato socialista Loris Fortuna presenta un progetto per l'abrogazione della legislazione fascista. Un primo risultato si ha nel luglio del 1975 con l'istituzione dei consultori di maternità. Il servizio ha più che altro la funzione di prevenire l'aborto, diffondendo la conoscenza dei metodi contraccettivi (fino al 1971 ne era vietata persino la propaganda) e aiutando a programmare la maternità.
È soprattutto l'Udi (Unione donne italiane) ad impegnarsi in questa battaglia. Viene proposto un referendum nazionale per la depenalizzazione dell'aborto. Nel frattempo la Corte costituzionale dichiara parzialmente illegittime le norme del codice civile. Ha inizio quindi un confronto tra le diverse forze politiche del paese.
Dopo un primo dibattito con relativa elaborazione di un testo unico (comunque contestato in alcuni punti dalle femministe), nell'aprile 1976 ha inizio la discussione vera e propria. A sorpresa però la Dc presenta un emendamento per riconoscere di nuovo l'aborto come reato punibile. Grazie anche al voto del movimento neofascista la legge sull'aborto non passa.
La crisi del governo Moro e le elezioni anticipate bloccano qualsiasi iniziativa e discussione. La legge viene approvata solo nel 1978.
Il divorzio è invece precedente, viene infatti approvato nel 1970, con la legge Fortuna-Baslini e resiste a un referendum abrogativo nel 1974 voluto dalla Dc. Nonostante le forti pressioni, esercitate soprattutto sulle donne dalla propaganda democristiana, il NO vince col 59% e la legge resta in vigore.

Un altro problema che interessa le donne è la violenza, di cui purtroppo spesso sono vittime. La legislazione anche in questo caso non è d'aiuto. Infatti fino al 1981 è ancora in vigore nel codice il diritto d'onore che permette all'uomo, padre, marito, fratello, di uccidere per difendere la propria dignità. In molte cause per omicidio gli uomini vengono assolti proprio in base a questa assurda legge. Il marito aveva anche il potere di "azioni correttive" tramite l'esercizio della potestà maritale. Numerosi sono i casi di donne picchiate semplicemente per non aver lavato i piatti.
Solo con il diritto di famiglia del 1975 la situazione cambia, per legge infatti viene riconosciuta la parità dei coniugi all'interno del matrimonio. Termina così il ruolo subalterno della donna che fino ad allora era costretta a sottostare alla potestà maritale, totalmente sottomessa e dipendente dalle scelte del capofamiglia.
  • E. GUERRA, Una nuova soggettività in T. BERTILOTTI, A. SCATTIGNO, Il femminismo degli anni settanta, Roma, Viella, 2005
  • A. ROSSI-DORIA, Ipotesi per una storia che verrà in T. BERTILOTTI, A. SCATTIGNO, Il femminismo degli anni settanta, Roma, Viella, 2005
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  • A. SERONI, La questione femminile in Italia 1970-1977, Roma, Editori Riuniti, 1977
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