Sempre negato dalle autorità militari, lo stupro fu strumento di punizione e di terrore utilizzato dalle truppe francesi contro la popolazione femminile algerina. Il picco si registrò tra il 1959 e il 1960, soprattutto nelle zone rurali.
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La guerra d'Algeria e la violenza sulle donne
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Tra il 1954 e il 1962 la Francia fu impegnata a combattere la rivolta algerina guidata dal Front de Libération Nationale (FLN). L'esercito francese, reduce dalla sconfitta subita in Indocina nel maggio del 1954, adottò nel conflitto con gli indipendentisti algerini una strategia che considerava l'intera popolazione civile come affiancatrice dei ribelli.
La guerra fu segnata da attentati e cruente rappresaglie nonché dall'uso generalizzato della tortura e del napalm. Non mancarono numerosi stupri cui si resero responsabili i militari francesi.
Iniziato con gli attacchi della resistenza algerina del 1° novembre 1954, il conflitto si prolungò per lunghi anni senza esclusione di colpi, trasformandosi in una lotta senza quartiere. Le autorità francesi negarono qualsiasi dialogo: la sola negoziazione possibile - disse l'allora ministro degli interni François Mitterand - era la guerra.
Circa un milione tra morti e dispersi fu, alla fine, il risultato degli scontri, ma le vittime delle violenze di ogni tipo furono molte di più. Non si dimentichi, inoltre, che nella Legione Straniera si erano arruolati ex criminali delle SS i quali poterono sfogare la propria crudeltà contro i partigiani algerini catturati dopo averlo fatto già in Indocina.
Oltre alle innumerevoli tipologie di torture usate, da quelle classiche a quelle moderne con l'elettricità, gli stupri delle donne algerine furono veri e propri mezzi di una strategia di guerra repressiva e violenta.
Le truppe francesi praticarono anche un'altra infamia, quella di utilizzare alcune donne imprigionate nei campi di detenzione come schiave sessuali per soldati e ufficiali. Simone De Beauvoir, nello scrivere la prefazione al libro sul racconto di Giselle Halimi, l'avvocatessa che difese la partigiana algerina Djamila Boupacha, dopo aver parlato senza remore di "uomini, vecchi, bambini mitragliati nel corso di rastrellamenti, bruciati vivi nei loro villaggi, fatti fuori, sgozzati, sventrati, martirizzati a morte", accennò proprio a "centri di raggruppamento (.) di fatto campi di sterminio - adoperati in via subordinata come bordelli per i corpi scelti".
Moltissime furono le algerine catturate, accusate di appartenere al Front de Libération Nationale, violentate durante gli interrogatori e la detenzione. Anzi, la violenza carnale fu usata sistematicamente come mezzo di interrogatorio e tortura, potremmo quasi dire "una tortura nella tortura".
Giselle Halimi confermò che "nove volte su dieci le donne da lei interrogate avevano subito stupri di ogni tipo, ma la loro vergogna era tale che la supplicavano di nascondere la verità".
Anche Luisette Ighilahriz, catturata nel 1957, per ben tre mesi fu vittima di stupri e violenze, raccontando poi in un libro la sua drammatica esperienza. Ben 50 donne vennero poi torturate e violentate in un noto centro di interrogatori.
La storica francese Raphaelle Branche parla di due diversi tipi di stupro: quello usato come atto di tortura per ottenere informazioni dai prigionieri e quello praticato nel corso delle operazioni militari nelle campagne, dove le donne venivano violentate senza alcun motivo. La violenza carnale a volte era di gruppo, altre volte veniva realizzata "con oggetti di vario tipo".
Ci furono casi di ufficiali che si opposero a tali violenze ma, in genere, ciò non avveniva anche perché la violenza carnale era l'ultima delle preoccupazioni dei graduati francesi, "soprattutto quando smisero di considerare le donne algerine come vittime civili, iniziando invece a temerle come combattenti nemiche".
Il ricorso a tali violenze non fu, inoltre, prerogativa dei militari di carriera ma anche degli stessi soldati di leva nell'ottica di una presunzione coloniale di superiorità.
Tra il 1959 e il 1960, con l'intensificarsi dell'azione dell'esercito francese per annientare la resistenza, gli stupri assunsero un vero e proprio carattere di massa in città ma soprattutto in campagna. Le stesse perquisizioni domiciliari diventavano l'occasione ideale per sottoporre le vittime a vessazioni sessuali.
Come riportato recentemente dal quotidiano parigino Le Monde, un soldato raccontò di aver assistito a "centinaia di stupri" e che in un noto centro di tortura in Algeri "le donne venivano violentate in media nove volte su dieci, in funzione della loro età e del loro aspetto fisico".
Durante le azioni di rappresaglia lo stupro diventava strumento di punizione e terrore. Il ruolo degli ufficiali fu sempre determinante a causa dell'autonomia di cui godevano nelle azioni militari.
Naturalmente, le autorità militari francesi, pur non potendo negare l'esistenza di alcuni episodi, non ammettevano l'uso indiscriminato delle violenze e negli atti ufficiali condannavano tali fatti. Così il 1° luglio 1958 il generale Salan precisava che "de tels actes n'ont ni excuse ni justification".
Fatto sta che le truppe francesi penetravano nei villaggi algerini che mettevano e ferro e fuoco, arrestavano gli uomini, depredavano le case e violentavano le donne in un vortice di terrore.
Della frequenza delle violenze, considerate parte della strategia della cosiddetta "pacificazione" dell'Algeria, parlò anche un pastore protestante precisando che "le viol des femmes devient une manière de pacification".
Soprattutto dopo aver subito delle imboscate, i militari francesi, ritenendo complici le popolazioni civili, piombavano sui centri abitati civili uccidendo gli uomini e stuprando le donne, prima di far saltare le case con la dinamite.
Indubbiamente, come nel primo conflitto mondiale, la violenza sulle donne rappresentò anche nella guerra d'Algeria un modo per inviare messaggi al nemico, per umiliarlo attraverso la consapevolezza della sua incapacità a difendere la proprie donne.
Ma la violenza carnale rappresentò pure una chiara strategia militare imperniata sul terrorismo delle popolazioni locali viste con la presunzione coloniale dei conquistatori..
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BIBLIOGRAFIA
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