Il nome dell'inventore non è noto, eppure questa scoperta, attribuita ai Sumeri, ha rivoluzionato la storia dell'umanità. Prima nel settore dei trasporti e poi nell'ambito della meccanica.
La ruota: 6000 anni
e non sentirli
di MAX TRIMURTI
La prima ruota della storia non ci ha fornito alcuna informazione sulla sua origine né su colui che per primo l'ha utilizzata. "Quello che accade secondo le leggi della natura, la cui causa ci sfugge, ci meraviglia. La causa di tutto questo sta nell'essenza del cerchio. Essa è veramente molto naturale, in quanto non c'è nulla in contraddittorio al fatto che il meraviglioso scaturisca dal meraviglioso. Ma una riunione di proprietà contrarie in un tutto unitario è quello che esiste di più meraviglioso. Il cerchio è veramente composto in questo modo, poiché è originato da qualche cosa che si muove e qualche cosa che resta sul posto". Dietro a questa dotta disquisizione di Aristotele sul cerchio c'è la ruota che, dal tempo dei Sumeri nel IV millennio prima della nostra era, scuote il mondo mediterraneo (e quindi l'Occidente intero) e nello stesso tempo assicura lo sviluppo economico della Cina. Questa meraviglia è diventata talmente comune ai giorni nostri che sembra inevitabile constatare, come già fece Diderot nel XVIII secolo, sei millenni dopo la sua comparsa: "La ruota è una delle principali potenze impiegate nella meccanica e viene utilizzata nella maggior parte delle macchine; in effetti le principali macchine di cui noi ci serviamo, come l'orologio, i mulini, ecc. non sono altro che dei sistemi di ruote".
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Diligenza dei primi dell'800
Indubbiamente i mulini sono ormai quasi scomparsi, gli orologi fanno ormai ricorso ad altre tecnologie, ma, nel secolo dell'automobile - che segue il secolo dei binari - il formidabile sviluppo dei trasporti terrestri deve tutto alla ruota: quasi come un ritorno alle origini. La ruota non è altro che la conseguenza logica della più nobile conquista dell'uomo, il cavallo, che alla forza pura del bue aggiunge la velocità. L'assenza di queste forze animali sul continente americano spiega per certi aspetti l'assenza della ruota in civiltà abbastanza sviluppate come quelle dei Maya, degli Aztechi e degli Inca. La scomparsa dei grandi mammiferi nel paleolitico, la comparsa, prima dell'invenzione della ruota, di popolazioni asiatiche attraverso gli stretti di Bering e l'assenza di scambi con il Vecchio Mondo, hanno fatto sì che l'impero maya, che pure mise a punto una scrittura geroglifica, e che costruiva città e strade, dovesse aspettare Cristoforo Colombo per scoprire la ruota. Gli autori dei bassorilievi di Ur (nella bassa Mesopotamia, 3.500 anni prima di Cristo), sui quali figurano i primi carri della storia, sono altrettanto anonimi di quelli che hanno impiegato la ruota per utilizzare il "motore" animale, sostituendo allo scivolamento delle slitte lo scorrimento dei carri, fonte di minore sfregamento (attrito) e quindi di resistenza alla trazione, soprattutto in quei paesi in cui sabbia, pietre e polvere la facevano da padrone. Il cavallo fu "attaccato" o "asserito" forse ben prima di essere "montato". E la ruota servì a trasformare il lavoro alternativo o irregolare dell'uomo in movimento continuo, un problema che sarà fonte di preoccupazione costante attraverso i millenni: allo stesso modo il volano d'inerzia e il sistema biella-manovella consentono di far funzionare efficacemente il motore.

Il gemellaggio delle ruote
L'uomo avrebbe cominciato con il rotolamento prima di mettersi su ruota. Quella che compare sui carri da caccia di Ur è ben lungi dall'essere un semplice disco di legno pieno: piuttosto, si tratta di un meccanismo già elaborato. L'estremità dell'asse fuoriesce dalla ruota e alloggia una chiavetta, che serve a mantenere la ruota in posizione. La ruota monoblocco, la più semplice, viene nondimeno utilizzata per i trasporti pesanti dagli Assiri, come verrà fatto anche dai Romani, che la dispongono su diversi piani, lanciando il tal modo il "gemellaggio" delle ruote. Di fatto la ruota evolve verso l'assemblaggio di un cerchione e dei raggi fra questo e il mozzo: lo testimoniano le ruote a quattro raggi per i carri dell'età del bronzo raffigurati su delle rocce in Svezia; a sei raggi per le due ruote dei carri dei Garamanti del Sahara, descritti da Erodoto; a due raggi per la ruota dei Galli. Gli Egizi, che scoprono il cavallo e la ruota nel II millennio avanti
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Lo sviluppo della ruota
Cristo grazie ai pastori nomadi Hyksos, equipaggiano i loro carri di ruote a quattro raggi, dando loro un aspetto leggero, fatto più per la velocità nella caccia o in combattimento che per il trasporto pesante. Essi utilizzano il traino su piani inclinati per le loro costruzioni monumentali e ricorrono al fiume Nilo per i loro trasporti. I carri servono a trasportare il cibo verso i cantieri. Di fatto, se le ruote apportano ai militari nuovi mezzi per fare la guerra, esse non fanno però conoscere al mondo di allora una rivoluzione nei trasporti. Il loro impiego risulta limitato dalla fragilità: piatte, parallele e perpendicolari all'asse, esse risultano molto sensibili agli urti laterali e alle spinte trasversali; senza il cerchione in ferro si logorano prematuramente e non resistono ai forti carichi. L'ignoranza del treno anteriore mobile li obbliga a costruire carri corti con due treni di ruote molto ravvicinati, quasi tangenti per prendere meglio le curve.

Il motore animale frena la ruota
La non corretta utilizzazione del "motore" animale costituisce peraltro un freno considerevole: l'Antichità non conosce né la ferratura né il giogo che consente l'attacco in linea (su diverse file, le une dietro le altre). Essa ignora la bardatura posta sul petto dell'animale (peraltro conosciuta in Cina nel periodo Han) o il giogo sulle spalle che consente al cavallo di esprimere tutta la sua potenza di trazione. In effetti, attaccato per mezzo di un collare che gli rinserra la gola, il cavallo è costretto a sollevare la testa per effetto della pressione di strangolamento (esso appare sempre con la testa verso l'indietro negli affreschi dell'epoca) e carica il suo peso sui garretti posteriori.
Un regolamento di Teodosio II, pubblicato a Bisanzio nel 438, promulgato poi in Occidente da Valentiniano II e successivamente ripreso da Alarico, re dei Visigoti, limita il peso delle vetture attaccate - sotto pena di esilio o si lavori forzati nelle miniere per i contravventori - a 300 libbre (99 kg) per le vetture leggere a due ruote, a 1000 libbre (328 kg) per vetture o carri a quattro ruote destinate al trasporto di viaggiatori, a 1500 libbre (492 kg) per le vetture da trazione lente. Per fare un semplice paragone, nel XX secolo un asino da solo poteva tirare circa 500 kg di carico utile.
Eppure l'Impero romano è un grande utilizzatore della ruota: nelle costruzioni, dove impiega delle macchine di sollevamento e nel trasporto, dove costruisce, a partire dal I secolo a.C. una rete stradale di ben 310.000 chilometri di vie principali e secondarie. Per valutare l'importanza di questo straordinario sistema viario, basti pensare che i Romani hanno lasciato nella sola Gallia, dopo 500 anni di dominio, ben 20 mila chilometri di strade, un dato, questo, che rappresentava ancora la lunghezza della rete viaria della Francia prima della rivoluzione!

La bardatura pettorale
Il crollo dell'Impero comporta l'abbandono e la scomparsa di questa rete viaria che impiegherà quasi quindici secoli a rinascere. In effetti, verso la fine del 1500 il ministro Sully in Francia viene nominato responsabile della rete viaria e nel corso del 1700 viene creata un'amministrazione speciale, incaricata della circolazione, e una scuola per gli ingegneri. Bisognerà comunque attendere la fine del 1700 affinché venga enunciato il principio della costruzione della carreggiata inghiaiata, che verrà applicata solo nel 1820 dall'ingegnere inglese Mac Adam (da cui deriva il macadam). Il fallimento dei primi esperimenti automobilistici e il formidabile successo riscosso dalle ferrovie possono essere spiegati per lo stato tutt'altro che decoroso delle strade di allora.
Per le esigenze dell'artiglieria, la ruota ritorna protagonista nel Medioevo, facilitata da progressi considerevoli (spesso però introdotti dall'Oriente): la ferratura dei cavalli e l'introduzione del bilanciere (un pezzo di legno o di ferro connesso al timone e al cassone della vettura e al quale, tramite corregge, vengono collegati gli attacchi del cavallo) e l'avantreno girevole che, chiudendo con l'era dei carri rigidi, consente finalmente alla vettura una accresciuta facilità d'impiego.
La bardatura posta sul petto del cavallo appare a partire dal X secolo, il collare applicato alle spalle dell'animale risale al XI -XII secolo, mentre l'attacco su più file giunge nel XVI secolo. I ferri facilitano la progressione dell'animale e proteggono i suoi piedi, mentre il collare, applicato alle spalle, permette un impiego più efficace della forza del cavallo.
Nel 1430 l'artiglieria del Duca di Borgogna, ma anche quella del Duca d'Este, è equipaggiata su ruote che non sono più piatte e in cui compaiono l'inclinazione verso l'esterno della parte alta del piano della ruota rispetto all'asse di rotazione (per ridurre lo sforzo esercitato sul fusello dell'asse) e l'inclinazione dei raggi verso l'interno della ruota (per renderla meno sensibile ai colpi laterali).
Nel XVII secolo l'impiego dell'avantreno mobile si generalizza, mentre iniziano ad apparire le prime sospensioni in lamine d'acciaio. La vettura trainata da cavalli comincia ad assumere l'aspetto che noi conosciamo, con le sue ruote posteriori di grande diametro, per diminuire l'attrito ed evitare di invischiarsi nel fango, e le piccole ruote anteriori per la direzione, che, passando sotto il cassone, consentono una virata di 90°.

1845: il pneumatico gonfiabile
N
el XVIII secolo, sotto l'impulso di Gribevaul, celebre artigliere e luogotenente generale dell'esercito francese, la ruota
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Una ruota antica di 2000 anni
subisce un altro progresso fondamentale: viene inclinata sul suo piano di attacco, in modo che la superficie di scorrimento sia ben piatta sulla carreggiata, a prescindere dal carico. La ruota guadagna così in resistenza al carico. Con la convergenza delle ruote di direzione, le ruote raggiungono la loro geometria finale. Durante lo stesso secolo un ingegnere inglese inventa per i vagoncini della miniera di Newcastle il binario profilato in legno e le ruote adattabili. Un altro inglese, Blacket, dimostra nel 1813 che l'aderenza di una locomotiva diviene effettiva quando il peso si trova sull'asse delle ruote motrici. Nel 1814, George Stephenson, mette delle ruote profilate sulla sua vaporiera e ha l'idea di rendere tutti gli assi solidali attraverso una catena che, più avanti, viene rimpiazzata da un sistema biella-manovella. Il binario, che è in acciaio, inizia il suo sviluppo e diventa quello della ferrovia. Nel 1845 Robert Thompson, in Gran Bretagna, inventa un dispositivo consistente "nell'applicazione di supporti elastici intorno alle bande delle ruote della vettura, al fine di diminuire le potenze necessarie per tirarla". Thompson inventa inizialmente il pneumatico gonfiabile, prima di orientarsi, davanti alle difficoltà di fabbricazione, sulle coperture piene che accrescono il contatto con il suolo, evitano di impantanarsi e permettono, pertanto, di ridurre le dimensioni delle ruote: in tal modo due ruote di 400 kg possono essere sostituite da due piccole ruote da 100 kg. Secondo uno studio della metà del XIX secolo, confermato da Michelin nel 1896, il pneumatico pieno consente una economia di trazione del 38% su una buona strada e del 63% su una meno buona. Agli inizi del XX secolo George Cayley aveva acquisito un brevetto per una ruota elastica, nella quale la cerchiatura esterna metallica, rivestita di caucciù, era collegata per mezzo di molle a nastro al posto degli abituali raggi. Questo procedimento, che assorbiva bene gli urti e che conobbe un certo successo, verrà ripreso nel 1971 per il primo veicolo lunare americano. Ma sarà un veterinario inglese, stabilitosi in Irlanda, che darà alla ruota la sua configurazione attuale. John Boyd Dunlop registra, il 23 luglio 1888, il brevetto per una camera in caucciù gonfiata come un pallone di calcio, che aveva appena sperimentato. Inizia l'era del pneumatico gonfiabile che si impone sul mercato e apre la via all'automobile. Il pneumatico gonfiabile, senza camera d'aria interna, rappresenterà, quindi, il passo successivo lungo lo stesso percorso.
BIBLIOGRAFIA
  • M. Vegetti, Dalla rivoluzione agricola a Roma - Zanichelli, Bologna, 1993
  • G. Camps, Il Neolitico - Jaca Book, 2001