La cosmesi è l'intuizione estetica volta a esaltare le qualità somatiche, la freschezza e l'armonia del corpo. Il trucco, invece, è un'operazione estetica materiale e decorativa. Lo sapevano già gli antichi Egizi...
Il trucco c'è e si vede
di RENZO PATERNOSTER

Ogni volta che ci prendiamo cura della bellezza del nostro corpo, non facciamo altro che ripetere gesti che da secoli donne e uomini di ogni cultura e tempo hanno compiuto.
La cosmesi, infatti, è un'arte che ha origini antichissime. Prima le donne, poi anche gli uomini, si sono prodigati per arrestare i segni del tempo sul proprio viso e sulla pelle o per mantenere e accrescere la bellezza del loro aspetto.
È interessante scoprire che ciascuna civiltà sviluppa un proprio ideale di bellezza ed elabora un'arte cosmetica che permette di esaltare alcuni aspetti particolari del corpo. In ogni epoca e in qualsiasi parte del mondo ogni cultura ha utilizzato degli accorgimenti per far risaltare il proprio corpo, a fini religiosi, culturali o semplicemente estetici. Infatti, i visi colorati, le acconciature dei capelli, i tatuaggi sulla pelle, le orecchie forate, i gioielli e l'abbigliamento possono essere interpretati come veri e propri messaggi.
Occorre, prima di addentrarci nella nostra storia della bellezza, fare una distinzione: il trucco ha un aspetto coincidente con la cosmetica; da un punto di vista etimologico, però, si opera una differenza fra trucco e cosmesi vera e propria.
Cosmetica viene dal greco kosmetikòs, "atto ad abbellire", e questo da kosmèo, "adorno, io abbellisco", che a sua volta deriva nientemeno che da kòsmos, "ordine". Di quello che anche noi oggi chiamiamo cosmo gli antichi Greci coglievano innanzitutto un aspetto: l'essere un tutto armonico e ordinato, in opposizione al disordine del caos.
La cosmesi è dunque l'intuizione estetica col fine esclusivo di esaltare le qualità somatiche, la freschezza e l'armonia del corpo. Il trucco, invece, è l'operazione estetica materiale con un cosmetico decorativo che «cancella il volto come natura, per rivelarlo come artificio» (P. Magli, "La maschera dell'idolo", in G. Butazzi e A. Mottola Molfino, La donna fatale, De Agostini, 1991).
Il truccarsi, perciò, implica una modificazione, anche se episodica e provvisoria, per mezzo di cosmetici e altri espedienti. Questo ci rimanda al significato che si dà alla malizia e all'arguzia, cui si ricorre per fare giochi di prestigio o fare teatro (M. Manvati, Cosmesi e storia della cosmetica, Edizioni Il Grappolo, 1996).

Clicca sulla immagine per ingrandire
Occhio Di Horus. Esempio di mesdemet
L'inizio vero e proprio dell'uso dei cosmetici si perde nella notte dei tempi, per cui stabilire una data di nascita della cosmesi è impossibile. È certo comunque che l'uso di profumi insieme a sostanze coloranti per il volto e per il corpo è antico come l'essere umano (la storia dei profumi procede di pari passo con la storia della cosmetica. Cfr. mio articolo su questa stessa rivista: La storia del profumo, http://www.storiain.net/arret/num151/artic5.asp). Sono noti disegni rupestri rappresentanti figure umane con il corpo dipinto, specialmente il viso (grotte di Altamira in Spagna e di Lascaux in Francia): ci si colorava la pelle (soprattutto il viso) per palesare la propria appartenenza a una famiglia, a un clan o a una tribù.
Ovviamente anche la funzione sacra dei colori sul corpo ha la sua rilevanza: sin dalla preistoria servivano a mettere in contatto l'essere umano con la divinità, non a caso in quasi tutte le danze sacre i danzatori prestavano molta cura e attenzione al trucco. In India, ancora oggi, è usanza colorare viso, mani, piedi con l'henné e ungersi e profumarsi i capelli per assicurarsi la benevolenza degli dei.

Clicca sulla immagine per ingrandire
Papiro di Ebers
Nell'antico Egitto i sacerdoti confezionavano unguenti a base di timo, origano, mirra, incenso, lavanda, oli di sesamo, di oliva e di mandorle. Questi prodotti, usati soprattutto per la mummificazione dei corpi dei defunti, erano impiegati anche per massaggiare il corpo dei vivi dopo il bagno, per preservarlo dagli sgradevoli effetti della sudorazione. Così, all'aspetto culturale si accompagna anche quello profano: accanto ai prodotti per il tempio, si diffonde l'uso dei cosmetici anche per la vita quotidiana. E questo non soltanto per le classi più abbienti, ma anche per gli artigiani e gli operai.
Nel papiro Ebers (ca. 1550 a.C.) è scritta, tra le altre cose, la prima ricetta di cosmetico: in essa si parla di vari profumi impastati con polvere di corno e sangue di lucertola.
Un altro documento che ci fa conoscere quanto fosse importante la coltivazione dei fiori per uso cosmetico a quel tempo, è il bassorilievo della tomba del sacerdote Psamtik-Meri-Nit, del Basso Impero, il quale raffigura la raccolta dei gigli per la preparazione delle essenze profumate care agli Egizi.
Per gli antichi Egizi la bellezza era importante quanto la salute, tanto che erano riusciti a produrre cosmetici che fungevano anche da medicinali. In questo modo con i gesti di quotidiana bellezza si assicuravano la protezione del corpo contro l'aggressività del clima e del luogo.
Il famoso trucco applicato al contorno degli occhi con galena nera (un solfuro di piombo di colore grigio scuro) o malachite verde (un minerale color verde-smeraldo) aveva il triplice scopo di abbellire, proteggere e curare: il sole e l'aria di quei luoghi causavano riverberi intensi e la finissima sabbia dava fortissime irritazioni oculari. Il trucco con galena nera o malachite verde assicurava agli antichi Egizi la cura del tracoma (un'infezione virale dell'occhio), dell'emeralopia (ovvero la riduzione della vista durante il crepuscolo) o la più comune congiuntivite. Alle finissime polveri di queste sostanze erano aggiunti grassi animali, cera d'api o resine, che rendevano il prodotto in grado di essere spalmato e ne garantivano sia l'attività terapeutica sia quella cosmetica. Non a caso, nei papiri questa usanza è indicata col termine mesdemet, che vuol dire "che fa parlare gli occhi".

Nell'antico Egitto, almeno fino all'Antico Regno (2640-2155 a.C.) il trucco non variava secondo il sesso (più tardi inizierà la distinzione nei colori per maschi e femmine). Le statuette di Sepa, gran dignitario della terza Dinastia, e di sua moglie Nesa, lo confermano: entrambi hanno gli occhi sottolineati da un tratto di malachite verde, con una spessa riga sulla palpebra inferiore.
Singolare è stato il cosiddetto cono cosmetico egizio: un cono di profumo reso solido con del grasso, portato sulla testa, che, col calore del corpo, si scioglieva lentamente, intridendo di profumo la pelle.
Gli Egizi importavano dall'Oriente oli essenziali e minerali utili alla produzione di unguenti e profumi già 3500 anni prima di Cristo. L'uso di questi unguenti fu poi adottato anche da altri popoli del Mediterraneo, dapprima nell'area medio-orientale, poi in quella europea.
Con le prime forme di civiltà l'arte della cosmesi ha cominciato a svilupparsi: ciò è avvenuto principalmente nell'area mediorientale del Mediterraneo. Numerosi reperti archeologici ci offrono testimonianza dell'antico uso dei cosmetici anche presso Sumeri, Ittiti, Assiri e Babilonesi. Alla leggendaria regina di Saba, ad esempio, sono collegati i primi riferimenti alla crema da notte e alla crema depilatoria. La prima era un unguento a base di grasso di bue o di cammello in cui era fatta macerare un'erba: veniva spalmata sul viso la sera prima di dormire e lavata la mattina con acqua calda. La seconda era una pasta fatta di cera, resina o gomma arabica e miele.
Questi popoli, grazie alla ricchezza di minerali e piante (antimonio, carbone, lapislazzuli, cinabro, carminio, malachite, zafferano...) poterono usufruire della materia prima per preparare oli profumati, unguenti aromatici e cosmetici.

L'uso della cosmesi penetrò dall'Oriente dapprima in Grecia, poi nel mondo romano. Nella Grecia pre-classica il giudizio di bellezza era molto vago poiché non esisteva ancora una comprensione consapevole di questo concetto. Per filosofi e poeti, con l'importante eccezione della poetessa Saffo, il tema della bellezza non sembra rilevante.
Nella Grecia classica il concetto di bellezza assunse toni più delineati: attraverso gli inni la bellezza si rivela nell'armonia del cosmo, attraverso la poesia essa si esprime nella delizia che fa gioire le persone, attraverso la scultura si raffigura nelle appropriate misure e nella simmetria delle parti che la compongono. Se nella letteratura l'eroe è il soggetto che incarna la bellezza epica, l'atleta è il soggetto preferito dagli scultori per le sue qualità estetiche, per il corpo "educato" e statuario, ma anche per quelle interiori, come autocontrollo, volontà, equilibrio, costanza, coraggio (l'atleta diventa così il modello per rappresentare anche la divinità).
Il cosmetico più diffuso nell'antica Grecia era indubbiamente la biacca (pigmento inorganico costituito da carbonato basico di piombo) che dava alla pelle un colore bianco. Per dare colore si usava invece il rosso del minio (ossido di piombo di colore arancione), oppure quello che si otteneva da una pianta, l'anchusa tinctoria, o dal phukos (un'alga marina). Il rosso si applicava sulle labbra e sulle guance con un pennello, mentre su ciglia e sopracciglia si passava un leggero strato di polvere nera di antimonio. L'uso di questi belletti era tuttavia vietato durante il lutto e le cerimonie legate ai misteri di Demetra.
Nell'antica Grecia la cura del corpo era soprattutto l'arte dell'unzione e dei massaggi, che diventavano talmente raffinati da individuare, per ogni parte del corpo, unguenti diversi: lavanda per il corpo e rosa per il viso. Anche i capelli avevano la loro importanza: ne sono testimonianza le numerose rappresentazioni della classica acconciatura "a pieghe"; inoltre, era assai frequente la colorazione dei capelli, specialmente in biondo, o la loro profumazione con il nard (lavanda).

Clicca sulla immagine per ingrandire
Una pagina del Regimen sanitatis (XII-XIII secolo) con consigli di salute
I Romani impararono a curare il loro aspetto fisico dopo la conquista della Grecia (146 a.C.), assumendo dai Greci i canoni estetici e le relative usanze. Profumi, cosmetici e belletti si diffusero così nel mondo romano, trovando nell'età imperiale la massima diffusione, nonostante l'opposizione dei moralisti legati a modelli comportamentali tradizionalisti e anti-ellenici. Si pubblicarono addirittura dei manuali di bellezza, ad esempio il De medicamine faciei feminae di Ovidio, trattato poetico di toletta femminile.
Attraverso le informazioni forniteci da scrittori latini quali Plauto, Catone, Varrone, Cicerone, Properzio, Catullo, Marziale, Giovenale e altri, si è in grado di ricostruire l'importanza dell'uso dei cosmetici nella vita individuale e sociale della civiltà romana.
A Roma non si conosceva l'uso del sapone: racconta Plinio il Vecchio che tutti usavano come detergenti la soda o la creta finissima o, ancora, la farina di fave e, dopo il bagno massaggiavano il corpo con olio di oliva per proteggersi dalle infreddature. I Romani conoscevano il sapo, il sapone, inventato dai Galli, ma questa era una tintura per capelli: scrive Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (Libro 28, capitolo 47): «prodest et sapo, galliarum hoc inventum rutilandis capillis. fit ex sebo et cinere, optimus fagino et caprino, duobus modis, spissus ac liquidus, uterque apud germanos maiore in usu viris quam feminis» ("Il sapone, anche, è molto utile a questo fine, un'invenzione dei Galli per dare una tinta rossastra ai capelli. Questa sostanza è preparata da sego e dalle ceneri, le migliori per lo scopo sono le ceneri di faggio e il grasso di capra: ce ne sono due generi, il sapone duro e quello liquido, entrambi molto usati dalla gente della Germania, gli uomini, in particolare, più delle donne").
Anche le donne romane per ottenere una carnagione perfettamente candida usavano applicare come fondotinta una creta speciale o, in alternativa, la nivea cerussa (pomata pericolosa perché a base di carbonato di piombo). Le labbra o le guance rosse erano ottenute utilizzando, come facevano le antiche greche, la polvere di minio, l'estratto di anchusa tinctoria o ancora il distillato di phukos, oppure il succo delle more del gelso o la pericolosa sandracca (solfuro di arsenico). Tutto il necessario cosmetico era preparato fresco da schiave specializzate, le cosiddette cosmetae.

In quest'epoca è attestato anche l'uso di creme depilatore, tra cui il psilothrum, una pasta depilatoria a base di olio, pece, resina e sostanze caustiche che serviva a liberarsi dai peli superflui e a rendere liscia la pelle.
Per esaltare la propria avvenenza le donne dell'antica Roma usavano anche dipingersi dei nei giudiziosamente distribuiti sul viso e sul corpo. Si tingevano le sopracciglia, sottolineando la forma degli occhi con cenere, se si voleva un colore scuro, o con croco di Cidno, quando se ne desiderava uno marrone dorato. Anche le acconciature erano considerate un abbellimento: erano molto elaborate, costituite da riccioli sovrapposti in altezza che potevano raggiungere anche i quaranta centimetri, e preferibilmente di colore biondo oppure rosso acceso. Per coprire la canizie si usava il mallo delle noci.
Se Semiramide, la bellissima regina dell'Assiria, faceva il bagno nella birra per rendere fresca ed elastica la sua pelle, Poppea, l'amante-moglie dell'imperatore Nerone, preferiva il latte di asina. Racconta Plinio il Vecchio che l'intrigante Poppea faceva mungere trecento asine ogni giorno per riempire la sua vasca da bagno. Non solo. Una mandria di asine accompagnava Poppea nei suoi viaggi. Oltre a farci il bagno, la bellissima matrona usava il prezioso latte, impastato con mollica di pane, per preparare maschere che ogni sera applicava sul viso. L'intuizione di Poppea non era in fondo sbagliata: più ricco di lattosio rispetto al latte vaccino, il latte d'asina ammorbidisce la pelle e contiene molti ceramidi (acidi grassi) oggi impiegati nelle creme antirughe.
Tra paste e infusi vari ottenuti, come ricorda Plinio, da testicoli di toro o feci di coccodrillo, api affogate nel miele, uova di formiche pestate, grasso di cigno e di pecora, midollo di cervo e di capriolo, burro, lupini, fave, ceci e così via, un ruolo importante svolsero anche le taerme, tra cui quelle di Caracalla, vero e proprio apogeo della cosmesi dell'antica Roma.

Clicca sulla immagine per ingrandire
Ritratto di Agnès Sorel
L'interesse per la cosmesi scemò con la caduta dell'Impero Romano e per tutto il Medioevo. A questo fenomeno non fu estraneo il Cristianesimo, il quale imponeva nuovi valori spirituali che portavano ad annullare la ricerca della bellezza fisica. Ecco allora condanne e censure da parte di molti personaggi autorevoli della cristianità. Famoso è il trattato De cultu feminarum di Tertulliano (II secolo d.C.), in cui si condannano come peccaminose la vanità e le abitudini estetiche delle donne.
La riprovazione contro le donne imbellettate continuò per molti secoli: ricordiamo, tra gli altri, il biasimo di Jacopone da Todi nella lauda L'ornamento delle donne dannoso, oppure quello di Dante Alighieri (nella Commedia - "Paradiso" canto XV, verso 112 - il poeta loda Gualdrada Berti, un personaggio storico della Firenze del XII secolo, perché non ha il viso dipinto), o la satira di Boccaccio nel Corbaccio.
Nonostante questo, le donne continuavano a truccarsi e la ricerca, più o meno scientifica, dell'epoca diede il suo contributo. Tra i numerosi studi per la cosmesi, il più interessante è il De Ornatu milierum di Trotula de Ruggiero, una dottoressa della Scuola Salernitana vissuta tra l'XI e il XII secolo. Quest'opera, che è un vero e proprio trattato di cosmetica, contiene consigli, ricette e indicazioni di ogni tipo per conservare e accrescere la bellezza, e anche per guarire alcune malattie della pelle. Tra queste ricette ne ricordiamo tre. La prima è per la pelle del viso e per le labbra screpolate, secche o ispessite: «Le donne di Salerno pongono una radice di vitalba nel miele, e poi con questo miele si ungono il viso». La seconda è una crema riparatrice fatta con miele raffinato cui si aggiunge vitalba, cetriolo e un po' di acqua di rose: «Fai bollire tutti questi ingredienti fino a consumarne la metà, e con l'unguento ottenuto ungi le labbra durante la notte, lavandole poi al mattino con acqua calda. Questo rassoda la pelle delle labbra e la rende sottile e morbidissima». L'ultima serve addirittura per allungare i capelli: consisteva in un unguento preparato facendo bollire la testa e la coda di una lucertola verde in olio.
Fra i vari prodotti in uso per esaltare la bellezza di dame e castellane possiamo citare la salvia, il limone, il levistico (o sedano di monte), l'uovo, il nero fumo. Le formulazioni erano complicatissime, spesso nocive per la presenza di metalli pesanti (piombo, mercurio, antimonio) molte volte efficaci (il levistico, ad esempio, contiene acido tannico appartenente alla categoria degli alfa-idrossiacidi che include anche l'acido glicolico oggi ampiamente usato per le sue proprietà cheratolitiche; oppure il limone che ha un'azione schiarente grazie all'acido ascorbico e ricco di vitamina C; oppure ancora i legumi per la loro funzione anti-età, poiché contengono fosfolipidi, componenti fondamentali della membrana cellulare e quindi della struttura della cellula stessa).

Nel Rinascimento esplode l'ammirazione per il bello come perfezione e armonia, riportando in auge la ricerca di rimedi indispensabili per rendere perfetto il corpo e, soprattutto, il viso. Nelle classi più abbienti esplode una vera e propria mania per i belletti e i profumi, presenti in gran quantità grazie ai mercanti veneziani e fiorentini.
Risalgono a questo periodo nuovi trattati sulla cosmesi: quello di Giovanni Mariniello, Gli Ornamenti delle Donne, del 1562; oppure quello di Giovanni Ventura Roseto, I notandissimi segreti dell'arte profumatoria, del 1555. Un monaco, Galipido Tallier, scrisse un libricino sull'arte della cosmesi, il Nuovo plico d'ogni sorta di tinture. Arricchito di rari e bellissimi secreti per colorire Animali, edito per la prima volta «con licenza dè superiori» nel 1697, ma probabilmente scritto molto prima.
Anche in questo secolo, come in quelli precedenti, la pelle bianca era l'ideale per ogni donna. Tra i rimedi più utilizzati c'era quello di applicare la sera sul viso una maschera di succo di limone e albume da togliere con acqua fredda il mattino seguente, mentre le mani si sbiancavano strofinandole con un impasto di mollica di pane, albume, tartaro e pietra pomice calcinata. Anche i capelli erano importanti, per questo si utilizzavano lozioni a base di olio di rosmarino, camomilla e timo per renderli folti, forti e luminosi.
Un altro rimedio per esaltare il fascino femminile fu quello suggerito da Agnès Sorel (1421-1450), favorita di Carlo VII di Francia: dopo aver raccolto i capelli in un'unica chioma, si sollevavano e si radeva la base sulla fronte per sottolineare lo sguardo, poi si passava a depilare le sopracciglia sfoltendole (in alternativa si potevano schiarire con una tintura a base di camomilla).
Grande protagonista in questo periodo dell'arte della cosmesi fu Caterina Sforza (1463-1509), cui si attribuisce l'invenzione del tonico cutaneo, la famosa "Acqua celeste". Il preparato si ottiene dalla distillazione, ripetuta per tre volte, di numerosi ingredienti, tra cui salvia, basilico, noce moscata, rosmarino, garofano, menta, sambuco, anice, ginepro, cannella, rose bianche e rosse, incenso.

Clicca sulla immagine per ingrandire
Maria Antonietta con parruca e trucco - 1783
Nel Settecento la bellezza assunse toni eccessivi. Alla corte del re di Francia uomini e donne indossavano parrucche incipriate inverosimili e il volto era coperto da uno spesso strato di trucco bianco (il più raffinato era composto da pasta di mandorle, grasso di montone e biacca) e da numerosi nei artificiali (erano di raso, di taffetà, di velluto; di varie fogge e dimensioni, erano provvisti al rovescio di una leggera gomma che bastava inumidire per far aderire alla pelle).
A Parigi compaiono le prime truosses complete di belletti, matite per labbra e nei finti.
La pratica di non lavarsi (l'acqua era ritenuta erroneamente un veicolo di contagio per le malattie), amplificò l'uso dei profumi: le essenze profumate presero il posto dell'igiene personale per vincere i cattivi odori e nascondere la sporcizia.
Nella prima metà del '700 il medico e naturalista svedese Carlo Linneo con la sistematica botanica dette un contributo fondamentale alla scienza biologica. Da quel momento la classificazione delle piante favorì anche l'inizio di uno sviluppo razionale della fitocosmetica.
Col Romanticismo cambiarono i costumi: ora la donna doveva avere una pelle diafana (il pallore era associato a sofferenza) e, abbandonati gli eccessi, si pensò più alla detersione della pelle. Nacquero così i primi saponi profumati dalla forma solida.
I radicali mutamenti determinati dalla rivoluzione francese e l'avvento della borghesia portano nuovi modelli di vita e nuovi costumi: accantonati gli eccessi si affermò un nuovo ideale di bellezza che faceva uso di dosi meno massicce di trucco.

Se nel XVIII secolo veniva consigliato di lavarsi poco, nel secolo seguente al contrario si consigliavano i bagni, ottimi per conservare la bellezza. Grazie alle ricerche di Louis Pasteur (1822-1895), padre della microbiologia, nel XIX secolo si capì l'importanza dell'igiene personale: i bagni erano raccomandati come un toccasana e, di conseguenza, nacque l'idroterapia. Di gran moda in questo periodo era il costoso "bagno a dondolo", ideato e fabbricato in Italia da Gioacchino Pisetzky: si trattava di una tinozza di linea arrotondata che, muovendosi come una sedia a dondolo, permetteva di creare "onde" che accarezzavano delicatamente la persona.
Per quanto riguarda le cure di bellezza, grazie alle nuove regole scientifiche, le ricette cosmetiche presero un indirizzo più razionale, abbandonando le antiche e pericolose pratiche. Il progresso industriale consentì anche il nascere delle prime industrie cosmetiche. Nel 1890, a Parigi, comparve la prima Maison de Beauté di madame Lucas, cui farà seguito nel 1907 quella di Helena Rubinstein.
Una rivoluzione dell'Ottocento è quella del colore dei capelli: finalmente tramonta il biondo, che lascia il posto al castano e al nero.

Dopo la drammatica parentesi delle due guerre mondiali nascono nuove espressioni artistiche che, grazie al cinema e alla televisione, danno un forte e moderno influsso sulla cosmesi, che subisce a sua volta un'ulteriore trasformazione: entrano gradatamente nella tecnica della nuova cosmesi metodi fisici, di massaggio, di chirurgia estetica, di dietetica; compare la figura altamente specializzata dell'estetista. La crescente domanda di prodotti cosmetici (che non riguarda solamente le donne, ma anche, e soprattutto, gli uomini), ha condotto infatti alla nascita di vere e proprie industrie di settore e a centri di benessere. Dal punto di vista scientifico e tecnologico, l'industria dei cosmetici è oggi simile per alcuni aspetti (metodiche di formulazione e controllo di qualità) all'industria farmaceutica: in questo modo le incidenze tossicologiche si sono sensibilmente ridotte rispetto al passato.
Tuttavia in nuovi canoni proposti dalla televisione e dalle passerelle di moda conducono a un'idea in cui l'apparire conta più dell'essere. Ecco allora eccessi di ogni genere: visi tirati all'inverosimile e seni improbabili grazie alla chirurgia estetica o corpi "bruciati" da lampade solari. Per non parlare delle "diete fai da te", che abbassano il sistema immunitario ed espongono l'organismo a patologie di varia natura. Per questo, la nuova figura dell'estetista deve essere quella di un operatore altamente specializzato che sappia diffondere un concetto di bellezza, sia interiore sia esteriore, sano ed equilibrato e che sappia, soprattutto, tener conto delle caratteristiche di base di ogni individuo e delle sue reali possibilità di raggiungere un determinato obiettivo senza nuocere all'organismo.
Oggi si simula giovinezza realizzando una bellezza estranea alla persona. Questa è un'operazione della perniciosa arte del "trucco", non dell'arte cosmetica.

BIBLIOGRAFIA
  • W. Tatarkiewicz, Storia dell'estetica, 3 voll - Einaudi, Torino, 1979-1980
  • M. Manvati, Cosmesi e storia della Cosmetica - Edizioni Il Grappolo, S. Severino (Salerno), 1996
  • D. Paquet, Storia della bellezza. Canoni, rituali, belletti - Electa/Gallimard, Milano 1997
  • S. Givone, Storia dell'estetica - Laterza, Roma-Bari, 2001
  • E. Franzini e M. Mazzocut, Breve storia dell'estetica - Bruno Mondadori, Milano, 2003
  • U. Eco, Storia della bellezza - Bompiani, Milano, 2004
  • M. Costa e L. Corazza, Psicologia della Bellezza - Giunti, Firenze, 2006
  • G. Vigarello, Storia della bellezza. Il corpo e l'arte di abbellirsi dal Rinascimento a oggi - Donzelli, Milano, 2007