Lo storico romano Sallustio individua due distinti atteggiamenti nella personalità di Giulio Cesare: da una parte il condottiero della guerra nelle Gallie capace di proporsi, fino al 46 a.C., come riformatore della Repubblica; dall'altra l'uomo di potere che in Oriente si trasforma in tiranno.
Cesare in Egitto
di MASSIMO IACOPI
Secondo Sallustio, il soggiorno di Giulio Cesare ad Alessandria, e l’incontro con Cleopatra, fu un evento decisivo della storia romana. I destini di Cesare e dell’Egitto erano tuttavia iniziati sotto cattivi auspici, quali quelli di una vera e propria guerra.
Il 10 gennaio del 49 a.C., Giulio Cesare aveva superato il Rubicone alla testa della sua Legione, disubbidendo agli ordini del Senato che aveva stabilito il suo rientro a Roma da semplice cittadino e diventando, di conseguenza, nemico pubblico del popolo romano. Aveva avuto inizio una guerra civile senza quartiere fra Cesare, il vincitore del Galli, e Gneo Pompeo, il difensore del Senato: “La causa di uno dei due capi - scrive Velleio Patercolo nella sua Storia Romana - appariva come la migliore, quella dell’altro era la più forte: uno aveva a suo vantaggio tutte le apparenze, l’altro la realtà del potere; l’autorità del Senato costituiva la forza di Pompeo, la fiducia nei suoi soldati quella di Cesare”.
Gli avvenimenti successivi si concatenano molto rapidamente e in maniera drammatica. Pompeo, i consoli e la maggior parte del Senato, reagendo alla manovra di Cesare, sono costretti a lasciare prima Roma e quindi l’Italia, per portarsi a Dyrrachium (Durazzo) in Illiria, dove cercano di riunire le loro forze. Nel luglio dell'anno 48, Cesare, lanciato al loro inseguimento, evita per poco la sconfitta a Dyrrachium. Successivamente si ritira in Tessaglia e il 9 agosto riporta, nella piana di Farsalo, una vittoria decisiva su Pompeo e su un esercito tre volte più numeroso. Ormai senza più rivali, Cesare diventa il padrone di Roma, facendosi nominare console per cinque anni.

La morte di Pompeo e l’arrivo di Cesare in Egitto
Dopo il disastro di Farsalo, Pompeo, suo figlio Sestus, i due Lentuli (vecchi consoli), l’ex pretore Favonius e qualche fedele, riescono a fuggire. I fuggitivi, nonostante qualche
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Caio Giulio Cesare
esitazione iniziale, concordano con Pompeo circa la loro destinazione. Respingendo le proposte di portarsi in Africa presso il regno del re Juba o presso il Regno dei Parti, il generale sconfitto sceglie l’Egitto, adducendo a pretesto il fatto che il padre dell’attuale faraone gli doveva dei favori, per averlo a suo tempo aiutato a salvare il trono nel 59 e nel 57. Ma il giovanissimo faraone Tolomeo XIII (di soli 14 anni), di fronte alla nuova situazione e ai nuovi rapporti di forza all’interno della Repubblica Romana, non ha la minima intenzione di assumersi alcun rischio per salvare l'ingombrante ospite. Al suo arrivo ad Alessandria, Pompeo viene fatto assassinare dal faraone, su consiglio del suo maestro di retorica Teodoro e del generale Achillas. Il 28 settembre del 48 a.C. il tribuno Lucio Septimius, un vecchio centurione dell’esercito di Pompeo e lo stesso Achillas in persona, si incaricano dello sporco affare.
E’ proprio in queste sordide circostanze che si conclude la carriera del grande Pompeo. Per alcuni il destino non ha fatto che pagare a Pompeo il fio delle sue colpe: “Generale di media capacità – scrive il Mommsen - mediocre di spirito e di cuore, la sorte, il demone perfido, lo aveva per oltre trent’anni riempito dei suoi costanti favori. Missioni facili e brillanti, allori preparati da altri e raccolti da lui solamente, tutto gli era stato dato, tutto fino al potere supremo, posto in realtà sotto la sua mano e tutto questo per arrivare a fornire l’esempio più eclatante di una falsa grandezza!” Per altri, ad esempio lo storico Luca Canali, Pompeo, figlio di un secolo senza ideali, è stato “tuttavia, l’ultimo custode di una Repubblica già agonizzante”.

Cesare, da parte sua, cosciente che solamente la cattura di Pompeo avrebbe messo fine immediata alla guerra civile, si lancia subito all’inseguimento del suo rivale. Dopo un breve passaggio nelle province romane d’Asia, egli arriva alla fine del settembre 48 nella rada di Alessandria d’Egitto, al comando di una decina di navi da guerra di Rodi. E’ accompagnato solamente dalla 6a e dalla 17a Legione, con effettivi ridotti a 3.200 uomini e 800 cavalieri galli e germani. La 6a Legione - che ha combattuto per Cesare nella guerra delle Gallie - costituisce un’unità d’élite. Il 4 ottobre, appena sbarcato, Cesare viene a conoscenza della sorte riservata a Pompeo da parte di Tolomeo XIII, fatto che scatena la sua indignazione e il suo desiderio di vendetta. Il popolo di Alessandria, la cui sfiducia nei confronti degli stranieri è vivace da molto tempo, gli manifesta immediatamente la sua ostilità e rende complicato il suo insediamento nel palazzo reale. Le diverse sommosse che si scatenano nelle strade si calmano abbastanza rapidamente, ma diversi soldati romani vengono assassinati.
Cesare fa sapere che rientra nelle sue intenzioni e competenze la risoluzione del conflitto dinastico in corso fra il giovane faraone e sua sorella. Egli fa sapere di voler incontrare re Tolomeo e sua sorella Cleopatra, di voler licenziare le loro truppe e di voler risolvere le dispute dinastiche davanti a lui più per via giuridica che attraverso le armi.
Mettendo in pericolo gli interessi dei principali mentori del giovane e docile Tolomeo XIII, Cesare vuole spingerli indirettamente alla ribellione.

Rivolta ad Alessandria
I primi provvedimenti adottati da Cesare sembrano tuttavia giusti e indulgenti. Il console condona all’Egitto i debiti pregressi contratti con Roma. Annulla ugualmente l’annessione dell’isola di Cipro, affidando l’isola ad Arsinoé e Tolomeo il Giovane (fratello cadetto di Tolomeo XIII), figli postumi di Tolomeo XII Aulete, a titolo di secondogenitura. Il 7 ottobre Cesare ordina a Tolomeo e Cleopatra di presentarsi davanti a lui e di smettere di litigare. Egli
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Gneo Pompeo
impone loro di spartirsi il regno in quanto fratello e sorella sposi, secondo la vecchia tradizione egiziana e i desideri del loro padre defunto. Se Tolomeo si trova già a palazzo sin dallo sbarco di Cesare, Cleopatra VII è arrivata da poco ad Alessandria dalla Siria, dove si era rifugiata dopo la rottura politica con il fratello.
Dalla notte del loro primo incontro con Cesare, la giovane regina ventenne si offre al generale romano. La donna ammalia letteralmente il console, grazie alla sua bellezza, alla sua intelligenza e alla sua cultura. Cleopatra parla almeno sette lingue e la sua educazione è più che solida. Cesare davanti a questa nuova situazione arriva persino a dimenticare le sue priorità e commette indubbiamente un errore di valutazione e – come scrive Luca Canali nel suo saggio Tra Cesare e Cristo - “in questo caso l’errore sarà duplice: abbandonarsi per delle settimane, alle delizie di una vita di piacere, sulle rive del Nilo, fra le braccia di questa giovane regina incantatrice e di non rendersi conto che si stava preparando una rivolta della fazione ostile a Cleopatra”.
Se l’amante di Cesare ha facilmente accettato la soluzione proposta dai Romani, Tolomeo XIII cerca di rifiutarla. Potino, l’eunuco responsabile della reggenza del regno a causa della giovane età del faraone, complotta attivamente. Egli fa venire in segreto da Pelusio ad Alessandria il generale Achillas e il suo esercito per tentare di approfittare della debolezza delle truppe di Cesare. Tuttavia le truppe “egiziane”, al di là del loro numero, non fanno certo paura. Achillas dispone effettivamente di ventimila uomini, di cui duemila cavalieri. Una parte dei suoi soldati è costituita da veterani romani dell’esercito di Gabinus, governatore della provincia di Siria, venuto dieci anni prima in aiuto a Tolomeo XII La disciplina e l’addestramento di questi vecchi legionari si sono da lungo tempo allentati dopo il loro insediamento in Egitto. Il resto dell’esercito è formato da reclute siriane o della Cilicia, di vecchi pirati e persino da briganti, secondo quanto riferisce lo stesso Cesare.

Il 9 novembre Achillas inizia ad assediare Cesare ad Alessandria. Dal 10 novembre l’esercito egiziano riesce a occupare la quasi totalità della città. Cesare e i suoi uomini risultano ormai costretti in un quartiere che confina con i moli del gran porto (Magnus Portus) e che comprende il Palazzo reale, il teatro e le strade circostanti. Gli Egiziani passano all’attacco il giorno 11 con lo scopo di impadronirsi della persona di Cesare. Essi concentrano i loro sforzi sulla sua residenza. Il vincitore di Alesia e di Farsalo non si lascia però sopraffare. Egli dispiega le sue coorti nelle strade e riesce rapidamente a bloccare la progressione dell’avversario. Ma i combattimenti si estendono anche alla zona del porto, dove gli uomini di Achillas cercano di impadronirsi delle navi da guerra egiziane presenti in rada: 50 quadriremi e quinqueremi di ritorno ad Alessandria, dopo essere state inviate in rinforzo a Pompeo in Tessaglia e ventidue altre navi che hanno il compito della difesa a mare della città. Se i rivoltosi dovessero impadronirsi di questa flotta, Cesare risulterebbe irrimediabilmente bloccato e totalmente isolato.
Il
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Cesare e Cleopatra in un dipinto del XIX secolo
console romano, per evitare il peggio, riesce ad anticipare le mosse dei suoi avversari e a incendiare la totalità della flotta egiziana, compresi anche i battelli in costruzione nel cantiere. Nel frattempo, Cesare invia un contingente ad impadronirsi del Faro di Alessandria. Si tratta di una torre molto alta (il faro è una delle sette meraviglie del mondo antico), costruita su un isolotto, a poca distanza dalla grande isola di Pharos. Questa posizione consente, in effetti, di controllare l’entrata del Gran Porto di Alessandria, sul quale Cesare conta ormai come futura base navale. Per Cesare il controllo dell’isolotto e della torre costituisce un imperativo per garantirsi l’arrivo di rifornimenti e di rinforzi, e per questo motivo decide di insediarvi rapidamente una guarnigione stabile. La vicina grande isola di Pharos ospita, dal canto suo, numerose abitazioni, che formano una vera e propria città. Essa è collegata alla città di Alessandria da una diga chiamata Heptastadio, a causa della sua lunghezza (“7 stadi”, appunto). L’opera è protetta alla sue estremità da due fortini. Due archi, che formano due ponti, sono ricavati lungo la diga e consentono le comunicazioni fra le parti est e ovest della rada. L’isola di Pharos e l’Heptastadio rimangono pertanto sotto il controllo di Cesare.

Alla fine dei conti, il primo attacco egiziano non ha scosso le posizioni dei Romani, ma non consente loro di sbloccare la situazione. Cesare, che per il momento non dispone dei mezzi necessari per vincere l’avversario in modo decisivo, sceglie di fortificare il perimetro entro il quale si sono stabilite le sue truppe. Il teatro, contiguo al palazzo, ricopre da quel momento il ruolo di una vera cittadella, proteggendo nel contempo anche l’accesso al Grande Porto e agli arsenali reali. Vengono messi in opera dei bastioni da parte dei legionari romani per difendere la totalità del quartiere, per impedire le infiltrazioni ed evitare i combattimenti lungo le strade. Arsinoé, la seconda figlia di Tolomeo XII, si schiera nel campo di Achillas, decisa anche lei a giocare la carta del trono. Cesare fa arrestare e uccidere Potino dopo aver scoperto che questi inviava degli emissari ad Achillas per spingerlo a intensificare la ribellione, che peraltro si estende a tutto l’Egitto.

Il conflitto si stabilizza
La morte dell’intrigante Potino non pone peraltro termine alle ostilità. Cesare si preoccupa in primo luogo di assicurarsi i rifornimenti, impadronendosi delle case che lo separano dalla porta centrale delle mura di Alessandria. Attraverso questa uscita egli può raggiungere il Lago Mareotis e ottenere tutto il foraggio che gli è necessario. Padrone del Faro, egli può ugualmente ricevere per mare tutte le merci e gli uomini di cui ha bisogno. Alcune navi gli portano in rinforzo dei viveri e degli arcieri cretesi e ciprioti, oltre che dei cavalieri asiatici. Cesare affida a Mitridate di Pergamo, un uomo di sua completa fiducia, la missione di riunire le truppe di rinforzo in Siria. Agli inizi di dicembre del 48, Achillas e i suoi soldati cercano di chiudere il blocco davanti alle posizioni di Cesare costruendo numerose torri di assedio. Gli Egiziani cercano parimenti di togliere ai Romani le risorse di acqua dolce, facendo ostruire i canali e facendo penetrare l’acqua marina nelle cisterne. Cesare, a sua volta, fa scavare dei nuovi pozzi e arriva ad approvvigionarsi anche sull’isola di Pharos.
Da un punto di vista politico, Arsinoé fa uccidere Achillas, rimpiazzandolo con un eunuco al suo servizio di nome Ganimede. Quest’ultimo diventa l’anima della ribellione contro i Romani. La situazione, senza uscite immediate, resta nondimeno pericolosa per Cesare. Egli si decide a chiamare in rinforzo la 37a Legione. Questa unità è costituita da vecchi soldati di Pompeo, passati alla causa di Cesare. Partita da Rodi con numerose navi, la legione si trova ben presto bloccata da forti venti contrari presso il Capo di Chersoneso, a 12 chilometri da Alessandria. Alla metà di dicembre, Cesare esce in mare con la sua flotta per andare in soccorso alla 37a Legione. Questa iniziativa dà luogo a una battaglia navale fra Romani e le navi ancora intatte della flotta egiziana. Gli Alessandrini vengono rapidamente battuti e si vedono costretti a ripiegare nel Porto Eunoste, perdendo due quadriremi, di cui una catturata dai Romani.
Ancora una
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Il faro di Alessandria in una illustrazione del XVI secolo
volta Cesare ha avuto la meglio, riuscendo anche a rinforzarsi con una legione supplementare. Ma la situazione non è ancora risolta, in quanto Ganimede, cosciente della debolezza dei suoi mezzi navali, decide da quel momento di iniziare dei lavori per ristabilire un rapporto di forze in suo favore. Da un punto di vista generale, l’equazione da risolvere dipende ampiamente dalla configurazione e dall’occupazione dei luoghi da parte dei protagonisti. Come scrive Napoleone nel suo Precis des guerres de Cesar, “Alessandria aveva due porti: il Porto Nuovo (Grande Porto) che occupava Cesare ed il cui ingresso è difeso dalla Torre del Faro ed il Porto Vecchio (Porto Eunoste), occupato dagli alessandrini; ma quest’ultimo è una grande rada e non ha alcuna somiglianza con il primo, che è circondato dai moli della città. Porto Eunoste forma un arco la cui corda è di circa 6 mila tose fino a Marabon e la città di Alessandria si estendeva all’epoca, nella parte ovest, solo fino ad un terzo di tale distanza”. Le due flotte avversarie continuano a coabitare nella rada di Alessandria, ciascuna nel proprio porto. La gettata che collega l’isola di Pharos alla terraferma, serve da “frontiera” fra i due campi, con gli Alessandrini a ovest e i romani ad est. La soluzione del conflitto deve necessariamente passare attraverso un combattimento navale ed il controllo militare dell’Heptastadio.

La battaglia infuria per tutto il mese di gennaio del 47
Nel Porto Eunoste gli Egiziani si danno pertanto da fare nel riparare le navi danneggiate e fanno arrivare dalle sette bocche del Nilo i vascelli incaricati di controllare i loro accessi. In poco tempo Ganimede riesce a riunire 5 quinquiremi, 22 quadriremi e numerose navi più piccole. Cesare, da parte sua, dispone di appena 5 quinquiremi, 10 quadriremi e 19 battelli minori (la sua flotta proviene dalle province di Rodi, dal Ponto, dalla Siria e dall’Asia). Nonostante la loro inferiorità numerica, i Romani escono dal Gran Porto agli inizi del gennaio 47, doppiano per il largo l’isola di Pharos (non potendo passare per i ponti dell’Heptastadio) e schierano le loro navi in linea di battaglia, di fronte all’ingresso del Porto Eunoste. Le navi di Rodi sono a destra e quelle del Ponto a sinistra. La flotta egiziana si organizza per dare battaglia, protetta dagli scogli che limitano a tre i passaggi stretti che permettono l’accesso nel porto.
Eufranore, l’ammiraglio di Rodi al servizio di Cesare, lancia l’assalto liberando con quattro navi il passaggio centrale. Ne deriva uno scontro cruento che si conclude con una nuova sconfitta alessandrina, nel corso della quale essi perdono una quinqueremi e due quadriremi prima di prendere la fuga.
La battaglia per Alessandria non si limita ai soli combattimenti navali. Cesare, che aveva già fatto sbarcare le truppe sul Faro, punta ora ad assumere il controllo totale dell’isola di Pharos. Egli si pone come obiettivo anche quello di conquistare completamente l’Heptastadio in modo da non dover più aggirare la grande isola nel passare dalla parte orientale a quella occidentale del porto e della rada di Alessandria. Cesare imbarca su delle scialuppe e delle piccole imbarcazioni dieci delle sue coorti con dei cavalieri galli, da utilizzare a piedi come truppe leggere d’appoggio.

Lancia così un attacco simultaneo in due punti dell’isola di Pharos, cosa che gli permette di conquistare tutta la parte inferiore della diga. I Romani riescono ad avanzare fino al secondo ponte dell’Heptastadio e provvedono a chiuderne il passaggio, costruendo una fortificazione in direzione della città di Alessandria. Nel momento più critico dei combattimenti, si delinea all’improvviso un attacco da dietro sulle truppe di Cesare, nel punto in cui la diga si collega all’isola di Pharos. I Romani, schierati in questa area, legionari e marinai, vengono messi in rotta. Numerosi soldati sono spinti in mare e devono fuggire a nuoto per trovare scampo sulle navi della flotta romana. Sommersi da un nugolo di fuggiaschi, alcuni vascelli si rovesciano. La stessa vita di Cesare è in pericolo. In effetti la nave sulla quale egli viene a trovarsi, affonda sotto il peso dei soldati ripescati. Il console trova la propria salvezza fuggendo a nuoto e – come scrive ancora Luca Canali - “mantenendo il suo mantello fra i denti e tenendo con la mano destra fuori dall’acqua un sacco pieno di documenti segreti” e raggiungendo una nave romana vicina. Mai in precedenza, nel corso delle guerre delle Gallie e della Guerra Civile aveva mai corso un tale pericolo. Questi combattimenti costano ai Romani 400 uomini ed altrettanti marinai, ma, nonostante tali perdite, l’isola di Pharos viene finalmente conquistata e acquisito il controllo della diga fino al primo arco, dalla parte della terraferma. Il suo punto di contatto con la città rimane nondimeno nelle mani degli avversari.
Per tutto il mese di gennaio, la città di Alessandria continua ad essere scossa da combattimenti giornalieri che non consentono a Cesare di rompere l’assedio. I combattimenti nelle strade forniscono testimonianza di una guerra di usura in ambiente urbano, alla quale i legionari romani non sono abituati. Questo vicolo cieco strategico a terra impedisce a Cesare di sfruttare in pieno la sua recente vittoria navale. Cosciente delle poche vie d’uscita che gli si offrono al momento, Cesare, accetta alla fine di gennaio di lasciare libero Tolomeo XIII, avendogli il giovane faraone promesso di operare per una pacificazione generale.
Una volta lasciato libero, Tolomeo ignora le sue promesse e si porta presso l’esercito di Ganimede. Egli incita i soldati ad intensificare i combattimenti ed a proseguire nella ribellione. Gli egiziani nel mese di febbraio ottengono un nuovo successo grazie alla loro flotta che riesce ad intercettare nella rada di Canopo, un convoglio romano di rifornimenti.

L’arrivo dell’esercito di soccorso di Mitridate
E’ proprio nel marzo 47 che arrivano in Egitto i tanto attesi rinforzi terrestri. Mitridate del Ponto, arrivato dalla Siria, entra in Egitto con il suo esercito costituito da contingenti di provenienza disparata, tratti dai principati di Cilicia, di Siria, ai quali si aggiungono dei beduini e dei soldati ebrei. Mitridate si dirige sulla città di Pelusio, che occupa nella stessa giornata, nonostante fosse difesa da una solida guarnigione.
Lungo il cammino riceve l’appoggio di ausiliari forniti dagli ebrei insediati nella regione. Egli pensa di marciare quindi su Memphis, costeggiando il ramo pelusiaco del delta del Nilo e quindi di risalire verso nord, in soccorso di Cesare, lungo il ramo canopico del fiume, evitando in tal modo le zone difficili del delta. Ganimede e Tolomeo, preoccupati per l’arrivo dei rinforzi romani, scelgono di riunire le loro forze per affrontare Mitridate. L’esercito degli alessandrini effettua la sua manovra per via fluviale, risalendo il Nilo. Gli Egiziani si schierano sulla riva sinistra e si ritrovano di fronte a Mitridate in una località denominata “Campo dei Giudei”. Essi passano tre volte all’attacco, ma senza ottenere un esito, poiché Mitridate è un maestro nell’arte della difesa alla romana, Una volta respinti gli alessandrini, occorrono solo sette giorni a Mitridate per raggiungere Memphis.
Cesare, dal canto suo, decide di prendere il mare e di sbarcare le sue legioni ad ovest di Alessandria, per poter poi marciare incontro a Mitridate, che incontra successivamente, senza trovare resistenze, a metà strada circa per Memphis in una località chiamata Ilkam. Con tutte le forze riunite, Cesare passa a questo punto all’offensiva nel delta all’inseguimento dei suoi avversari. Egli disperde rapidamente l’avanguardia nemica, nonostante la presenza di un profondo canale di difesa. Successivamente si dirige verso il campo di Tolomeo. La sua progressione risulta spesso ostacolata dalle numerose paludi del Delta. Il campo nemico viene raggiunto il 27 marzo 47 e i legionari lanciano immediatamente un attacco frontale, mentre un altro contingente viene inviato da Cesare ad aggirare la posizione degli Egiziani.
La vittoria di Cesare, nel corso di questa battaglia del Nilo (questo è il nome attribuitole dalla storiografia) risulta totale e decisiva. Il campo viene conquistato e i soldati egiziani periscono in massa sotto i gladi dei Romani o annegati nel Nilo. Il giovane Tolomeo perde la vita nel corso della sconfitta, su una imbarcazione che affonda con lui nel fiume. Dopo la vittoria, Cesare prende la guida della sua cavalleria e si dirige direttamente su Alessandria. La città, questa volta, si sottomette definitivamente alla sua autorità ed i suoi ultimi difensori sbalorditi e la popolazione implorano la pace.

Pacificazione di Alessandria
Il console, una volta padrone della città, dà nuovamente prova della sua flessibilità politica: come scrive il Mommsen, “egli teneva nelle sue mani la sorte della città che aveva osato contrastare i disegni del padrone del mondo, e l’aveva quasi costretto a due passi dalla sconfitta: ma sempre abile politico e sempre dimentico delle ingiurie ricevute egli tratta gli Alessandrini come aveva fatto con i Massalioti (Marsigliesi), ingiungendo loro di pensare a partire da quel momento alle arti ed a medicare le ferite che si erano procurati”.
La città risulta effettivamente in rovina. All’inizio del conflitto, allorché Cesare ordina di distruggere la flotta egiziana, l’incendio si propaga anche alla grande biblioteca di Alessandria che subisce in tal modo una dei più grandi disastri della sua lunga storia. Numerosi libri vengono effettivamente bruciati o perduti. Cesare adotta ugualmente un certo numero di provvedimenti politici ed economici. Egli fa incoronare Cleopatra come regina d’Egitto, con associato al trono e sposo, il fratello più giovane, di appena 12 anni, che assume il nome di Tolomeo XIV. Il console invia sua sorella Arsinoé in Italia, in modo che non possa nuovamente servire di pretesto per una ribellione. L’isola di Cipro, che gli era stata assegnata, viene ripresa da Roma e annessa alla provincia della Cilicia. Cesare accorda agli Ebrei di Alessandria i privilegi commerciali (diritti e franchigie) di cui già beneficiano i Greci.
Ma è sulle garanzie militari del suo successo che Cesare prende le maggiori precauzioni. Egli lascia la 17a e la 37a Legione ad Alessandria, come nucleo di una guarnigione permanente. Egli sceglie come comandante Rufio, un buon soldato sul quale ripone completa fiducia. Il regno di Cleopatra può a quel punto proseguire serenamente sotto il protettorato di Roma. Cesare può ormai lasciare l’Egitto, accompagnato dalla 6a Legione e dai suoi veterani, con la quale marcia, per via terrestre, verso la Siria e quindi il Ponto Eusino, dove il re Farnace, si oppone ai suoi disegni.

Una guerra atipica
Napoleone, da conoscitore dei luoghi, dove combatterà, a sua volta, più di 1800 anni dopo, intravede nelle difficoltà di Cesare ad Alessandria un semplice problema di mezzi. Scrive nel suo Precis des guerres de Cesar: “Le due legioni di Cesare e il corpo di cavalleria con i quali egli è entrato in Alessandria avevano complessivamente appena 5 mila uomini: le dieci galere erano fornite di 4 mila uomini: si trattava di forze poco considerevoli per lottare contro un grande re e sottomettere una città come Alessandria. Ma Cesare ha avuto due grandi opportunità: la prima di conquistare il Palazzo reale, della cittadella e del Faro; la seconda di bruciare la flotta degli Alessandrini. Sarà solo un mese dopo il suo arrivo che l’esercito egiziano partito da Pelusio arriverà ad Alessandria; poco tempo dopo egli riceve fino a 24 galere di rinforzo, cariche di truppe. In tal modo, a ben considerare, non c’è nulla nella guerra di Alessandria di meraviglioso”.
Cesare aveva scelto di dare la priorità all’Egitto per catturarvi Pompeo. Vi incontra Cleopatra ed è costretto dagli eventi a perdere 9 mesi per pacificare Alessandria, mesi di respiro e di riorganizzazione per i pompeiani, avversari ben più pericolosi di Tolomeo, nel contesto della guerra civile in corso.
La guerra di Alessandria presenta, a questo titolo, le caratteristiche di un conflitto decisamente atipico nella carriera di Cesare. Il console viene a confronto per la prima volta con delle problematiche di combattimenti urbani. Nelle strette vie di Alessandria, le coorti romane non riescono ad esprimere la loro abituale superiorità tattica. Gli arcieri, posti sui tetti delle case, assillano i combattenti e rendono rischiosa qualsiasi manovra. Cesare, viene d’altronde obbligato a chiedere dei rinforzi “specializzati” (arcieri cretesi e ciprioti), al fine di poter disporre a sua volta di fanteria leggera e di tiratori, dei quali ha bisogno in questo tipo di situazione. La battaglia ha comunque luogo sul mare, dove la flotta egiziana è capace di rivaleggiare con la marina di Roma e dei suoi alleati. Inoltre, l’intreccio delle operazioni navali e terrestri, specie quelle per il controllo dell’isola di Pharos, vengono a complicare la situazione.
Tuttavia, Cesare riesce ad adattarsi al contesto al quale deve far fronte. Come i mezzi insuccessi di Gergovia e di Dyrrachium, che avevano costretto Cesare a superarsi per strappare in seguito i successi di Alesia e di Farsalo, le vicissitudini delle sue coorti nell’attacco all’Heptastadio non contribuiscono ad abbattere il morale dell’uomo di guerra, ma suscitano in lui un incremento di tenacia e di volontà di vittoria. Ad Alessandria, dove l’Oriente inizia ad influenzare profondamente le convinzioni politiche di Cesare, vengono pienamente alla luce le sue virtù di generale vittorioso, capace di adattarsi con successo a qualsiasi situazione operativa sul campo di battaglia.




BIBLIOGRAFIA
  • Plutarco, Vite degli uomini illustri, vita di Cesare – Sonzogno, Milano 1906
  • Giulio Cesare, Le guerre – BUR, Milano 2010
  • H. Delbruck, Warfare in Antiquity - Bison Books, 1990
  • M. Marchand (su dettatura di Napoleone), Precis des guerres de Cesar - Gosselin Libraire-Editeur, 1836
  • L. Canali, Tra Cesare e Cristo – Ponte alle Grazie, 1999 T. Mommsen, Storia di Roma, libro V