Per contrastare l’espansionismo della Russia, i Britannici si insediano nella capitale afghana. Le loro truppe, venute dall’India, si scontreranno con le tribù locali. Una pagina di storia che contribuisce a chiarire la situazione attuale.
1842: Inglesi sconfitti in Afghanistan
di MASSIMO IACOPI
Nel giugno 1838 il Governatore Generale delle Indie, Lord Auckland, si appresta a passare i mesi d’estate nella piccola città di Simla, per sfuggire alla torrida calura e alla soffocante umidità di Calcutta.
George Eden, conte di Auckland, è un uomo riservato, poco sicuro di sé ed estremamente influenzabile. Scapolo, si è fatto accompagnare in India dalle sue due sorelle Emily e Fanny Eden, anch’esse celibi, che sebbene intelligenti e colte, hanno dell’India una visione appena superficiale. Auckland è circondato da un ridotto stato maggiore composto da tre consiglieri, che hanno su di lui una profonda influenza: MacNaghten, Torrens e Colville.
Il più
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Lord Auckland
anziano, MacNaghten, è un erudito, linguista rinomato, che parla il sanscrito, il persiano e l’arabo; conosce a fondo le Indie, dove ha trascorso più di trent’anni. Come i suoi colleghi più giovani, è animato da sentimenti profondamente russofobi. Prima della sua partenza da Londra, due anni prima, Auckland era stato messo in guardia dal Ministro degli Esteri, Lord Palmerston, contro il pericolo di una spinta russa verso il nord delle Indie. In effetti, dal 1815, l’espansionismo russo verso il Bosforo e verso il Caucaso è diventato la maggiore preoccupazione della diplomazia britannica.
Auckland e i suoi consiglieri redigono un documento, noto sotto il nome di “manifesto di Simla” per giustificare un’invasione dell’Afghanistan. In questo testo, Dost Mohammed Khan, capo del clan dei Baraksai, che nel 1833 ha rovesciato l’emiro Sudjah Shah, viene accusato di “progetti di espansione e di ambizioni territoriali che rappresentano un pericolo per le frontiere dell’India”. Questa incursione militare sul territorio afghano per restaurare Sudjah Shah, risulta moralmente indifendibile e ha poche possibilità di successo politico, in quanto il sovrano destituito ha fallito tutti i tentativi per recuperare il trono e dispone di pochi appoggi nel proprio paese.

La fortezza di Ghazni cede nel giro di un’ora
A Londra, questa idea di invadere l’Afghanistan viene fermamente condannata da parte dei vecchi governatori generali, Lord Wellesley e Lord Bentinck, ma soprattutto dal Duca di Wellington, che ha trascorso nove anni nelle Indie. Auckland, fortemente sostenuto da Lord Palmerston, non tiene in alcun conto il parere dei suoi predecessori e dà l’ordine di iniziare l’invasione dell’Afghanistan.
Due contingenti inglesi convergono, nell’autunno 1838, verso il passo di Bolan, uno dei due passi che consentono l’accesso all’altipiano afgano. La loro marcia risulta lenta, in quanto i 15 mila soldati sono accompagnati da 38 mila civili - famiglie dei sepoys (termine inglese per sepoy, spahis in turco, dal persiano sipahi, che significa soldato) e personale ausiliario di ogni sorta.
A questo complesso vanno aggiunti 30 mila cammelli per trasportare bagagli e viveri, e delle greggi di montoni e capre. L’esercito inglese arriva a Kandahar il 26 aprile 1839. La città cade nelle mani dei Britannici senza resistenza. Qui gli Inglesi sosteranno quasi due mesi per rimettersi dalla fatiche della lunga marcia. Sudjah Shah viene accolto favorevolmente dalla popolazione, ma l’entusiasmo iniziale ha breve durata e MacNaghten, nominato da Auckland consigliere politico dell’emiro, si rende subito conto che la deposizione di Dost Mohammed si è rivelata un atto molto impopolare.
Alla fine di giugno 1839 l’esercito britannico si rimette in marcia verso Kabul. Lungo il cammino si erge la potente fortezza di Ghazni, difesa da 3 mila Afgani, comandati da Haider Khan, uno dei figli di Dost Mohammed. Gli Afghani ritengono che l’imponente fortezza sia imprendibile, ma all’alba del 22 luglio, i minatori inglesi, informati da un traditore, fanno saltare la sola porta poco fortificata e le truppe d’assalto penetrano nella cittadella, che viene conquistata in meno di un’ora: 1.200 Afghani vengono uccisi e 1500 sono fatti prigionieri, mentre le perdite inglesi ammontano ad appena 17 soldati. Questa facile vittoria, segna la fine della resistenza afgana. Dost Mohammed tenta un negoziato con gli Inglesi, ma, incapace di riunire delle truppe per difendere Kabul, decide di fuggire verso nord, nel territorio del Khan di Bukara, che lo trattiene presso di sé.
Il 7 agosto 1839, Sudjah Shah, scortato dai suoi consiglieri inglesi, fa il suo ingresso a Kabul e si insedia nel palazzo eretto nella cittadella, il Bala Hissar. L’accoglienza della popolazione è corretta, ma fredda, perché si rende chiaramente conto che il vecchio sovrano riprende il suo trono grazie all’appoggio di un esercito di infedeli, cosa che per la popolazione è decisamente inaccettabile.
MacNaghten si rende conto che se le truppe inglesi si ritirassero al completo, Sudjah Shah verrebbe quasi immediatamente detronizzato. Alla fine dell’impresa, solo il contingente venuto da Bombay rientra in guarnigione nelle Indie, mentre 10 mila uomini restano in Afghanistan, concentrati principalmente a Kabul, con una importante guarnigione a Kandahar e due distaccamenti a Ghazni e Jalalabad. L’Inghilterra si trova di fronte ad un vicolo cieco: se ritira il suo contingente, Sudjah Shah sarà spazzato via, ma più a lungo resterà in Afghanistan e più il nuovo regime diventerà impopolare. I Britannici si vengono pertanto a trovare impegnati in una occupazione della quale non sono in grado di prevedere un data conclusiva. La priorità rimane quella di mantenere aperte le due linee di comunicazione con l’India: quella del Passo di Bolan verso il Belucistan e l’altra, a est, che raggiunge Peshawar nel Punjab, attraverso il Passo Khyber.

I consiglieri inglesi si fanno raggiungere dalle loro famiglie
Le tribù Ghilzai che vivono intorno ai due passi hanno l’abitudine di ricevere dei sussidi per
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Gli Inglesi attaccano la fortezza di Ghazni
assicurarne il libero passaggio. MacNaghten conclude un accordo con le tribù e ottiene la loro compiacenza dietro il pagamento di un canone annuo di 8 mila sterline.
Alla fine del 1839 la situazione di Kabul sembra così calma che numerosi ufficiali e consiglieri civili inglesi decidono di farsi raggiungere dalle loro famiglie. Viene organizzata una certa vita di società. Per potersi distrarre si organizzano corse di cavalli e partite di cricket. Nel novembre 1840, a seguito di una scaramuccia, Dost Mohammed si arrende ai Britannici, che lo mandano in esilio nelle Indie, con una lauta pensione.
Nell’aprile 1841 arriva a Kabul un nuovo comandante in capo, il maggior generale Elphinstone. La scelta risulterà decisamente disastrosa. La sua sola esperienza militare si limita al comando di un reggimento durante la battaglia di Waterloo. Per di più, si tratta di un uomo malato, assillato dalla gotta e con un carattere esitante e influenzabile.
Nella stessa epoca Auckland riceve da Londra l’ordine di diminuire le spese: MacNaghten si vede quindi costretto a dimezzare le sovvenzioni pagate alle tribù Ghilzai che controllano i passi. La reazione non si fa attendere. Una carovana di rifornimenti viene immediatamente attaccata e saccheggiata. Una brigata inglese viene inviata da Kabul per riaprire la circolazione sui passi ma, prima che possa arrivare a Jalalabad, si producono nella capitale afgana degli eventi drammatici.

Appena arrivato, il governatore viene assassinato
Mentre MacNaghten si appresta a lasciare Kabul per assumere la carica di governatore di Bombay, il 1° novembre 1841, Burnes, suo successore, viene avvertito dai servitori afgani che si sta preparando una rivolta nella città e che farebbe bene a rifugiarsi nella cittadella di Bala Hissar. L’indomani mattina, una folla minacciosa si presenta davanti alla sua residenza. Dopo aver tentato invano di arringarli, egli viene assassinato, insieme al fratello più giovane, mentre cerca di fuggire attraverso il giardino. La folla si dirige quindi verso la casa occupata dal tesoriere dell’esercito, il capitano Johnstone, che viene a sua volta massacrato. Mentre i ribelli si impadroniscono di un bottino di 17 mila sterline, Sudjah Shah invia una parte delle truppe per riprendere il controllo di Kabul, ma i suoi uomini vengono respinti e deve quindi ricorrere all’aiuto degli Inglesi per domare la rivolta.
Elphinstone esita e decide di non fare nulla sino all’indomani. Questo indugio risulterà tragico, in quanto la notizia dell’insurrezione si diffonde nel paese e i guerrieri di tutte le tribù affluiscono verso la capitale, ben decisi a impedire ai Britannici di riprendere Kabul.
A metà di novembre la situazione delle truppe inglesi diventa pericolosa. Elphinstone chiede a MacNaghten di negoziare le condizioni di una evacuazione con i ribelli. I primi colloqui non danno alcun risultato, ma, alla fine di novembre, arriva a Kabul Akbar Khan, il figlio favorito di Dost Mohammed, uomo dotato di una grande forza di carattere. Le discussioni fra i due uomini sfociano in un accordo, ma anche nell’assassinio di MacNaghten da parte di Akbar Khan.
Elphinstone decide di riprendere i negoziati con Akbar Khan. Le condizioni del nuovo accordo risultano ancora più umilianti. I capi afgani esigono l’abbandono dell’artiglieria, ad eccezione di sei pezzi, e soprattutto la consegna di ostaggi per garantirsi il ritorno a Kabul di Dost Mohammed, sempre in esilio.
Il 6 gennaio 1842 l’esercito inglese si mette in marcia in direzione di Jalalabad: 4.500 soldati e 12 mila civili si preparano ad affrontare la strada che serpeggia attraverso le difficili montagne, i passi scoscesi controllati dalle minacciose tribù Ghilzai e dove la neve, che cade in grande quantità dal 18 dicembre precedente, rende difficoltosa la progressione. Gli ufficiali inglesi non hanno accettato che i loro uomini ricoprano di stracci, come fanno gli Afghani, le loro scarpe regolamentari, poco pratiche per camminare in queste condizioni.
Nei primi giorni, la retroguardia viene attaccata, perdendo due cannoni e 50 uomini. Il giorno seguente i reggimenti di sepoys si disintegrano, completamente annichiliti dal freddo, al quale non sono assolutamente abituati, e dalla precisione di tiro dei guerrieri afghani: in totale 3 mila soldati muoiono in combattimento o disertano.

I Britannici vengono presi sotto il fuoco dei Ghilzai
La ritirata prosegue. Akbar Khan segue gli Inglesi, che gli affidano le donne e i figli, ricondotti a Kabul per essere messi in sicurezza. Elphinstone viene ugualmente trattenuto prigioniero dal Khan a Kabul. Il 13 gennaio, cinquanta sopravvissuti tentano di attraversare il Passo Jugdluck sempre sotto il fuoco dei Ghilzai. Sei riescono a passare ma uno solo, il Dottor Brydon, riesce a raggiungere Jalalabad (si dice, volutamente risparmiato perché porti la notizia del disastro).
A dispetto degli ordini di Lord Ellenborough, nuovo governatore, i generali Pollock e Nott, che controllano ancora le città di Jalalabad e di Kandahar, rifiutano di evacuarle. Sotto le pressioni di Londra e di diversi membri del suo seguito, Ellenborough accetta di modificare i suoi ordini. I due contingenti inglesi ancora in Afghanistan, dopo aver ricevuto importanti rinforzi, convergono su Kabul, riescono a sconfiggere le forze di Akbar Khan e a liberare i prigionieri.
Sudjah Shah era stato assassinato nel marzo e Elphinstone muore nel mese di aprile 1842. Essi contribuiscono ad allungare la lista delle vittime di uno dei più terribili disastri dell’esercito inglese. I reggimenti di Pollock e Nott evacuano quindi il paese. Il loro successo cancella solo in parte gli insuccessi di Elphinstone e segna la fine della prima guerra afghana. Una seconda guerra scoppierà nel 1878 e al termine della terza, nel 1921, l’Afghanistan raggiungerà la piena indipendenza.
Allo stesso modo, i sepoys, rientrati in India, contribuiranno a diffondere il racconto degli errori degli Inglesi. Molti pensano che l’umiliazione di Kabul costituisca il seme dal quale nascerà, quindici anni più tardi, la rivolta dei sepoys, evento che scuoterà profondamente tutta l’India.


BIBLIOGRAFIA
  • P. Hopkirk, Il grande gioco. I servizi segreti in Asia centrale – Adelphi, Milano 2004
  • P. Macrory, Retreat from Kabul: The Catastrophic British Defeat in Afghanistan 1842 - Guilford, The Lyons Press 2002 M. Barthorp, Afghan Wars and the North-West Frontier 1839-1947 – Cassell, London 2002