Personaggio saldamente radicato nell'immaginario popolare, la Befana sintetizza nella sua figura elementi folcloristici e cristiani, perché porta i doni emulando i Re Magi. Le sue origini vanno ricercate nelle tradizioni pagane precristiane.
La vecchietta dopo il Natale: storia, leggenda e tradizioni della Befana
di RENZO PATERNOSTER
La figura di una vecchina che dispensa doni è una tradizione radicata in molti popoli e in diverse culture del passato e moderne. Il personaggio della Befana, così come la conosciamo oggi, è ciò che resta di una fusione di tradizioni, costumi, usanze, consuetudini, ma anche di riti e cerimonie che nei secoli si sono stratificati e che la religione cristiana non ha potuto oscurare.
La Befana sopravvive con contorni ben delineati nella fantasia popolare che la arricchisce fino a materializzarla in una vecchina vestita di cenci (l’abito rattoppato, una vecchia sottana, l’immancabile scialle e le scarpe rotte), che vola su una scopa distribuendo dolciumi.
Anche se i motivi antropologici che l’hanno generata sono avvolti nel mistero, sicuramente la Befana racchiude in sé una grande varietà di tradizioni arcaiche e pagane che si intrecciano e si sovrappongono tra loro.

Sin dal Neolitico vi era un culto legato a una divinità che incarnava lo spirito degli antenati. Questa, in inverno, si materializzava alle famiglie riunite intorno al fuoco con sembianze femminili. Tale donnina con naso adunco era benaugurante per il raccolto dell’anno seguente.
Clicca sulla immagine per ingrandire
L’adorazione dei Magi di Giotto
San Epifanio di Salamina (315 circa-403), nel Panarion adversus omnes haereses, racconta che già nel IV secolo, ad Alessandria d’Egitto, nella notte del 6 gennaio si celebrava un rituale che comportava la nascita di Aion, divinità legata ai miti della natura e alla fertilità, da una vergine Kore. Il rituale alessandrino, riferisce l’apologeta cristiano, era celebrato anche nelle città arabe di Petra e di Elousa.
Cosma di Gerusalemme conferma tale tradizione e aggiunge che il rituale era preceduto da un’altra cerimonia dedicata alla nascita del sole in coincidenza del periodo solstiziale, il 25 dicembre.
Sempre nell’antichità precristiana, in tutta l’area del Mediterraneo, la notte tra il 5 e il 6 gennaio nelle tradizioni agrarie pagane si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso il sacrificio di Madre Natura, rappresentata in modo decrepito e senile. Questa raffigurazione sarebbe da mettere in relazione con l’anno trascorso: Madre Natura, stanca per aver elargito tutte le sue energie, perso l’iniziale e giovanile vigore, diventa una vecchia pronta a sacrificarsi per lasciare il posto alla sua giovane e feconda erede, dispensatrice di buoni raccolti. Per questo in molti Paesi dell’Europa era diffusa l’usanza di bruciare all’inizio dell’anno fantocci di cartapesta o di paglia, ricoperti da vestiti cenciosi e logori.

Nell’antico Lazio questa grande Dea Madre era chiamata Bubona, termine legato ai bovini. In latino il bovino è bubúlinus, il bufalo è bubalus, bifolco si dice bufúlcum (corrispondente al latino classico bubúlcum, “guardiano di buoi”). Questi ultimi due termini dimostrano come la “b” intermedia sia soggetta a trasformarsi con l’evoluzione in “f” (bubalus – bufalo), mentre l’evoluzione di bubúlcus-bufúlcum dimostra come la “u” si trasformi nel tempo in “i”. Applicando le stesse variazioni a Bubona si ottiene Bifona, termine probabilmente trasformato poi in Befana, passando da Bifana. Allora, se questa peripezia linguistica fosse corretta, l’antica divinità vivrebbe ancora nella figura della “nuova” Befana.
Potrebbe non essere una coincidenza se in Basilicata la Befana è chiamata in dialetto Bufania, in Calabria Bifania, in Campania Bofania, in Abruzzo Bbufanije.
Gli antichi Romani credevano, inoltre, che nelle dodici notti dal 25 dicembre al 6 gennaio, alcune figure femminili, guidate da divinità come Diana (dea lunare legata alla vegetazione) o Satia (Sazietà) o Abundantia (Abbondanza), volassero sui campi che erano stati seminati per propiziare i raccolti futuri. Nell’ultima di queste notti, il 6 gennaio appunto, Madre Natura si immolava.
Anche nel nord dell’Europa c’erano nelle culture pagane locali Dee Madri generatrici del Tutto, che nelle notti del Solstizio d’inverno scendevano sui campi innevati per benedirli e accertarsi che fossero fertili e pronti per le prossime semine.
In particolare nella tradizione celtica e in quella delle lande nordiche, con Holla (Signora dell’Inverno, custode del focolare, protettrice della casa, degli animali domestici e dell’arte della filatura), Berchta (la benefica protettrice dell’agricoltura, delle semine e dei raccolti) e Frigg (la Grande Madre divina che aveva generato tutte le divinità e tutti gli spiriti e le creature naturali) possiamo infatti ritrovare il vero aspetto della benevola vecchina vestita di laidi stracci. Queste divinità, nelle dodici notti del Solstizio d’inverno, si recavano a visitare ogni casa, entrando dalla cappa del camino, spargendo e dispensando fortuna e prosperità. Figure affini sono presenti in Svizzera con la Vecchia Posterli e in Tirolo con la strega Zuscheweil.

Una possibile origine “agricola” della Befana è sorretta anche dai suoi doni più
Clicca sulla immagine per ingrandire
La classica maschera della Befana
caratteristici che sono frutta secca (in primis le noci) e arance (oggi sostituiti da dolciumi e leccornie) e carbone.
La frutta secca, presso molti popoli, era considerata un dono di buon auspicio. Lo stesso carbone, oggi portato dalla Befana come dono “negativo”, potrebbe essere collegato alla tradizione dell’antica Roma di bruciare un tronco di quercia nei dodici giorni successivi alla “festa del sole” (25 dicembre) e dal carbone prodotto si sarebbero potuti trarre auspici sulla fortuna dell’anno successivo. Il carbone, oltre ad essere il simbolo di un’energia latente, era considerato anche un portafortuna che aiutava a scacciare malattie e sventure.
Anche la scelta della calza dove deporre i dolciumi, inizialmente di lana e poi di altri materiali, ha origini agricole. Infatti la calza di lana essendo indumento utilizzato dai contadini per affrontare i lavori e i viaggi durante l'inverno, simboleggia l'inizio del cammino verso il nuovo anno. I doni e la calza, dunque, assumono un valore propiziatorio per il nuovo anno.

Se nelle tradizioni precristiane il “giorno della Befana” rappresentava l’interregno tra la fine dell’anno solare (solstizio invernale) e l’inizio dell’anno lunare, oggi rappresenta la conclusione delle festività natalizie, combaciando con l’Epifania cristiana.
Infatti, il cristianesimo, non potendo accettare una festività di origine pagana, e non potendo fare nulla per evitare che la tradizione popolare ne mantenesse viva l’usanza, ne alterò completamente la storia collegando la Befana all’Epifania dei Re Magi, rendendola così “tollerabile” per il proprio credo.
Nacque così una leggenda che mise in relazione la vecchia donnina con i Magi: mentre Melchiorre, Baldassarre e Gaspare si stavano recando a portare i loro regali a Gesù bambino, persero la strada e chiesero informazioni a una vecchia. Ella rispose alle loro domande ma, nonostante le loro insistenze, non accettò di accompagnarli a far visita al neonato. In seguito si pentì di non essere andata con loro e, dopo aver preparato un gran cesto pieno di dolci, uscì per cercarli, fermandosi a ogni casa che incontrava lungo il suo cammino per lasciare i suoi doni ai bambini, nella speranza che uno di questi fosse il Gesù. La vecchia però non riuscì mai a ritrovare i tre Magi e nemmeno il Bambinello, e da allora vaga per il mondo, distribuendo dolci ai fanciulli nella speranza di essere perdonata.
Evidentemente questa storia, così permeata di tormento e fiducia nel riscatto, era più che adatta alla visione cristiana.

Un’altra origine etimologica del nome Befana è strettamente legata al nome della festa cristiana. Nel dizionario etimologico Avviamento all’etimologia italiana, Giacomo Devoto spiega che il nome di Befana è un calco di Epifania “con lenizione settentrionale di p- in b-, ma alla cui invenzione non sarebbe estraneo l’aggettivo “benefico” col quale questo personaggio ha delle assonanze di significato oltre che fonologiche”.
Epifania, dal greco epiphàneia, che vuol dire “apparizione”, e quindi con il significato di “manifestazione della divinità”, fu cambiato dalla Chiesa cristiana d’Oriente in tà Epiphània ierà, cioè “feste della manifestazione” poiché Gesù aveva manifestato il 6 gennaio la sua natura divina oltre che umana in quattro tappe: nascita, adorazione dei Magi, battesimo e miracolo di Cana (in cui il Cristo compie il suo primo miracolo tramutando l’acqua in vino).
La festa dell’Epifania, dunque, ebbe origine nella Chiesa orientale. Le prime notizie storiche su questa celebrazione ci sono state tramandate da san Clemente d’Alessandria, vissuto fra il I e il II secolo, il quale riferisce che la setta gnostica dei Basilidiani celebrava contemporaneamente la nascita e il battesimo di Gesù proprio il 6 gennaio. In questa data, fino a quasi tutto il IV secolo, sia in Oriente sia in Occidente, si celebrava la nascita di Gesù, festività probabilmente anticipata al 25 dicembre durante il pontificato di Giulio I nel 337 o di Liberio nel 353-354 (lo scopo fu quello di sostituire la celebrazione del Natalis Solis Invicti e di abolire il culto del dio Mithra. Sull’origine della festa del Natale rimando al mio “Storia e tradizioni del Natale”, in Storia in Network, numero 158, dicembre 2009, http://www.storiain.net/arret/num158/artic5.asp).
Verso il IV secolo la festa dell’Epifania si diffuse anche in Occidente, e fu adottata dalla Chiesa di Roma nel V secolo come ricorrenza che ricorda la venuta e l’adorazione dei Re Magi al Figlio di Dio.

Dal XIII al XVI secolo la Befana non è ancora “qualcuno” ma solamente una festa. Nel
Clicca sulla immagine per ingrandire
La festa dell’Epifania a Urbania
tardo 1500 si comincia a parlare di Befane come figure femminili, malvestite e di brutto aspetto, che vanno in giro di notte, spesso collegandole alle streghe medievali.
Nel 1535 il termine fu utilizzato da poeta toscano Francesco Berni (1497-1535) nel Sonetto in descrizion dell’arcivescovo di Firenze Andrea Buondelmonti: «Chi vuol veder quantunque pò natura | in far una fantastica befana, | un’ombra, un sogno, una febbre quartana, | un model secco di qualche figura, | anzi pur il model della paura, | una lanterna viva in forma umana, | una mummia appiccata a tramontana, | legga per cortesia questa scrittura».
Nel 1541 un altro poeta toscano, Agnolo Firenzuola (1493-1543), la utilizza nelle sue Rime per descrivere la moglie del “Sarto de’ Cavagli”, giudicandola per il suo aspetto una befana.
Nel XVIII secolo l’accademico fiorentino Domenico Maria Manni (1690-1788) scrisse L'Istorica notizia delle origini e del significato delle befane. Nella quale compiutamente si tratta di quando questo uso si introdusse, dell’origine e significato del nome di Befana, con tutto quello che a tal costume appartiene.

Anche Giovanni Pascoli (1855-1912) dedica una poesia a La Befana, una composizione letteraria in cui il poeta, attraverso la figura della Befana, indirizza il suo pensiero alle realtà sociali di una comunità umana che deve comprendere che ci sono ricchezze che si celano dietro apparenze esteriori di povertà ma che hanno interiormente generosità, proprio come la vecchina del 6 gennaio, dispensatrice di speranza:
Viene viene la Befana, vien dai monti a notte fonda. Come è stanca! la circonda neve, gelo e tramontana. Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce, e la neve è il suo mantello, ed il gelo il suo pannello, ed è il vento la sua voce. Ha le mani al petto in croce.
E si accosta piano piano alla villa, al casolare, a guardare, ad ascoltare, or più presso or più lontano. Piano piano, piano piano. Che c'è dentro questa villa? Uno stropiccìo leggero. Tutto è cheto, tutto è nero. Un lumino passa e brilla. Che c'è dentro questa villa?
Guarda e guarda … tre lettini con tre bimbi a nanna, buoni. Guarda e guarda … ai capitoni c'è tre calze lunghe e fini. Oh! tre calze e tre lettini …
Il lumino brilla e scende, e ne scricchiolan le scale: il lumino brilla e sale, e ne palpitan le tende. Chi mai sale? Chi mai scende?
Coi suoi doni mamma è scesa, sale con il suo sorriso. Il lumino le arde in viso come lampada di chiesa. Coi suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra sente e vede, e si allontana. Passa con la tramontana, passa per la via maestra: trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c'è nel casolare? Un sospiro lungo e fioco. Qualche lucciola di fuoco brilla ancor nel focolare. Ma che c'è nel casolare?
Guarda e guarda … tre strapunti con tre bimbi a nanna, buoni. Tra le cenere e i carboni c'è tre zoccoli consunti. Oh! tre scarpe e tre strapunti …
E la mamma veglia e fila sospirando e singhiozzando, e rimira a quando a quando oh! quei tre zoccoli in fila … Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente; fugge al monte, ch'è l'aurora. Quella mamma piange ancora su quei bimbi senza niente. La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte. Ciò che vede è ciò che vide: c’è chi piange e c’è chi ride: essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.

Il Fascismo, vide nelle “origini romane” della Vecchina con la scopa un valido ausilio alla “romanizzazione” del Paese, e per questo fu fortemente propagandata la ricorrenza. La “Befana fascista”, poi diventata “Befana del Duce”, fu istituita nel 1928 e fu l’istituzionalizzazione di una consuetudine che già esisteva in Italia dagli inizi del Novecento che consisteva nel distribuire i “pacchi della Befana” alle famiglie indigenti da parte di molte categorie commerciali e professionali, contenenti pane, generi alimentari di prima necessità, zucchero, caffè, giocattoli. In verità, dunque, non fu una cosa nuova, ma il recepimento e la pianificazione su scala nazionale da parte del Partito Nazionale Fascista di iniziative spontanee già esistenti. Dal 1934 la “Befana fascista” diventò “Befana del Duce”. Tale cambiamento fu voluto dal nuovo segretario del Partito fascista Achille Starace per avallare il culto della personalità di Benito Mussolini.
Questa consuetudine continuò anche nell’immediato dopoguerra, in un’Italia in cui moltissime erano le famiglie che vivevano nella povertà.

Nelle tradizioni popolari italiane la Befana è ora assimilata al sacrificio della dea Madre Natura, ora alla vecchina dei Re Magi. Così, trasformando l’origine sacra della ricorrenza in fenomeno di costume, si dà vita a diverse usanze, in primis il tradizionale dono della “Calza della Befana”.
In molte regioni italiane esiste ancora oggi accendere falò la notte dell’Epifania, per scacciare il male e propiziare la fecondità della terra e degli animali.
In Friuli dischi infuocati benauguranti e propiziatori si fanno ruzzolare sui fianchi delle
Clicca sulla immagine per ingrandire
Le calze portate dalla Befana
colline e delle montagne (famoso è il “Lancio das Cidulas” che si svolge nella notte tra il 5 e il 6 gennaio a Comeglians, sulle montagne della Carnia), oppure si accendono covoni di rovi, chiamati pignarûl, con in cima un pupazzo che rappresenta la Befana (famoso è “Pignarûl Grant” della città di Tarcento).
In molti paesi del Veneto questi falò li chiamano panevin, e si crede che se le fiamme sono alte e vivaci, l’annata sarà buona e ci sarà “pane e vino” per tutti, se invece la legna stenta a bruciare e le fiamme sono deboli non rimane che sperare nell’infinita misericordi divina.
In alcune zone della Toscana e dell’Emilia Romagna, la Befana è ancora portata in giro per le vie del centro a bordo di un carro prima di essere bruciata nella piazza principale.
A Gradoli, in provincia di Viterbo, nelle notti del 3, 4 e 5 gennaio, gruppi di bambini, ma anche grandi, sfilano per le vie del paese, facendo un fracasso assordante: sono le “Tentavecchie” che, secondo una diffusa usanza popolare, cercano di svegliare la vecchia Befana e ricordarle di portare i doni ai bambini.
Nelle Marche, a Urbania, l’antica Casteldurante, da moltissimi anni si festeggia la “Festa Nazionale della Befana”. Ogni anno il Sindaco della città accoglie la Befana consegnandole le chiavi della città in nome degli abitanti dell’Antica Casteldurante. La Befana arriva in cordata calandosi sulla città per poi entrare nella sua casa.

La Befana non ha solo la “funzione” propiziatoria legata alla campagna e agli animali, ma nelle tradizioni popolari il giorno dell’Epifania porterebbe fortuna anche nel campo amoroso.
In alcuni paesi toscani la dodicesima notte dopo Natale è anche quella dei “Befani”. In Toscana, questi sarebbero dei fidanzati in prova scelti a sorte la sera del 6 gennaio: la coppia vive un “fidanzamento in prova” e se i due ragazzi s’intendono, si procede alla richiesta ufficiale con la partecipazione dei rispettivi genitori, ovviamente la prova non nuoce affatto alla reputazione della ragazza.
Nel Molise, invece, è usanza credere che le ragazze nubili, la notte dell’Epifania, se sognano un ragazzo quello potrebbe divenire il loro fidanzato. Per questo, prima di andare a dormire, le nubili fanno una preghiera di buon auspicio: “Pasqua Bbefania, Pasqua buffate, manneme ‘nzine [in sogno] quille ca Die m’è destinate”.
La funzione più famosa della Befana, resta quella di portare leccornie ai bambini e agli innamorati. Oltre alla tradizionale “Calza della Befana”, è usanza in molte regioni italiane, specialmente in Sardegna, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, fare le “befanate”, ossia una processione con canti che gruppi di giovani intonano davanti le case per ricevere doni.
Sempre legata alla funzione di “portatrice di doni”, in Sicilia famose sono la Vecchia di Alimena, la Vecchia Strina di Cefalù, di Vicari, di Rocca Palumba, la Vecchia di Natale di Ciminna, la Vecchia di Capodanno di Resuttano, la Carcavecchia di Corleone, tutte benefiche e mitiche befane che portano leccornie e giocattoli ai bambini.

La Befana, dunque, nel corso della storia è passata da capro espiatorio, per esorcizzare il male e propiziarsi l’abbondanza e la fertilità dei campi e degli animali, alla funzione di “giudice” sui comportamenti dei bambini tenuti durante l’anno appena passato: se si è stati bravi la vecchietta porta dolciumi, se si è stati cattivi il carbone.
Claudia e Luigi Manciocco scrivono nel loro L’incanto e l'arcano. Per una antropologia della Befana: «Il ruolo della Befana è motivato dalla sua funzione pedagogica di entità esterna che può premiare o punire, a seconda dei comportamenti dei bambini. Il segreto di questa festa consiste essenzialmente nel contatto che si viene a stabilire tra il mondo infantile e quello degli anziani».


BIBLIOGRAFIA
  • La befana vien di notte: miti e riti sacri e profani, glorie e storie antiche e moderne, fatti e misfatti più o meno noti della celebre vecchia, di Mauri G. – EdiCart, Legnano, 1989.
  • Una casa senza porte. Viaggio intorno alla figura della Befana, di Manciocco C. e Manciocco L. – Melusina, Roma, 1995.
  • Storia e leggende di Babbo Natale e della Befana, di Corvino C. e Petoia E. – Newton Compton, Roma, 1999
  • L’incanto e l'arcano. Per una antropologia della Befana, di Manciocco C. e Manciocco L. – Armando, Roma, 2006.
  • La festa dell’Epifania, in Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, di Cattabiani A. – Mondadori, Milano, 2008