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          | 
               
                | La quasi sconosciuta intesa che, tra il 1934 e il 1945, legò saldamente
le sorti del Gran Muftì di Gerusalemme a quelle del nazismo e del Terzo Reich |  |   
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				| LA STRANA ALLENZA FRA HITLER 
E LA LEGA ARABO-PALESTINESE |  |   
          |  |   
          | 
               
              | La storia degli 
                  intensi e complessi rapporti che, tra il 1934 e il 1945, 
                  intercorsero tra il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al 
                  Husseini, capo spirituale dei mussulmani palestinesi, e il 
                  leader nazista Adolf Hitler rappresenta una delle vicende a 
                  sfondo politico-religioso più interessanti e meno note di 
                  quegli anni. I motivi che spinsero la più alta e venerata 
                  personalità religiosa del Medio Oriente ad unire i propri 
                  destini a quelli del dittatore tedesco e, più in generale, 
                  alle forze dell'Asse, suscitano infatti un'indubbia curiosità, 
                  aprendo le porte ad un dibattito che, nell'attuale contesto 
                  politico internazionale, caratterizzato dalla recrudescenza 
                  dell'estremismo islamico antisionista e antioccidentale, 
                  assume una valenza ancora maggiore. La condivisione dei 
                  programmi antisemiti e la comune avversione nei confronti dei 
                  sistemi democratici furono tra gli elementi che, sessant'anni 
                  fa, cementarono le basi di un'intesa politica e militare tra 
                  il nazismo e il Movimento Arabo del Gran Muftì: un'alleanza di 
                  cui, tuttavia, per molti anni poco si è detto e scritto, 
                  almeno in Italia; fors'anche a causa di quel malinteso senso 
                  di tutela e di rispetto per la seppure giusta "causa 
                  palestinese".
 Che il Gran Muftì di Gerusalemme nutrisse 
                  molta simpatia nei confronti dell'ideologia antisemita è cosa 
                  nota, ma assai meno lo sono i documenti e i carteggi che 
                  testimoniano, in maniera chiara ed inoppugnabile, il tentativo 
                  condotto da Amin al Husseini e dai vertici del nazismo per 
                  dare vita ad un vasto e articolato programma di sterminio e di 
                  lotta armata sia nei confronti della comunità israelitica 
                  internazionale, che contro le democrazie
 
                    
                    occidentali: 
                  un piano dal quale, sotto certi aspetti, il "principe del 
                  terrore" Bin Laden sembra avere tratto più di uno spunto. 
                  Oggi, però, grazie all'impegno di un gruppo di storici 
                  israeliani e statunitensi e alle testimonianze emerse dagli 
                  archivi segreti del Terzo Reich, del governo americano, 
                  inglese ed ex-sovietico, è possibile ricostruire con 
                  precisione (purché ne sussista la volontà, ovviamente) la 
                  trama e il contenuto di uno dei più scellerati complotti di 
                  matrice razzista e terrorista mai progettati nel corso del XX 
                  secolo. Dopo anni di indagini e di studi, i ricercatori 
                  dell'istituto Simon Wiesenthal di Los Angeles sono 
                  riusciti a fare riemergere dagli archivi del controspionaggio 
                  nordamericano buona parte della corrispondenza segreta e dei 
                  diari personali del Gran Muftì di Gerusalemme e un certo 
                  numero di casse contenenti una voluminosa massa di documenti 
                  (in lingua araba e tedesca) attraverso la lettura dei quali è 
                  possibile fare luce sull'intera e complessa vicenda.
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                            | Il Gran Muftì con 
                          Hitler |  |  Dopo 
                  la caduta del muro di Berlino, gli studiosi israeliani e 
                  statunitensi (supportati anche da informazioni e suggerimenti 
                  forniti da colleghi inglesi, russi e serbi) hanno infatti 
                  passato al setaccio tutto il materiale e le testimonianze 
                  relativi all'attività di Husseini e dei gruppi arabi che, a 
                  cavallo degli anni Trenta/Quaranta, collaborarono attivamente 
                  con i nazisti. Nella fattispecie, la documentazione fa 
                  riferimento ai numerosi dossier redatti tra il 1936 e il 1945, 
                  dalla Kripo (la Polizia Criminale nazista) e dalla 
                  Gestapo, dalla Sezione Mediorientale dell'Abwehr 
                  (il Servizio Segreto tedesco diretto dall'ammiraglio Wilhelm 
                  Canaris); dal Dipartimento Affari Islamici e del "Centro 
                  Addestramento Elementi Mussulmani" delle Waffen SS 
                  (posto alle dirette dipendenze di Heinrich Himmler); dal 
                  "Comando Operazioni Oriente" della Divisione Speciale 
                  Brandeburg; dal Sonderstab F del generale 
                  Helmut Felmy (organismo incaricato di arruolare nella 
                  Wehrmacht volontari mediorientali, nordafricani, ma 
                  anche transcaucasici e russo-asiatici) e dall'Arab Bureau 
                  del dicastero degli Esteri di Joachim von 
                  Ribbentrop.
 
 
 
 L'antisemitismo come 
                  ragione di vita
 Amin al Husseini (chiamato 
                  anche Al-Haji Amin) nasce nel 1897, a Gerusalemme, da una 
                  famiglia molto religiosa che, fino dalla più tenera età, educa 
                  il figlio secondo i più rigidi precetti islamici. Dopo avere 
                  compiuto i suoi primi studi nella città natale, Amin li 
                  prosegue al Cairo e, in seguito, a Costantinopoli. Nel 1910, 
                  entra nell'esercito ottomano, venendo assegnato ad una scuola 
                  di artiglieria. Sembra che dopo le Guerre Balcaniche Husseini 
                  abbia completato in una scuola coranica la sua preparazione 
                  culturale e religiosa. Ancora molto giovane, Amin mostra 
                  simpatie nei confronti del Movimento Arabo che fa capo allo 
                  sceriffo de La Mecca Hussein, uno dei più importanti vassalli 
                  della Sacra Porta. Nel 1914, in seguito ad abboccamenti con i 
                  servizi segreti inglesi di base al Cairo e agli aiuti promessi 
                  dal Foreign Office di Londra e dal Comando Supremo 
                  dell'Esercito inglese in Egitto, lo sceriffo inizia, infatti, 
                  a progettare una rivolta nazionalista araba con l'intento di 
                  liberare dal giogo ottomano la regione dell'Hegiaz, posta 
                  sotto il suo governo, e le città sante di Medina, La Mecca e 
                  Gerusalemme.
 Tra il 1914 e il 1918, Amin al Husseini segue 
                  e partecipa con interesse alla lotta condotta dallo sceriffo 
                  contro i turchi, fornendo, sembra, il suo appoggio alla causa 
                  attraverso attività segrete e di spionaggio. Nel marzo 1920, 
                  partecipa al Congresso panarabo di Damasco che proclama 
                  l'indipendenza dell'Iraq sotto il re Abdullah e della Siria 
                  sotto Feisal, uno dei figli dello sceriffo Hussein della 
                  Mecca. Nel successivo mese di aprile, Amin al Husseini 
                  aderisce all'organizzazione di una sommossa antiebraica in 
                  Palestina (regione posta sotto mandato britannico) e, in 
                  seguito alla creazione della Haganah (l'organizzazione 
                  armata di
 
                    
                    autodifesa 
                  ebraica), contribuisce a fondare diverse bande terroristiche 
                  antibritanniche, incominciando, nel contempo, a pianificare 
                  una strategia per "eliminare fisicamente tutti gli elementi 
                  sionisti dal territorio mediorientale". Nel maggio 1921, 
                  Husseini fomenta nuove manifestazioni antisioniste in 
                  Palestina e, poco dopo, viene nominato Gran Muftì di 
                  Gerusalemme, la più alta carica religiosa dell'islam, 
                  acquisendo subito grande prestigio e potere. Nel 1925, 
                  favorisce segretamente la nascita dell'Associazione Armata 
                  Araba guidata dal fondamentalista siriano Izz al-din Qassam. 
                  Nell'agosto del 1929, Husseini dà la sua benedizione ad una 
                  delle più violente persecuzioni antiebraiche. Con l'intento di 
                  limitare il diritto di preghiera degli israeliti presso il 
                  Muro del Pianto di Gerusalemme e le visite alla Tomba dei 
                  Patriarchi di Hebron, Husseini sobilla nuovamente la 
                  popolazione mussulmana, contribuendo, tra l'altro, alla 
                  soppressione della secolare comunità ebraica di Hebron.
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                            |   |  
                            | Il Gran Muftì tra le SS 
                          tedesche |  |  Nel 1931, il Gran Muftì sostiene la nascita del Partito 
                  Arabo per l'Indipendenza, uno schieramento che reclama a gran 
                  voce l'unione politico-religiosa tra Palestina e Siria, 
                  regione posta sotto mandato francese. Nel 1933, dopo la salita 
                  al potere di Hitler in Germania, Husseini confida ai suoi 
                  discepoli e collaboratori di "intravedere un nuovo, radioso 
                  futuro", e predice "l'avvento di una nuova era di 
                  libertà per i mussulmani di tutto il mondo". Galvanizzato 
                  dai risultati delle repressioni antiebraiche messe in atto dai 
                  nazisti, il Gran Muftì, che ormai si avvale di un folto 
                  seguito di seguaci, scatena nuove rivolte a Jaffa, Haifa e 
                  Nablus.
 Il 21 Luglio 1934, il Muftì di Gerusalemme compie 
                  il passo decisivo. Con lo scopo di stabilire uno stretto 
                  rapporto di cooperazione con il nazismo, si reca in visita al 
                  nuovo console generale tedesco di Palestina, Döhle. Nel corso 
                  dell'incontro, che verrà definito "molto cordiale e 
                  proficuo", Husseini conferma il suo incondizionato 
                  sostegno alla Germania di Hitler, domandando al diplomatico 
                  "fino a che punto il Terzo Reich fosse disposto a sostenere 
                  il movimento arabo contro gli ebrei". Ricevute soltanto 
                  vaghe assicurazioni in proposito, nel 1936, Amin al Husseini 
                  invia alcuni suoi collaboratori a Berlino per 
                  "intraprendere amichevoli contatti con i capi del movimento 
                  nazista". E nel contempo, in Palestina, proclama la lotta 
                  armata contro le comunità ebraiche e le forze di occupazione 
                  inglesi, affidando il compito di dirigere la rivolta a Fawzi 
                  el Kawakij. Quest'ultimo, nel 1941, sosterrà assieme allo 
                  stesso Muftì il fallito colpo di stato anti-inglese del leader 
                  nazionalista iracheno Rashid Alì, e, successivamente, nel 
                  1948, guiderà le truppe arabe irregolari contro il neonato 
                  stato di Israele. In occasione dei disordini del 1936, 
                  Husseini incita i mussulmani fondamentalisti ad attaccare 
                  anche le fazioni moderate islamiche, causando (secondo fonti 
                  britanniche) non meno di 4.000 morti.
 Informati della 
                  rivolta dal console tedesco, il ministero degli Esteri e i 
                  vertici delle Waffen SS, iniziano a prestare maggiore 
                  attenzione all'attività del Muftì e dei suoi seguaci, pur 
                  mantenendo nei confronti del mondo islamico un atteggiamento 
                  di sostanziale diffidenza. Nel settembre 1937, due giovani 
                  ufficiali delle SS, Karl Adolf Eichmann (che diverrà in 
                  seguito il coordinatore supremo della "Soluzione Finale") ed 
                  Herbert Hagen, vengono inviati a Gerusalemme per cercare di 
                  sondare il livello di affidabilità del Muftì e dei suoi 
                  collaboratori e, eventualmente, trovare i presupposti per una 
                  più concreta cooperazione politico-militare. L'ordine di 
                  Hitler è infatti quello di intensificare i rapporti tra 
                  nazismo ed islamismo radicale, ma di procedere con assoluta 
                  cautela. Pur reputando interessante l'opportunità di 
                  agganciare al carro nazista un elemento di prestigio come il 
                  Gran Muftì, il Führer - che non nasconde il suo 
                  disprezzo non soltanto per gli ebrei, ma anche per tutta la 
                  razza semita - non desidera, almeno per il momento, provocare 
                  una crisi mediorientale dai risvolti imprevedibili.
 Mentre 
                  i due agenti tedeschi si apprestato a partire per la 
                  Palestina, le autorità militari inglesi, che già da tempo 
                  indagano sulle attività sovversive del Gran Muftì, spiccano un 
                  mandato di cattura contro Amin al Husseini, costringendo 
                  quest'ultimo a darsi alla macchia. Tuttavia, una volta giunti 
                  ad Haifa, Eichmann e Hagen riescono egualmente a contattarlo. 
                  I colloqui segreti tra i due agenti e il Gran Muftì si 
                  rivelano abbastanza promettenti. Alla fine, Eichmann offre ad 
                  Husseini la protezione dei servizi segreti tedeschi e la 
                  fornitura di denaro, armi, munizioni ed esplosivi in cambio 
                  del suo impegno ad operare a fianco della Germania per 
                  debellare il "demone sionista", ma anche per minare le 
                  fondamenta del dominio anglo-francese in Medio Oriente. 
                  Husseini non pone alcuna difficoltà, dichiarandosi "felice 
                  di cooperare per il trionfo di una giusta causa", e 
                  promette di fare del suo meglio, coinvolgendo anche i leader 
                  delle comunità mussulmane di Siria, Transgiordania, Libano e 
                  Iraq.
 Nel 1938, secondo il carteggio Wiesenthal, il nome 
                  in codice del Gran Muftì risulta già nel libro paga 
                  dell'Abwehr II. Verso la fine dello stesso anno 
                  l'Abwehr II pianifica un programma per inviare 
                  in Palestina, tramite navi battenti bandiera neutrale, alcune 
                  forniture di armi e munizioni destinate alle forze di 
                  Husseini. Per motivi di sicurezza, il carico dovrebbe essere 
                  sbarcato in un porto dell'Arabia, probabilmente Gedda. 
                  All'ultimo momento, però, l'operazione viene sospesa. Hitler, 
                  già impegnato in Spagna, con la Legione Kondor, a 
                  fianco del generale Francisco Franco, ed in procinto di 
                  annettere la Boemia alla Germania, preferisce evitare di 
                  inasprire ulteriormente i rapporti con l'Inghilterra, i cui 
                  servizi segreti, tra l'altro, sono già al corrente dei legami 
                  tra i nazisti e il Gran Muftì.
 Nel settembre del 1939, 
                  all'indomani dell'invasione tedesca della Polonia, Amin al 
                  Husseini dichiara pubblicamente di volere dare il suo 
                  esplicito sostegno al "meritevole e coraggioso condottiero 
                  Adolf Hitler", incitando "i mussulmani a prendere le 
                  armi a fianco della Germania nazista". All'inizio del 
                  1941, dai microfoni di un'emittente segreta, il Gran Muftì
 
                    
                    invoca 
                  "il diritto degli arabi a risolvere il problema ebraico con 
                  le stesse modalità e gli stessi mezzi adoperati dal Führer, e 
                  lancia un proclama affinché tutti gli islamici contribuiscano 
                  con le armi al successo delle forze dell'Asse". Tuttavia, 
                  non potendo ancora usufruire di una protezione tedesca e 
                  temendo di essere arrestato dagli inglesi, verso la fine del 
                  1940, Amin al Husseini decide di fuggire in Iraq e di muoversi 
                  per conto proprio, utilizzando il denaro che nel frattempo gli 
                  è stato inviato dall'Abwehr. Grazie a queste risorse, 
                  egli inizia a sostenere il partito nazionalista iracheno di 
                  Rashid Alì (compagine che, tra l'altro, controlla buona parte 
                  dell'esercito), fortemente avverso agli inglesi e agli ebrei. 
                  E la Mesopotamia diventa così il banco di prova 
                  dell'organizzazione messa in piedi dal Muftì con i marchi 
                  tedeschi. Rashid Alì, che sta aspettando il momento migliore 
                  per scatenare la rivolta anti-inglese, accoglie Husseini come 
                  un fratello e lo nasconde in un rifugio segreto, 
                  consentendogli di operare indisturbato. Tra la fine del 1940 e 
                  l'inizio del 1941, molti funzionari iracheni stabiliscono 
                  rapporti di segreta cooperazione con l'ormai fantomatico Muftì 
                  che, con molta abilità, continua ad eludere le ricerche della 
                  polizia e dell'esercito inglese presenti anche in Iraq. 
                  Nell'aprile 1941, il Movimento rivoluzionario di Husseini si 
                  consolida, iniziando, tra l'altro, a ricevere sovvenzioni in 
                  denaro anche da dall'Italia, dall'Arabia Saudita e 
                  dall'Egitto. Nel suo rifugio segreto sotterraneo (situato, 
                  sembra, tra Baghdad e Mosul), protetto dai compiacenti 
                  militari iracheni, il Muftì conduce una vita piuttosto agiata. 
                  Egli dispone, infatti, di un attrezzato ufficio dotato di 
                  linea telefonica, di una potente stazione radio, di servizi e 
                  di un ampio magazzino zeppo di armi, munizioni, viveri e 
                  medicinali. Assieme a lui lavorano almeno una dozzina di 
                  collaboratori fidati ed altrettante guardie del corpo, quasi 
                  tutte provenienti dall'esercito iracheno. Nella primavera del 
                  1941, Rashid Alì, sostenuto dall'esercito nazionale e dalle 
                  cellule di Husseini, dà inizio alla sommossa antibritannica. 
                  Rashid Alì obbliga il primo ministro iracheno, il filo-inglese 
                  Nuri Said Pasha, a dare le dimissioni; dopodiché ordina alle 
                  sue truppe di chiudere i rubinetti delle lunghe condotte che 
                  collegano i campi petroliferi mesopotamici al porto di Haifa e 
                  di circondare le scarsamente presidiate basi dell'aviazione e 
                  dell'esercito inglesi. Contemporaneamente, il Muftì lancia, 
                  attraverso un messaggio radio, la jihad (la guerra 
                  santa) contro l'Inghilterra. Nonostante il fulmineo avvio del 
                  Golden Square o "Blocco d'Oro" (il brillante nome in 
                  codice con cui Rashid aveva voluto battezzare la sua 
                  insurrezione), la manovra si rivela, però, intempestiva e male 
                  architettata.
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                            | Soldati del corpo 
                          arabo-nazista |  |  Innanzitutto, perché sia Rashid Alì che il 
                  Muftì non tengono al corrente l'Abwehr circa le loro 
                  mosse, e in secondo luogo perché le forze armate 
                  italo-tedesche, impegnate in questo periodo in Grecia contro 
                  l'esercito inglese ed ellenico, non sono ancora in grado di 
                  intervenire con la dovuta celerità ed incisività in Medio 
                  Oriente. Hitler e Mussolini, infatti, non potranno che inviare 
                  agli iracheni ribelli che qualche dozzina di consiglieri, meno 
                  di cinquanta aerei da trasporto e da combattimento e - tramite 
                  il compiacente governo francese di Vichy - un solo convoglio 
                  ferroviario carico di armi e munizioni proveniente dalla 
                  Siria. A completare la frittata ci pensa poi il Comando 
                  dell'esercito iracheno che,
 
                    
                    palesando 
                  un'evidente inettitudine, non riesce ad eliminare i pochi 
                  presidi inglesi che, nell'arco di dieci giorni, vengono 
                  soccorsi da un forte corpo di spedizione proveniente 
                  dall'Egitto e dall'India. Consolidata nuovamente la loro 
                  presenza sul territorio mesopotamico, gli inglesi schiacciano 
                  la rivolta nazionalista irachena e costringono sia Rashid Alì 
                  che il Muftì a fuggire. Quest'ultimo, braccato dai britannici, 
                  riesce a trasferirsi nel nord del paese da dove - grazie al 
                  denaro e alla connivenza di ribelli mussulmani - passa in Iran 
                  e successivamente in Turchia. Giunto ad Istanbul, Amin al 
                  Husseini si mette in contatto con alcuni agenti tedeschi che 
                  lo aiutano a raggiungere la Germania.
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                            | Il Gran Muftì con i suoi 
                          soldati |  |  Verso la metà del 
                  novembre 1941, il Muftì giunge a Berlino, dove viene accolto 
                  da Eichmann. Questi lo introduce nei palazzi della politica, 
                  dove viene interrogato da alcuni alti ufficiali delle SS 
                  circa il fallimento del Golden Square. Husseini non 
                  mostra alcun imbarazzo nell'addossare tutta la colpa del 
                  disastro alla "quinta colonna ebraica che opera in 
                  Iraq", aggiungendo che un più concreto e sollecito 
                  sostegno da parte delle forze dell'Asse avrebbe probabilmente 
                  evitato il grave infortunio. L'infelice osservazione del Muftì 
                  irrita non poco i tedeschi e rischia di compromettere i futuri 
                  piani di cooperazione arabo-nazisti. Tuttavia, Eichmann ci 
                  mette una pezza e convince il Führer a continuare ad 
                  accordare fiducia e sostegno all'alleato. Il 20 Novembre 1941 
                  il ministro del Esteri tedesco, Joachim von Ribbentrop, riceve 
                  il Gran Muftì, e dal loro colloquio vengono poste le basi per 
                  il successivo incontro con Hitler.
 La trascrizione della 
                  lunga conversazione tra il Muftì e Hitler venne messa a 
                  disposizione di Husseini nel maggio 1945, in una villa nei 
                  pressi della capitale tedesca, e trasmessa all'archivio dei 
                  servizi segreti statunitensi e successivamente a quello delle 
                  Nazioni Unite, dove rimase ben custodita e, curiosamente, mai 
                  pubblicizzata. Intervistato sull'argomento dal quotidiano 
                  Hadashot, lo storico e orientalista israeliano Zvi 
                  Alpeleg ha affermato che l'esistenza di questo documento 
                  (venuto alla luce pochi anni fa, grazie alle ricerche degli 
                  uomini di Wiesenthal) era nota da tempo. Tanto che, nel 
                  gennaio 1946, in seguito ad una fuga di notizie, il quotidiano 
                  americano New York Times pubblicò un articolo sulla 
                  vicenda, il cui contenuto venne smentito da alcuni governi 
                  arabi, come la Siria e l'Iraq. Guarda caso, proprio nel 
                  periodo in cui, sempre da fonte stampa statunitense, il mondo 
                  venne a sapere che il governo di Damasco e del Cairo, con la 
                  complicità dell'Unione Sovietica, avevano dato rifugio ad 
                  alcuni "consiglieri" provenienti dalle file delle SS e 
                  della Gestapo. A titolo di cronaca, è ormai provato che 
                  negli anni Cinquanta, l'Unione Sovietica abbia "fornito" allo 
                  Stato maggiore dell'esercito del dittatore egiziano Nasser 
                  un'altra "partita" di "consiglieri" nazisti (tra cui diversi 
                  fisici e chimici esperti in missilistica e in armi chimiche e 
                  batteriologiche) per mettere a punto armi balistiche dotate di 
                  testate atomiche, a gas o a virus, da utilizzare contro 
                  Israele. Ancora nel 1966, questa volta secondo fonti francesi 
                  e israeliane, l'ormai anziano Amin al Husseini si sarebbe 
                  adoperato per introdurre segretamente in Libano e in Iraq 
                  altri "tecnici" ex-nazisti da lui conosciuti durante il suo 
                  lungo soggiorno in Germania.
 Ma torniamo al colloquio del 
                  22 novembre 1941 tra il Gran Muftì e Adolf Hitler. Nel corso 
                  dell'incontro, durato circa un'ora e mezza, il Gran Muftì 
                  dichiarò che "gli arabi dovevano essere considerati amici 
                  naturali della Germania…" e che "egli era 
                  pronto ad adoperarsi per convincere tutti i mussulmani 
                  presenti in Africa Settentrionale, nell'Europa occupata e in 
                  Russia" ad arruolarsi in una speciale Legione Araba 
                  (la Freies Arabien) al servizio della comune causa 
                  antisionista e antioccidentale. "In questa gigantesca 
                  lotta, gli Arabi si batteranno anche per scacciare gli 
                  anglo-francesi dal Medio Oriente e per creare i presupposti di 
                  un grande Stato Arabo Unito, comprendente la Palestina, la 
                  Siria, il Libano, la Transgiordania e l'Iraq". Dal canto 
                  suo, il Führer (che, in seguito allo smacco subito da 
                  Rashid Alì, non si fidava più delle capacità organizzative e 
                  militari dei capi arabi) assicurò che "la Germania, pur 
                  essendo decisa a richiedere alle nazioni sue alleate 
                  (Italia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Croazia, Slovacchia 
                  e Finlandia, ndr) di contribuire fattivamente alla 
                  risoluzione del problema ebraico", non riteneva ancora 
                  opportuno "dirigere un simile appello ai popoli 
                  mediorientali e a quello iraniano, troppo strettamente 
                  controllati dalle forze inglesi e sovietiche".
 Pur 
                  amareggiato dalle dichiarazioni del Führer, Amin al 
                  Husseini tentò, nei mesi successivi, di persuadere sia Hitler 
                  che Mussolini a sottoscrivere un documento ufficiale con il 
                  quale "la Germania e l'Italia si sarebbero impegnate in 
                  tempi brevi ad intervenire militarmente in Medio Oriente per 
                  aiutare i mussulmani a scacciare gli inglesi". 
                  Dichiarazione, questa, che i due dittatori non sottoscrissero 
                  poiché, al momento, risultava tecnicamente inattuabile. Il 
                  Führer preferì rinviare qualsiasi eventuale azione 
                  nella regione ad una data successiva alla conquista del 
                  Caucaso e della valle del Nilo da parte delle forze dell'Asse. 
                  Amin al Husseini dovette quindi accontentarsi. "In attesa 
                  dello sfondamento italo-tedesco dei fronti egiziano e 
                  caucasico - annotò sul suo diario - ai mussulmani non 
                  rimane che mettersi a disposizione della Germania, 
                  partecipando alla distruzione dei sionisti in Europa".
 Per cercare di andare incontro ad Husseini, nel 1942 i 
                  tedeschi lo posero alla direzione dell'"Ufficio Arabo": un 
                  ente controllato dalle SS al quale sarebbe spettato il 
                  compito di fare
 
                    
                    propaganda 
                  antisemita e di favorire l'arruolamento dei mussulmani nella 
                  Legione Araba di cui si è detto, ma anche nei reparti 
                  delle SS appositamente costituiti da Himmler per 
                  inquadrare elementi bosniaci e albanesi. Questi ultimi 
                  andarono, infatti, a formare la 13ma Divisione da montagna 
                  SS Handschar e la 21ma Divisione da montagna 
                  Skanderbeg, indossando una divisa da combattimento 
                  abbastanza simile a quella in uso nelle sezioni analoghe 
                  tedesche. Sul capo essi portavano il fez rosso con appuntato 
                  il teschio, mentre al posto delle consuete scritte runiche del 
                  colletto comparvero curiosi gagliardetti con una scimitarra 
                  islamica. Va notato infine che, nonostante il suo personale 
                  disprezzo nei confronti di tutte le religioni, Himmler 
                  concesse ai volontari mussulmani delle due divisioni di 
                  praticare una dieta particolare vincolata ai precetti 
                  mussulmani, di pregare pubblicamente secondo la ritualità, e 
                  di festeggiare e osservare le feste e i digiuni imposti dal 
                  Corano.
                      | 
                          
                          
                            |  |  
                            | Lettura di un libro 
                          antisemita |  |  Situato non lontano da Berlino, il quartiere 
                  generale del Muftì controllava una fitta rete di 
                  collaboratori, sia i Europa che nel resto del mondo. Esso, 
                  infatti, estendeva la sua autorità a tutto il Medio Oriente, e 
                  al Nord Africa, ma anche sulle più lontane regioni asiatiche 
                  abitate da minoranze islamiche. Tra il 1942 e il 1944, il Gran 
                  Muftì lavorò intensamente, consentendo l'arruolamento nella 
                  Legione Araba e nelle Divisioni Waffen SS di 
                  molti uomini. Grazie alla sua martellante propaganda, attuata 
                  tramite potenti stazioni radio messe a disposizione dai 
                  tedeschi, e mediante frequenti viaggi, decine di migliaia di 
                  mussulmani balcanici andarono a formare le nuove divisioni di 
                  Himmler. Queste unità, divenute ben presto note per la loro 
                  ferocia, vennero spesso impiegate nei Balcani in azioni 
                  antipartigiane e nei rastrellamenti di ebrei e zingari. Nel 
                  1943, non meno di 50.000 mussulmani di varia provenienza 
                  risultavano presenti nelle divisioni SS o nei reparti 
                  speciali tedeschi (1). Anche se la Legione Araba 
                  (l'unità sulla quale il Muftì contava molto in quanto egli la 
                  considerava l'elemento costituente del suo futuro esercito) 
                  non arrivò mai a superare gli effettivi di qualche 
                  battaglione. L'unità, contrariamente alle aspettative dei 
                  tedeschi, fornì inoltre risultati piuttosto deludenti sia 
                  sotto il profilo disciplinare che operativo e bellico (2).
 Nel corso del conflitto, molto intensa risultò anche 
                  l'azione diplomatica svolta dal Gran Muftì. Tra il 1942 e il 
                  1944, egli effettuò diversi viaggi per l'Europa, recandosi 
                  nelle regioni abitate da nuclei mussulmani (Bosnia, Kosovo, 
                  Albania) per constatarne la fedeltà al Reich, e 
                  stringendo rapporti di amicizia e cooperazione anche con i 
                  capi di movimenti parafascisti croati e serbo-cetnici che 
                  avevano in comune un profondo odio nei confronti degli ebrei e 
                  delle democrazie occidentali. Non solo. Sembra che nel 1942, 
                  tramite l'ambasciata giapponese di Berlino, il Muftì abbia 
                  avviato contatti perfino con il governo di Tokyo, il cui 
                  ministero della Guerra era intenzionato a servirsi di lui e 
                  dei suoi seguaci per fare insorgere contro gli eserciti di 
                  Ciang Kai Shek e di Mao Tse Tung le comunità mussulmane della 
                  Cina centro-occidentale (regioni del Tarim e del Tsinghai) e 
                  per tenere buone quelle, assai più numerose, dell'Indonesia e 
                  delle isole meridionali delle Filippine. Nella sua veste di 
                  responsabile della supervisione della propaganda radio 
                  dell'Asse diretta verso i popoli mussulmani, il Muftì utilizzò 
                  spesso le numerose ed efficienti emittenti radio tedesche, 
                  potendo contare, nel 1942, su almeno sei stazioni. Ma Husseini 
                  amava molto parlare anche davanti alle grandi folle. Nel 
                  giugno del 1943, a Berlino, in occasione di un'importante 
                  adunata nazista, il Muftì lanciò strali contro la 
                  Dichiarazione Balfour, prendendosela, tanto per cambiare, con 
                  la "cospirazione anglo-sassone, 
                  massonico-ebraica". Rivolto agli alti gradi delle 
                  SS presenti, disse: "Il trattato di Versailles non 
                  fu soltanto un disastro per voi tedeschi, ma lo fu anche per 
                  il popolo arabo. In ogni caso, oggi sappiamo come rimettere le 
                  cose al loro giusto posto e, soprattutto, oggi siamo 
                  tecnicamente in grado di eliminare dalla faccia della terra 
                  tutti gli israeliti".
 Tra il 1941 e il 1943, il Muftì 
                  e i servizi segreti tedeschi inviarono in Marocco, Algeria, 
                  Tunisia, Egitto, Palestina, Siria e Trasgiordania un gran 
                  numero di opuscoli e di altro materiale propagandistico 
                  antinglese e soprattutto antisionista. Anche quando le armate 
                  del Reich dovettero abbandonare le steppe russe e 
                  l'Africa settentrionale, arretrando sempre più verso i confini 
                  tedeschi, Husseini continuò a lottare, lanciando messaggi alle 
                  popolazioni mediorientali, africane e addirittura alle 
                  minoranze arabe residenti in Asia e negli Stati Uniti, 
                  spronandole a combattere contro il demonio sionista e 
                  plutocratico. Il 1° Marzo 1944, nel corso dell'ennesima 
                  trasmissione radiofonica, il Muftì ebbe modo di ribadire il 
                  suo immutato odio nei confronti degli israeliti: "Arabi! 
                  Alzatevi come un solo uomo e combattete per i vostri 
                  sacrosanti diritti. Uccidete gli ebrei dovunque li troviate. 
                  Ammazzate, e farete cosa gradita da Allah". Ma intanto la 
                  guerra stava volgendo al termine e le armate di Hitler 
                  ripiegavano su tutti i fronti sotto la pressione delle forze 
                  anglo-americane e sovietiche. Catturato nel tardo aprile del 
                  1945 in un piccolo paese della Germania occidentale dalle 
                  truppe statunitensi, Al Husseini venne tradotto in un carcere 
                  francese da dove, nel 1946, riuscì però ad evadere, 
                  rifugiandosi prima al Cairo e poi a Beirut, in Libano. In 
                  questa città egli dedicherà il resto della sua esistenza ad 
                  elaborare piani e strategie finalizzati alla distruzione della 
                  razza ebraica e dello stato di Israele, dando, con immutata 
                  perseveranza e rabbia, il suo sostegno materiale morale a 
                  tutti i nemici del sionismo. Venerato ma ormai messo da parte 
                  dai più giovani e rampanti leader del terrorismo islamico, 
                  l'ex Gran Muftì di Gerusalemme Amin al Husseini morirà nella 
                  capitale libanese il 4 luglio 1974.
 
 NOTE:
 1. Nel corso 
                  della campagna di Russia, i tedeschi ebbero modo di arruolare 
                  nelle file del loro esercito un elevato numero di volontari 
                  mussulmani, inquadrandoli in appositi reparti. Nella 
                  fattispecie vennero formati non meno di 10 battaglioni a 
                  cavallo calmucchi; il raggruppamento battaglioni turchi 
                  Haroun el Rashid; nove battaglioni tartari; quattro/sei 
                  battaglioni caucasici (formati da georgiani e azerbaigiani e 
                  dell'Abhkazia); una brigata di fanteria cosacca; due grosse 
                  divisioni di cavalleria cosacca del Kuban e del Terek e 
                  parecchie compagnie formate da elementi provenienti da 
                  Kazakistan, Turkmenistan, Usbekistan, Tagikistan e 
                  Kirghisistan. L'adesione spontanea di queste minoranze alla 
                  causa nazista derivava in gran parte dalla dura, e spesso 
                  spietata, politica di segregazione etnico-religiosa attuata 
                  nel corso degli anni Trenta dal regime di Stalin.
 
 2. 
                  Già a partire dal luglio del 1941, la Germania aveva 
                  intrapreso l'addestramento di speciali unità formate da 
                  elementi arabi mediorientali e nordafricani. Poco dopo la 
                  fallita rivolta antinglese di Rashid Alì, il Comando 
                  dell'Esercito tedesco diede incarico al generale Hellmuth 
                  Felmy di provvedere all'addestramento di un primo nucleo di 
                  combattenti mussulmani. Felmy cercò di inquadrare alcune 
                  centinaia di uomini, costituendo l'845° Battaglione 
                  Arabo-Tedesco.
 I problemi che Felmy dovette affrontare 
                  furono però molti e diversi. A parte l'assoluta impreparazione 
                  militare evidenziata da quel primo nucleo di volontari assai 
                  poco portati alla disciplina, il generale notò ben presto che 
                  all'interno della truppa sussistevano anche diverse fazioni 
                  ideologiche. Una parte degli uomini dell'845° simpatizzavano, 
                  infatti, con il partito guidato dal nazionalista siriano Fauzi 
                  Kaikyi, un'altra si dichiarava seguace del partito 
                  nazionalista iracheno dell'ex-primo ministro Rashid Alì, 
                  mentre una terza si dichiarava fedele al Gran Muftì di 
                  Gerusalemme. Nell'estate del 1941, il battaglione venne 
                  trasferito in Grecia, a Sounio, una località situata 
                  nell'estremo lembo meridionale dell'Attica, dove avrebbe 
                  iniziato il suo ciclo di addestramento.
 I tedeschi scelsero 
                  questa località sia per motivi climatici che strategici, in 
                  quanto essi pensavano di utilizzare l'unità araba in Africa 
                  Settentrionale o in Medio Oriente (specificatamente in 
                  Palestina, Transgiordania, Siria e Iraq). Durante prima la 
                  fase di addestramento, gli istruttori tedeschi (ufficiali che, 
                  prima della guerra, avevano soggiornato a lungo nei paesi 
                  arabi o che durante il Primo Conflitto mondiale avevano 
                  prestato servizio in Medio Oriente nelle file 
                  dell'Asienkorps tedesco del generale Erich von 
                  Falkenhein) impartirono alle reclute lezioni di tedesco, 
                  insegnando poi ad esse l'uso di svariate armi ed 
                  esplosivi.
 I risultati ottenuti furono però piuttosto 
                  scarsi, in quanto i volontari mussulmani, molto preparati e 
                  determinati sotto il profilo ideologico e politico, si 
                  rivelarono in realtà piuttosto pigri, indisciplinati, 
                  disordinati e scarsamente portati al combattimento moderno. Il 
                  24 luglio 1941, intanto, a Potsdam, una seconda Unità di 
                  Addestramento, la Sonderverband 288, riuscì a mettere 
                  insieme un altro gruppo di volontari mussulmani fedeli al 
                  Muftì, inquadrandoli in uno speciale battaglione da impiegare 
                  nella guerra nel deserto. Terminato il ciclo di addestramento, 
                  l'unità, che in realtà non contava neanche 150 uomini, venne 
                  inviata a Bengasi, entrando a fare parte dei reparti mobili 
                  dell'Afrika Korps del generale Erwin Rommel.
 In 
                  Libia, il battaglione assunse anche la pomposa denominazione 
                  di Panzergrenadier Regiment "Afrika". Il 26 gennaio 
                  1942, il capitano Schober assunse il comando del 
                  raggruppamento arabo che ricevette anche nuove uniformi colore 
                  sabbia. Sulla manica della giubba spiccava per la prima volta 
                  uno stemma di tessuto che riportava una bandiera rosso, verde, 
                  bianca, nera, con impressa la scritta "Libera Arabia", 
                  sia in arabo che in tedesco. Nell'aprile del 1942, il 
                  battaglione contava 133 effettivi. Non si hanno notizie circa 
                  l'impiego operativo di questa unità che venne affiancata da 
                  una compagnia tedesca e da una compagnia formata da 
                  ex-legionari francesi fedeli al governo di Vichy.
 Ciò che 
                  si sa è che 30 elementi considerati i meglio preparati 
                  entrarono in seguito a fare parte di una speciale compagnia 
                  guastatori dell'esercito tedesco, addestrata per compiere 
                  incursioni in Ciad e in Egitto, all'interno delle linee 
                  inglesi. Il 4 agosto 1942, grazie anche all'opera 
                  propagandistica del Gran Muftì, il Comando Supremo tedesco 
                  formò un terzo battaglione arabo, la cosiddetta Sonder 
                  Verbande 287. L'unità, che venne addestrata nel campo di 
                  Doberitz, era formata da circa 200/300 uomini e raggruppava 
                  diversi elementi tratti dall'845° Battaglione.
 In occasione 
                  della grande offensiva d'estate scatenata dall'esercito 
                  tedesco sul fronte del Caucaso, il Gran Muftì insistette 
                  presso il Comando tedesco affinché almeno un reparto arabo 
                  venisse impiegato in quella regione, abitata in buona parte da 
                  popolazioni di religione mussulmana. E lo stesso Hitler, che 
                  in realtà non aveva mai nutrito eccessiva fiducia nelle 
                  capacità militari degli arabi, ritenne opportuno dare il suo 
                  benestare. E fu così che il 21 agosto, il Gruppo Speciale F 
                  (alias Sonder Verbande 287) venne trasferito da 
                  Doberitz a Stalino (Ucraina), entrando a fare parte della 1a 
                  Armata Panzer alla quale sarebbe spettato l'arduo compito di 
                  raggiungere e conquistare i grandi campi petroliferi di Grozny 
                  e di Baku e di proseguire poi in direzione della Persia e 
                  della Siria.
 Verso la metà di settembre, il Battaglione 
                  Arabo, adeguatamente addestrato, armato e rinforzato da 
                  elementi tedeschi, venne trasferito nella zona d'operazioni 
                  compresa tra il fiume Kuma e il canale del Manich, andando ad 
                  integrarsi con i reparti tedeschi appartenenti alla 16ma 
                  Divisione di Fanteria Motorizzata che controllava Elista e gli 
                  estremi capisaldi orientali situati nella Steppa dei 
                  Calmucchi. Secondo le direttive del Comando supremo, il 
                  battaglione arabo venne poi spostato un po' più a sud, nella 
                  Steppa del Nogay, per andare a presidiare i nodi di Acikulak e 
                  Urozajne. Giunto in questa regione il reparto arabo venne 
                  integrato con diversi elementi locali di religione mussulmana, 
                  e venne attrezzato per andare ad operare all'interno della 
                  catena del Caucaso, assieme alle truppe da montagna della 1a 
                  Armata tedesca che, nel frattempo, avevano ricevuto l'ordine 
                  di conquistare tutti gli alti passi montani e di penetrare in 
                  Abhkazia e in Georgia.
 Obiettivo che tuttavia rimase sulla 
                  carta in quanto, a metà di ottobre del 1942, i russi 
                  scatenarono una poderosa controffensiva, costringendo l'intero 
                  Gruppo A dell'Armata Tedesca a ritirarsi, e con essa anche il 
                  reparto arabo. In seguito al ripiegamento, il battaglione 
                  venne sciolto e parte dei suoi componenti optarono per andare 
                  a lavorare nel servizio segreto tedesco. I rimanenti soldati 
                  vennero inquadrati in un piccolo distaccamento acquartierato 
                  in Germania. Dopo lo sbarco anglo-americano in Nord Africa 
                  dell'8 novembre 1942, il Gran Muftì chiese al Comando 
                  germanico di impiegare in Tunisia alcuni plotoni tratti dai 
                  tre battaglioni arabi. Nel dicembre dello stesso anno, un 
                  centinaio di volontari arabi, agli ordini di ufficiali 
                  tedeschi, venne inviato a Palermo per poi essere trasferito, 
                  nel gennaio del 1943, a Tunisi.
 Giunto in Africa, il 
                  raggruppamento ricevette una nuova denominazione: "Kommando 
                  Deutsch-Arabischer Truppen" (Commando Truppe 
                  arabo-tedesche). Al reparto vennero affidati compiti di 
                  sorveglianza della costa tra Capo Bon e la città di Susa e di 
                  reclutamento di volontari tunisini. Nell'aprile del '43, in 
                  concomitanza con le ultime operazioni della campagna, gli 
                  arabi vennero dotati di armamento più moderno e pesante per 
                  contrastare le avanzanti forze anglo-americane. E tra la fine 
                  di aprile e i primi di maggio, il gruppo venne inserito nella 
                  Divisione Corazzata "Goering", partecipando ad alcuni 
                  aspri combattimenti.
 Il 10 maggio, infine, gli ultimi 
                  combattenti battaglione arabo verranno catturati dagli 
                  americani e trasferiti negli Stati Uniti, nel campo di Opaluka 
                  (Alabama), dove rimarranno, in compagnia di altri 1.800 arabi 
                  filo-tedeschi, fino al 10 aprile 1946. I modesti risultati 
                  ottenuti dall'impiego militare di volontari arabi, sconsigliò 
                  i tedeschi dal formare ulteriori, analoghi reparti, anche se, 
                  nel corso della seconda metà del 1943, un centinaio di arabi 
                  vennero ancora arruolati dal 1° Reggimento Paracadutisti 
                  tedesco e dallo speciale Gruppo Commando del tenente 
                  colonnello Otto Skorzeny. Con l'approssimarsi della fine della 
                  guerra, il Gran Muftì dovette rinunciare al sogno di 
                  costituire un vero Esercito Arabo in divisa tedesca e a 
                  limitare la sua azione alla pura propaganda.
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