Meraviglie e miracoli costellano l’opera del vescovo ligure Iacopo da Varazze. Nel XIII secolo, la Leggenda Aurea offre, in uno stile vivo e immaginifico, un ricco insieme di racconti che sfuggono il quotidiano e che alimentano l’immaginario medievale.
Del buon uso della Leggenda Aurea
di MAX TRIMURTI
Il nome stesso della Leggenda Aurea del domenicano Iacopo da Varagine (Varazze), composta in latino nel 1265, fa ancora sognare. Essa è stata in effetti una immensa fonte d’ispirazione per gli artisti, nonché uno straordinario repertorio di immagini. Uno storico dell’arte del secolo scorso affermò, con una certa enfasi, che “è sufficiente averla letta per poter spiegare quasi tutti i bassorilievi e quasi tutte le vetrate leggendarie delle cattedrali gotiche”.
Tuttavia, occorre dire che la Leggenda Aurea ha avuto, per molto tempo, una cattiva reputazione. Essa ha incarnato - nonostante un ritorno nel XIX secolo come strumento di riconquista cattolica - un Medioevo “oscurantista” e irrazionale. Del resto, sembra offrire un’impressionante messe di leggende ingenue e di “superstizioni” intessute intorno ai santi e di sante, a turno vincitori di mostruosi demoni, attori di miracoli o martirizzati da infami boia.
Ma chi è il suo autore? Iacopo da Varagine, nato senza dubbio a Varazze, vicino Genova, verso il 1228, appartiene alla stessa generazione di San Tommaso d’Aquino. Come quest'ultimo entra nell’ordine domenicano nel 1244: a questa data, la prima generazione dei discepoli di San Domenico ha già esteso la rete dei conventi fino all’estremità dell’Europa, dalla penisola Iberica all’Ungheria e alla Polonia. Iacopo, sebbene grande viaggiatore, passa gran parte della sua vita nel nord d’Italia, fra il convento di Genova, dove si forma intellettualmente, e la provincia di Lombardia, distribuita dalle Alpi all’Adriatico. Negli ultimi anni della sua vita rientra a Genova dove, a coronamento di una carriera, viene nominato arcivescovo. Muore a 70 anni nel 1298.

Lungi dall’essere un teologo puro, Iacopo è prima di tutto un predicatore. Alla metà del XIII secolo la conquista dei fedeli attraverso la parola è una posta fondamentale della missione
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San Giorgio e il drago
dei predicatori: lo sviluppo delle città, in cui gli abitanti sono male inquadrati dai parroci (oberati dalle loro funzioni), l’ampiezza dell’eresia e dei movimenti contestatari (catari, poverelli, valdesi), fanno sì che l’insegnamento della Chiesa debba essere meglio compreso dalle folle.
Indubbiamente un sermone non si improvvisa: occorre un lungo apprendistato e il ricorso a efficaci strumenti di lavoro. La Leggenda Aurea rappresenta uno di questi. In effetti, Iacopo ha già prodotto altre opere destinate ad aiutare i predicatori. Egli ha composto quattro grandi collezioni che riuniscono più di 700 sermoni: sui santi, complementari - nella sua logica - alla Leggenda Aurea; sulle domeniche dell’anno; per il tempo di Quaresima; infine, sulla Vergine Maria.
Per conquistare gli spiriti e i cuori, i santi sono degli alleati di valore. I predicatori hanno bisogno di racconti che presentino i santi “come modelli globali che debbono fornire dei buoni esempi”. Iacopo da Varagine attinge pertanto nelle leggende esistenti per offrire nella sua opera una ricca compilazione di riassunti di vite di santi e sante che sono, ai suoi occhi, tra i più importanti e i più rappresentativi. Il suo lavoro d’enciclopedista è serio, critico - per il suo tempo - e ambizioso: il domenicano ricerca le fonti più autentiche, lascia poco spazio alle devozioni locali, passa quasi sotto silenzio i poteri terapeutici dei santi. Risulta evidente il suo interesse per i Padri del Deserto e per i racconti sui santi d’Oriente.
Non è tutto. I predicatori devono ugualmente spiegare ai fedeli il senso delle feste che ritmano l’anno liturgico e che rimandano per l’essenziale ai grandi eventi della vita di Cristo e della Vergine: Natale, Circoncisione, Epifania, Pasqua, Assunzione, ecc... e per questo motivo Iacopo consacra poco meno della metà del suo volume a queste feste. Egli offre anche un riassunto della “Storia dell’Occidente dall’arrivo dei Longobardi in Italia” (è per questo motivo che la Leggenda Aurea - titolo che risale solamente all’edizione stampata - porta nel Medioevo la denominazione di Storia Longobarda, parallelamente a quella di Leggenda dei Santi). Lungi dall’essere una semplice raccolta delle vite di santi, la Leggenda Aurea è quindi un manuale di cultura religiosa utile ai predicatori.

Da questo intreccio di racconti agiografici e di feste cristiane, l’autore vuole imporre ai fedeli il tempo della Chiesa, offrendo loro un calendario stabile. Secondo Jacques Le Goff “per Iacopo da Varagine, i santi sono essenzialmente, grazie alle date delle feste anniversario della loro morte, dei segnatempo”. Iacopo rende popolari le modifiche del calendario volute dalla Chiesa: la morte di Santo Stefano viene celebrata all’inizio del mese di gennaio e non più in agosto, in modo da poter riunire tre figure di martiri: Stefano, Giovanni evangelista e i santi innocenti.
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Pagina miniata di una edizione del XV secolo
L’imposizione di un calendario cammina di pari passo con il recupero di alcune tradizioni popolari. Iacopo da Varagine ricorre alla forza magica degli oggetti. E’ il caso delle campane. Egli indica (nel capitolo 66) che in certi luoghi esiste l’abitudine, “che non è reprensibile” (affermazione piena di significato, dimostrando che questa pratica era condannata da certi chierici...), di consacrare una nuova campana attraverso una solenne benedizione da parte di un sacerdote. “Questa benedizione contiene in effetti quello che occorre per dare alla campana, in nome di Dio, un potere efficace contro il fulmine, il tuono e le tempeste”. Ecco così le campane, lavate da ogni sospetto di paganesimo e diventate trombe divine, che spaventano il diavolo.
Varagine cerca in tal modo di “addomesticare” anche il… dragone. L’animale è familiare nei bestiari medievali e si inserisce nell’ordine della natura come un membro, a pieno diritto, del mondo animale. Considerato come un nemico dell’elefante (stimato come benefico), questo animale fantastico vive ai margini del mondo civilizzato, nelle foreste o nei fiumi. Esso è l’animale del caos, di un mondo sul quale l’uomo non ha potere. Respingerlo significa respingere la ferocia e il selvaggio.
Iacopo lo fa intervenire nelle processioni che hanno luogo tre giorni prima dell’Ascensione (sono le Rogazioni): si tratta di allontanare le malattie e di attirare la prosperità. Egli scrive: “In certe chiese e soprattutto nelle chiese della Gallia, si ha come abitudine di portare dietro la croce un dragone, la cui coda è lunga e gonfia, in quanto viene riempita di paglia o di una materia simile, durante i primi due giorni; il terzo giorno la si porta in processione dietro la croce con la coda vuota”.
La presenza di un simile manichino di paglia è attestata in alcune pratiche liturgiche dopo il XII secolo, ma fino al quel momento non aveva avuto un grande successo. Iacopo cerca dunque di forzare la mano ed utilizza la potenza evocatrice del dragone per imporre, secondo alcuni teologi, una divisione cristiana del tempo, definendo in tre tempi la storia dell’uomo: il primo giorno corrisponde alla vita della Natura, il secondo comincia con Mosè e il terzo (in cui il diavolo viene vinto) con l’arrivo del Cristo.

E non è tutto. E’ Iacopo da Varagine che impone il lungo episodio del dragone nella leggenda di San Giorgio. Un dragone devasta “attraverso il suo soffio mortale” un regno e il suo furore viene acquietato solo per mezzo del sacrificio di ragazzi e ragazze. Viene allora il turno della figlia del re. Giorgio ferisce il dragone e la figlia del re lo riporta nella città. Il santo promette allora di uccidere il drago se gli abitanti si faranno battezzare e così si compie la promessa.
Il tema del dragone oppressore di una città che deve offrire i suoi giovani per placare la sua ferocia è ben conosciuto: si pensi alla leggenda di Teseo, vincitore del Minotauro nel Labirinto. C’è una evidente volontà di “folclorizzare” la vita del santo, di addomesticare il fantastico (la prodezza è in effetti resa nel nome di Cristo).
Il racconto di Iacopo da Varagine è vivo, infarcito di dialoghi. Quando il dragone ritorna, prigioniero, nella città seguendo la figlia del re “come il più docile dei cani”, gli abitati sono presi da panico: “Il popolo della città, a questa vista, si mette a fuggire sulle montagne e i deserti gridando: disgrazia per noi. Periremo tutti! Allora San Giorgio fece loro segno e disse: Non abbiate paura, poiché il signore mi ha inviato a Voi precisamente per liberarvi dalle esazioni del dragone. Se solamente voi credete nel Cristo e se voi vi farete tutti battezzare ebbene io ucciderò il dragone”.
I predicatori dovevano riprendere questi racconti con questa vivacità di toni e questo piacere di raccontare, adattandoli dal latino nelle lingue volgari. E’ proprio attraverso la Leggenda Aurea che San Giorgio ha potuto acquisire una popolarità straordinaria: egli viene ormai rappresentato dappertutto come vincitore del drago. Giorgio rimane un santo ma s’impone quasi come un eroe “all’antica” e per questo motivo viene rappresentato in immagini e sculture.

C’è indubbiamente del fantastico nella Leggenda Aurea: dei dragoni, delle apparizioni come quelle del Cristo in croce fra le corna di un cervo nella celebre visione di Sant’Eustachio. Ma nell’opera di Iacopo da Varagine ci sono soprattutto i miracoli.
Quale è la
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Una recente edizione della Leggenda
differenza fra fantastico (mirabilia) e miracolo? Il mirabilia si distingue in effetti dal miracoloso e dal magico, in quanto esso è naturale pur essendo eccezionale. Per contro, i santi compiono dei miracoli, azioni che vanno contro il corso della natura e che sono di origine divina (i santi non sono altro che strumenti di Dio). Questi miracoli, per il loro carattere ugualmente eccezionale, tendono al fantastico e forniscono un ricco insieme di racconti che sfuggono al quotidiano e alimentano l’immaginario medievale.
Nella Leggenda Aurea le resurrezioni si contano in grandi quantità. Un solo esempio: in Ungheria, un uomo piange su suo figlio defunto e invoca San Domenico affinché lo resusciti. All’alba, il figlio apre gli occhi e domanda perché il volto del genitore è bagnato. Sono le lacrime di suo padre. E il figlio gli spiega che Domenico, compatendo la disperazione paterna, ha ottenuto per i suoi meriti che egli potesse ritornare in vita.
Altri miracoli sono più sorprendenti. Ecco il racconto di una strana operazione chirurgica. A Roma, un uomo che ha una gamba “rosicchiata” da un tumore venera i santi Cosma e Damiano (santi di origine orientale: sono arabi nati in Grecia). Durante il sonno, i santi appaiono apportando unguenti e strumenti. Ma dove trovare della carne per rimpiazzare la gamba putrefatta una volta tagliata? Uno dei santi ha un’idea: utilizzare il corpo di un Etiope, sepolto da poco. Egli corre al cimitero e riporta indietro la coscia dell’Etiope. La gamba malata viene amputata e rimpiazzata con quella del “Moro”. Al suo risveglio, egli non crede ai suoi occhi. “Egli avvicina la candela e non vede alcuna piaga e pensa di essere diventato un altro”. Egli racconta immediatamente a tutti la sua guarigione. “Scossi, questi ultimi inviano delle persone alla tomba e possono constatare che la sua gamba era stata tagliata e sostituita con l’altra”. Questo miracolo contribuisce notevolmente alla gloria di Cosma e Damiano, che saranno considerati patroni dei medici.
La Leggenda Aurea non è stata però utilizzata solamente dai predicatori. Il suo utilizzo è stato molteplice nel corso dei tempi. Essa è servita da lettura nei monasteri, ma anche come lettura di devozione per chierici e laici. Le traduzioni della Leggenda Aurea si sono moltiplicate nel tempo, arricchendosi di nuovi racconti, andando in tal modo anche ben oltre le intenzioni dello stesso autore.


BIBLIOGRAFIA
  • Iacopo da Varagine, Legenda Aurea – Torino, Einaudi, 2007
  • G. Maggioni, Ricerche sulla composizione e sulla trasmissione della «Legenda aurea» - Fondazione CISAM, 1995.
  • J. Le Goff, Il tempo sacro dell'uomo - Bari, Laterza, 2012