Grande attore del Primo Novecento, ebbe fama internazionale. Dall'esperienza
futurista creò un linguaggio teatrale nuovo. L'ambiguo rapporto con il fascismo
PETROLINI, COMICO IRRESISTIBILE
CHE FRUSTAVA L'ITALIETTA
di GOFFREDO ADINOLFI
Gli esordi
Petrolini è forse una delle figure più deliranti del teatro italiano ed è proprio per questa la ragione che rende davvero difficile ripercorrere l'esperienza della sua vita senza incorrere in notevoli errori. Non si è certi neppure della sua data di nascita: 1886 o 1884? Nato, vissuto e morto in un modo assolutamente burlesco i canoni di giudizio normali non possono certo reggere al confronto di un personaggio che era tutte le sue macchiette tranne se stesso e nel quale tutte le sue macchiette lo rappresentano in modo forse distorto.
Fin da bambino Petrolini manifesta una irrequietezza davvero esplosiva. Viene cacciato dalla scuola elementare Vittorino da Feltre in quanto troppo indisciplinato. Questo episodio lascerà il segno, anni dopo infatti, quando gli rimprovereranno di usare uno stile letterario scorretto, Petrolini spiegherà: "Quanto agli appunti pedanteschi che mi sono stati mossi, rispondo candidamente e orgogliosamente che io sono autodidatta, che ho studiato poco, ma
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Ritratto fotografico di Ettore Petrolini
ho imparato e visto molto e che i ritagli di tempo consacrati alla scuola non sono serviti a farmi apprendere nulla. Sono sicuro che il mio maestro, il quale certamente conosceva l'ortografia a menadito, abbia appreso qualcosa da me, poiché, come tutti i ragazzi discoli, mi sarà accaduto di fare alcunché di inatteso, di diverso, che avrà colpito di sicuro la sua mentalità… ortografica. Io non sono riuscito mai a rimanere in una scuola più di sette giorni. Venivo sempre espulso, con mio grande profitto perché fuori ho potuto imparare molte e molte più cose"
Se la scuola Vittorino da Feltre e il suo direttore non lo vogliono, la strada è pronta ad accoglierlo. Gli amici del quartiere lo chiamano "er rognetto de li Monti" (per via dei capelli). La strada è, qui, maestra di vita. C'è anche un orto botanico dove i monelli del quartiere si scatenano lontano dagli occhi dei grandi. Ettore torna spesso a casa con gli abiti a brandelli, come tutti i suoi compagni. Ma, diversamente dai compagni, con un bagaglio di esperienze che saprà sfruttare durante tutta la sua vita.
Le sue prime recite le fa ai funerali. Un ancora giovanissimo Petrolini si accoda ai parenti del defunto, china il capo e piange disperato: tutti lo guardano e lo compatiscono. Non è facile capire quello che passa per la testa di un ragazzino, ma certo le sue grottesche messe in scena nei funerali sono la manifestazione di una vocazione davvero precoce. Ama farsi compatire e continua così a recitare fingendo di trasportare casse, vuote, enormi, suscitando così l'attenzione delle persone del suo quartiere a Roma.
La vita di Petrolini prende una strada tra il grottesco e il drammatico quando, all'età di tredici anni, viene accusato e condannato al riformatorio, per il ferimento di un suo amico. Quando poi i genitori dell'amico ritireranno la denuncia sarà troppo tardi perché Petrolini, al riformatorio, si era trasformato in un piccolo delinquente. Quando uscirà dal riformatorio avrà accumulato dentro di se una rabbia e un sarcasmo che segneranno indelebilmente tutta la sua carriera di attore.
Dopo avere girato i riformatori di mezza Italia viene liberato. Tornato a Roma passerà le sue giornate, oramai consapevoli della sua vocazione, in piazza Guglielmo Pepe a Roma. Piazza Guglielmo Pepe era ai tempi di Petrolini un luogo assolutamente surreale, quasi una scuola circense per chi si avvicina al mondo dello spettacolo lì vi trascorrevano le giornate saltimbanchi, clown e buffoni che, su palcoscenici improvvisati, improvvisavano spettacoli di ogni tipo. Lì Petrolini muove i primi passi della sua fruttuosissima carriera ancora in nuce.
Il vero esordio Petrolini ce l'ha il 16 aprile 1903 con la compagnia Al Gambrinus con la quale resterà per tre mesi durante i quali alterna macchiette ormai collaudate in precedenza a duetti in coppia con Diana Paoli e, soprattutto, con Ines Colapietro con la quale stringerà un sodalizio sia teatrale che affettivo. Ines sarà infatti per numerosi anni sia compagna di lavoro sia moglie. Nonostante l'amore però Petrolini passa da una donna all'altra godendosi la vita, e così il sodalizio con Ines finisce e cominciano altri mille amori.
A partire dal 1905 Petrolini passa a recitare dai Caffè concerto ai teatri veri e propri. Oltre a infiniti successi in Italia Petrolini comincia a calcare, grazie alla sua comicità prorompente, i teatri di mezzo mondo: Argentina, Brasile, Francia, eccetera. La fama dell'attore diventa grande così come diventa grande la preoccupazione delle autorità che lui ama sbeffeggiare nei suoi spettacoli avvicinandosi così alla retorica antiborghese tipica dei futuristi.

Gli anni delle avanguardie
La carriera di Petrolini si inserisce nel contesto di una Europa in forte movimento: quello della fine dell'Ottocento e primi del Novecento. La rivoluzione dell'arte e la fine del romanticismo che così profondamente avevano influito sia sulla letteratura che sulla
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Una foto di Mussolini da lui
dedicata al comico
pittura non mancano certo di colpire anche il teatro dando così spazio a persone che, per intelligenza e carisma, sono riuscite a farsi portavoce e avanguardie in un mondo che sembrava, per varie ragioni, ancorata al passato.
La ricerca teatrale condotta dagli artisti dell'avanguardia storica è stata profondamente e variamente ispirata dal teatro popolare: "Quando le forme artistiche canonizzate giungono a un punto morto, la strada è aperta all'infiltrazione di elementi artistici non canonici che ormai sono riusciti a sviluppare nuovi artifici artistici"
Le forme nuovissime della scena popolare, e in particolare il caffè concerto, la rivista e il teatro di varietà, nascono in opposizione a tutte le forme della drammaturgia narrativa e letteraria, la regola ora è la spettacolarità , cioè l'evento scenico come linguaggio specifico del teatro.
La scomparsa di Pulcinella, sottolineata dallo stesso Benedetto Croce nel 1898, è la sanzione dei tempi nuovi giacché Napoli importa moduli espressivi più confacenti all'epoca del progresso tecnologico e ai ritmi di una metropoli moderna, quale era, per ad esempio, Parigi. La morte di Pulcinella corrisponde così alla nascita della civiltà industriale e ai due fenomeni che le sono associati: l'apparizione del proletariato operaio e l'urbanizzazione di massa delle città.
Quali sono dunque le nuove espressioni della sensibilità collettiva destinate a occupare il vuoto lasciato da Pulcinella? Sulla scena degli inizi del secolo trionfa la macchietta, cioè la caratterizzazione delle figure più singolari della vita quotidiana, quelle che fanno macchia in seno alla massa anonima delle folle cittadine. Tale è, probabilmente, il senso profondo del termine macchietta che non rinvia solo a un genere recitativo, cioè a una sorta di impressionismo fisionomico e comportamentale.

Varietà e futurismo
L'identificazione estetica e sensorialistica della scena del varietà con lo spazio urbano delle grandi metropoli moderne, secondo una lettura che è stata la chiave di volta di tutta la poetica teatrale del futurismo, ha più di un precedente storico. Il rapporto tra la scena e i luoghi dove si svolge la vita collettiva è un fatto che puntualizza tutta la storia del teatro come arte sociale.
Lo spazio urbano cessa di esistere solo come tela di fondo per le azioni di un eroe, cioè come supporto funzionale dell'epico, per diventare una realtà autonoma in quanto magma indifferenziato di sensazioni, figure e movimento. Da contesto narrativo la strada cittadina diventa ora oggetto estetico e la sua traduzione scenica è appunto il teatro di varietà in quanto coacervo di stimoli sensoriali.
Esiste un'alleanza oggettiva tra l'avanguardia e la scena del varietà, due espressioni diverse, ma complementari, di una cultura moderna che non si riconosce nei valori istituzionalizzati della borghesia. La stampa borghese ha riservato loro lo stesso trattamento. E ne testimonia anche il proliferare delle caricature su Petrolini, come su Marinetti, nei giornali di quegli anni. L'alleanza vera e propria tra Petrolini e i futuristi non si realizzerà che nel 1916, in piena guerra mondiale, nell'ambito delle messe in scena del teatro sintetico anche se, già da prima, si era prodotta una convergenza tra il teatro di Petrolini e i futuristi.

Petrolini e il futurismo
Negli anni tra il 1908-12 la fama di Petrolini cresce sull'onda della trasformazione della sensibilità spettacolare che investe il varietà italiano, il macchiettiano napoletano perde il suo appeal sul pubblico lasciando spazio al sarcasmo dell'attore romano. Le macchiette di Petrolini vengono salutate dalla critica come "buffonerie scomposte e traboccanti di comicità sfrenata e spontanea". In ogni suo numero Petrolini impone l'estro della propria personalità sorprendendo sempre l'attesa dello spettatore.
L'esasperazione della parodia e la prepotenza dello sberleffo sono i caratteri nuovi della comicità petroliniana. Le creazioni parodistiche di Petrolini finiscono per prendere di mira gli stessi personaggi del varietà. L'irrisione mette alla berlina le pose delle divette o la sentimentalità ancora tutta zuccherina dei seguaci di Maldacea.
Petrolini rappresenta l'espressione più alta di una evoluzione in atto che anticipa sulla
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Manifesto di uno spettacolo
sensibilità dei tempi nuovi. In quanto esponente di un'estetica aggressiva, di linguaggio scenico antinaturalista, e di una teatralità fine a se stessa, Petrolini deve però calamitare in maggiore misura l'interesse dei futuristi, cioè di coloro che aspirano al ruolo di attivisti d'avanguardia della nuova cultura.
Le macchiette di Petrolini sono destinate a diventare un modello esemplare per la volontà dissacratoria con cui i futuristi intendono attaccare l'ormai esangue teatro borghese. Eppure sono probabilmente i futuristi a fornire a Petrolini un'autentica consapevolezza in merito alle valenze corrosive del proprio lavoro.
La visione futurista che Petrolini aveva del proprio repertorio tende a individuare nelle sue macchiettizazioni della cultura dannunziana la stessa contestazione dell'Italia mediocre di Giolitti che animava l'avanguardia, da qui pare nasca Nerone, uno dei suoi più riusciti spettacoli. Lo spirito mordace del comico romano si accorda in questo caso, per vie mediate, con l'ardore milanese di Martinetti.
Nell'ottica del futurismo fiorentino, Pancrazi adduce una terza linea di lettura vedendo nel funambolismo puro di Petrolini l'equivalente scenico della poesia di Palazzeschi. Per Pancrazi il riso di Petrolini non è ne un riso fustigatore ne un riso catartico, ma un geroglifico gratuito e fine a se stesso in cui l'intelligenza umana scadeva in una sorta di narcisismo masochistico: il riso di Petrolini manifesta solo una grave crisi morale.
Le macchiette di Petrolini, al di fuori della logica e del buon senso comune, appaiono ai futuristi una ventata d'aria pura e sana nel chiuso ambiente tradizionale e accademico del teatro italiano. Per Martinetti quella di Petrolini è una vera e propria propaganda futurista, straordinariamente efficace perché effettuata a diretto contatto con il pubblico e fatta a base di caricature atroci e pungenti dei più noti tipi della vita e dell'ambiente moderno.
Futuristi e Petrolini si incontrano in un connubio di intenti veramente stupefacente. All'attore romano i futuristi danno l'avvallo culturale e Petrolini offre ai futuristi una concreta azione contro gli stantii valori di una stanca società borghese. La parodia di Francesco Giuseppe, Cecco Beppe, è un chiaro esempio di questa forse casuale comunità di intenti. Nello stesso periodo infatti i futuristi si scagliano contro la cultura tedesca, ne L'Almanacco della guerra, del 1915, i due imperatori tedeschi vengono soprannominati come "Guglielmo il pauroso" e "Franz l'indifferente". Di quest'ultimo, cioè Francesco Giuseppe, ridiceva: "ha ottantacinque anni e non vuole crepare… morirà a cento anni di catarro bronchiale".
Essere tra quelli che ridevano fino all'esasperazione ai numeri del comico romano era in definitiva, per i futuristi, una garanzia di modernismo avanguardista, quasi una prova di sensibilità che, al di fuori di ogni dimensione snobistica, confermava solo l'autenticità di un temperamento futurista. Nel 1934, scrivendo il suo libro di memorie "Vecchia guardia", il futurista Daquanno dava appunto un'immagine ammirativa di Mussolini in quanto spettatore divertito alle recite milanesi di Petrolini poco prima della marcia su Roma. Per Daquanno la tempra futurista e rivoluzionaria del Duce poteva essere verificata proprio attraverso questa capacità di ridere davanti alla satira petroliniana.

Le ragioni di un incontro
L'incontro tra i futuristi e Petrolini avviene per una strana fatalità storica, l'avvento dei caratteri più moderni della civiltà industriale, e in particolare la rapida crescita delle città, avevano prodotto mutamenti profondi nella sensibilità collettiva distruggendo le raffinatezze, i modi di vita di un'epoca che il passatismo dei dannunziani avrebbe voluto conservare artificialmente, alla maniera di una reliquia o di un reperto archeologico.
Ambedue prodotti nuovissimi della nuova cultura urbana, il futurismo e il varietà non potevano non denunciare la morte del teatro borghese che restava ancora legato a tali valori. Se i futuristi hanno fornito agli artisti del varietà la consapevolezza di essere i più veri interpreti della civiltà moderna, gli artisti del varietà hanno suggerito ai futuristi le forme della nuova cultura teatrale che doveva corrispondere alla sensibilità nata con la tecnologia. Di fatto la comicità grottesca di Petrolilni è stata tra i modelli più validi a cui è andata conformandosi, sulla scena, l'estetica attivista del futurismo.

Petrolini e il fascismo
Non è mai facile parlare del rapporto tra il fascismo e il teatro perché questo, così come per altre arti, non verrà mai risolto completamente. Il fascismo vive l'ambiguità di essere un movimento rivoluzionario e conservatore al tempo stesso, riuscendo così a inglobare nel suo alveo entrambi i movimenti seducendoli solleticando il narcisismo dei Martinetti, dei D'Annunzio e di chiunque volesse, a costo della libertà, diventare il protagonista nella costruzione della nuova èra fascista.
Così Petrolini, l'attore antiborghese riesce a inserirsi in questa ambiguità e a entrare di buon diritto tra gli attori più apprezzati da parte della gerarchia fascista. Passati gli anni del fervore rivoluzionario Petrolini, per scelta o per inganno, ritiene che Mussolini incarnasse la
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Petrolini nella parte di Nerone
figura dell'uomo che avrebbe potuto portare all'Italia una ventata d'aria nuova.
Da un lato Petrolini ha bisogno di "allearsi" con il fascismo e dall'altra il fascismo non poteva perdere l'occasione di avvicinarsi e accattivarsi i favori dell'enorme pubblico dell'attore romano. Un'alleanza particolarmente difficile quella tra Petrolini e il fascismo. Mussolini nutre una particolare ammirazione nei confronti di Petrolini.
A dimostrazione di questo amore vi è addirittura un carteggio tra Mussolini e Petrolini: "Caro Petrolini il solito contrattempo dell'ultima ora mi impedisce di essere lì fra il vostro pubblico che stasera giustamente vi acclamerà. Mi dispiace, ma non voglio perdere l'occasione di esprimervi tutta la mia simpatia e ammirazione. Voi siete un grande artista! Saluti. Auguri. Mussolini". Petrolini risponde: "Illustre Presidente, è stato certo un grande dolore per me non avervi tra i miei ascoltatori, ma la lettera che mi avete inviato mi compensa largamente del contrattempo".
Un sodalizio, quello tra Petrolini e il fascismo che non viene smentito neppure dalla famosa rappresentazione di Nerone nella quale alcuni critici del dopoguerra hanno voluto vedere una parodia del Mussolini imperatore. Essa è stata infatti scritta in un epoca ben precedente all'avvento al potere del fascismo: il testo della sceneggiatura reca infatti il visto per la rappresentazione datato 1917.
Dal fascismo Petrolini riceve numerosi premi e alcune umiliazioni. Per "gratitudine", nel 1924, è addirittura costretto a mettere in scena un'opera scritta da Galeazzo Ciano, genero del Duce, il cui valore artistico è veramente nullo. In compenso ne riceverà importanti onorificenze e soprattutto la possibilità di potere recitare senza doversi sottomettere alla terribile macchina censoria del regime.
L'attore diventa così protagonista della cosiddetta intellettualità fascista. Per ottenere questo risultato sa che non deve venir meno a se stesso, che non deve rinunciare alla sua vena satirica. Al più occorrerà non tanto moderare i toni, quanto giocare, con cinica indifferenza, sulle sfumature e i sottointesi. Tutto sarà egualmente chiaro ma nulla sarà, per i fascisti, davvero pericoloso.
Come un giullare di corte Petrolini si può permettere di ironizzare sul fascismo. Il caso Girolimoni, un innocente che il regime aveva messo in carcere e di cui a nessuno era lecito occuparsi dimostra questa sua facoltà. Qualche volta Petrolini entrava in scena con due limoni in mano. Non diceva una parola. Guardava il pubblico. E intanto girava e rigirava i limoni. A un certo punto qualcuno gli gridava: "A Petroli che stai a fa?". "Nu' lo vedi? Giro limoni". Qualcuno osava ridere, ma la maggior parte del pubblico era cosciente dell'affronto al fascismo e fingeva indifferenza.
L'indulgenza fascista verso Petrolini si sposava al rigore verso altre espressioni dell'arte teatrale. Anche qui, nessuna contraddizione. Solo a Petrolini poteva essere concesso di mantenere una vena di improvvisazione satirica. Agli altri no. Alcuni attori per coerenza non vogliono accettare la nuova situazione e non sanno trovare quei rimedi che consentono all'attore romano di cavarsi sempre d'impaccio.
Petrolini scrive dalla tournee al segretario particolare del Duce, Chiavolini: "Le sarei grato se volesse esprimere al Duce tutta la mia grande riconoscenza, tutta la mia profonda e assoluta devozione. Sono contento di essere fascista, sono contento di essere italiano e sono contento di appartenere all'epoca di Benito Mussolini". Questa lettera la scrive perché preoccupato della continua sorveglianza della polizia politica del fascismo anche a Parigi dove, durante una rappresentazione, nota una forbita presenza del pubblico antifascista italiano emigrato in Francia.

Gli anni della fine
Ma intanto il fascismo si irrigidisce sempre di più e tollera con sempre meno disponibilità l'ironia di Petrolini. Gli restano pochi anni da vivere e se ne rende conto: "Che tragedia da ridere questo nostro soffrire! Si nasce per vivere e si vive per morire!". "Che vergogna morire a cinquant'anni" esclama qualche giorno prima di quel fatidico 29 giugno 1936 quando la morte porrà fine alla sua satira.
L'ultimo suo spettacolo è del 3 luglio 1935 dopo non avrà più le energie per tornare a calcare il palcoscenico. Si accontenterà di alcune rappresentazioni radiofoniche meno stancanti ma certo anche meno esaltanti vista la totale mancanza di contatto con il pubblico.
Eppure nonostante la malattia continua a scherzare quasi fosse oramai intrappolato nella catena che lo tiene imprigionato in un rapporto schizofrenico a tutte le macchiette a cui ha dato vita in tanti anni di carriera. A chi gli domanda che male abbia lui risponde: "Io? Li ho tutti, sono l'Upim delle malattie.
Dietro questa sua sicurezza futurista si cela però un velo di sofferenza. Aveva detto una volta che il mondo era da rifare. E voleva dire che tutti usiamo parole false. Che non parliamo per dire la verità, per raccontare le cose come stanno, ma per ingannarci a vicenda. Le parole ci servono per farci gioco gli uni degli altri. Petrolini voleva essere Petrolini, e non Nerone, non Michele e non Fortunello. Non gli riuscì. Sapeva che non gli sarebbe riuscito. A lui, attore, meno che a chiunque altro.
BIBLIOGRAFIA
  • Petrolini e i futuristi, di Giovanni Lista - TAIDE, Salerno 1981
  • Ettore Petrolini, di Annamaria Calò - La Nuova Italia, Scandicci 1989
  • Immaginario e rappresentazione, di Pietro Cavallo - Bonacci editore, Città di Castello 1990
  • Miti d'oggi, di Roland Barthes, Einaudi, Torino1994