PRIMA GUERRA MONDIALE Un Corpo di spedizione
a Salonicco nel 1916 per sostenere le forze dell'Intesa
impegnate contro le armate bulgare e tedesche
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SOLDATI ITALIANI
IN MACEDONIA.
E FU VERA EPOPEA
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Nel corso del Primo Conflitto Mondiale, le forze
italiane appartenenti all'esercito, alla marina e perfino all'aviazione italiana
ebbero occasione di intervenire, a fianco degli alleati inglesi, francesi,
serbi, greci e russi, su diversi fronti anche molto distanti dai confini della
madrepatria. Nel periodo compreso tra il 24 maggio 1915 e i primi giorni del
novembre del 1918, oltre 70.000 soldati italiani combatterono infatti contro gli
eserciti tedeschi, austriaci, bulgari, turchi e senussi (tribù libiche)
sul fronte francese, in Albania, in Macedonia, nel Sinai (vedi servizio
Storia in network, aprile 2001), in Libia e perfino in Russia
settentrionale, a Murmansk. Senza contare che, già a partire dall'autunno del
1914, un piccolo ma agguerrito corpo di spedizione volontario (guidato dai
fratelli Menotti, Ricciotti e Sante Garibaldi e successivamente inquadrato
nell'esercito regio) andò a prestare il suo aiuto alla Francia, distinguendosi
sul fronte dei Vosgi. Nell'ambito di uno sforzo militare così vasto (1), lo
scacchiere nel quale l'Italia fornì il suo più consistente appoggio fu
probabilmente quello balcanico e, in modo particolare, quello macedone.
Bisogna subito precisare che le operazioni condotte dagli alleati in questa
regione rivestirono un'importanza strategica e politica piuttosto rilevante. In
seguito al disastroso esito dello sbarco anglo-francese a Gallipoli nei
Dardanelli - dispendiosa e sanguinosa operazione avviata nel febbraio del 1915
per cercare di colpire al cuore l'Impero Ottomano - il Comando dell'Intesa
decise di dirottare parte delle truppe anglo-francesi (circa 13.000 uomini, fino
a quel momento impiegate negli Stretti) su Salonicco, per impedire alle forze
degli Imperi Centrali - soprattutto a quelle bulgare - di impossessarsi dei suo
importante scalo marittimo, approfittando dell'incerta e per certi versi ambigua
condotta diplomatica del governo greco. A spingere i governi di Londra e Parigi
ad intervenire a Salonicco e ad aprire un nuovo fronte in Macedonia fu anche il
progressivo cedimento della Serbia, attaccata e accerchiata da preponderanti
forze austro-bulgare. Era infatti nelle intenzioni della Francia e
dell'Inghilterra assicurarsi al più presto il controllo di Salonicco quale base
di partenza per un'eventuale puntata verso nord in direzione di Skopje,
capoluogo della Macedonia serba, utile a soccorrere gli eserciti di Belgrado,
costringendo nel contempo il governo di Atene, piuttosto incline alla causa
degli Imperi Centrali, a schierarsi definitivamente al fianco dell'Intesa. Il
sovrano ellenico Costantino, succeduto a Giorgio I, non nascondeva infatti le
sue simpatie per l'Austria e soprattutto per la Germania, avendo egli sposato la
sorella del kaiser Guglielmo, anche se questo suo atteggiamento piuttosto
marcato era in qualche modo controbilanciato dal primo ministro Venizelos,
dichiarato sostenitore dell'Intesa. Nel marzo del 1915, dietro forti pressioni
inglesi e francesi, Costantino fu costretto ad abdicare in favore del
secondogenito Alessandro, aprendo la strada un governo ben più vicino alla
Francia, alla Gran Bretagna e alla Russia.
Consolidata una prima testa di
ponte a Salonicco (5 ottobre 1915), nelle settimane seguenti altri 18.000
soldati anglo-francesi vennero schierati a difesa del confine settentrionale
greco (2). La manovra avvenne proprio nel mentre l'esercito austro-bulgaro
scatenava la sua offensiva finale contro la Serbia, conquistando l'intera
Macedonia e occupando, il 21 ottobre, Skopje. Dall'autunno del 1915 all'estate
del 1916, il Corpo di Spedizione dell'Intesa (chiamato anche Armée
d'Orient) dovette sostenere diverse sanguinose battaglie per difendere il
perimetro di Salonicco e per cercare di risalire il corso del fiume Vardar in
direzione del confine bulgaro. A fronte dell'enorme sforzo compiuto e delle alte
perdite subite durante queste operazioni -condotte su un territorio assai aspro
e caratterizzato da ostili sistemi montagnosi e da vaste zone paludose - il
Comando interalleato decise di chiedere all'Italia l'invio di un grosso
contingente formato da almeno cinque divisioni (pari a circa 100.000 uomini)
(3). Ma la richiesta venne inizialmente respinta dal governo di Roma,
preoccupato per la forte crescita delle spese militari, e dal generale Cadorna
che temeva, non a torto, di dovere sguarnire i fronti del Trentino e del Friuli.
Il 7 novembre 1915, nel corso di un incontro bilaterale che ebbe luogo a San
Giovanni di Moriana, i delegati francesi ridussero le loro pretese, chiedendo
agli italiani se fosse stato possibile l'invio a Salonicco di almeno tre
divisioni. E fu allora che il ministro Sidney Sonnino, dopo alcuni
tentennamenti, concesse il suo avallo, grazie anche al placet del
generale Cadorna al quale, in ultima analisi, spettava la valutazione
tecnico-militare dell'impegno. E' da notare che, fino dall'autunno del 1915, lo
stesso Cadorna, solitamente restio ad inviare truppe su teatri d'oltre mare (tra
il 1914 e il 1916, in occasione della pericolosa rivolta senussita di
Libia, sostenuta dai turchi e dagli austro-tedeschi, il generale lesinò
qualsiasi aiuto alle isolate guarnigioni italiane della costa proprio per
evitare di disperdere le sue divisioni) aveva comunque dato prova di
accondiscendere, almeno in linea di principio, ad un impegno italiano in
Macedonia. La condizione che aveva posto era che questo potesse risultare utile
ad alleggerire il peso della pressione austriaca sul fronte friulano e trentino.
Cadorna, come altri comandanti dell'Intesa, vedeva inoltre in un impegno
congiunto dell'Intesa in Macedonia l'opportunità per spingere non soltanto la
Grecia ma anche la Romania (nazione ancora neutrale) a dichiarare guerra agli
Imperi Centrali. Il Capo di Stato Maggiore, ben lungi dall'essere un comandante
ottuso (epiteto che poco generosamente gli è stato affibbiato da alcuni storici
italiani) vedeva bene e lontano. Purtroppo, nel corso del 1915, né i diplomatici
francesi e inglesi, tanto meno quelli italiani riuscirono nell'intento di
trascinare Bucarest in guerra: obiettivo che venne conseguito soltanto alla fine
di agosto del 1916. Per rendere veramente appetibile un intervento dell'esercito
italiano occorreva in buona sostanza che a questa manovra militare
corrispondesse da parte dell'Intesa, e dell'Italia, un'adeguata e intelligente
condotta diplomatica: cosa che si verificò soltanto in parte, grazie al "colpo
di mano" anglo-francese. Come ebbe modo di osservare il senatore Albertini, il
ministro Sonnino e l'intero governo si comportarono in maniera molto incerta e
abbastanza confusa, scontentando sia il Comando Supremo dell'Esercito (Cadorna)
che gli alleati inglesi e francesi. Non riuscendo a valutare appieno e con
chiarezza la portata degli avvenimenti balcanici e internazionali e le
molteplici implicazioni politiche e militari ad essi connesse, Sonnino optò
spesso per soluzioni di compromesso abbastanza inutili e molto dispendiose. Per
fare un esempio, nel 1914 e nel 1915, il governo italiano mandò a Valona
(Albania) un discreto contingente per fornire una sorta di improbabile
cooperazione indiretta alle forze anglo-francesi già presenti a Salonicco e sul
confine macedone: una manovra molto mal vista da Cadorna il quale reputava
pericoloso fare avanzare le sue truppe all'interno di un paese povero,
arretrato, privo di strade e infestato da banditi.
Il
generale avrebbe potuto essere d'accordo su un'operazione molto più
circoscritta, che avesse come obiettivo l'occupazione del porto di Valona, da
utilizzare come base di appoggio e punto di riferimento per le armate serbe
attaccate da 11 divisioni austro-ungariche e da 7 bulgare (4). L'impegno
italiano in Albania (per altro non richiesto dagli alleati), i pesanti rovesci
militari subiti dai presidi italiani in Libia e la continua pressione esercitata
dalle armate austriache in Trentino e in Friuli, comportarono, come è ovvio,
forti ritardi nell'organizzazione del corpo di spedizione tricolore destinato a
Salonicco. Comunque sia, nel luglio del 1916 - dopo mille discussioni e
ripensamenti - il Governo e il Comando Supremo italiano concordarono finalmente
l'invio in Grecia della 35ma Divisione, agli ordini del generale Petitti di
Roreto. Si trattava in realtà non tanto di una divisione qualsiasi ma di
un'unità speciale molto robusta composta da ben 44.000 effettivi. Più
dettagliatamente, la 35ma era formata da due brigate di fanteria (Sicilia
e Cagliari) rinforzate in un secondo tempo dalla Ivrea),
dal 2° Reggimento di artiglieria da montagna (articolato su 8 batterie), dal 1°
Squadrone di cavalleria Lucca e da diversi reparti composti da
mitraglieri e mortaisti. Completavano il tutto una mezza dozzina di battaglioni
del genio zappatori e pontieri, della sanità, delle trasmissioni e della
sussistenza. La compagine venne dotata di un armamento individuale e di reparto
standard: moschetti Carcano modello '91 con baionetta, bombe a mano, pistole
(per gli ufficiali), mitragliatrici Fiat a raffreddamento ad acqua, lancia bombe
da trincea, cannoni da 65 millimetri da montagna e alcuni pezzi da campagna da
75 millimetri. A sostegno del Corpo di Spedizione fu anche predisposto il
trasferimento a Salonicco di 438 ufficiali, piloti e specialisti
dell'aeronautica con diverse squadriglie di biplani da ricognizione armata
Farman e S.A.M.L. S1 e S2. L'8 agosto 1916, da Taranto
iniziarono a partire a bordo di piroscafi i primi contingenti (5). Per dare
un'idea dello sforzo logistico compiuto dalla Marina per trasferire la 35ma
divisione in Egeo, basti pensare che occorsero ben 37 navi, ciascuna delle quali
compì almeno 3 viaggi (6). Complessivamente, vennero trasportati a Salonicco
44.000 uomini, 10.000 quadrupedi, 1.000 carri ippotrainati, 40 cannoni e 15.000
tonnellate di rifornimenti. Le prime avanguardie italiane sbarcarono nel porto
greco la sera del 10 agosto, alla vigilia di una giornata che si sarebbe
rivelata una fra le più difficili per L'Armée d'Orient. Dopo
l'occupazione bulgara di Monastir e Ohrida e l'occupazione di Berat ed Elbasan
(Albania), le armate di Sofia, supportate da efficienti reparti austro-tedeschi,
scatenarono una serie di brillanti attacchi in direzione di Salonicco. Questi
culminarono il 17 agosto e il 23 agosto con la presa di Amfipoli (località
situata alla foce del fiume Struma) e con la conquista di Ostrovo (l'attuale
Vegoritis), Florina e Vanitsa. Il Comando dell'Intesa affidò alle forze italiane
l'incarico di difendere il settore di Kruscia-Balcan, ad est del lago Doiran:
una linea di circa 50 chilometri, particolarmente esposta agli attacchi dei
bulgari che dominavano le antistanti creste montagnose dei Piani di Beles. La
situazione nella quale si venne a trovare la 35ma divisione risultò subito molto
impegnativa anche a causa delle pessime condizioni ambientali e del terreno. I
soldati italiani dovettero infatti trincerarsi in una zona in parte aspra e
montagnosa e in parte cosparsa da vaste e malsane paludi. Nel giro di poche
settimane, la malaria iniziò infatti a colpire mettendo fuori combattimento
diverse centinaia di soldati. Dopo avere a lungo subito l'iniziativa di un
avversario determinato e bene equipaggiato (l'entrata in guerra il 28 agosto
1916 della Romania a fianco dell'Intesa non giovò più di tanto al corpo di
spedizione anglo-franco-italiano in Macedonia: dopo alcuni piccoli successi
iniziali le armate di Bucarest vennero travolte da quelle austro-tedesche e
bulgare) verso la metà di settembre del 1916, le truppe dell'Intesa - rinforzate
nel frattempo da alcuni reparti serbi e russi - riuscirono tuttavia ad
organizzare un potente contrattacco per rompere il robusto schieramento nemico e
per cercare di penetrare in territorio bulgaro. Dopo alcuni incoraggianti esiti
positivi iniziali (il 15 settembre i serbi conquistarono Malka, Nidze e Orehovo,
e il 17 i franco-russi occuparono Florina), la resistenza delle truppe bulgare e
tedesche si fece più rigida fino a vanificare ogni tentativo di ulteriore
avanzata. Tra il 2 e il 14 ottobre, nel corso
di violenti quanto inutili assalti, i reparti dell'Intesa, lanciati all'attacco
del centro strategico di Monastir, vennero respinti - subendo perdite gravissime
- dal fuoco delle artiglierie e delle fanterie bulgare ben trincerate a difesa
della città. In quell'occasione, il generale Petitti di Roreto offrì agli
alleati la propria divisione per supportare l'azione sull'ala occidentale del
fronte. Inglesi e francesi accettarono la proposta e, nel giro di qualche
giorno, il generale italiano fece trasferire ad ovest l'intera brigata
Cagliari rinforzata da uno squadrone di cavalleria e da alcune batterie
di pezzi da montagna. Risalite le cime dei monti Baba, gli italiani rilevarono i
reparti francesi trincerati su quelle alture e si prepararono a sferrare un
attacco contro i centri di Kicevo e Gradesnitza. Il 14 novembre, ad una quota di
circa 2.000 metri, con 10 gradi sotto zero e con la neve alle ginocchia, i primi
reparti italiani mossero molto lentamente e tra mille difficoltà verso il passo
di Ostretz, ottenendo, tra il 19 e il 21 novembre, due importanti successi. Gli
uomini del generale Petitti di Roreto riuscirono, al prezzo di pesanti perdite,
a scalare e a conquistare il monte Velusina (2.209 metri), espugnato dal 63°
Reggimento, e subito dopo la località di Bratindol, ripulendo tutta la zona.
Negli stessi giorni, la cavalleria francese riusciva finalmente a travolgere le
difese bulgare di Monastir occupandola. Poche ore dopo, fecero il loro ingresso
a Monastir anche alcuni reparti italiani (nel corso di questa operazione venne
ferito, seppur in maniera lieve, lo stesso generale Petitti di Roreto,
trasferito in seguito all'ospedale di Salonicco). In occasione di una sua visita
al generale italiano infermo, il comandante in capo dell'Armée d'Orient,
il francese Sarrail, comunicò al collega la sua intenzione di spostare
tutti i reparti italiani nella zona di Monastir. Agli inglesi sarebbe invece
spettato il compito di prendere il loro posto nella zona orientale del fronte,
sul Kruscia-Balcan. Petitti di Roreto acconsentì e dispose subito il
trasferimento della 35ma. Questa manovra risultò molto difficile a causa della
carenza di strade (gran parte di queste risultavano allagate o ridotte a
profondi pantani), nonostante il contingente italiano disponesse di un discreto
numero di quadrupedi, di carri e qualche decina di camion. Per superare i
numerosi ostacoli naturali (valli profonde e fiumi impetuosi) i genieri
costruirono diversi ponti e organizzarono addirittura delle teleferiche per il
trasferimento dei rifornimenti e dell'armamento pesante. Soltanto pochi tratti
di una vecchia linea ferrata, ripristinata alla buona, poterono essere
sfruttati. E a complicare ulteriormente la situazione ci pensò la pessima
stagione. Lo spostamento degli oltre 40.000 soldati della 35ma si svolse infatti
sotto continue piogge battenti intervallate, soprattutto sui rilievi, da
tormente di neve. Ciononostante, il 18 dicembre del 1916, l'intero contingente
italiano riuscì a raggiungere la località di Negociani, ubicata a circa 15
chilometri ad est di Monastir. Una volta dato il cambio ai reparti francesi di
guardia al settore, gli italiani occuparono la linea compresa tra le località di
Cerna e Novak, presso il fiume Cerna. Era la vigilia di Natale quando quegli
uomini, distrutti dalla fatica, poterono concedersi la prima giornata di riposo
completo, dopo più di una settimana di marce estenuanti. Dalla fine del dicembre
del '16 al settembre del 1918, le truppe italiane stanziate in Macedonia
condussero una logorante guerra di trincea, caratterizzata da brevi e violenti
scontri e da numerose azioni di pattugliamento notturno (7). Il 12 febbraio del
'17, con una mossa a sorpresa, alcune unità di schutzen tedeschi
equipaggiati con lanciafiamme e bombe incendiarie attaccarono le posizioni del
162° fanteria Ivrea, riuscendo a conquistare alcune trincee a quota 1.050.
Infruttuosi si rivelarono i successivi tentativi condotti dagli italiani per
sloggiare il nemico dalle linee acquisite. Il 9 maggio, in concomitanza di un
attacco franco-russo sul Cerna, operazione alla quale parteciparono anche
diversi reparti della 35ma divisione, le forze bulgaro-tedesche - a
dimostrazione della tenacia della loro resistenza - respinsero i soldati
dell'Intesa che persero moltissimi uomini. Al termine della
durissima battaglia, ben 2.800 tra ufficiali e soldati italiani vennero feriti o
uccisi. Nei mesi seguenti, tuttavia, le forze alleate riuscirono, grazie anche
all'arrivo di rinforzi serbi e greci, a ribaltare la situazione a loro
vantaggio, iniziando a consolidare nuovamente il fronte e a guadagnare pian
piano nuove posizioni. Tra il 14 e il 21 settembre del '18, quando ormai le
sorti del conflitto stavano delineandosi a tutto svantaggio dei traballanti
Imperi Centrali - che il Comando Supremo bulgaro, con un impeto di orgoglio
decise di giocare il tutto per tutto e di tentare un ultimo, disperato attacco
alle linee dell'Intesa, proprio lungo il tratto tenuto dagli italiani. Dopo
avere respinto una serie di furiosi assalti, molti dei quali all'arma bianca,
gli uomini della 35ma divisione (che dal 16 giugno del 1917 era passata sotto il
comando del generale Ernesto Mombelli, dopo un breve esercizio di intermezzo del
generale Giuseppe Pennella) riuscirono però a riprendere l'iniziativa, passando
infine ad un contrattacco generale combinato con le altre forze alleate. Nel
pomeriggio del 21 settembre un battaglione italiano riuscì a strappare ai
bulgari l'imprendibile Quota 1.050, l'ultimo bastione della difesa nemica.
Superato l'ostacolo, il giorno seguente gli italiani penetrarono per oltre dieci
chilometri all'interno delle linee bulgare puntando su Kruscevo. Il giorno 24,
con il nemico in piena rotta, i cavalleggeri e le fanterie italiane della
Brigata Sicilia giunsero alle porte di Novo Selani, mentre la Brigata
Cagliari piombava sul ponte di Bucin, sul fiume Cerna, nei pressi della
località di Vodjani. Da quel momento in poi per le forze dell'Intesa l'avanzata
si trasformò in una marcia trionfale. Il 25 settembre, nella zona orientale del
fronte, gli inglesi sfondavano anch'essi gli ultimi catenacci bulgari, mentre i
francesi conquistavano Skopje, ormai abbandonata dall'avversario in fuga. E' da
notare a questo proposito che le truppe marocchine spahi del generale
francese Jouinot-Gambetta ebbero la fortuna di occupare Skopje appena due ore
prima dell'arrivo, per ferrovia, della 9° divisione austriaca di riserva mandata
precipitosamente (ma comunque troppo tardi) in soccorso della provata armata
bulgara. Il 26, preceduti dai reparti di cavalleria, i battaglioni italiani
superarono di slancio le cime di Baba, Planina e Draghisetz, tagliando la
ritirata dei bulgari che stavano cercando di ripiegare sempre più a nord verso
il passo di Kicevo-Kakkandelen. Il 27 settembre, dopo alcuni brevissimi
combattimenti, reparti avanzati della 35ma occuparono un vasta porzione del
massiccio del Cesma e la località di Karaul Kruska, nel mentre l'ala sinistra
dell'armata, dopo avere investito Pribitzi, proseguiva a spron battuto in
direzione di Sop. Qui, per tutta la giornata seguente le valorose truppe bulgare
resistettero alle spallate della brigata Sicilia, cedendo infine
all'irruenza degli italiani. Nel frattempo, più ad ovest, in Albania, l'armata
tricolore dislocata tra Elbasan e Tomor dilagava anch'essa verso la Macedonia,
raggiungendo Ohrida, Demin Hissar e, il giorno 29 settembre, Trebuniste e Lin.
Fu a quel punto che il Comando Italiano decise di far riprendere fiato ai suoi
uomini, per poi lanciare, di concerto con la 35ma divisione, l'ultima definitiva
offensiva su Sop, a nord est di Ohrida. Tuttavia, il 30 settembre, proprio
mentre tutte le truppe italiane d'Albania e di Macedonia si stavano preparando
al nuovo balzo, il generale Mombelli ricevette la notizia della resa della
Bulgaria. Il giorno 3 ottobre, infine, il Comando dell'armata bulgara e
austro-tedesca di Macedonia decise, anche se dopo molte incertezze, di cedere le
armi al comandante della Brigata Cagliari, generale Fresi e ai
rappresentanti delle altre forze dell'Intesa. Lo stesso giorno, i soldati della
Cagliari presero prigionieri 7.727 soldati nemici (di cui 224
ufficiali), 10 tra cannoni e bombarde, 70 mitragliatrici e circa 8.000 fucili,
più un cospicuo quantitativo di viveri, munizioni e carriaggi.
Con
quest'ultima, brillante operazione terminava la lunga e sanguinosa epopea del
Corpo di Spedizione Italiano nei Balcani. Dopo 36 mesi si concludeva così la
durissima avventura del Corpo Italiano in Macedonia: uno sforzo militare che
costò alle nostre truppe 8.324 tra morti, feriti e dispersi e non meno di 10.000
uomini vittime in inverno del gelo e in estate della ameba (8).
NOTE (1) L'esercito italiano dalla
primavera del '15 all'autunno del '18 dovette sopportare, quasi da solo, la
pressione del 75% delle armate austro-ungariche impiegate su tutti i fronti
europei, queste ultime rinforzate, a partire dal novembre del 1917, da quasi una
mezza dozzina di forti divisioni tedesche.
(2) Le prime
divisioni a sbarcare furono la 156ma francese più due inglesi, molto provate,
provenienti da Gallipoli. In seguito dalla Francia giunsero la 122ma di linea e
la 157ma di riserva al comando del generale Maurice
Sarrail.
(3) All'inizio del 1916 in Macedonia si
trovavano poco meno di 100.000 soldati francesi e circa 95.000 inglesi più
alcune migliaia di serbi fuggiti dalla regione di Skopje. Complessivamente,
erano presenti 220.000 uomini con 700 cannoni ai quali si contrapponevano
280.000 tra bulgari, tedeschi e austriaci. Entro l'autunno le forze dell'Intesa
poterono contare su una brigata russa e su altri forti contingenti serbi
riorganizzati dopo l'evacuazione. Sui monti della Macedonia e dell'Albania
occupata dagli austro-bulgari operavano, infine, circa 5.000 guerriglieri
"comitagi" serbi con compiti di disturbo.
(4) Già nel
settembre del 1914, il governo italiano, ancora neutrale, aveva deliberato di
occupare il porto di Valona con un reggimento di fanteria rinforzato da una
batteria da montagna, onde evitare eventuali sconfinamenti serbi o greci. Ma il
27 dello stesso mese il generale Cadorna aveva manifestato la sua opposizione
ritenendo, a ragione, come del tutto inutile questa operazione dietro la quale,
probabilmente, si celava da parte del governo la volontà di assicurasi
facilmente alcuni pegni territoriali. Il 14 e il 22 ottobre, dopo due ulteriori
rifiuti di Cadorna, intervenne l'onorevole Sonnino (che aveva sostituito al
Ministero degli Esteri il defunto marchese di San Giuliano) sostenendo invece la
necessità di un'immediata occupazione del piccolo porto albanese e dell'isola di
Saseno. E fu così che tra il 30 ottobre e il 29 dicembre 1914, la flotta
italiana sbarcò sulla costa orientale adriatica il 10mo reggimento bersaglieri e
la 18ma batteria someggiata. Il 14 novembre 1915, a Roma, al termine di
lunghi colloqui intercorsi tra Cadorna, i vertici di governo e il rappresentante
militare francese, generale Gourand (giunto in Italia per richiedere all'alleato
l'invio a Salonicco di ben 100.000 soldati), il governo italiano fu infine
costretta a siglare una specie compromesso che, non tenendo conto dell'impegno
italiano in Albania, costringeva egualmente l'Italia ad impegnarsi in Macedonia,
anche se con un contingente ridotto rispetto a quello richiesto dalla Francia.
Sfortunatamente, poche settimane più tardi, in seguito al crollo e alla ritirata
verso l'Adriatico dell'armata serba, l'Italia dovette garantire il rafforzamento
del suo corpo di spedizione in Albania per proteggere l'arretramento delle
truppe di Belgrado: decisione che Cadorna fu costretto ad accettare seppur a
malincuore. E fu così che il contingente italiano di stanza a Valona, al comando
del generale Bertotti, formato dal comando brigata Savona e 15mo fanteria; dal
comando brigata Verona, 85mo e 86mo fanteria; da uno squadrone di cavalleria;
tre batterie someggiate; due batterie di obici Skoda; sette batterie campali; il
47mo e il 48mo reggimento di milizia territoriale dovette essere giocoforza
rinforzato. In buona sostanza, dunque,
grazie alle incertezze e agli
errori di valutazione del governo, l'Italia che, come si è visto, aveva voluto
tutelare la propria sicurezza ma anche i propri interessi (Sonnino,
contrariamente a Cadorna, aveva sempre sperato in una estensione
dell'occupazione italiana in Albania per motivi di prestigio) non dispiacendo
nel contempo ai suoi alleati, dovette alla fin fine pagare un doppio pegno.
Anche se, ad onore del vero, l'intervento dell'esercito, e soprattutto quello
della marina, a Valona e in seguito anche a Durazzo e ad alcune località del
retroterra albanese, permise la realizzazione di quel miracolo di logistica che
si tradusse nel reimbarco e nel salvataggio di buona parte dell'esercito serbo:
operazione che venne ultimata il 9 febbraio 1916.
(5)
Dopo avere utilizzato, tra il 1916 e il 1917, obsoleti ricognitori di
fabbricazione francese Farman, nel 1918 il Corpo Aereo Italiano in Macedonia
venne rafforzato. E il 25 maggio 1918 esso venne articolato sul XXI Gruppo
misto, al comando del capitano Ajmone Cat, di base a Salonicco: un reparto
formato dal 111° reparto da ricognizione montato su S.A.M.L. e dal 73°
equipaggiato con caccia Nieuport. Il XXI Gruppo, che inglobava anche una
squadriglia e una sezione francesi, compì 600 voli di guerra, effettuando 145
bombardamenti ed eseguendo 3.000 fotografie aeree.
(6)
L'8 agosto 1916 salpò da Taranto il primo convoglio composto da 3 piroscafi: il
Gallia, che trasportava il comando divisionale, quello della Brigata
Cagliari e 2 battaglioni del 63° reggimento fanteria, il Duca di
Genova e il Regina Elena. La tratta Taranto-Salonicco venne
coperta in appena tre giorni.
(7) All'inizio del 1917 le
forze dell'Intesa schieravano in Macedonia 597.000 uomini (200.000 francesi,
180.000 inglesi, 152.000 serbi, 55.000 italiani e 10.000 russi) fronteggiati da
800.000 soldati degli Imperi Centrali (il 90% dei quali
bulgari)
(8) Per dare un'idea delle proporzioni e
dell'importanza attribuita da tutti i contendenti al fronte macedone è
sufficiente osservare la composizione degli schieramenti in campo nell'estate
del 1918:
- Imperi Centrali: 485.000 uomini nella stragrande maggioranza bulgari
(465.000), inquadrati su 260 battaglioni; 172.000 fucili, 2.798 mitragliatrici
e 1.404 cannoni. Austro-ungarici: 15.000 soldati (su 15 battaglioni); 6.000
fucili e 180 mitragliatrici. Tedeschi: 5.000 soldati (su 2 battaglioni) più
alcune unità minori; 2.000 fucili e 90 mitragliatrici.
- Forze dell'Intesa: 655.270 uomini, inquadrati su 279 battaglioni; 160.000
fucili, 3.153 mitragliatrici e 1.866 cannoni. Francia: 205.800 uomini, 42.600
fucili, 1.068 mitragliatrici e 833 cannoni. Gran Bretagna: 143.000 soldati,
32.000 fucili, 780 mitragliatrici e 440 cannoni. Italia: 52.270 uomini, 10.200
fucili, 240 mitragliatrici, 32 cannoni. Serbia: 119.600 uomini, 28.000 fucili,
513 mitragliatrici e 289 cannoni. Grecia: 135.000 soldati, 48.000 fucili, 513
mitragliatrici e 272 cannoni.
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BIBLIOGRAFIA
- La Grande Guerra, di Emilio Faldella, , Volume
Primo, Longanesi & C, Milano, 1978.
- Macedonia 1915-1919, Servizio di Francesco
Fatutta in Rivista Italiana Difesa, n.9, settembre 1999.
- La Campagna di Macedonia 1916-1918, di Giuseppe
Menoni in Storia Militare, n. 33, giugno 1996.
- La Campagna di Macedonia, di Lucio Villari,
Bologna, 1922.
- Fanti d'Italia in Macedonia, di Giorgio Galli,
Milano, 1934.
- Guerra e Vittoria (1915-1918), di Pietro
Maravigna, Ed. UTET, Torino, 1927.
- I Reparti dell'Aviazione Italiana nella Grande
Guerra, di R.Gentilini e P.Varriale, Aeronautica Militare -
Ufficio Storico, Roma, 1999.
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