LA BATTAGLIA DI OSTIA - Nella metà del IX secolo gli arabi tentano
di rafforzare il proprio dominio sull'Italia impadronendosi
della Capitale cristiana. Ma la flotta del console Cesario attacca e…
LA MARINA DI NAPOLI
SPAZZA "LI TURCHI"
E SALVA IL PONTEFICE

di Corrado Ramaglia
PREMESSA Siamo nella prima metà del IX secolo, negli anni immediatamente successivi all'840 dopo Cristo, quindi nel pieno dell'alto medioevo. Dopo la caduta dell'impero romano si erano succedute le invasioni barbariche e da ultima, dopo l'occupazione bizantina, quella dei longobardi. Questi ultimi non avevano però occupato tutta l'Italia. Questa pertanto, perduta la sua originaria unità che si era determinata molti secoli addietro, ai tempi della repubblica romana, era rimasta a un certo tempo divisa praticamente tra due dominatori: i Longobardi e i Bizantini . In Europa si erano imposti i Franchi che dominavano su Francia e Germania; era emersa la figura di Carlo Magno, era sorto il Sacro Romano Impero ed era iniziata l'epoca del feudalesimo. Il Papa aveva chiesto la protezione dei Franchi e Carlo Magno era stato incoronato imperatore dal Pontefice proprio nell'anno 800. Egli aveva attaccato i Longobardi dell'Italia settentrionale, la cui dominazione era così terminata. Era quindi sorto in quei territori il Regno d'Italia, sotto l'influenza dei Franchi; e praticamente tale regno si estendeva anche in quelle aree che formalmente appartenevano alla Chiesa di Roma. Sotto l'influenza franca era anche il ducato di Spoleto, mentre Venezia, sottrattasi all'influenza bizantina, era riuscita a rendersi libera e indipendente. Dopo la morte di Carlo Magno e poi di suo figlio Ludovico il Pio, l'impero era stato diviso tra i figli di questi e l'Italia nell'anno 843 era toccata a Lotario. Nel sud invece il ducato longobardo di Benevento, che originariamente si estendeva su vasta parte dell'Italia meridionale, continuava a esistere e prosperare, anche se da esso si erano poi scisse Salerno e Capua che avevano formato autonome entità longobarde. Continuavano a esistere anche gli stati sotto il controllo dei Bizantini: Napoli, in quel periodo, costituiva appunto un ducato sotto l'influenza di Bisanzio. Anche Gaeta costituiva uno stato autonomo, mentre Amalfi era una delle repubbliche marinare che, insieme con Pisa, Genova e Venezia, si era resa famosa per i suoi commerci marittimi.
LA PIAGA DELLE INCURSIONI SARACENE

Purtroppo la vita degli italiani, soprattutto di quelli che vivevano lungo le coste, specie del mezzogiorno, era resa in quel periodo assai difficile a causa delle continue incursioni piratesche che si succedevano ad opera dei Saraceni. Questi erano pirati avidi e fanatici facenti parte di tribù arabe nomadi e ribelli che vivevano per lo più di furto e di rapina e che avevano abbracciato la religione dell'Islam trovando in questa e nei principi che affermavano la lotta agli infedeli una sollecitazione al loro istinto di predoni. L'Islam, infatti, diffusasi nelle varie regioni arabe aveva proclamato, fin dal suo sorgere nel V secolo, la "guerra santa" agli infedeli, e tale lotta era addirittura prescritta in vari passi del Corano. Tuttavia bisogna precisare che questi pirati costituivano il rifiuto della nazione araba e non avevano nulla a che fare con la raffinata civiltà orientale dei leggendari califfi. Erano predoni che, per mestiere, devastarono per secoli le coste e le terre italiane, distruggendo vandalicamente centri abitati e campagne, portando via ogni ricchezza e, soprattutto, catturando uomini, donne e bambini per farne schiavi da vendere nei mercati dell'Africa e dell'Oriente. Queste incursioni non erano delle invasioni che miravano alla conquista di territori, ma
"La battaglia di Ostia" in un affresco
del pittore Raffaello Sanzio da Urbino
scorrerie che si concludevano con il reimbarco degli assalitori, che si allontanavano poi insieme al bottino e alle prede conquistate. Gli Arabi però avevano anche operato delle vere e proprie conquiste nei territori cristiani. Si erano, infatti, insediati in varie zone della Spagna e della Sicilia , avevano inoltre creato delle teste di ponte in più punti della costa italiana, e da questi punti d'appoggio partivano con più facilità le innumerevoli scorrerie che, una appresso all'altra, tormentavano e gettavano nel terrore le sfortunate popolazioni dell'Italia. Tra queste teste di ponte vanno ricordate quella creata alle foci del Garigliano che fu tenuta dai Saraceni per lunghi anni, e quella di Centocelle (attuale Civitavecchia). Altre zone cristiane erano tenute dai Saraceni in Sardegna e Corsica. Va però chiarito che le occupazioni stabili di territori ad opera dei Saraceni, nonostante la ferocia dimostrata dai combattenti conquistatori, non avevano portato solo lutti e disgrazie. Dove gli insediamenti erano diventati definitivi e l'occupazione era avvenuta non solo ad opera d'autonome bande corsare, ma anche di armate regolari agli ordini delle autorità arabe, i conquistatori portarono anche il soffio di una nuova e raffinata cultura.
Così era avvenuto, infatti, con l'invasione della Sicilia dove, nei lunghi anni di dominazione, molte abitudini arabe furono assimilate dalla popolazione locale che comunque godé dei diritti civili anche se in posizione sottomessa rispetto agli occupanti.
Fiorì l'architettura e, nel campo culturale, si affermarono specialmente le scienze astronomiche e matematiche. Ciò non toglie che da tali territori potevano però più facilmente partire le navi dei pirati per le loro scorrerie. In tale situazione non potevano comunque mancare contatti, diciamo così, diplomatici tra questi stati arabi e quelli cristiani. Capitò spesso che qualche signore o qualche città, in lotta con qualche altro signore o città, si rivolgesse per aiuti a qualche comunità saracena. E gli Arabi non aspettavano occasione migliore per intervenire e insediarsi e razziare in nuovi territori. Inoltre le città e le repubbliche che vivevano di commercio avevano fatalmente occasione di intrecciare rapporti di carattere commerciale. Così Napoli, nell'anno 835, attaccata da Sicardo, duca di Benevento, chiese ed ebbe aiuto dai Saraceni di Sicilia e, a sua volta i Napoletani, qualche anno dopo, non potettero rifiutare il loro aiuto ai Saraceni che assediavano Messina e successivamente la conquistarono.
L'ASSALTO A ROMA, LA LEGA CAMPANA E LA BATTAGLIA DI OSTIA.
L'intraprendenza dei pirati saraceni spinse gli stessi addirittura contro Roma e i luoghi sacri della cristianità. Nell'estate dell'anno 846 una grossa flotta saracena, partita da Palermo, sbarcò uomini a capo Licosa, a sud del golfo di Salerno, e proseguì per l'isola di Ponza, occupandola per farne una base da cui operare liberamente nel Tirreno. Questa volta i Napoletani, nonostante le precedenti alleanze con i Saraceni, non tollerarono l'affronto e con le loro navi, insieme con quelle di Gaeta, Sorrento e Amalfi mossero verso Ponza e costrinsero i musulmani a sloggiare dall'isola; e, successivamente, operarono in modo analogo a Licosa liberandola. Gli scontri navali si svolsero nei tre golfi di Gaeta, Napoli e Salerno. Fu appunto in quest'occasione che sorse la "Lega Campana" tra le suddette città che si erano costituite in regime di autonomia ed avevano acquisito il monopolio dei traffici sul Tirreno. Questa fu la prima "Lega" opposta da città italiane alla prepotenza straniera. Ma i Saraceni non sopportarono la sconfitta e organizzarono nello stesso anno la vendetta da realizzare contro la capitale stessa della cristianità. Dopo aver occupato e saccheggiato Roma, tutto il resto della penisola sarebbe caduta nelle loro mani. Fu così preparata una nuova spedizione. Due armate musulmane, con migliaia di uomini e cavalli, salparono su due numerose flotte dalla Sicilia e dall'Africa, approdando l'una a capo Miseno, l'altra ad Ostia. Miseno fu quasi ridotta a un mucchio di rovine. Ad Ostia gli assalitori, sbarcati, avanzarono rapidamente verso Roma fra incendi e stragi. Così i Saraceni giunsero fino alla basilica di San Pietro, che allora era fuori delle mura, e la saccheggiarono e devastarono orrendamente, impadronendosi di tutti i preziosissimi tesori che vi erano custoditi. La stessa sorte toccò alla basilica di San Paolo, anch'essa fuori delle mura. Gli assalitori batterono i romani e le scarse forze del re d'Italia Ludovico II, ma non riuscirono invece ad entrare nella città perché respinti dalla pioggia di frecce, dai verrettoni lanciati dalle balestre e dalle pietre lanciate con macchine e catapulte dai difensori che presidiavano le mura. Era allora pontefice Sergio II e in aiuto dello stesso accorsero numerose genti. Giunsero combattenti dalla Lombardia, dalle Romagne, dalle Marche e dall'Umbria. Da Napoli intanto Cesario, console, figlio secondogenito di Sergio, duca di quella città, era salpato con una flotta napoletana e amalfitana per bloccare i Saraceni dalla parte del mare. Contemporaneamente erano giunti rinforzi anche alle navi saracene.
Le forze cristiane di terra, che avanzavano tra Fondi e Ceprano, caddero però in un'imboscata e furono messe in fuga. Nel corso dell'inseguimento i Saraceni giunsero, sul far della notte, ai piedi del monastero di Montecassino e si fermarono col proposito di saccheggiarlo il giorno successivo. Ma nella notte sopraggiunse un violento temporale che gonfiò il fiume Garigliano rendendone impossibile l'attraversamento. Così gli Arabi si diressero verso Gaeta che assediarono, mentre al largo li attendevano le loro navi venute da Ostia e da Miseno, pronte a reimbarcare le loro truppe. Fu a questo punto che Cesario console, a capo delle armate napoletane e amalfitane, riuscì a penetrare nel porto della città assediata e lanciò i suoi guerrieri alla caccia degli assedianti. Le navi saracene non potettero quindi reimbarcare le truppe, né potevano riprendere il mare, per le condizioni del tempo. I loro capi decisero quindi di inviare loro incaricati a parlamentare con Cesario perché li lasciasse approdare al lido, promettendo in cambio che, reimbarcate le truppe, se ne sarebbero poi andati via, non appena il tempo fosse migliorato. Cesario acconsentì, pur prendendo le debite precauzioni, e i Saraceni, sopraggiunto il bel tempo, se n'andarono.
Mal per loro, perché durante il viaggio di ritorno furono raggiunti da una furiosa tempesta e buona parte della flotta, con uomini e cavalli, perì fra i flutti. Ma non fu questo l'ultimo episodio che vide Cesario console a capo della Lega Campana di fronte ai Saraceni. Roma continuava ad affascinare la fantasia degli Arabi che, umiliati dai precedenti insuccessi, covavano nei loro animi la vendetta e sognavano la rivincita. Fu per questo che nei due anni 847 e 848, in Africa e in Sicilia, si lavorò febbrilmente per organizzare una nuova spedizione. Roma non stette però inerte. Il nuovo pontefice Leone IV chiese aiuti all'imperatore Lotario che, insieme ai re suoi fratelli, gli inviò una buona somma di denaro. Furono così rinforzate le mura Aureliane, furono restaurate quindici torri in rovina e costruite due nuove torri a porta Portese sulle due rive del Tevere. Tra le due torri furono stese catene di ferro per impedire il passo alle navi nemiche che avessero voluto risalire lungo il fiume. Furono apprestate macchine di guerra e addestrati gli uomini addetti alla difesa. Il terrore correva fra le genti romane e giunse al massimo quando, nella primavera dell'849, si apprese che una flotta saracena era partita dall'Africa ed era approdata sulle coste della Sardegna, presso capo Teulada, con l'intento di dirigersi quindi verso la capitale della cristianità. Secondo le parole del Muratori la notizia "recò non poco terrore al popolo romano, se non che Dio per sua misericordia provvide al bisogno. cioè accorsero in aiuto dei Romani colle lor navi i Napoletani, Amalfitani e Gaetani, con animo risoluto di venir alle mani con que' Barbari". Infatti Cesario tempestivamente salpò con la flotta della Lega Campana e si fermò davanti al lido di Roma; sbarcò e si presentò al pontefice Leone IV che lo accolse in Laterano: quindi il Pontefice riaccompagnò Cesario ad Ostia e qui benedisse solennemente i guerrieri campani. Nell'occasione recitò la seguente preghiera che fu poi inserita nella liturgia: "Onnipotente Dio, che con la tua mano facesti camminare l'apostolo Pietro sul mare, così che non affogasse, e che salvasti l'apostolo Paolo nei tre naufragi, sii a noi propizio e ascoltaci: per i meriti dei due stessi apostoli, fortifica il braccio dei campioni cristiani che stanno per difendere una giusta e santa causa, affinché per la vittoria navale sia il tuo nome glorificato in ogni tempo e presso tutte le genti.
Per i meriti di Gesù Cristo, Salvator Nostro
". Quando il mattino successivo apparvero, in formazione serrata, le navi saracene, che si presentavano come una fitta selva di vele con la mezzaluna, Cesario, al comando della flotta della Lega Campana avanzò, in linea di fronte contro le navi nemiche; l'urto avvenne poco dopo. Scrive il Panetta : "Il cozzo degli speroni, il giuoco delle macchine e la furia dei fuochi dettero inizio alla battaglia, che si venne facendo sempre più furibonda per il coraggio col quale i Rumi combattevano. Presi all'arrembaggio molti legni musulmani, essi erano balzati sulle tolde affrontando con spade, mazze, lance, spiedi e stocchi acuminati i Saraceni, che si difendevano sciabolando con le loro scimitarre o manovrando sottile lance di bambù, aventi alla punta cuspidi triangolari di ferro. Molti uomini, trafitti o massacrati, cadevano in acqua. Il mare si stava colorando di rosso. Non pochi erano i legni musulmani in fiamme, non pochi quelli già colati a picco, mentre gli altri, sotto la scatenata furia dei Rumi, tentavano di virar di bordo o di forzar le vele per mettersi in salvo.
Una tale resistenza da parte degli infedeli non era stata prevista."
Sopravvenne a questo punto poi una tempesta che distrusse il resto della flotta araba, lasciando invece intatte le navi cristiane. Scrive sempre il Panetta: fu così che i legni nemici, scampati alla strage della battaglia furono trascinati dalla violenza di quel libeccio che i marinai romani, gaetani, napoletani e amalfitani ben conoscevano, verso la spiaggia; alcuni con i fianchi squarciati affondarono prima di giungervi; altri, appena stavano per toccare il fondo, vennero ripresi indietro dalle onde e poi nuovamente ributtati in avanti, finendo così sconquassati sul lido, mentre le ciurme scongiuravano di essere salvate. In breve: nello spazio di un giorno, tutta la flotta musulmana fu distrutta e i suoi componenti finirono morti o prigionieri". E' questa la battaglia che, svoltasi nell'anno 849, va sotto il nome di Battaglia di Ostia. Dopo di essa la Lega Campana si disciolse. La storia deve riconoscere ad essa e a Cesario il merito di quella che, secondo
Guerrieri saraceni e cavalieri
cristiani si affrontano
alcuni, fu la più insigne vittoria navale dei cristiani sui musulmani, prima di Lepanto. La preghiera che il pontefice pronunciò ad Ostia di fronte alla flotta della Lega Campana è rimasta nella liturgia, e la giornata della battaglia fu immortalata da Raffaello, che fu chiamato a ritrarla in un famoso dipinto nel Vaticano. Naturalmente non mancarono le polemiche. Alcuni storici attribuirono la causa della perdita della flotta saracena alla tempesta piuttosto che alla battaglia . Muratori, nei suoi Annali, precisa che, allorché le navi saracene apparvero alla spiaggia, l'armata dei soccorritori "attaccò coraggiosamente battaglia; ma alzatosi un vento furioso, questo combatté per i Cristiani, con dividere le armate e dispergere le navi affricane che ruppero in varie isole. Molti di quegli infedeli furono presi e uccisi, molti condotti a Roma schiavi; e con sì buon successo terminò quella scena". Scrive in proposito il Gleijeses : "Noi non riteniamo che sia esagerazione municipalistica, come dice il Cassandro , l'affermazione dello Schipa che questa vittoria di Ostia sia stata la più insigne vittoria navale dei Cristiani sui Musulmani prima di Lepanto. Questa battaglia è un vanto dei napoletani e poiché tutti ci rinfacciano tanti difetti e tanti torti, non vediamo perché, potendo vantare qualcosa, dobbiamo astenercene". Fatto sta che la Lega Campana, con questa battaglia, risparmiò a Ostia e a Roma la sventura di tre anni prima e la Chiesa celebrò come suo trionfo quella giornata. E nel suo dipinto Raffaello non mancò di far campeggiare di fronte al Papa la figura del console napoletano coi suoi prodi guerrieri.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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