Perché gli anglo-americani impiegarono quasi due anni per liberare l'Italia?
Risponde la ricostruzione della battaglia contro i germanici sulla linea Gustav
CASSINO: LA STRATEGIA TEDESCA
SPEZZA LA FORZA D'URTO ALLEATA
di SAVERIO MALATESTA
In seguito allo sbarco a Salerno effettuato il 9 settembre 1943, sei giorni dopo lo sbarco in Calabria dei Canadesi, gli Alleati erano convinti di non trovare una grande resistenza nemica e confidavano contro i tedeschi sull'appoggio degli italiani, che avevano appena firmato l'armistizio[1]. Questa fiduciosa prospettiva non si avverò ma al contrario gli Alleati dovettero incontrare una feroce resistenza per tutta la durata della Campagna d'Italia. I tedeschi, grazie all'abilità strategica del feldmaresciallo Kesserling, avevano già deciso di sfruttare l'impervio territorio italiano per dar vita ad una tattica difensiva che si basava sullo sfruttamento di linee difensive costruite in fretta da sud verso nord.
Una di queste e forse la più impenetrabile era la "Linea Gustav" che si stendeva dalle foci del Garigliano nel Lazio alle foci del Sangro in Abruzzo con il suo punto di
forza nel settore di Cassino, un piccolo centro "ciociaro" su cui sormontava il famoso monastero benedettino di Montecassino[2]. "L'uso del termine "linea" non deve trarre in inganno. L'intera linea era costituita da una cintura di difese dislocate in profondità prive di un punto chiave. Non c'era possibilità di sferrare un colpo decisivo che ne determinasse il crollo: ogni montagna doveva essere presa separatamente, ogni valle rastrellata, e poi ci si trovava di fronte a sempre nuove montagne e a un'altra linea che doveva a sua volta essere spezzata da ostinati attacchi di fanteria".[3]
Per comprendere sia le difficoltà che gli alleati dovettero affrontare per giungere a combattere su quella linea difensiva sia la validità del piano di Kesselring, è sufficiente dire che gli Alleati percorsero i quasi 125 Km che separano Salerno da Cassino in quattro mesi.
Le vie di comunicazione verso il nord erano scarse e le piogge invernali le resero oltretutto impraticabili per il fango. Gli Alleati dovettero fermarsi nei primi giorni del gennaio 1944 per riorganizzarsi ma avrebbero dovuto in fretta dar vita ad una nuova offensiva per raggiungere Roma in breve tempo, in quanto i piani generali alleati nel teatro europeo, fra cui lo sbarco inNormandia, non poteva più essere dilazionati.
LA PRIMA BATTAGLIA 12 GENNAIO - 11 FEBBRAIO 1944.[4]
Una volta giunti presso la "Linea Gustav", il principale obbiettivo degli Alleati[5] era di dar vita ad un attacco che potesse spezzare le difese tedesche nel punto centrale della linea, in modo da irrompere per la via più breve nella valle del Liri. Quest' ultima veniva definita come la principale porta per Roma da sud dato che in essa si stende la statale 6 "Casilina", costruita dai Romani venticinque secoli fa, che si dirige tuttora verso la capitale italiana.
Era fondamentale occupare tale strada perché l'altra strada disponibile che porta a Roma, la statale 7 "Appia", attraversava le Paludi Pontine, che non avrebbero permesso il transito di ingenti forze militari[6].
I tedeschi da parte loro ben sapevano che gli Alleati si sarebbero trovati a quel punto in un "collo di bottiglia" e molto astutamente avevano predisposto tutta la zona in maniera che potesse risultare impenetrabile: campi minati, allagamenti, chilometri di filo spinato, e ogni zona poteva essere battuta dal tiro dei mortai e delle mitragliatrici nascosti in nidi, bunker e grotte o sul Montecassino o nel paese e nella valle sottostante[7].
La prima battaglia di Cassino non fu un offensiva studiata contro la Linea Gustav, ma una frettolosa ripresa di una faticosa avanzata tra monti innevati e strade fangose, e fu intrapresa senza alcun tipo di preparazione adeguata. La colpa era dovuta interamente alla scadenza improrogabile imposta dal comando interalleato di uno sbarco ad Anzio e Nettuno il 22 gennaio, che avrebbe dovuto cogliere alle spalle la X Armata[8] tedesca che si trovava a difendere la "Gustav" e successivamente occupare Roma.
Le ostilità per l'irruzione nella "Gustav" iniziarono il 12 gennaio1944 da parte del Corpo di spedizione francese (CEF) nel settore settentrionale del fronte di Cassino, cioè tra le aspre vette appenniniche. Lo scopo di tale manovra guidata dal generale Juin era molto
ambizioso e tatticamente intelligente. Egli avrebbe sfruttato le capacità delle sue truppe da montagna marocchine, algerine e tunisine per superare tali catene montuose e dirigersi verso il paese di Atina situato in una conca dalla quale, una volta occupata, avrebbe aggirato Cassino, evitando così di doverlo attaccare direttamente.
Il generale Clark, testardamente convinto che il principale attacco dovesse essere sferrato direttamente verso la valle del Liri e quindi che quello francese fosse solo un diversivo per attirare l'attenzione tedesca in quel settore, non fece nulla per appoggiare ed equipaggiare adeguatamente il suo alleato francese, che oltretutto considerava di secondo rango. Le truppe coloniali francesi si trovarono così a combattere in condizioni pessime e senza rinforzi. Un capitano del corpo divisionale disse ai corrispondenti di guerra: "Non è possibile capire le operazioni che sto per descrivere se uno non ha ben chiaro in testa in che estreme condizioni la fanteria francese ha dovuto combattere per tutto l'inverno: fango appiccicoso, pioggia e neve."[9]
Nonostante tutte le privazioni e le condizioni avverse, in un primo momento i francesi riuscirono ad avanzare ma intorno al 24 gennaio si fermarono presso il monte S.Croce e il monte Carella. Gli uomini erano esausti e i reparti erano stati decimati; avevano combattuto scalando le montagna con assalti alla baionetta e con granate mentre erano sottoposti dalla cima a un grandinare di proiettili. Quanto potesse essere efficace uno sfondamento in questo settore ne sono dimostrazione le parole del generale Senger:
"Uno sfondamento in questo punto avrebbe permesso all'avversario di scardinare la Linea Gustav costruita con tanto dispendio di mezzi,[…]Questo settore destava perciò in me particolari preoccupazioni, e non solo per considerazioni tattiche…, ma anche per la particolare qualità dell'avversario che qui avevamo di fronte. […] Nonostante tutto riuscimmo a contenere il nemico,…[…] Tuttavia confesso di aver avuto spesso la sensazione che la nostra sorte fosse sospesa a un filo."[10]
Il 17 gennaio intanto il X corpo britannico del generale McCreery con tre divisioni attaccò il fronte a sud presso le foci del Garigliano. L'obbiettivo era di sfondare il settore difeso dalla sola e non molto esperta 94ª divisione per poi superare i monti Ausoni ed entrare nella valle del Liri. Come Juin, McCreery si considerava a corto di uomini e quelli che aveva erano stremati dai precedenti mesi di guerra; per questo motivo nutriva poca fiducia nei piani di Clark[11].
Tuttavia l'attacco colse di sorpresa i tedeschi i quali dovettero lasciare nelle mani degli inglesi i paesi di Minturno, Tufo e Tremensuoli. Tale penetrazione allarmò a tal punto Senger da chiedere a Kesselring l'invio in suo aiuto di due divisioni, la 29ª e la 90ª, dal settore della XIV Armata. Il Feldmaresciallo sebbene riluttante[12] acconsentì e ciò permise, grazie a numerosi contrattacchi, di limitare i danni e a spegnere l'offensiva britannica negli ultimi giorni di gennaio[13].
Un attacco che non sempre viene menzionato nei libri da me letti è quello inglese del 19-20 gennaio in direzione di S. Ambrogio in Liri aldilà del fiume Garigliano, più a nord rispetto alla precedente offensiva descritta. Quest'attacco si risolse in un mezzo disastro in quanto i britannici ebbero notevolissime difficoltà ad attraversare il fiume e a consolidare una testa di ponte. I danni furono limitati da McCreery che, non appena si accorse che era impossibile penetrare in quel punto così ben difeso, fece ritirare le sue truppe[14].
Quest'azione può essere considerata il preludio a ciò che avvenne il giorno dopo, ancora più a nord verso S. Angelo in Theodice e che viene ricordato ancora dalla storiografia come uno dei più grandi disastri dell'esercito americano: il massacro del fiume Rapido.[15]La 36ª divisione americana del generale Walker aveva il compito principale di attraversare il fiume e penetrare direttamente nella valle del Liri.
Quest'azione secondo Clark doveva essere avvantaggiata dal fatto che i tedeschi in quel momento sarebbero stati impegnati in due settori distanti, quello britannico e quello francese. In più tale offensiva avrebbe distolto altre truppe tedesche dal settore di Anzio e Nettuno per garantire un pieno sfruttamento dello sbarco[16].
Il lavoro affidato agli americani non era dei più semplici ma Clark voleva che le sue truppe
dimostrassero di essere riuscite lì dove gli inglesi invece avevano fallito il giorno prima, dato che egli, convinto antibritannico, li considerava mediocri combattenti pronti solo a sfruttare i successi americani[17].
Le difficoltà erano molteplici. Il Rapido, sebbene fosse stretto, era profondo tre metri, aveva una corrente di 15 chilometri orari e per gran parte della sua lunghezza aveva rive a strapiombo di quasi un metro sul livello dell'acqua, il che rappresentava uno svantaggio per la messa in acqua delle barche. Prima di poter raggiungere il fiume bisognava attraversare campi minati trasportando a mano le imbarcazioni nel massimo silenzio. I genieri riuscirono a creare dei sentieri sminati segnalati con fettucce bianche ma questi vennero sconvolti dal bombardamento dei mortai e dell'artiglieria tedesca. In più a complicare le cose il giorno 20 si aggiunse una fitta nebbia che rese ancora più difficoltoso l'avvicinamento ai punti di attraversamento[18] .
La 36ª divisione non era mai stata addestrata ad un'azione del genere ed era oltremodo stanca essendo schierata in prima linea dallo sbarco di Salerno. Per comprendere lo stato d'animo dei soldati bastano le parole del loro generale, Walker, scritte nel suo diario personale:
"Ogni cosa è stata fatta per assicurare il successo. Possiamo anche farcela, ma non vedo proprio come. La missione è stata preparata in troppo poco tempo. L'attraversamento è dominato da vette da entrambi i lati della valle dove gli osservatori dell'artiglieria tedesca sono pronti a colpirci . Il fiume si trova nella principale linea di resistenza tedesca e io non conosco nemmeno un caso nella storia militare dove l'attraversamento di un fiume come principale linea di difesa ha avuto successo. Quindi sono preparato alla sconfitta. La missione non sarebbe mai dovuta essere assegnata a truppe con i fianchi scoperti. […][19]."
Come previsto da Walker i soldati si trovarono sotto il fuoco incrociato proveniente dalla riva opposta da postazioni nemiche predisposte da settimane. Erano state scavate lungo le rive, nei sentieri, nei canali e nel villaggio di S. Angelo, molte erano a prova di bomba. Quasi tutti i ponti e le imbarcazioni vennero distrutte e soltanto i resti di alcuni battaglioni riuscirono ad attraversare il fiume nell'oscurità, ma alla luce del giorno vennero sistematicamente falciati. Alle quattro del 22 l'azione fu sospesa.
In tre giorni la divisione perse 1681 uomini di cui 875 dispersi. Eloquente è la frase di un ufficiale di compagnia ad un reporter: "Avevo 184 uomini e 48 ore dopo ne avevo 17. Se questo non è un omicidio di massa non so proprio cosa sia."[20] I tedeschi da parte loro non dedicarono molta attenzione a tale attacco se non altro perché non ne erano preoccupati. L'attacco non richiese l'impiego di riserve da nessun settore, né il ritiro della 29ª verso Anzio subì rallentamenti. Lo stesso Senger venne a conoscenza del disastro del Rapido soltanto dopo la fine della guerra. Il primo vero tentativo di sfondare il fronte era fallito miseramente.
Clark, nonostante la sconfitta, non poteva fermare l'offensiva anche perché doveva mantenere sotto pressione i tedeschi per aiutare la sbarco ad Anzio. Il nuovo attacco sarebbe stato sferrato in due direzioni a nord di Cassino; da una parte il CEF avrebbe attaccato, spostando la sua direttrice d'assalto da Atina verso i colli Abate e Belvedere, per raggiungere l'abitato di Terelle e così aggirare il fronte, mentre la 34ª divisione americana avrebbe nuovamente attraversato il Rapido, in quel punto guadabile a piedi, e conquistare Cassino e le alture sopra di esso. Una di queste doveva essere il Montecassino dominato dalla famosa abbazia benedettina.
L'abbazia aveva ormai sulle truppe un impatto psicologico tremendo, ogni soldato infatti credeva o meglio era convinto che in essa fossero posti degli osservatori tedeschi, che potevano dalle finestre scrutare attentamente ogni movimento sul fronte. Col passare del tempo ogni soldato cominciò ad odiare quell'edificio ma in realtà dentro al monastero non vi erano tedeschi e tanto meno osservatori[21].
Quest'ultimi si trovavano molto più astutamente nascosti e non visibili come poteva essere l'abbazia, sulle alture circostanti come ad esempio sul monte Cairo o sul monte Cifalco, situato più a nord di Cassino, più precisamente nel settore dove ora dovevano attaccare i francesi. Era possibile così per i tedeschi osservare il movimento del nemico e quindi dirigere con precisione il tiro dell'artiglieria, come poi effettivamente il generale Senger dice, nel suo libro, di aver fatto . In questo modo il destino dei coloniali francesi era già segnato e lo stesso generale Juin, consapevole dell'impossibilità del successo, accettò l'incarico, come egli disse, soltanto "per una questione d'onore"[22].
L'attacco partì il 25 gennaio e già il 26 conquistarono il colle Abate e il colle Belvedere. I tedeschi riconquistarono l'Abate il 27 ma i francesi
resistettero sul Belvedere nonostante furiosi contrattacchi e il 31 riconquistarono l'Abate. Per cercare di aiutare i coloniali il comandante delle truppe americane spedì un reggimento della 36ª divisione, che non era stato impegnato nell'attraversamento del Rapido; una divisione, se fosse stata disponibile, avrebbe potuto farcela, un reggimento non era sufficiente.
Gli attacchi finirono il 31: ai francesi la battaglia costò 2500 vittime.[23]. Le cose andarono leggermente meglio dal punto di vista delle conquiste territoriali agli americani impegnati davanti a Cassino. Una volta superata la valle alluvionata e i campi minati, i fanti guadarono il Rapido nella sera del 25 con pesanti perdite ma ciò non era possibile per i carri armati, tanto che i genieri si "dissanguarono" per permettere a questi di attraversarlo. Soltanto il 29 vennero conquistate due colline[24] che permettevano l'accesso al villaggio di Caira che venne occupato il 31, mentre gli attacchi verso l'abitato di Cassino vennero tutti respinti. "In otto giorni avevano guadagnato una testa di ponte e una piccola erosione nella parete della montagna che assicurava l'accesso ai colli[25] soprastanti Cassino"[26].
"Collegato al monastero da un valico basso c'era la quota 593, vicina ad essa la 569 e più ad ovest il colle S. Angelo. Fra i due e tutto attorno c'erano molte piccole cime. Ognuno di questi tratti era posizionato in modo da poter essere coperto dal fuoco di ognuno degli altri.[…] Per irrompere sulla "Casilina" era necessario forzare un passaggio attraverso queste montagne e una volta riusciti si era raggiunti dal fuoco di tutti gli altri che lo avrebbero riversato sulla strada stessa"[27]. Questo era ciò che gli americani stavano cercando di tentare.
Il problema era che chi attaccava non aveva possibilità di riparo e soprattutto i rifornimenti dovevano essere trasportati a spalla o coi muli per la mancanza di strade. Furono effettuati numerosi tentativi di occupare tali cime su questi crinali denominati "Testa di Serpente" sulla sinistra e "Cresta del Fantasma" sulla destra, alcuni riuscirono ma le quote più importanti che avrebbero permesso di raggiungere l'abbazia vennero tenute strenuamente dai tedeschi appostati da giorni nei loro nidi di mitragliatrici.
Tutto questo, bisogna ricordare, veniva fatto in condizioni meteorologiche proibitive. Quando l'11 febbraio, ultimo giorno degli attacchi americani sul massiccio, i reparti neozelandesi sostituirono la 34ª divisione trovarono i soldati impossibilitati a muoversi a causa dell'assideramento, i quali dovettero essere trasportati nelle retrovie in barella [28]. "Alcuni dei battaglioni sul fronte avevano perso l'80% dei loro effettivi ed erano assolutamente esausti. A rendere ancora più amara la sconfitta ci si mise la stampa; furono infatti quelli i giorni in cui i bollettini riferivano che Cassino sarebbe caduta in poco tempo essendo gli americani già nella periferia. Non ci si rendeva conto che si poteva rimanere inchiodati in quelle posizioni indefinitamente"[29].
Il 12 febbraio i tedeschi decisero di dar vita ad un contrattacco (Operazione Michael) sul Monte Castellone occupato dalle truppe americane, ma questo si risolse in un completo insuccesso con la perdita di 8 ufficiali e 160 uomini, colpiti erroneamente anche dall'appoggio dell'artiglieria amica.
Per recuperare i corpi dei caduti il colonnello von Behr chiese una tregua di tre ore che fu concessa dagli americani e poi prolungata di altre due e mezza.
Dando uno sguardo critico alla prima battaglia il generale Senger nel suo libro fa delle giuste osservazioni: "Il piano originale, che prevedeva l'attacco contro l'ala destra del corpo ai miei ordini, e successivamente
ripetuti colpi di maglio conto il fronte di Cassino, era ben congegnato sotto il punto di vista tattico. Tuttavia gli alleati si attennero troppo rigidamente al piano originale dopo il fallimento del primo attacco. Ciò mi diede la possibilità di ritirare riserve dai settori che avevano fatto fallire gli attacchi,[…]. Inoltre non capivo perché l'avversario tentasse di sfondare il fronte in tanti punti. Secondo me non faceva altro che disperdere le proprie forze. […] Se il comando americano avesse agito in base ai criteri tattici in vigore nell'esercito tedesco, esso avrebbe effettuato uno sfondamento con almeno tre divisioni in montagna [verso Atina o Terelle]"[30].
LA SECONDA BATTAGLIA 15 - 18 FEBBRAIO.
La seconda battaglia iniziò soltanto quattro giorni dopo la prima perché essendo la testa di sbarco di Anzio in grave difficoltà, gli Alleati dovevano continuare a tenere sotto pressione i tedeschi[31]. Nei primi giorni di febbraio sia i tedeschi che gli angloamericani cambiarono in parte o totalmente i propri schieramenti. I primi ricevettero parte di un reggimento della prima divisione paracadutisti. Quest'ultimi, chiamati i diavoli verdi dagli stessi alleati, erano dei soldati straordinari per abilità combattiva, una vera divisione d'elitè[32]. Si erano già opposti in Dicembre ad Ortona in Abruzzo alle divisioni canadesi, riuscendo ad infliggere loro perdite spaventose, dando vita ad una battaglia simile soltanto a quella di Stalingrado. Per queste loro capacità erano stati destinati a Cassino perché lì sarebbe stato per mesi il punto cruciale dell'attacco alleato.
Il generale Alexander, non appena fu chiaro quanto fossero formidabili le difese di Cassino, decise di sguarnire in parte il tranquillo fronte Adriatico e di inviare come rinforzo la 2ª divisione neozelandese del generale Freyberg e la 4ª indiana del generale Tuker, che il 12 febbraio sostituirono completamente le esauste 34ª e 36ª americana. Il compito di sconfiggere i tedeschi sarebbe spettato completamente a loro, il problema era come questa volta avrebbero agito per impossessarsi della statale "Casilina"[33].
In un primo momento Tuker, consigliatosi con Juin, preferì attaccare con una manovra avvolgente sulle colline con le sue truppe da montagna indiane, ma Freyberg, suo superiore, successivamente, considerando quel piano troppo rischioso e complicato, decise di attaccare direttamente Cassino e le sue alture, compreso il monastero.
Tuker, sebbene riluttante all'idea che le sue truppe venissero scagliate in un attacco frontale, disse che se si voleva conseguire il successo bisognava allora neutralizzare con bombardieri pesanti l'abbazia, che era stata costruita come una fortezza moderna.[34]Freyberg fece subito suo questo consiglio, in quanto anche egli credeva, come del resto la quasi totalità delle truppe, che il monastero fosse il principale osservatorio e il fulcro della difesa tedesca[35].
A questo proposito è necessario aprire una parentesi sulla vita nel monastero in quel periodo. Quest'ultimo, proprietà dello Stato italiano dal 1867[36], era abitato dai monaci benedettini che da secoli custodivano importantissime opere antiche, che col sopraggiungere della guerra erano in grave pericolo.
Il tenente colonnello austriaco Julius Schlegel della divisione Hermann Goering, devoto cattolico, si prodigò nel novembre del 1943 affinché i suoi tesori venissero portati in salvo a Roma. Riuscì a convincere con difficoltà l'abate del monastero, Gregorio Diamare, che prima o poi la guerra avrebbe raggiunto l'abbazia e che non vi era più tempo da perdere.
Per organizzare il salvataggio il colonnello reclutò, oltre ai suoi soldati, i numerosi civili che si trovavano come rifugiati o sfollati tra quelle sacre mura ritenute più che sicure. In un mese, circa 70000 volumi furono catalogati e imballati, e l'8 dicembre sotto le telecamere della propaganda tedesca venne celebrata la cerimonia del trasporto di tali volumi ed opere d'arte a Castel S. Angelo a Roma. Naturalmente i tedeschi sfruttarono appieno l'azione di questo loro singolo uomo per porsi agli occhi dell'opinione pubblica mondiale come i salvatori della civiltà europea a differenza dei "barbari invasori alleati"[37].
Il Vaticano, tramite il Papa e suoi funzionari si impegnarono affinché i due contendenti risparmiassero ora il monastero dal conflitto. Da una parte gli Alleati affermavano che non avrebbero mai distrutto il monastero, se non fosse stato incluso nelle difese tedesche, dall'altra i tedeschi giuravano che all'interno dell'edificio non vi erano punti di osservazione e il 17 dicembre, per ordine di Kesselring, stabilirono una zona neutrale di trecento metri attorno all'abbazia, che però non venne mai rispettata, ma ripetutamente occupata dalle postazioni dei soldati[38].
Dato che i primi di gennaio il fronte si era avvicinato, i tedeschi decisero che i civili e i monaci all'interno dell'edificio lo abbandonassero.
Rimasero soltanto diciassette monaci e quei civili ammalati o impossibilitati a muoversi, anche se all'esterno dell'abbazia cominciavano a radunarsi altre centinaia di profughi, che sarebbero poi entrati più tardi[39].
Col passare del tempo tutti i tentativi di arrivare ad un compromesso che potesse salvare il monastero fallirono tanto che il 27 gennaio i soldati, che erano di presidio all'ingresso dell'edificio per non far entrare nessuno, vennero ritirati. Sembrava che i tedeschi stessero abbandonando i monaci al loro destino, quale che fosse. Nessuno ormai era più interessato a quel che accadeva a Montecassino e l'abbazia ai primi di febbraio cominciò a essere fatta bersaglio volontariamente e involontariamente dell'artiglieria alleata[40].
Una volta deciso il piano d'attacco Freyberg fu irremovibile. Le sue truppe Neozelandesi e Maori avrebbero attaccato la stazione di Cassino a sud della città e preso possesso della statale 6, mentre le truppe Indiane e Gurkha nepalesi avrebbero attaccato dalla "Testa del Serpente" per occupare il poggio del monastero.
Per avere successo egli pretendeva che quest'ultimo venisse raso al suolo e chiese al capo di stato maggiore della V armata, Alfred Gruenther, il vice di Clark, di avere da quest'ultimo l'autorizzazione a farlo. Clark, trovandosi ad Anzio, venne a sapere della richiesta dopo qualche giorno e fu assolutamente contrario. Non voleva essere ricordato come "un barbaro distruttore" e come altri ufficiali della sua armata non credeva che fosse così necessario distruggere il monastero, dato che non vi erano prove dell'utilizzo come osservatorio da parte dei tedeschi e oltretutto una distruzione li avrebbe avvantaggiati. Tuttavia trovandosi in difficoltà chiese ad Alexander di risolvere la questione[41].
Quest'ultimo sapeva, come del resto anche Clark, che Freyberg si trovava in una posizione di forza. L'esercito neozelandese anche se piccolo era molto importante per la Campagna d'Italia in quanto i suoi comandanti non rispondevano delle loro azioni ai maggiori ufficiali alleati bensì al proprio governo, membro del Commonwealth, che avrebbe potuto ritirare le sue truppe in qualsiasi momento se lo avesse ritenuto necessario[42].
Per non perdere una tale risorsa, Alexander era costretto a trattare Freyberg "con i guanti" e ad avallare ogni sua richiesta, oltretutto che già dall'inizio di febbraio sulla stampa inglese ed americana si era scatenata una propaganda a favore dell'eliminazione dell'abbazia, dato che i quotidiani riportavano le proteste dei soldati e dei familiari in patria[43].
Il capo di stato maggiore di Alexander, John Harding disse a Clark: "Il generale Alexander ha deciso che il monastero debba essere bombardato se il generale Freyberg ritiene che sia una necessità militare. Si rammarica che il monastero venga distrutto, ma ha fiducia nel giudizio del generale Freyberg. Se vi sono ragionevoli probabilità che l'edificio venga usato a scopi militari, il generale Alexander ritiene che la sua distruzione sia giustificata"[44]. Alexander, per non sporcarsi troppo le mani, non volle entrare nel merito della necessità dell'azione e costrinse indirettamente Clark ad accettare, dato che entrambi non volevano assumersi la responsabilità dell'eventuale insuccesso.
Il bombardamento doveva avvenire il 13 ma fu spostato al 16 febbraio a causa di cattive condizioni meteo che non permettevano il decollo degli aerei. Avvennero però due gravi imprevisti al già descritto piano d'attacco. Il primo fu che il bombardamento fu spostato nuovamente dal tardo pomeriggio del 16 alla mattina del 15, il che non consentiva alle truppe indiane di aver tempo a sufficienza per ripararsi in una zona di sicurezza; il secondo fu che gli indiani scoprirono che avrebbero dovuto conquistare anche quota 593, che in tutti i comandi si riteneva essere in mano degli americani.
A questo punto la logica del bombardamento non era più valida. La sua premessa era sempre stata che la fanteria avrebbe dovuto attaccare immediatamente dopo la caduta dell'ultima bomba, prima che i tedeschi storditi potessero riorganizzarsi e occupare le macerie. Dato che il piano della divisione indiana prevedeva un attacco notturno (un attacco diurno era considerato un puro suicidio), il bombardamento doveva avvenire nel tardo pomeriggio. Ora però questo doveva avvenire al mattino senza alcun attacco di fanteria.
Gli indiani quindi avrebbero attaccato prima quota 593, sul quale non era previsto e possibile alcun bombardamento, data la vicinanza delle truppe
indiane, mentre il monastero non sarebbe stato attaccato fino alla notte successiva o quella ancora seguente. L'unico che sapeva dell'illogicità del piano e che poteva fare qualcosa era Freyberg, il quale però non intervenne e il suo mancato intervento determinò il corso degli eventi[45].
Gli Alleati, ben sapendo da informatori che il monastero era occupato anche da civili entrati all'inizio di febbraio, vollero avvertirli con il lancio di migliaia di volantini sul cielo di Montecassino.[46] Il messaggio era stampato sia in italiano sia in inglese e diceva: "Amici italiani, ATTENZIONE! - Noi abbiamo sinora cercato in tutti i modi di evitare il bombardamento del monastero di Montecassino. I tedeschi hanno saputo trarre vantaggio da ciò. Ma ora il combattimento si è ancora più stretto attorno al Sacro Recinto. E' venuto il tempo in cui a malincuore siamo costretti a puntare le nostre armi contro il Monastero stesso. Noi vi avvertiamo perché voi abbiate la possibilità di porvi in salvo. Il nostro avvertimento è urgente: lasciate il Monastero. Andatevene subito. Rispettate questo avviso. Esso è stato fatto a vostro vantaggio. - La Quinta Armata"[47]. Il problema era che i civili e i restanti monaci all'interno non potevano più uscire perché i tedeschi glielo impedivano, non volendoli far transitare lungo i sentieri da loro occupati.
Il 15 febbraio alle otto e mezza della mattina cominciò il lancio delle bombe che avrebbe raggiunto il totale di più di 500 tonnellate di peso, davanti agli occhi di numerosissimi corrispondenti dal fronte. Il monastero, che era stato distrutto l'ultima volta nel 1349 da un terremoto e subito dopo fatto ricostruire da Papa Urbano V (1362-1370), venne completamente raso al suolo[48]. Le immagini del monastero bombardato fecero il giro del mondo e se dalla stampa alleata furono accolte con grande felicità ed entusiasmo, quella tedesca e italiana le utilizzarono per dimostrare che gli alleati non si limitavano a bombardare le città tedesche e italiane, uccidendo migliaia di civili, ma volevano distruggere anche tutti i simboli della civiltà europea[49].
All'interno dell'abbazia morirono un centinaio di civili mentre i monaci si salvarono miracolosamente. Poterono abbandonare l'edificio soltanto il giorno dopo dando vita ad una triste e lenta processione verso le retrovie tedesche. L'abate Diamare, dopo aver firmato una dichiarazione dove affermava che dentro il monastero non vi erano stati tedeschi, venne prelevato da un ambulanza e portato da un radiocronista tedesco dell'ufficio della propaganda per una testimonianza dell'accaduto[50].
Una volta distrutto l'edificio, i paracadutisti tedeschi, che non avevano subito alcun danno o vittima dal bombardamento, occuparono naturalmente le rovine aumentando così le loro possibilità di osservazione e difesa[51]. Ciò rese ancora più difficile il compito degli indiani nella conquista di quota 593. Come nella prima battaglia dovettero muoversi gli americani, così adesso gli indiani dovevano avanzare nell'oscurità di questa collina completamente brulla dove era impossibile ripararsi, trasportare rifornimenti e attaccare in silenzio con non più di un battaglione.
Le postazioni tedesche erano a soli sessanta metri di distanza, troppo pochi per permettere l'uso dell'artiglieria e ciò costrinse i malcapitati indiani a combattere a colpi di granate e baionetta[52]. Nelle prime due notti d'attacco il battaglione Royal Sussex perse 12 ufficiali su 15 e 162 uomini su 313, mentre un battaglione Rajput e due Gurkha, che attaccarono il 17 e il 18 febbraio, persero rispettivamente 196 e 243 tra ufficiali e fucilieri[53].
Mentre gli Indiani si lanciavano senza successo contro le quote attorno al monastero il 17 sera i Maori della divisione neozelandese avanzarono in direzione della ferrovia per occupare la stazione. Immediatamente dopo i Maori sarebbe seguita una truppa di artieri per costruire ponti e per rimuovere mine e impedimenti sulla strada per permettere il sopraggiungere dei carri armati che avrebbero appoggiato i Maori e conquistato Cassino.
Tutto dipendeva dalla riuscita dell'operazione di bonifica entro la comparsa della luce del giorno seguente. Nonostante la creazione di due chilometri di strada carrozzabile, gli artieri non riuscirono, prima che il cielo si illuminasse a giorno, a riempire l'ultima buca e furono battuti per pochi minuti. I Maori così si trovarono con la stazione conquistata ma senza l'appoggio dei carri e delle armi anticarro e dovettero alla fine del giorno 18, dopo un durissimo combattimento, abbandonarla dato il sopraggiungere dei carri armati nemici[54].
I tedeschi erano entrati in grande allarme in seguito alla conquista maori della stazione e non si aspettavano più di riconquistarla come è dimostrato da una conversazione tra Kesselring e
Vietinghoff, dove il primo si congratulava calorosamente con il secondo perché non pensava che l'avrebbe riconquistata così prontamente[55].
La seconda battaglia era finita e l'unico guadagno alleato era stato un ponte sul Rapido verso la stazione. Il resto dimostrò l'inutilità del bombardamento del monastero e la mancanza di coordinamento tra fanteria e mezzi aerei.
Senger nel descrivere la seconda battaglia scrisse nel suo libro come questa battaglia fosse stata troppo simile alla prima e quindi come mancasse completamente la sorpresa, ma aggiunge: "…temevo l'attacco del corpo comandato dal generale Juin con le sue eccellenti truppe marocchine ed algerine. Mi aspettavo una puntata offensiva ad ampio raggio nella conca di Atina contro le nostre linee assottigliate che non potevano contare a tergo su altre posizioni schierate a difesa.[…] L'avversario avrebbe potuto evitare i sanguinosi combattimenti di Cassino".[56]
[1] Cfr. Morris E., Circles of Hell, Hutchinson, London, 1993 (trad. It. La Guerra Inutile, TEA, Milano, 1995, p. 157). [2] Cfr. Jackson W.G.F., La battaglia d'Italia., p.127. [3] Cit. in Shepperd G. A., La Campagna d'Italia,, p.206. [4] Le battaglie di Cassino, in cui rientrano anche le offensive svolte in altri settori della Linea Gustav, si dividono per gli Alleati in quattro fasi mentre per i tedeschi in tre. Quest'ultimi infatti uniscono la prima con la seconda perché in queste due, che si susseguirono in breve tempo, ebbero sempre le stesse truppe in linea a differenza degli Alleati che invece le sostituirono. Ho deciso di dividerla in quatto fasi come gran parte degli autori di libri sulla campagna d'Italia ha fatto. [5] Parliamo della V Armata americana del generale Mark Clark situata nel settore di Cassino (con il X Corpo britannico del generale McCreery , del II Corpo americano del generale Keyes e del Corpo di spedizione francese del generale Juin) e dell' VIII Armata britannica del generale Oliver Leese situata nel settore adriatico, inserite nel XV gruppo d'armate guidato dal generale Harold Alexander (Cfr. Jackson W. G. F., op. cit., p.215). [6] Cfr. Majdalany F., Cassino, Portrait of a Battle, Longmans - Green & Co., London, 1957 (trad. It. Cassino - Ritratto di una battaglia, Mondatori, Milano, 2003, p.8). [7] Ibidem. [8] La X Armata tedesca guidata dal generale Heinrich Von Vietinghoff, situata sulla Gustav, era composta dal XIV Corpo Panzer del generale Senger und Etterlin nel settore di Cassino e dal LI Corpo da Montagna del generale Feuerstein situato sull'Adriatico. La XIV Armata tedesca guidata dal generale Von Mackensen, situata nei pressi di Roma, era composta dal I Corpo Paracadutisti e dal LXXVI Corpo Panzer. Entrambe appartenevano al Gruppo di Armate 'C' del comandante supremo in Italia Albert Kesselring. (Cfr.Jackson W.G.F., op. cit., p.215). [9] 'It is not possibile to understand th operations which I am going to descrive if one does not costantly bear in mind the extremely trying conditions under which the Tiralleurs had to fight… throughout the winter, in glutinous mud, rain and snow'. Cit in Ellis J., Cassino - The hollow victory, Aurum Press, London, 2003, p.54 (mia traduzione italiana). [10] Von Senger und Etterlin F., Der Kieg in Europa, Köln, Berlin, 1960 ( trad. It. La guerra in Europa, Longanesi, Milano, 2002, p.266. [11] Cfr. Ellis J.,op.cit.., p.67. [12] Ciò sguarnì il settore di Roma il giorno dello sbarco ad Anzio e Nettuno. Gli Alleati però non seppero sfruttare la situazione e la 29ª divisione poté tornare in tempo per contenere il saliente che minacciava la capitale. (Von Senger und Etterlin F., op. cit., p.270). [13] Ellis J., op. cit., p.79. [14] Ibidem., pp.77 - 78. [15] Si tratta in realtà del fiume Gari. Secondo la cartografia ufficiale italiana (Istituto Geografico Militare, Serie M 891 1:25.000) il fiume che costeggia l'abitato di Sant'Angelo in Theodice è inequivocabilmente il Gari, la cui sorgente si trova ai piedi di Montecassino. Lungo il suo corso, due chilometri a sud della città di Cassino, il Gari riceve le acque del Rapido. All'altezza di Sant'Angelo, il fiume è indicato con il nome Gari anche nelle carte 1:25.000 prodotte dagli alleati durante la guerra). Ebbene, per ancora oscuri motivi, nonostante le cartografie citate siano molto chiare in merito, la quasi totalità dei testi e dei documenti alleati denominano Rapido anche il corso del fiume Gari. Forse per gli americani il nome 'Rapido' meglio si prestava a definire la veloce corrente di quel fiume. (Cavallaro L., Cassino 1944, Mursia) , Milano, 2004. Per convenzione continuerò a chiamarlo Rapido sebbene il nome Gari fosse conosciuto, come dimostrerebbe anche un articolo del 'The Times' del 13 maggio: 'By noon to-day the progress of our forces who opened General Alexander's offensive last night had been encouraging. Their immediate objectives had been the final strong-points of the Gustav Line along the River Rapido, which runs south from Cassino and becomes known as the River Gari for the last three miles or more of its course before entering the Liri at its confluence with the Garigliano'. [16] Cfr. Morris E., op. cit., p.285. [17] Cfr. Ellis J., op. cit., p.93. [18] Cfr. Majdalany F., op. cit., pp.63 - 64. [19] Citato in Graham D. Bidwell S., Tug of War. The battle of Italy, 1943 - 45, Hodder & Stoughton, London, 1986 (trad. It. La battaglia d'Italia, Rizzoli, Milano, 1989, p.154). [20] 'I had 184 men…48 hours later I had 17. If that's not mass murder, I don't know what is' Citato in Ellis J., op. cit., p.110, (mia traduzione italiana). [21] Analizzerò l'argomento in maniera più specifica nella seconda battaglia. [22] Cfr. Von Senger und Etterlin F., op. cit., p.275 (Essendomi recato io personalmente su questo monte ho potuto constatare con i miei occhi che da quella cima era possibile osservare tutta la valle e le alture). [23] Ellis J., op. cit., p.135. [24] Majdalany F., op. cit., p.93. [25] Quota 156 e 213. [26] Colle Maiola, Monte Castellone, quota 175, 442, 601. [27] Majdalany F., op. cit., p.84. [28] Ibidem, op. cit., p.86. [29] Majdalany F., op. cit., p.89. [30] Ibidem, op. cit., p.87. [31] Von Senger und Etterlin F., op. cit., pp.276 - 277. [32] Cfr. Majdalany F., op. cit., p.94. [33] Cfr. Böhmler R., Monte Cassino, Rupert Verlag, Darmstadt, 1955 (trad. It Monte Cassino, Baldini e Castoldi, Milano, 1964, p.499). [34] Cfr. Majdalany F., op. cit., p.97. [35] Tuker, a causa della scarsità di informazioni, aveva inviato un suo ufficiale a Napoli per scovare nelle librerie qualche documento che parlasse della costruzione del monastero. Hapgood D. Richardson D., Monte Cassino, 1984 (trad. It.., Monte Cassino, Rizzoli, Milano, 1985, [36] Cfr. Morris E., op. cit., p.316. [37] Nel 1867 lo Stato italiano non riconobbe più come ordini morali gli enti fondatizi (cioè gli enti costituite da masse di beni, come capitoli o abbazie). I loro membri in compenso avrebbero goduto del pieno esercizio dei diritti civili e politici. Con alcune eccezioni, tutti i beni di qualunque specie furono devoluti al demanio dello Stato. (Astorri R., Appunti di storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, Cusl, Milano, 2003, p.51). [38] In realtà l'azione del colonello Schlegel, convinto nazista, non era del tutto disinteressata, ma aveva anche lo scopo di sottrarre alcune opere da regalare al feldmaresciallo Hermann Goering. Per la storia del salvataggio delle opere d'arte dell'abbazia confrontare Hapgood D., Richardson D., op. cit. [39] Cfr. Hapgood D., Richardson D., op.cit. [40] Ibidem. [41] Ibidem. [42] Ibidem. [43] Cfr., Majdalany F., op. cit. [44] Hapgood D. Richardson D., op. cit, pp.166 - 168. [45] .Ibidem, p.174. [46] Hapgood D. Richardson D., op. cit., p.202. [47] Gli aviatori che parteciparono alla distruzione del monastero non furono informati di questo fatto e per evitare che qualcuno non compisse il proprio dovere per motivi religiosi, furono scelti esclusivamente aviatori non cattolici. Cfr. Hapgood D. Richardson D., op.cit. [48] Ibidem, p.197. [49] Cfr. Böhmler R., op. cit., p.253. [50] Cfr.p.135. [51] Cfr. Von Senger und Etterlin, op. cit. [52] [...]già nella mattina di giovedì 17, poco dopo la partenza dell'Abate Diamare e degli ultimi civili superstiti, elementi dell'8ª compagnia, II battaglione, 4° reggimento paracadutisti, fecero ingresso tra le rovine del monastero. (Cavallaro L., op. cit., p.144.). [53] Cfr. Majdalany F., op. cit. [54] Cfr. Ellis J., op. cit., p.194. [55] Cfr Majdalany F., op.cit., p.157. [56] Idem, p.162. [57] Von Senger und Etterlin F., op.cit., p. 290.