Numero 204 - Novembre 2013
Liverpool, anni Sessanta: quattro ragazzi semisconosciuti si riuniscono alla Emi per incidere il loro primo disco. Che parte a stento. Ma poi, improvvisamente...
IL ROCK DEI BEATLES ABBATTE I "MURI" DELL'INTERO PIANETA
di IGOR PRINCIPE
L’11 settembre 1962 quattro ragazzi di Liverpool si riuniscono a Londra, in una delle sale d’incisione della Emi, per registrare il loro primo 45 giri. Sul lato A suona Love me do; sul lato B P.S. I love you. Le canzoni non sono nulla di eccezionale: elementari nell’armonia e nella melodia, sostenute da una voce pulita ma scolastica, a tratti coadiuvata dall’intervento di un secondo cantato che dà vita a un effetto polifonico gradevole ma molto semplice. Insomma, due pezzettini rock’n’roll che si aggiungono alla pletora che dal 1955 - anno ufficiale della nascita del genere, ad opera di Bill Haley - domina le hit parade europee e americane. Ma qualcosa di imponderabile - su cui critici musicali, sociologi ed esperti di costume stanno ancora interrogandosi - fa sì che quell’11 settembre sia destinato a essere ricordato come il momento della nascita di un mito: quello dei Beatles.
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La formazione dei Beatles quando ancora era agli inizi e il successo apparteneva al futuro
Da allora ai nostri giorni, malgrado il gruppo si sia sciolto nel 1970, lo stile, la musica, le facce di John, Paul George e Ringo sono una parte inscindibile della vita di almeno tre generazioni: i sessantenni, che li hanno vissuti; i quarantenni, che li hanno solo sfiorati ma che han potuto seguire le gesta solistiche di Lennon e di Mc Cartney; i ventenni, che hanno saccheggiato le discoteche dei predecessori e che, a denti stretti o con estremo trasporto, ne hanno riconosciuto la grandezza e l’attualità. Sui Beatles è stato scritto più che su ogni altro gruppo o artista rock. Per evitare di ripeterci, quindi, non ci soffermeremo sugli aneddoti e sui particolari più conosciuti, ma dapprima racconteremo il periodo poco conosciuto ai più, quello degli esordi; quindi, analizzeremo l’evoluzione della loro musica e la parallela evoluzione della società degli anni Sessanta, al fine di dare una risposta ad una domanda che il critico musicale Gino Castaldo ha posto in questi termini: "I Beatles hanno espresso un’epoca, o sono stati espressione di un’epoca?". Un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina; tuttavia, crediamo di poter rispondere. Innanzitutto va detto che prima dei Beatles ci sono i Quarrymen, un gruppo di quindicenni fondato, sempre a Liverpool, da John Lennon. Vi fanno parte tutti i suoi più cari amici, che con lui condividono intere giornate all’insegna del teppismo e dell’insubordinazione. Un manipolo di teddy-boys, affascinati dalla gioventù bruciata della quale splendido esempio fu James Dean.
Lennon e i suoi amici si pettinano come lui, ne scimmiottano gli atteggiamenti da "ribelle senza causa", insomma si pongono fuori da quel contesto di regole sociali che imbalsama gli anni Cinquanta non solo per le famiglie piccolo borghesi, ma anche per quelle della working class (classe lavoratrice), della quale fanno parte i Lennon. Meglio: quel che rimane dei Lennon. Fred e Julia, i genitori di John, sono protagonisti di breve matrimonio: lui è un marinaio, che al momento della nascita del piccolo si trova imbarcato in qualche sperduto angolo del mondo, dal quale, misteriosamente, non farà più ritorno, nemmeno per vedere come è fatto il suo unico figlio; lei è una segretaria, che abbandonata dal marito decide a sua volta di abbandonare il figlio alle cure di sua sorella Mimi, per rifarsi una vita con un altro uomo. Gli zii di John, quindi, fanno da effettivi genitori, anche se il piccolo, malgrado tutto, riesce a mantenere un ottimo rapporto con sua madre. Ad ogni modo, anche gli zii hanno un estrazione sociale piuttosto bassa. Fortunatamente, John e i suoi amici non emulano integralmente le gesta di James Dean, e decidono di darsi a un’attività che, in quegli anni, va per la maggiore: la musica. Stimolati dal rock’n’roll, da Bill Haley, Cliff Richard, Chuck Berry, Elvis Presley, i ragazzi cominciano a strimpellare qualche strumento: chitarra, basso, banjo, batteria. Per dare qualcosa in più alla sezione ritmica inseriscono nel gruppo un asse da lavare, riecheggiando le washboard bands che ai primordi del jazz fecero di New Orleans un luogo mitico. La musica dei Quarrymen, però, è ben diversa da quella suonata dalle prime orchestrine jazz, e si basa su pochi accordi, tanto rumore. Tuttavia, la ventata di novità che spira dal gruppo fa sì che vi sia chi, in occasioni di matrimoni o feste di fine anno scolastico, sia disposto a ingaggiarli.
E proprio ad una di queste feste è presente Paul McCartney, che si dimostra interessato alla musica dei Quarrymen e che, alla fine del concerto, sale sul palco per complimentarsi con i musicisti e accennare con loro a qualche accordo di chitarra. Ma, tra i Quarrymen, c’è qualcuno che lo impressiona più di tutti: "Ricordo questo vecchio ubriaco di birra che si avvicina e che mi alitava sul collo mentre suonavo. "Che cosa vuole questo ubriacone?", pensai. A un certo momento disse che Twenty Flight Rock era una delle sue canzoni preferite. Così seppi che era un intenditore. Era John. Aveva con sé qualche birra. Aveva 16 anni e io solo 14, così a me sembrava un uomo grande. Gli mostrai qualche altro accordo che non conosceva (...) Poi me ne andai. Sentii che li avevo ben impressionati, che avevo dimostrato loro quanto fossi bravo". E infatti, una settimana più tardi, Paul entra nel gruppo e comincia a scrivere canzoni a quattro mani con John, dando vita a quella che sarebbe divenuta la più prolifica e strabiliante coppia di autori che la musica, classica e leggera, abbia mai conosciuto. I due rappresentano il più tipico dei binomi: ribelle e rock John; posato e melodico Paul. Quest’ultimo, infatti, viene da una famiglia piccolo borghese che sogna, per il figlio, un avvenire da avvocato o da scrittore. Paul frequenta ottime scuole: il ginnasio e i liceo classico all’antichissimo Liverpool Institute, vera officina delle giovani leve borghesi e aristocratiche della città.
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Il successo è arrivato. Ecco i Beatles con il look che ha conquistato il pianeta assieme alla loro musica
Tuttavia, la morte della madre di Paul, Mary Patricia, destabilizza la famiglia McCartney: Jim, il padre, entra in una profonda crisi depressiva; Paul e il fratellino, Michael, vengono affidati alla zie. I binari di una vita che avrebbe dovuto condurre il primogenito verso un esistenza fatta di tranquillità, benessere e invidiata posizione sociale sono del tutto divelti: Paul si trova allo sbando, e l’ancora di salvezza, come per John, è la chitarra. Ad ogni modo, McCartney mantiene - e manterrà in futuro - nel modo di fare e di apparire una grazia e un’educazione che rivelano inequivocabili origini. Come capita in ogni gruppo di adolescenti, i componenti del gruppo mutano alle velocità di riproduzione delle cellule del corpo umano. Gli unici membri fissi dei Quarrymen sono John e Paul. Circa un anno dopo dal loro incontro, alla band si unisce George Harrison, da qualche tempo amico di McCartney. Sulle prime, John non ne approva l’ingresso nei Quarrymen in ragione della sua giovane età (George, infatti, ha solo 13 anni); ma la capacità di saper padroneggiare la chitarra e conoscenza di altri numerosi accordi rendono indispensabile l’apporto di Harrison alla crescita musicale del gruppo. Che, nel frattempo, cambia anche nome: non più Quarrymen (che viene dalla Quarry Hill High School, frequentata da John ma non dagli altri due), ma Silver Beatles. La leggenda vuole che il mutamento sia stato ispirato da un vecchio ubriaco che, infastidito da una performance dei ragazzi in una birreria, si sia alzato e abbia detto loro: "La vostra musica è roba da scarafaggi (beetles)", e che poi i tre abbiano sostituito la "e" con una "a" (Beatles) per sottolineare il genere da loro praticato, il beat. In effetti, sembra che l’idea del nome sia venuta a John, che ragionava sul fatto che la band di Buddy Holly - vera star del rock’n’roll - si chiamava Crickets (grilli). Allo stesso modo, loro avrebbero potuto chiamarsi scarafaggi (con la variante linguistica di cui abbiamo accennato).
Ma Beatles è troppo corto e così viene aggiunto Silver (argento). La prima tournée dei Silver Beatles è programmata in Scozia, e il gruppo ci arriva senza un batterista. Per il secondo tour, che li porta ad Amburgo, Paul decide che non se ne può fare a meno e convoca un certo Pete Best, che accetta ben volentieri. A lui si unisce anche Stuart Sutcliff, grande amico di John. Stuart dimostra grandi attitudini artistiche, soprattutto per quel che concerne il look: in locali frequentati da veri rockers, dove imperano i giubbotti di pelle e gli stivali, i Beatles - ispirati da Sutcliff - si presentano con giacche a quadrettini bianchi e neri, capelli pettinati verso l’alto e scarpe a punta. Se Stu (il suo soprannome) si rivela un valido art director, non può dirsi altrettanto delle sue capacità musicali: suona il basso, ma è così maldestro da incappare in grossolani errori che lo costringono a esibirsi con le spalle voltate al pubblico, per trovare migliore concentrazione. Il tour tedesco è una palestra importantissima per i Beatles, che imparano cosa voglia dire suonare su un palco e affrontare un pubblico che capisce ben poco della loro musica. Ciononostante, i cinque ragazzi di Liverpool (John, Paul, George, Pete e Stuart) riescono a entusiasmare i clienti dei locali nei quali suonano grazie all’energia sprigionata dalle loro performance. Al ritorno in Inghilterra vengono ingaggiati come gruppo fisso del Cavern Club di Liverpool; ma è una seconda tournée ad Amburgo a segnare il loro destino. E’ il 1961, e i Beatles si esibiscono nel locale Top Ten accompagnando il cantante Tony Sheridan. Una sera, dopo il concerto, si avvicina loro un produttore discografico, Bert Kaempfert, chiedendo se abbiano intenzione di incidere per la Polydor.
Inutile aggiungere quale sia stata la risposta; va invece detto che il disco che ne nasce, My Bonnie, vende abbastanza bene in Germania. Non troppo bene, invece, in Inghilterra, ma quanto basta per indurre un ragazzo - un tale Raymond Jones - a entrare in un negozio di dischi per acquistarlo. E’ il 28 ottobre 1961, una data storica. Il negoziante, tuttavia, ignora il nome del gruppo. Quando il giorno dopo altre due ragazze gli chiedono lo stesso disco, quel negoziante, che si chiama Brian Epstein, si incuriosisce e, una settimana più tardi, va al Cavern Club ad ascoltare i Beatles. I quali, nel frattempo, erano diminuiti: Stuart Sutcliff, un po’ perché infastidito dall’atteggiamento vagamente ostile di Paul nei sui confronti, un po’ per evidente mancanza di talento musicale, decide di lasciare il gruppo. Al quale, però non potrà mai più riunirsi: affetto da un tumore al cervello, Stu muore nell’aprile del ‘62, e il suo decesso segna profondamente John (già provato, come abbiamo detto, da quello della madre) acuendone gli aspetti ribelli. Ma torniamo a Epstein, che così racconta la sua prima volta di fronte ai Beatles: "Non erano molto ordinati nè molto puliti. Fumavano mentre suonavano e mangiavano e parlavano e fingevano di colpirsi fra di loro. Voltavano le spalle alla platea e gridavano alla gente e ridevano dei propri scherzi. Ma c’era un’eccitazione quasi generale. Sembravano trasmettere una specie di magnetismo personale. Rimasi affascinato da loro". L’indomani, Epstein ordina per il suo negozio 200 copie di My Bonnie, e circa un mese più tardi, il 3 dicembre ‘61, li invita nel suo ufficio per proporsi come loro manager. L’incontro non viene turbato nemmeno dallo
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Una simpatica immagine dei Beatles scattata durante una seduta di trucco. Evidente la felicità delle ragazze
spaventoso ritardo col quale si presenta Paul, che con una buona dose di snob afferma di aver tardato perché si è fatto il bagno. Tuttavia, deve passare ancora un mese prima che i Beatles acconsentano a Brian Epstein di diventare il loro manager, cui sarebbe spettato il 25% degli incassi. L’arrivo di Epstein comporta una ripulita all’immagine del gruppo, cosa che John Lennon non riesce a digerire. Negli anni Settanta, a esperienza conclusa, l’ex beatle confessa quanto segue: "Brian ci voleva in abiti ordinati e in camicia, e Paul gli dava corda. Io non volevo affatto e provavo a incitare George a ribellarsi con me. Gli dicevo "Vedi, non abbiamo bisogno di questi fottuti vestiti. Buttiamoli fuori dalla finestra". La mia ribellione era per avere la cravatta slacciata, col bottone più alto della camicia aperto, ma Paul veniva sempre a chiudermelo. Ho visto un film, l’altra sera, la prima trasmissione televisiva alla quale abbiamo partecipato. La gente del Granada era venuta a riprenderci e noi avevamo quegli abiti, e non eravamo noi, e guardando quel film ho capito che quella è stata la prima volta in cui abbiamo cominciato a venderci".
Oltre ad un’immagine diversa - sempre più simile a quella che farà il giro del mondo, e cioè quella di quattro ragazzi della porta accanto, con le giacche senza colletto, gli stivaletti di camoscio e i capelli a caschetto -, Epstein porta anche i primi contatti con le major discografiche. Il 1° gennaio del ‘62 i Beatles si esibiscono di fronte ai talent-scout della Decca, ma non riscuotono i consensi sperati; e lo stesso accade con la Columbia. Chi si interessa al gruppo è invece la Emi, che fissa loro una seduta di incisione per i primi di giugno. Di fronte a loro c’è un signore, il cui nome è George Martin. Come per Epstein, anche per lui la performance degli scarafaggi (che suonano cinque brani, tra i quali Love Me Do, P.S. I love you e Besame Mucho) è una folgorazione. Martin annusa nell’aria odore di successo, e il futuro gli darà ragione. Decide quindi di mettere sotto contratto i Beatles, non prima però di apportare un ulteriore e definitivo cambiamento alla formazione: la sostituzione, alla batteria, di Pete Best con Ringo Starr. Sull’episodio non è stata fatta mai molta chiarezza. Due elementi, tuttavia, sono più che evidenti: primo, Best viene silurato nel momento in cui i Beatles cominciano a raccogliere i frutti di una gavetta alla quale il batterista ha partecipato senza tirarsi indietro; secondo, Ringo non è tecnicamente migliore di Pete. Alla metà di agosto del ‘62, quindi, Espstein comunica a Best la drammatica decisione, imputandola a un George Martin poco soddisfatto delle sue esecuzioni e agli altri tre, dubbiosi sulle capacità di adattamento di Pete alla futura produzione musicale del gruppo. Nell’ambiente musicale la notizia causa un piccolo terremoto, alimentato dagli articoli delle riviste musicali, alcune delle quali indugiano in analisi da rotocalco femminile, sostenendo che Best avesse lasciato il gruppo perché non intendeva pettinarsi i capelli come John, Paul e George.
Sta di fatto che, a dispetto dei comunicati ufficiali della Emi, che parlavano di un addio consensuale e senza rancore, Pete Best ne risentirà profondamente, e deciderà di abbandonare il campo musicale per dedicarsi ad altro. Al suo posto, abbiamo detto, viene chiamato un Ringo Starr. Il suo vero nome è Richard Starkey e anche lui, come gli altri, viene da Liverpool. Starr conosce i Beatles qualche anno prima ad Amburgo, dove anche lui è in tour con il gruppo degli Hurricanes e dove, ascoltata le canzoni di Lennon e McCartney, manifesta subito vaghe intenzioni di unirsi a loro. Alla lunga, sarà soddisfatto. Con l’ingresso di Ringo (il cui nomignolo viene dalla sua smodata passione per i rings, gli anelli), l’immagine dei Beatles acquista un’impronta definitiva e completa. Quattro ragazzi, uniti da un’esperienza musicale comune ma con attitudini e caratteri completamente differenti: Paul, quello borghese e ben educato; John, il ribelle della working class; George, il silenzioso e il più dotato tecnicamente; Ringo, il brutto anatroccolo ma anche il più simpatico. Quest’ultimo, in particolare, è un vero e proprio miracolato. A soli sei anni viene colpito da una peritonite che lo constringe a dieci settimane di coma e a una convalescenza di più di un anno. Ma forse è proprio il fatto di aver superato una prova così difficile che lo porta a vedere sempre il lato più bello delle cose: è simpatico, premuroso e regala bontà a chiunque conosca.
Il suo atteggiamento non muta nemmeno quando, a tredici anni, una pleurite lo costringe ad altri due anni di degenza. Insomma, una perfetta applicazione del detto popolare "sorridi, e la vita ti sorriderà". In quell’agosto del ‘62, la vita mostra a Ringo un sorriso a trentadue denti (e anche a trentadue carati). Quel che accade negli anni successivi è la storia del gruppo musicale più famoso di tutti i tempi, che scatena una rivoluzione musicale, sociale e, in minima parte, anche politica. Per quel che concerne questo ultimo aspetto, viene subito alla mente il conferimento del titolo di Members of British Empire (M.B.E.) che la regina Elisabetta conferisce loro nel 1965, all’apice di quel fenomeno che è stato chiamato Beatlemania. Gli scarafaggi, quindi, diventano baronetti. Ciò suscita, nell’opinione pubblica mondiale, un clamore senza eguali, ma anche le stizzite reazioni dei più conservatori tra tutti gli insigniti di onorificenze britanniche, tre dei quali le restituiscono. I meriti dei Beatles, sotto un profilo formale, sono meramente commerciali: con le loro vendite, hanno contribuito a incrementare le entrate grazie all’esportazione di un tipico prodotto britannico. La forma, però, cela una sostanza ben diversa: come ha scritto Marco Pastonesi nel suo libro Beatles, il conferimento dell’M.B.E. "...era il tentativo dell’autorità di apparire più vicina e sensibile alle esigenze dei giovani, e contemporaneamente lo sforzo di inglobare il fenomeno musicale e sociale come una delle espressioni - libere - del sistema democratico". Tra le voci che si levano contro il gesto della Corona britannica, vi sono anche quelle di chi sottolinea che l’accettazione di tale onore da parte dei Beatles significherebbe l’adesione della musica rock a quell’establishment che essa tenta di scardinare a colpi di chitarra e batteria. E’ un discorso, a nostro giudizio, che non trova appigli.
Da un punto di vista sociale, i Beatles non sono stati un fenomeno di rottura con l’ordine costituito come lo sono stati altri cantanti o altri gruppi: basti pensare agli americani Bill Haley (il cui pezzo più noto, Rock around the clock, era la colonna sonora del film Il seme della violenza), Jerry Lee Lewis (che fa scandalo quando annuncia il suo matrimonio con una sua cugina tredicenne), agli Inglesi Rolling Stones, eterni rivali dei Beatles, che mostrano di se stessi un’immagine molto più maledetta. I Beatles, invece, sono i ragazzi della porta accanto. Una cronaca di Natalia Aspesi per Il Giorno, datata 24 giugno 1965, li ritrae a bordo del treno che da Torino li porta Milano, dove i Fab four (i favolosi quattro) sono attesi per un concerto al velodromo Vigorelli che entrerà nella storia. John, Paul, George e Ringo vengono descritti come quattro giovanotti che ancora non si sono resi conto di quello che hanno scatenato, e dei soldi che ci hanno guadagnato: giocano a Black Jack, sorridono a chi sta loro intorno, non si lasciano andare ad atteggiamenti divistici ("...si sono dimostrati sin troppo gentili: tanto da sorridere e chiacchierare, e chiedere chiarimenti sulle sette parole d’italiano che devono assolutamente sapere per questa tournée"). E’ fuor di dubbio che proprio questa loro immagine di bravi ragazzi, che trasgrediscono solo portando i capelli più lunghi del normale, scatena nelle ragazzine - ma anche in non pochi ragazzi - un’isteria come mai si sono conosciute in precedenza.
Un’isteria che include anche l’aspetto sessuale, tanto da portare migliaia di fanciulle a lasciare le tracce del proprio entusiasmo sui sedili delle arene nelle quali si esibiscono i Beatles (i famosi wet seats, le sedie bagnate). Il fenomeno, dal punto di vista sociale, è di fondamentale importanza: come ha scritto Gino Castaldo, "... per la prima volta il fenomeno, perfettamente integrato nei suoi aspetti musicali, di costume, di mode e comportamenti, unisce i giovani di tutto il mondo. Quest’universalità, ottenuta con un beat semplice e incisivo, con dei suoni effervescenti di chitarra e con degli eleganti e euforici impasti vocali è l’aspetto più stupefacente di questa ascesa... ". I Beatles, in sintesi, sono un cocktail in cui musica, sociologia, immagine e un pizzico di politica si emulsionano dando vita a un gusto irripetibile. Soprattutto sotto il profilo musicale. Per decenni, migliaia di critici si sono chiesti come sia stata possibile quella creatività, che li portava a esplorare ogni genere e a uscirne ogni volta vincitori. Una domanda alla quale rispondere diventa ancora più difficile, alla luce di dell’incontestabile verità rivelata da Ringo: "Diventai batterista perché era l’unica cosa che sapessi fare. Ma ogni volta che ascolto un altro batterista mi accorgo di non essere bravo (...) Io so soltanto suonare sul controtempo perché John non sa suonare la chitarra ritmica. Tecnicamente non sono bravo, però sono bravo a muovermi, a dondolare la testa. Ecco perché mi piace ballare: peccato che non lo si possa fare alla batteria". E’ una dichiarazione sbalorditiva, che fa pensare a quattro Forrest Gump che, trovatisi in mano degli strumenti musicali, hanno cominciato a suonarli e hanno scatenato il finimondo. Ma in effetti le cose non stanno proprio così. Se è vero che chi sapeva far scivolare le dita sulle corde della chitarra è il solo George - che non a caso diverrà amico di un tale Eric Clapton -, è anche vero che lo straordinario talento inventivo di Lennon e McCartney trova un sapiente direttore in George Martin, il loro produttore, dotato di solida cultura musicale e grande tecnica di improvvisazione. Solo così riesce a spiegarsi la genesi di canzoni quali Yesterday, Michelle, Norwegian Wood (la prima canzone pop in cui trova spazio un sitar), Drive my car, o di album quali Revolver e Sergeant Pepper’s Lonely Heert Club Band, vere pietre miliari nella storia del rock, dischi che non sono semplici raccolte di canzoni ma che raccontano una storia con un principio e una fine, come se fossero delle opere letterarie. In conclusione, possiamo affermare che i Beatles sono stati innanzitutto musica. Una musica di qualità eccelsa, che però era suonata da quattro ragazzi che hanno acceso la miccia di una rivoluzione non solo nel campo delle sette note, bensì anche in quello della società di allora, allentandone con grazia e senza troppi scossoni i freni inibitori. Senza di loro, che pure hanno avuto illustri predecessori (tra tutti, Elvis) non avremmo avuto la splendida musica degli anni Sessanta e Settanta, carica di significati esplosivi che si sposavano a meraviglia con la qualità delle esecuzioni. Cercando soccorso nelle categorie filosofiche, possiamo affermare che i Beatles sono stati il "motore immobile" di tutto quel che è accaduto in quei due decenni (entusiasmanti ma, per un verso, anche tragici). E ci viene da ridere quando, di fronte alle stesse scene di isterismo che oggi si verificano al passaggio dei Ricky Martin, dei Robbie Williams, dei Boyzone (o che dieci anni fa si verificavano davanti ai Duran Duran o agli Spandau Ballet), sentiamo qualche genitore affermare "Succedeva la stessa cosa per i Beatles": vuol dire che non ha capito niente di quel che stava accadendo.
BIBLIOGRAFIA
  • Beatles, di Marco Pastonesi - Edizioni Gammalibri
  • The Beatles, di John Reed - Edizioni Gammalibri
  • La terra promessa, di Gino Gastaldo - Feltrinelli editore
  • Dizionario della musica pop & rock - Edizione Tascabili Economici Newton