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LA
CATTEDRA
d i S T O R I A
i n n e t w o r k
Tesi di laurea della dott. Bersa Bozdo
Corso in comunicazione internazionale
Università per stranieri di Perugia
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SHQIPERIA: L'ARTE
ATTRAVERSO I SECOLI
Analisi delle forme di espressione artistica
in Albania, dalla pittura alla maschera
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CAPITOLO IV
SCUTARI TRA FOTOGRAFIE E MASCHERE
4.1. La fotografia
La fotografia, la magia che ha fatto sì che il mondo si potesse percepire in un'immagine, è nata circa due secoli fa.
Non si è ancora certi su chi fu il primo inventore della fotografia e si continua a discutere.
Si ottiene la fotografia formando all'interno di una scatola chiusa, bucata soltanto da un orifizio, un'immagine la quale impressiona una superficie sensibile ai raggi luminosi, che poi è fissata.
Già nel 1802, Thomas Wedgwood aveva studiato l'annerimento del nitrato d'argento esposto alla luce, ed era riuscito a produrre immagini d'oggetti opachi su carta sensibilizzata con sali d'argento (disegni fotogenici); immagini purtroppo instabili, dato che qualsiasi illuminazione le faceva svanire.
Nel 1816 Joseph Nicephor Niepce unì l'oscurità di una macchina fotografica con una carta fotosensibile in modo tale da imprimere direttamente un'immagine.
Nel 1826 fu nuovamente Niepce a realizzare un'immagine stabile. Nièpce, aveva cercato di ottenere una matrice da stampa utilizzando l'azione della luce sul bitume di Giudea (asfalto).
I francesi Nicèphor Niepce e Luis Daguerre s'identificano come gli inventori della fotografia. Loro hanno sviluppato la prima tecnica ed il processo chimico per salvare le immagini.
Daguerre riesce a fotografare per la prima volta nel 1839.
4.2. La dinastia Marrubi
In Albania l'arte della fotografia arrivò solo 17anni più tardi. L'italiano Pietro Marubi, esportò la tradizione europea della fotografia in una delle zone più sviluppate dell'Albania del XIX secolo: Scutari.
Nel 1856 Marubi aprì il primo studio fotografico albanese, per tale motivo ebbe notevole fama in tutta la penisola Balcanica. Pietro Marubi era un garibaldino, scappato da Piacenza per ragioni politiche. All'inizio si recò in Turchia, successivamente in Grecia e infine in Albania, per la precisione a Valona. In nessuno di questi luoghi riuscì ad ottenere l'asilo politico poiché implicato nell'omicidio dell'allora sindaco di Piacenza.
Nel 1856 arrivò a Scutari, dove trovò rifugio dai suoi persecutori, e qui cominciò a lavorare come fotografo. Nello stesso anno aprì lo studio fotografico chiamato Driteshkronje, che tradotto dal greco significa fotografia, fotos-drite e grafos-shkronje.
Pietro Marrubi fu anche un eccellente scultore, architetto, pittore ma la sua passione rimase la fotografia.
Pare che la foto del guerriero Hamza Kazazi, datata 1858, sia la prima foto albanese ma le testimonianze dei discendenti Marubi chiariscono che le prime tracce della fotografia albanese risalgono al 1856. Secondo i loro documenti, la prima foto è di quell'anno, ma l'immagine o si è cancellata durante il lavoro dal fotografo, o non esiste perché i metodi di quel tempo imponevano l'uso di un vetro per parecchi negativi. Ufficialmente la data dell'inizio dell'arte fotografica albanese è l'anno 1858, con la foto di Hamza Kazazi.
Pietro Marubi fu chiamato "il mago" che incendiava materiali e liquidi per poi darti un foglio spesso dove c'eri proprio tu.
Il suo atelier si specializzò in servizi fotografici non solo per privati (ritratti di persone o di famiglie), ma negli anni '70 Pietro (diventato nel frattempo Pjetër) eseguì dei servizi da reporter per la rivista italiana "Illustrazione Italiana" nel vilajet di Scutari.
La nuova famiglia Marrubi assunse un giovane di Scutari che si chiamava Kel Kodheli per dare aiuto e qualche volta lavorava anche nello studio fotografico. Kel cominciò ad occuparsi anche delle fotografie oltre che dei lavori domestici.
Delle fotografie Marrubi si parlava in tutte le regioni dell'Albania. Loro erano i fotografi preferiti di tutte le classi sociali.
Uno dei fotografi più vecchi di Scutari parla della meravigliosa arte. Secondo Angjelin Nenshatit, studente di Pietro Marrubi, spesso le persone dovevano essere legate nella sedia per stare dritti durante il fissaggio della propria immagine, ed era ancora peggio se si trattava di bambini.
Nelle celluloidi di Marrubi si fissò la tradizione, i paesaggi, le foto dell'aristocrazia, la corte reale, gli abiti popolari e tutta la vita albanese.
Nello Scutari di quel tempo secondo gli ordini dell'impero ottomano la donna albanese non poteva mostrarsi in foto, ma Pietro Marrubi osò infrangere le tabù del tempo e riuscì a fotografare anche la donna musulmana. Questa foto è anche quella più particolare e cara di Pietro Marrubi, la foto di una ragazza musulmana che ha appena tolto il velo. Molti studiosi la valorizzano non solo per la freschezza, ma anche per la bellezza vergine e fragile che rappresenta l'Albania.
Kel dei Marrubi continuò la tradizione fotografica albanese. La fotografia diventa propria degli albanesi anche se la professionalità si ereditò dall'italiano Pietro Marrubi.
Pietro Marrubi morì nel 1903 e lasciò in eredità a Kel non solo la fotografia ma anche il suo cognome.
Kel era cresciuto in un'epoca di guerra, e quindi s'indirizzò verso un altro tipo di foto. Lui cominciò a fotografare tutte le classi sociali. Fotografò anche i mendicanti, uno dei quali era Krajl Nikolla. Il re Zogu lo internò, ma lui fu in ogni caso il più fidato nel fissaggio dei momenti storici che dovevano restare vivi, foglie spesse in bianco e nero per essere ricordate nel tempo.
All'inizio del 900 il metodo di preparazione del negativo con il collodio si è sostituito con lastre asciutte di gelatina di bromuro d'argento. Questi metodi hanno dato una qualità maggiore alla fotografia e lo studio Driteshkronja ospitò anche gli stranieri. Lo studio Marrubi fu uno dei preferiti di tutti i Balcani per la fotografia professionale e sviluppo dei negativi. Nei manoscritti della famiglia Marrubi ci sono fotografie d'interesse per tutti i studiosi della fotografia. Secondo i manoscritti ci sarebbero anche foto dell'Abissinia(l'Etiopia), ma queste non si riescono a trovare nella fototeca. La fama dei Marrubi non aveva confini. Gli Ulqinake, gli albanesi che vivevano a Montenegro, erano elettrizzati dalla foto di Kel Marrubi. Nella foto si fissava anche la tradizione albanese al di fuori dell'Albania. I paesaggi, le persone, tutto d'albanese ad Ulqin, fermava il respiro nelle foto Marrubi.
La terza generazione è rappresentata da Gegë, figlio di Kel, che negli anni '20 si recò a Parigi dove si diplomò nello studio dei Fratelli Lumiere, presso la prima "Scuola della Foto e della Cinematografia" nel mondo. Applicò le tecniche più attuali di questa arte, utilizzò i raggi infrarossi, la solarizzazione e la foto in rilievo. Nel 1936 Gegë vinse la medaglia d'oro nel panair di Bari, e nel 1938 lo stesso premio a Salonicco. Gega Marrubi è vissuto fino nel 1984 e i ricordi sono anche più recenti. Le foto con la firma Marrubi sono circa 180 mila, e tutto fu sequestrato dalla dittatura verso il 1970. I media del tempo trasmisero la notizia in cui la famiglia Marrubi consegnò la fototeca allo stato per usarlo come ricchezza nazionale.
Le testimonianze ci rivelano il contrario. Nel 1970 un poeta di Scutari ordinato dal Partito Popolare obbligò Gege Marrubi a consegnare la fototeca firmando illegalmente un foglio in cui regalava al governo comunista un lavoro di 150anni.
Nel frattempo i professionisti discutono sui metodi di conservazione dei 180mila negativi. I fotografi sono in dubbio tra il metodo digitale e quello su celluloidi. Molti sono dell'idea che la conservazione digitale allungherà la vita a queste foto, che non rappresentano soltanto l'Albania nei secoli ma anche la vita, la storia, la cultura etc.
Gli eredi della famiglia Marrubi continuano ad abitare a Scutari anche se si dice che la dinastia Marrubi finì con la morte di Gege Marrubi.
Mai i fotografi Marrubi si valorizzarono dagli albanesi nel modo giusto. I francesi e gli italiani invece hanno organizzato diverse esposizioni sulla bellezza di questa magnifica arte albanese. Gli albanesi si sono bastati a poche produzioni d'album fotografici e poche esposizioni. La fonoteca Marrubi è riconosciuta come bene culturale di straordinario rilievo, è anche una fonte insostituibile per la conoscenza di un secolo di storia e cultura della società non soltanto albanese.
Oltre al nucleo principale costituito dalle foto della collezione Marubi, la mostra è arricchita con documenti, materiale cartografico e oggetti d'uso dell'epoca provenienti dalla Biblioteca Marciana, dal Museo Correr e da collezioni private.
Per alcuni i Marrubi erano dei semplici fotografi, altri pensano che i Marrubi li abbiano valutati di più gli stranieri. Ciò che conta è che nell'arco di un secolo e mezzo i Marrubi hanno saputo creare un'arte magnifica!!
4.3. KEL MARUBI (1870-1940)
Nacque a Scutari. Dall'età di quindici anni lavorò e studiò nel laboratorio del maestro Pietro Marubi (1834-1903). Diventa il fotografo più conosciuto e cercato in Albania. Dopo la morte del maestro, Kel divento responsabile dello studio Marubi e lo chiamò "Foto Marubi". Kel mandò suo figlio Gege a studiare a Parigi nella scuola della cinematografia e della fotografia dei fratelli Lumiere, cosi che potesse apprendere le ultime tecniche sulla fotografia. Si conservano più di 150000 negativi dei Marubi che costituiscono il tesoro più prezioso in questo campo. Nelle loro foto hanno immortalato eventi, personalità del tempo, gente comune, abiti caratteristici nazionali, città e paesini, paesaggi dell'Albania della fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo. I negativi di queste foto oggi sono conservati nella fototeca di Scutari.
VAJZE NGA SHKODRA[1], negativo su vetro, Scutari 1912.
La storia
Le foto di Marubi hanno quasi tutte le stesse storie. Furono create alla fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo, nello stesso momento in cui la fotografia si stava sviluppando anche nelle altre città europee. Attraverso le foto Marubi la vita albanese diventò nota nel mondo. Il maestro fissò su vetro la foto Vajza nga Shkodra per immortalare aspetti particolari della vita albanese del secolo scorso. Con questa foto il fotografo mostra il bellissimo abito tradizionale del nord, che in quel periodo lo indossavano abitualmente i bambini.
L'esposizione di questa foto, come tutte le altre dei Marubi, fu fatta in quel tempo su carta fotografica dall'artista. Tutte le foto sono raccolte anche in album in onore alla dinastia Marubi.
4.4. Le maschere veneziane
Venezia, la città dei paradossi, originale ed illusionista, sta sempre tra reale e irreale, tra la verità e sogni, tra il passato ed il presente, tra l'intrigo e l'amore, tra le folle dei turisti e l'abbandono.
Venezia è la città di Vivaldi e Casanova, la città delle gondole, delle lagune e del carnevale. Nelle strade strette e con poca luce di questa città l'unico mezzo di commercio e di sviluppo è il commercio dei "ricordi" veneziani.
Tutto in questa città è contraddizione, riscoperta, illusione, inganno e opposizione, è una maschera. Non è un caso che il capo più familiare di Venezia è proprio la maschera, che i veneziani spesso chiamano la fusione tra realtà e menzogna, tra sincerità e illusione.
Per i veneziani, la maschera è il mezzo che da vita alla verità nascosta dell'uomo della vita quotidiana. Una verità che poche persone conoscono è che queste maschere che costituiscono la storia di questa città millenaria si producono in Albania, precisamente a Scutari.
Il laboratorio di Scutari Arlecchino è l'unico posto in Albania che produce le maschere che coprono il capo ai veneziani e alle migliaia di turisti che vanno a Venezia ogni anno.
Questo laboratorio fu creato otto anni fa ed è ormai lo studio artigianale più particolare in tutto Scutari.
Il lavoro del laboratorio, di quasi tutto l'anno, si dedica generalmente al Carnevale di Venezia. Nello studio lavorano 35 dipendenti che conoscono solo la tecnica artigianale, e creano tutte le tipologie delle maschere veneziane.
Mentre passa di mano in mano, la maschera, comincia a prendere la sua forma, e spesso deve sottoporsi a 12-13 processi di trattamento perché arrivi alla sua forma tradizionale.
I veneziani cercano dei colori e variazioni particolari per le loro maschere. In genere piacciono molto le maschere con smeraldi, con pietre swarovski, con la piuma e l'argento, che sono anche i lavori più vicini alla storia della città.
I lavoratori preparano le forme con i personaggi più famosi veneziani e della commedia mondiale con il semplice movimento delle mani, invece due pittori di Scutari riescono ad unire la pittura con la maschera.
Questa arte particolare ed allo stesso tempo attraente lo portò nella città albanese Edmond Angoni, emigrato in Italia nel 1991, che aveva vissuto per molti anni tra Padova e Venezia. Cominciò a disegnare solo sei o sette modelli di maschere tipiche di Venezia fino a raggiungere i 650 modelli. Questo artista conosce a perfezione tutti i personaggi delle maschere che crea, e cura tutte le pecunie. Le maschere più preferite sono quelle con gli animali e quelle con i bambini.
Oggi dopo tanti anni di commercio la concorrenza è presente ed anche molto dura a Venezia, ma Angoni riesce a rifornire circa 26 negozi della città. In fine la mappa dell'esposizione delle maschere l'ha ampliato sempre di più.
Frasi scritte sulle maschere
OSCAR WILDE: "Una maschera racconta molto di più di una faccia"
DANDY: "L'essere umano fa vedere pochissimo se stesso quando parla in prima persona, dateli una maschera e vi dirà tutta la verità"
BACHTIN: "La maschera mostra gli istinti repressi delle persone, che nella vita quotidiana spesso neghiamo"
Nasce nel 1268 la storia della maschera. Secondo le leggende veneziane, si conosce che inizialmente le maschere si usavano dai giovani della città che corteggiavano le belle ragazze lanciando uova piene di profumo. Dopo queste usanze di divertimento piacquero anche ai nobili, che cercavano di uscire fuori degli schemi della vita veneziana.
In modo completamente diverso, ma le stesse feste, moltissimi anni dopo, anche l'Albania conobbe il carnevale e le maschere.
Uno degli eredi della famiglia Shiroka, la rappresentante tradizionale dell'arte delle maschere a Scutari, racconta l'inizio del primo carnevale albanese.
Il carnevale e allo stesso tempo le maschere di quel periodo cominciarono a prendere una piega politica. Questo fatto portò anche alla scomparsa di questa tradizione. In ogni caso il nuovo artigiano, Angoni, ha deciso non solo di riportare la lavorazione delle maschere a Scutari, ma pensa anche di promuovere il carnevale nei giorni nostri.
Venezia la città che sfida il tempo, ha le sue maschere preferite, e sono proprio queste maschere che hanno lasciato segni storici tra i veneziani.
Venezia splende tra le maschere di Scutari. L'eredità genetica tra queste due città si nota in ogni vetrina o faccia coperta da maschera a Venezia.
Ogni anno Scutari fornisce il Carnevale di Venezia con più di 30 mila maschere. Da 5 anni i prodotti del laboratorio albanese sono i più richiesti per la formidabile tecnica artigianale di produzione delle maschere, una maestria in continua perdita nel mercato veneziano delle maschere.
"INDOSSATE LE MASCHERE ED EVIVA IL CARNEVALE!"- cosi aspettano a Venezia, Rio de Janeiro o Nizza il carnevale.
Non molto lontano dal 25 febbraio, il maestro albanese del "viso magico" organizzò a Tirana una mostra di maschere. Sono 30 mila le maschere che partirono per Venezia nello stesso periodo.
Edmond Agoni, molto giovane d'età per essere un artigiano di tradizione, è il mago del laboratorio Arlecchino, che produce le maschere per il carnevale, maschere in cartapesta secondo la tradizione veneziana. Il suo mercato è Venezia. Il laboratorio di Scutari Arlecchino conosce solo la tradizione artigianale ed è lì che si lavorano tutte le tipologie di maschere.
Angoni dopo essere immigrato in Italia nel 1991, si ferma a Venezia per cinque anni. Lì nasce l'idea per cominciare la nuova avventura delle maschere. Un artista autodidatta in pittura disegnò secondo le disposizioni ordinate tutti i modelli e i personaggi della commedia dell'arte. Prese vicino persone che man mano diventavano professionisti in questo campo, fino all'apertura del laboratorio che ha preso il nome del "eroe" del Carnevale, Arlecchino.
"Non avevo niente da perdere quando ho deciso di iniziare quest'avventura. L'investimento era minimo e l'unico macchinario che serve, se si può chiamare macchinario, era la forma del versamento "- dice Angoni. Oggi dopo anni di commercio consolidato, la concorrenza è molto forte a Venezia, ma le maschere realizzate a Scutari hanno avuto molto successo perché sono artigianali e di cartapesta, invece a Venezia, si usa molto dai produttori del posto, la plastica. Angoni non ha scelto questo tipo di maschere perché secondo lui è meglio farne poche ma farle bene. Il mercato di Venezia è pieno di maschere di plastica. Si vendono da per tutto e in questo modo si sta perdendo la tradizione artigianale delle maschere. Per questo motivo le maschere d'Angoni sono le più preferite per il Carnevale di Venezia.
Il colore delle maschere che produce Arlecchino a Scutari deve essere adatto alla tradizione veneziana, deve sembrare che arriva da un passato lontano. Gli smeraldi, i metalli, lo stucco, le piume sono tecniche prese da Venezia. La cartapesta si trova tutta in Albania mentre le foglie d'oro, d'argento, le varie pietre vengono dall'Italia. Le applicazioni sulle maschere si fanno a Scutari e prima che una maschera sia pronta deve passare nelle mani d'otto persone. Edmond Angoni parla anche dei particolari, niente è lasciato al caso. Il bello di quest'arte, secondo lui, è che anche gli errori sono possibili, hanno valore, sono dolci, perché la magia delle mani sbaglia "a proposito", per mascherare al meglio il viso durante il carnevale.
Il mercato albanese
Le maschere esposte alla mostra di Tirana, siccome sono un prodotto d'esporto, hanno prezzi altissimi che variano da 20 a 100 euro, questo anche perché non esiste un mercato in Albania.
Il mercato principale per le maschere di Arlecchino è Venezia con circa 30 mila maschere l'anno, non solo, Angoni ha aperto a Venezia due negozi dove si vendono solo le maschere prodotte da Arlecchino di Scutari. Le maschere di quest'azienda si vendono anche negli USA, Regno unito, Francia e Grecia su ordinazione.
La produzione delle maschere con la firma d'Arlecchino è basata tutta sul lavoro fatto a mano.
Le maschere d'Arlecchino, a parte il mercato estero, si trovano anche negli spettacoli teatrali ed altre manifestazioni in Albania. Questo anno in collaborazione con il progetto Creative City si organizzò a Scutari un ballo in maschera, dove furono messe a disposizione proprio le maschere di Arlecchino.
Conclusioni
In queste 130 pagine ho voluto mostrare una parte sconosciuta della cultura albanese; la definisco una parte sconosciuta perché tutti si sono preoccupati dell'Albania solo per parlare ed analizzare esclusivamente il fenomeno dell'emigrazione con correlativa criminalità.
In questa tesi è possibile conoscere ed esplorare sia i vari periodi storici (l'Età Bizantina, il Rinascimento albanese, l'Indipendenza nazionale, il Realismo Socialista, ed il periodo post-comunista), e sia le varie forme di espressioni artistiche relative ad essi (la pittura, la fotografia, l'uso della cartapesta, la letteratura).
Inoltre, questa ricerca dimostra come l'Albania, negli ultimi due secoli, sia stata meta di studi per tanti artisti e scrittori provenienti da tutto il mondo; il motivo scatenante l'interesse di questi artisti nasce dalla voglia di conoscere una nuova cultura, sicuramente diversa da quella occidentale. Le caratteristiche della cultura albanese, che più sono state temi principali di quadri e poesie di americani, francesi, inglesi, croati e serbi, furono soprattutto i costumi tipici del Paese, il paesaggio e sicuramente il particolare modo di vivere (l'ospitalità, la Besa, ossia il forte senso della "parola data", peculiarità dell'uomo albanese).
Al contrario, vi furono degli artisti italiani che in Albania divennero famosi; un esempio è il caso di Marrubi, che per primo portò la fotografia in Albania dove diede inizio ad una vera e propria dinastia di eccellenti fotografi albanesi.
Sin dalle prime ricerche, è stato facile notare come il rapporto Albania-Italia non possa essere unicamente riconducibile ai vari fenomeni attuali: le guerre di conquista tra Illiri e Romani nel 167 a.c., il susseguirsi di dominazioni dagli Angioini ai Veneziani a Durazzo nel XIII-XIV, relazioni mercantili con il re Zog prima del II Conflitto Mondiale.
Infine, con questo lavoro di descrizione ed analisi dell'arte albanese, ho voluto soprattutto evidenziare un aspetto interessante del mio Paese, per cercare, almeno in parte, di modificare, nella mentalità comune, quell'idea troppo negativa e disfattista che si ha attualmente nei confronti dell'Albania.
(4 - Fine)
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NOTE
[1] Traduzione: Ragazza di Scutari
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