LA RIVOLUZIONE RUSSA Dalla tirannide imperiale al golpe bolscevico

E VENNE UN UOMO
CHE DISTRUSSE L’IMPERO
USANDO GLI ERRORI
DELLO ZAR NICOLA

Lenin ebbe facile gioco su questo monarca assoluto, inetto e del tutto privo di doti politiche

di FERRUCCIO GATTUSO

Lenin nel 1922

"Sua Maestà è un monarca assoluto, e non è obbligato a rispondere delle proprie azioni a nessuno al mondo, ma ha il potere e l’autorità di governare i propri stati e territori come un sovrano cristiano, secondo il suo desiderio e la sua benevolenza."
"Ai cittadini della Russia! Il governo provvisorio è stato abbattuto. Il potere statale è passato nelle mani dell’organo del Soviet dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado, il Comitato militare rivoluzionario […] La causa per cui il popolo ha lottato, l’immediata proposta di una pace democratica, l’abolizione della grande proprietà fondiaria, il controllo operaio della produzione, la creazione di un governo sovietico, questa causa è assicurata. Viva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei contadini !" Le prime sono parole tratte dal Regolamento militare (cap. 3, art. 20) di Pietro il Grande del 1716, ancora perfettamente valide agli inizi del 1900 sotto il potere di Nicola II Romanov. Le seconde appartengono a Lenin, e costituiscono la dichiarazione del 25 ottobre 1917, con la quale il Soviet prendeva il potere, strappandolo a Kerenskij e al governo provvisorio.
Tra l’effettiva autorità di queste due enunciazioni - così vicine nella retorica e solennità, eppure così distanti nel loro significato storico-filosofico - c’è un lasso di tempo di soli diciassette anni. Questo può fare ben comprendere come la storia della Russia e della sua gente abbia subito in pochissimo tempo uno sconvolgimento che non ha eguali nella storia dell’umanità.
LA RUSSIA ZARISTA AGLI INIZI DEL ‘900 L’impero zarista, fondato su di una società straordinariamente arcaica e anacronistica, ancorato ai valori apparentemente inattaccabili della religione e delle tradizioni contadine, si sbriciolava con una velocità ed una rassegnazione tali da lasciare ammutolito il mondo. Sulle sue rovine nasceva quello che si sarebbe tramutato in un nuovo e opposto impero, questa volta dell’ateismo, dell’Utopia progressista, della creazione dell’Uomo Nuovo. Un impero che sarebbe crollato - paradossalmente - con la stessa straordinaria facilità e rassegnazione, dopo settant’anni di socialismo reale.
Un impero al di fuori del tempo. La Russia di Nicola II costituiva uno Stato assolutamente a sé nel panorama dei paesi così detti occidentali di inizio secolo. Anzi, la stessa definizione di "occidentale" difficilmente si accorderebbe con quello che era, piuttosto, un Impero al di fuori del tempo e dello spazio, a metà tra Medioevo e modernità, tra Occidente e Oriente. Nulla delle esperienze monarchiche europee - nemmeno l’autoritaria corona del Kaiser tedesco - poteva lontanamente avvicinarsi al dominio esercitato dall’Imperatore russo. La società russa, a stragrande maggioranza contadina, viveva nel culto - imposto, ma accettato con estremo fatalismo - della figura dello Zar. Semidio, padrone di qualsiasi uomo o possedimento che alloggiasse sull’immenso territorio "di tutte le Russie", lo Zar godeva di un potere assai simile a quello dei signori medioevali. La caratteristica essenziale dello zarismo era il potere autocratico, del quale il monarca si sentiva incaricato per volere di Dio.
TUTTO APPARTENEVA ALLO ZAR Questa forma di potere assoluto trovava la sua giustificazione e il suo presupposto culturale nella totale mancanza di riconoscimento istituzionale del concetto di proprietà privata. Tale concetto rimase sconosciuto ai russi fino all’avvento di Caterina II (seconda metà del XVIII secolo), peraltro di origine tedesca. Fu solo il valore della proprietà privata, nella storia europea, a costituire il punto di partenza per la limitazione del potere reale. Lo stesso contadino russo accettava come legge ineluttabile l’autorità zarista, e per di più non aspirava minimamente a liberarsene o ad ottenere diritti civili e politici. Nella mentalità del mugik russo, la corona veniva ad assumere un identità perfetta con lo Stato, la sua autorità poliziesca e la sua unità indissolubile. Questo valeva anche per le numerosissime etnie che popolavano l’immenso territorio dell’Impero. Alla base del potere monarchico zarista, e a sua difesa, stavano cinque istituzioni: la burocrazia statale, la polizia, la nobiltà, l’esercito e la Chiesa ortodossa.
Agli inizi del secolo la popolazione contadina costituiva i quattro quinti di quella totale russa. Nonostante l’industria si stesse espandendo a velocità considerevole, l’agricoltura restava la principale fonte di ricchezza del paese. Le tradizionali tesi storiche rappresentano la Russia agli albori delle rivoluzioni (1905, Febbraio e Ottobre) come una paese in cui il potere della corona, della chiesa e della minoranza aristocratica si estendeva sulla grande maggioranza della terra disponibile. L’ingiusta ripartizione della terra, quindi, è sempre stata considerata una delle cause principali della Rivoluzione. Studi più recenti, come ad esempio quello monumentale di Richard Pipes, hanno messo in evidenza come in Russia predominassero i piccoli coltivatori diretti, e il latifondo costituisse una minoranza nelle zone di confine con Polonia e Svezia. Dopo l’abolizione del servaggio della gleba (1861), scrive Pipes "gli ex servi ricevettero circa metà della terra che prima coltivavano. […] Nel 1905 i coltivatori diretti possedevano, come comunità o personalmente, il 61,8% della terra russa in proprietà privata. […]".
LA RUSSIA CONTADINA "Nel 1916 i coltivatori diretti possedevano i nove decimi della terra coltivabile." Il problema delle terra, in realtà, era un altro, ed era legato al tasso di sovrappopolazione. I Paesi occidentali, sin dalla fine del Settecento, avevano trovato nell’industrializzazione, ma soprattutto nell’emigrazione oltreoceano, la soluzione al proprio incremento demografico delle campagne. Per diversi motivi sociologici e culturali, la Russia non poté giovare di questa valvola di sfogo: il contadino russo, legato fortemente alla propria terra, e cosciente di vivere in un impero dal territorio immenso, preferiva puntare a colonizzare il proprio paese. Oltre a ciò, le forti convinzioni religiose inibivano i contadini dall’intraprendere un’avventura in terre dove sarebbero venuti a contatto con uomini di fede differente.
Un gran numero di contadini "in esubero" finì così ad ingrossare le città, dove si recavano a cercare lavoro temporaneamente. A differenza dei casi europei, i contadini russi non si integravano nel nuovo contesto sociale. Come scrive Pipes "i contadini, privi di solidi legami, senza un lavoro stabile, e in mancanza delle famiglie, che di solito erano lasciate a casa, rappresentavano un elemento inassimilabile e potenzialmente dirompente. In sostanza era questo il ‘problema della terra’."
La stessa classe operaia, che andava formandosi negli ultimi decenni, era fortemente derivata da quella contadina. Moltissimi operai impiegati nelle industrie di città continuavano a risiedere o ad avere forti legami con la campagna, mantenendo di conseguenza una forma mentis conseguente a quel mondo. All’inizio del secolo questa massa di operai-contadini, soprattutto in città come Mosca e Pietroburgo erano per la quasi totalità analfabeti, estremamente vulnerabili alla propaganda delle organizzazioni radicali.
NASCE LA "INTELLIGHENZIA" Presso la popolazione rurale, invece, le teorie rivoluzionarie non trovavano il minimo credito. Lo stesso Zar - ritenevano i contadini - avrebbe compreso il problema della terra. e l’avrebbe distribuita non appena fosse venuto a conoscenza dei termini reali della crisi. Questo mito fu duro a morire nelle campagne, e anno dopo anno, zar dopo zar, i contadini aspettavano la figura che avrebbe "messo le cose a posto". Parliamo ora dell’intellighenzia. Il termine "intellighenzia" esordì in Russia tra il 1830 e il 1850, e stava ad indicare quel ceto di cittadini istruiti e tendenzialmente progressisti che, pur potendo disporre, come detto, di una preparazione superiore non solo (ovviamente) alla maggioranza della popolazione, ma alla stessa casta del potere aristocratico e burocratico, restava, come si suol dire, al di fuori della "stanza dei bottoni".
L’intellighenzia cominciò a fiorire intorno al 1860 in occasione della "grande riforma" di Alessandro II che, dopo la sconfitta della guerra di Crimea, aveva deciso di estendere a nuovi strati di popolazione una parziale partecipazione alla vita pubblica. La diminuzione della censura portò così ad un fiorire di giornali e periodici che analizzavano la vita politica e sociale russa. All’inizio del secolo, quindi, quasi tutti i giornali sostenevano idee progressiste e di opposizione alla corona. L’organizzazione dei zemstvo (organi di autogoverno) permisero poi agli intellettuali di accedere al pubblico impiego. Con lo sviluppo dell’intellighenzia venne anche a crearsi un clima favorevole ad idee positiviste, laiche e materialiste, fatto che avrebbe da subito creato un contrasto con il tradizionalismo religioso dello Zar e della Chiesa ortodossa. Gli intellettuali cercarono immediatamente di "far prendere coscienza" alle masse contadine ma, una volta constatato il fallimento di un simile tentativo, cominciarono a radicalizzarsi in alcune frange estremiste.
UNA REALTA’ A DUE FACCE Venne così a crearsi una sorta di "doppio canale" all’interno del mondo intellettuale: una realtà legale e moderata ed una sotterranea e sovversiva, che arrivava a teorizzare l’uso del terrorismo per cambiare l’assetto sociale del Paese. Già nel 1879 operava la prima organizzazione terroristica che si ricordi al mondo, e cioè "Volontà del Popolo" (cui fece parte anche il fratello di Lenin). Questi radicali disillusi non cercavano solidarietà o appoggio nella società, ma realizzavano incursioni terroristiche per spingere la Russia alla rivoluzione, nonostante il popolo (il suo nome quindi suona tragicamente paradossale). Questo modo di pensare fu alla base della nascita di tutte le elites radicali che seguirono. All’inizio del 1900, infatti, non esistevano i presupposti perché si realizzasse in pochi anni lo sconvolgimento epocale che poi accadde. Se lo zarismo cadde, senza entrare in una fase di monarchia costituzionale come era avvenuto altrove in Europa, fu a causa dell’instancabile opera di propaganda, opposizione e terrorismo dei partiti radicali che seppero trasformare una ribellione - quella della guarnigione militare di Pietroburgo - in una rivoluzione che contagiò tutta la Russia. Dall’intellighenzia nacquero i partiti politici, che si organizzarono in Russia non prima della fine del secolo scorso.
Il Partito socialdemocratico nacque durante un congresso clandestino a Minsk nel 1898. La sua nascita ufficiale avvenne cinque anni dopo in Belgio e in Inghilterra. Consideravano lo sviluppo capitalistico come un passo inevitabile - e quindi progressista - verso la rivoluzione. Criticavano il terrorismo. Il partito socialista rivoluzionario era il più estremista. Nato nel 1902 dalle costole di "Volontà del Popolo", faceva dell’anarchismo e del sindacalismo le proprie bandiere, e ricorse fin da subito a pratiche terroriste.
UN OCCHIO ALLA BORGHESIA Reputavano transitorio il successo e lo sviluppo del capitalismo in Russia e guardavano alla "borghesia" come ad un elemento utile per il processo rivoluzionario, ma comunque legato alle tradizioni monarchiche. I Liberali si dividevano in liberalradicali, più orientati a sinistra, e liberalconservatori, più moderati e di destra. Prevalevano sicuramente i primi, tra i quali spiccavano i cadetti (o costituzionaldemocratici). I valori erano quelli classici liberali del tempo: suffragio democratico, governo parlamentare, libertà e uguaglianza per tutti i cittadini.
A differenza dei corrispettivi europei, i liberali russi erano collocati maggiormente a sinistra. Le condizioni della Russia assolutista sono il motivo maggiore di questa posizione. Inoltre, i liberali dovevano competere con i partiti più radicali. Atteggiamento principale di questa fazione era lo sfruttamento della minaccia rivoluzionaria dei radicali per ottenere riforme e cambiamenti e concessioni da parte dello Zar.
Questa era quindi la Russia di inizio secolo, un entità apparentemente immutabile ma nei cui sotterranei stava montando una fermento sociale, economico e rivoluzionario inarrestabile. Gli anni che precedettero la Rivoluzione del 1905 furono caratterizzati da due figure governative principali, diametralmente opposte eppure complementari nel creare i presupposti perché si realizzassero gli eventi rivoluzionari: i due Ministri degli Interni Viaceslav Pleve e P.D. Mirskij. Il primo esercitò il proprio potere dall’aprile 1902 - quando il predecessore Sipjagin venne assassinato da uno studente radicale - fino al luglio 1904, quando saltò in aria nella propria carrozza per mano di un attentatore rivoluzionario. Sotto Pleve - scrive Pipes - "la Russia rischiò di diventare uno stato di Polizia totalitario, nel senso moderno del termine."
LA RIVOLUZIONE DEL 1905 L’atteggiamento di Pleve, assolutamente intransigente nei confronti di ogni opposizione liberale o radicale che fosse, portò come conseguenza alla nascita del fronte unito negli anni 1904-5 che andò sotto il nome di Movimento di liberazione e che sarebbe riuscito ad ottenere importanti concessioni istituzionali. Negli anni di Pleve si tentò, e con successo, l’organizzazione dei sindacati diretti dalla polizia. Questo tentativo di strappare gli operai alle suggestioni rivoluzionarie ebbe un certo successo, ma si rivelò in futuro per quello che era, e cioè un arma dell’autocrazia zarista per "dare una regia" alle stesse richieste dei lavoratori.
A Pleve successe Mirskij, uomo di carattere liberale che cercò di alleviare le tensioni sociali. Durante il suo incarico diminuì il potere poliziesco e la censura, e venne concessa una certa autonomia ai zemstvo (organi di autogoverno locale nati nel secolo precedente).
In questa atmosfera si ebbe così il grande Congresso dei zemstvo a Pietroburgo nel novembre 1904, un avvenimento che diversi storici non esitano a paragonare alla famosa conferenza francese degli Stati Generali del 1789. In occasione del congresso nacque per la prima volta la richiesta di un organo legislativo elettivo (Duma), una sorta di parlamento che potesse esercitare funzioni di controllo sul bilancio e sulla pubblica amministrazione. Il 1904 si chiudeva quindi con un’atmosfera di fermento politico e di speranza. Cambiò tutto sin dal mese di gennaio, quando si realizzò quella che sarebbe passata alla storia come la "Domenica di sangue". Fu essa a scatenare nel Paese la prima ondata rivoluzionaria. Dopo il 1905 l’immobilismo autocratico zarista non avrebbe più conosciuto pace. Per domenica 9 gennaio Georgij Gapon - giovane prete ortodosso e capo di un sindacato su cui vigeva la "supervisione" dalla polizia (!) - organizzò un corteo operaio che avrebbe dovuto raggiungere il Palazzo d’Inverno.
LA "DOMENICA DI SANGUE" Motivo del corteo era la trasmissione di una petizione nella quale si avanzavano richieste di mutamento politico. La manifestazione era assolutamente pacifica e "tradizionalista": nelle sue file spiccavano icone religiose e ritratti dello Zar. Naturalmente le richieste non erano indifferenti: si chiedeva un miglioramento nei salari e nelle condizioni di lavoro, un alleggerimento delle tasse.

La sanguinosa repressione militare di Pietroburgo nel dicembre 1905

A tutto ciò lo Zar rispose con un atteggiamento di assoluta incomprensione. Trasferitosi per sicurezza nella residenza di Carskoe Selo, ordinò a Fullon, responsabile della sicurezza della città, di collocare truppe armate nei punti principali di Pietroburgo.
Prima di raggiungere il Palazzo d’Inverno dimostranti e forze dell’ordine vennero a contatto e fu il massacro: la polizia sparò sui civili inermi e disarmati. Centinaia di morti e migliaia di feriti: fu questo il bilancio di un "disordine" che si rivelò come il primo autentico momento di rottura nel rapporto "fiduciario" che legava l’istituzione zarista al suo popolo. Morirono, quel giorno sulle strade di Pietroburgo, le ultime illusioni di poter preservare una monarchia in Russia.
La notizia della "Domenica di sangue" si diffuse per tutto l’Impero e ad essa seguì un’ondata di scioperi senza precedenti. Solo nel mese di gennaio incrociarono le braccia più di quattrocentomila operai , le università entrarono in agitazione, il governo - un tempo perfettamente "poliziesco" - perdeva il controllo della situazione. Anche nelle campagne, i contadini ne approfittarono per scatenare pogrom contro gli ebrei e saccheggi nelle grandi proprietà. Riprese il terrorismo, con l’assassinio dello zio dello Zar, granduca Sergej Aleksandrovic, e si ebbe il famosissimo ammutinamento dell’incrociatore Potemkin della flotta del Mar Nero.
UN ESERCITO ANTIZARISTA Fu, questo, il primo sintomo di ciò che sarebbe avvenuto in futuro: uno dei pilastri dell’autorità zarista, l’esercito, prima o poi le avrebbe girato le spalle. Contemporaneamente gli scioperi causarono una flessione nella produzione industriale e si ebbe una crisi economica e sociale gravissima. Se a tutto ciò si aggiunge la concomitanza di un evento per nulla irrilevante come la guerra con il Giappone, che arrecava continue sconfitte all’esercito russo, si può ben comprendere come la Russia fosse sull’orlo di un baratro.
Già nel mese di febbraio lo Zar si vedeva costretto a muovere le prime concessioni. Il giorno 18, su consiglio del lungimirante primo ministro conte Vitte, l’Imperatore firmava un documento dove si auspicava di "coinvolgere gli uomini migliori, eletti dal popolo e investiti della fiducia del paese, per la preliminare elaborazione e valutazione dei disegni di legge". Era la Duma tanto invocata, una prima forma di parlamento, una nuova istituzione nascente accanto all’ancora salda autorità autocratica.
In questa fase storica le forze che seppero meglio approfittare della situazione ed organizzarsi per ottenere una consistente rappresentanza nella Duma furono i liberali moderati, e non i rivoluzionari radicali. Il partito socialdemocratico, scisso in quell’anno nelle due correnti bolscevica e menscevica, non ricopriva ancora un ruolo determinante. I socialisti rivoluzionari rimanevano apertamente legati alle pratiche illegali e mal si adattavano all’atmosfera "istituzionale". Ad opera dei liberali nacque così la Lega delle Leghe (che includeva la vecchia Lega per la Liberazione), che ottenne un considerevole successo all’interno della Duma. Tutto il 1905 fu segnato da continui scontri tra lo zar e le opposizioni a proposito del ruolo che il nuovo organo elettivo avrebbe dovuto svolgere.
LO ZAR ALLE STRETTE Liberali e socialisti chiedevano una Duma eletta con suffragio universale, diretto e segreto, mentre la Corona interpretava la Duma come un assemblea dai poteri formali e consultivi. Le incomprensioni sfociarono nel grande sciopero generale di ottobre durante il quale a mosca e Pietroburgo diverse categorie di lavoratori incrociarono le braccia. Fu in questi giorni che nacque il famoso Soviet degli operai di Pietroburgo. Questa struttura doveva avere il compito immediato di gestire lo sciopero, ma in futuro sarebbe diventato lo strumento ideale in mano ai bolscevichi per impadronirsi del potere assoluto. Da esso nacquero soviet simili in tutta la Russia. Fu in quest’atmosfera che lo Zar, sempre consigliato dalla figura di Vitte, fece un passo fondamentale: accettò almeno formalmente i termini di una monarchia costituzionale attraverso la firma di quello che sarebbe passato alla storia come il "Manifesto di Ottobre". Il testo accettava di garantire i diritti elementari individuali, la libertà di espressione, le elezioni della Duma a suffragio universale, il riconoscimento alla Duma di alcuni poteri legislativi e di controllo sul bilancio. Il Manifesto non contribuì in ogni caso ad attenuare le tensioni sociali e politiche. Né lo Zar né l’opposizione accettarono una pacifica convivenza secondo le nuove regole del gioco istituzionale. In ogni caso con la novità del manifesto si chiuse il 1905, un anno che aveva visto predominare nell’opposizione le forze liberali. In seguito non sarebbe più stato così: i radicali socialisti avrebbero preso in mano le redini del gioco rivoluzionario, per non mollarle più.
Gli anni seguenti furono caratterizzati da continui bracci di ferro tra Corona e opposizione sul tema dell’assemblea costituente, che lo zar non aveva la minima intenzione di accettare. In un atmosfera politica irreale la prima Duma durò pochi mesi, dal maggio 1906 al luglio dello stesso anno. La seconda, Duma, che vide la luce nel febbraio 1907, durò solo quattro mesi.
LA MICCIA DELLA RIVOLUZIONE Nonostante la scena politica fosse dominata da un nuovo primo ministro della Corona ben disposto verso le opposizioni, Petr Stolypin, questa seconda assemblea si rivelò molto più radicale della prima, con i socialisti in un numero doppio rispetto alla destra. Come una fenice, la terza Duma risorse dalle ceneri il 1° novembre 1907: fu l’unica a resistere per cinque anni, anche perché finalmente rispondeva ai desideri zaristi, con una maggioranza di moderati "ottobristi" (i sostenitori del manifesto di ottobre). La quarta durò fino al 1917. Scrive Pipes che, se i governati russi avessero pensato al 1905 (una guerra, col Giappone, seguita da una rivoluzione) avrebbero cercato di evitare l’intervento armato nel conflitto mondiale. La guerra appariva comunque inevitabile per l’Impero russo, da sempre nelle mire del Kaiser. Dapprima il paese si strinse attorno allo Zar in un inevitabile fermento patriottico, e anche la Duma appoggiò il governo. La guerra sembrava aprire anche nuove opportunità economiche per l’industria e il miraggio di nuove conquiste portava con sé anche quello di nuovi mercati.
Dopo due anni di guerra di stallo la situazione mutò, e il conflitto mondiale si rivelò per quello che era: un mortale mina messa sotto le fondamenta della società russa. 15 milioni di uomini lasciarono industria e agricoltura per finire al fronte, e fu la crisi. Nel primo anno di guerra si chiusero 573 fabbriche e opifici. Nel 1916 più di un quinto degli altiforni indispensabili all’industria del ferro e dell’acciaio chiusero, il combustibile divenne irreperibile, il sistema dei trasporti era devastato, così come quello finanziario, mentre le campagne rimanevano vittime delle requisizioni militari. La carestia incombeva. Il 1915 e il 1916 furono anni di grandi scioperi e tumulti. L’opposizione borghese, organizzata nel "Blocco progressista" dall’agosto 1915, chiedevano a gran voce un governo che avesse piena fiducia popolare, e quindi eletto dal popolo e non espressione della Corona.
A CORTE LO STREGONE RASPUTIN Sono i mesi in cui si mettono in luce uomini come Lvov, Godnev e Kerenskij, che sarebbero divenuti membri del governo provvisorio. Paradossalmente, e nonostante la gravità della situazione, in questo periodo lo Zar si chiuse a strenua difesa dei propri privilegi, in questo spinto dall’instabile figura della moglie Alessandra e dall’inquietante figura del monaco contadino Rasputin, che in quegli anni alloggiava a corte difeso dalla zarina. Quest’uomo, che per caso era venuto a contatto con la Famiglia imperiale e per un caso ancora più fortuito era riuscito a curare l’emofilia del figlio di Nicola e Alessandra, l’amato Alessio, si era guadagnato l’eterna riconoscenza della zarina. Con il tempo questo eccentrico e dissoluto "profeta" divenne autentico punto di riferimento per la Corte, intervenendo nelle decisioni politiche e militari.
Agli occhi dello zar e della zarina veniva ad assumere i connotati romantici della figura del contadino tradizionale della vecchia Russia, religioso, conservatore e soprattutto rispettoso della figura imperiale. Tutt’altro che gli odiati intellettuali dell’opposizione borghese e socialista. Nel dicembre 1916 Rasputin era ormai una figura pericolosa e odiata sia dai radicali di sinistra che dai conservatori e monarchici, che rabbrividivano nel vedere lo zar in mano ad un fanatico. Fu un complotto monarchico organizzato dal principe Jusupov a porre fine alla sua vita. A dispetto delle speranze di molti, la morte di Rasputin fece sprofondare la corona in un maggiore isolamento, spingendo lo zar ad assumere un atteggiamento ancora più intransigente. Alla fine del 1916 un’ondata di scioperi mise in ginocchio il Paese. Il fronte antimonarchico era ormai la maggioranza e la soluzione politica più popolare risultava essere la destituzione dello zarismo.
1917: IL GOLPE DI OTTOBRE Sono i mesi in cui i radicali socialisti, soprattutto la fazione dei bolscevichi, comincia ad organizzarsi e ad assumere il ruolo di avanguardia rivoluzionaria. Le forze borghesi, strette tra lo zar e il terrore di una rivoluzione "rossa", cercarono - senza successo - di preparare la destituzione di Nicola II, spingendolo verso l’abdicazione. Il 1917 nacque sotto terribili auspici. Innanzitutto un durissimo inverno (la temperatura media fu di -12° C, rispetto ai +4° C dell’anno precedente !). I trasporti ne vennero irrimediabilmente colpiti, e con essi la distribuzione alimentare e di combustibile nelle città. La situazione politica era sempre più tesa, con continui scioperi e le tradizionali tensioni tra Duma e Corona. In una situazione così tesa apparve incredibile quando, non solo per ragioni di sicurezza, l’intera famiglia imperiale si trasferì lontano da Pietroburgo, a Mogilev.
Lo Zar restava distante dai problemi popolari e viveva ormai psicologicamente isolato dal proprio paese. Il giorno esatto seguente alla partita dello zar, il 23 febbraio, cominciarono i tumulti che si sarebbero placati soltanto con la sua definitiva caduta, una settimana dopo. In pochissimi giorni scioperi e tumulti si impossessarono di Pietroburgo e più di duecentomila operai entrarono in sciopero. Lo zar, dal suo ritiro, rispondeva con l’invito alla polizia di ricorrere alla forza. Già in passato il Governo aveva dovuto ricorrere a metodi violenti e con essi, insieme ad alcune concessioni, era riuscito a placare le rivolte. Solo che in questo caso di rivolte non si trattava; era una rivoluzione, e lo Zar dovette farsene una ragione quando avvenne l’incredibile: l’esercito, il fedele esercito pilastro della Corona, si era unito ai rivoltosi. Non solo i cosacchi mandati a sedare i rivoltosi avevano fraternizzato con loro, ma la stessa guarnigione di Pietroburgo si era ammutinata. Era il 26 febbraio e questo avvenimento fu lo spartiacque di un’epoca.
L’IMPERATORE ABDICA La Duma, riunita in sessione nel Palazzo di Tauride contro il volere dello Zar che ne aveva ordinato lo scioglimento, elesse un "comitato provvisorio" del blocco progressista, il cui compito era la restaurazione dell’ordine. Contemporaneamente tra le stesse mura nasceva Il Soviet dei deputati degli operai e soldati di Pietroburgo, rappresentante dei partiti socialisti. Una settimana dopo sulla scena politica dominavano queste due organismi.

Lo Zar Nicola II con i familiari

Lo zar - per quanto non potesse crederci - era fuori dai giochi: firmò la propria abdicazione sul treno che stava cercando di riportarlo in extremis nella capitale. Il suo tentativo di trasferire i propri poteri nelle mani del fratello, granduca Michele, fallirono per la stessa rinuncia dell’interessato. Tragicomicamente terminava così la trisecolare monarchia Romanov. La rivolta in una sola città aveva portato ad un cambio di potere nel più esteso impero mondiale. A questo punto la Rivoluzione di Febbraio sembrava consegnare il potere nelle mani della Duma che, attraverso il comitato provvisorio, doveva solamente annunciare di assumersi le responsabilità di governo. Questo non avvenne immediatamente, e ciò costituì un gravissimo errore che gettò le basi per il fallimento del esperienza di febbraio e per la vittoria dell’ottobre rosso. I rappresentanti del comitato provvisorio, anziché sfidare l’autorità zarista e dichiararsi assemblea rivoluzionaria, attesero a lungo di ricevere l’incarico governativo dalle mani dello Zar o di chi per esso. Nel frattempo i socialisti si organizzavano: il Soviet estendeva la propria azione di propaganda tra operai e soldati ed elesse l’Ispolkom, una sorte di direzione del Soviet. L’Ispolkom divenne così l’alter-ego radicale del governo provvisorio.
IL GOVERNO PROVVISORIO Entrando in concorrenza con esso (venne deciso dai suoi membri di non partecipare al governo della Duma) e creando una situazione ambigua nella quale non era ben chiaro la definizione dei reciproci poteri, si realizzò una condizione di "doppio potere", o diarchia (dvoevlastie). Il Governo provvisorio, composto da borghesi moderati, assunse un atteggiamento rinunciatario nei confronti dell’Ispolkom e del Soviet, all’interno del quale i radicali, soprattutto i bolscevichi, agivano con estrema aggressività. Fu così che, mentre la Duma doveva sottoporre ad approvazione dell’Ispolkom il proprio programma e qualsiasi legge emessa, quest’ultimo non era tenuto a fare altrettanto. Esempio eclatante ne fu la famosa Ordinanza n° 1, con la quale il Soviet si impadroniva dell’esercito. Con essa venivano creati "comitati" di rappresentanza nelle file militari e l’autorità gerarchica veniva seriamente menomata.
Nei mesi immediatamente successivi l’Ispolkom estese il proprio potere ovunque, legiferando in ogni settore. Ordinò l’arresto della famiglia imperiale, reinstaurò la censura e la soppressioni delle pubblicazioni di destra e avviò un processo di burocratizzazione, basato soprattutto sulla figura dei "commissari". E’ da notare come l’Ispolkom rappresentasse una minoranza del paese: i contadini ne erano esclusi, anche perché possedevano la propria lega contadina, i borghesi pure. Il Soviet rappresentava non più del 10 % della popolazione russa, ed era guidato da alcuni intellettuali, nel cui numero i bolscevichi erano in netta minoranza. La difficile situazione della Russia - impegnata ancora in una guerra mondiale, afflitta da serissimi problemi economici e da carestie - esigeva un governo dotato di estrema autorità e capacità di azione. Quello che non fu il governo provvisorio. Le tre questioni principali - riforma agraria, assemblea costituente e pace - restavano al palo. A ciò va aggiunta la scientifica azione corrosiva dei rivoluzionari socialisti nei confronti del governo. Il Soviet chiedeva molto più di quanto il governo potesse concedere, soprattutto riguardo all’impegno bellico.
LA DEMAGOGIA DEI BOLSCEVICHI La Russia non poteva ritirarsi immediatamente dal conflitto, e anche i radicali lo sapevano bene, ma ciò non impedì loro (soprattutto i bolscevichi) di ricorrere alla demagogia per minare alla base il "potere borghese". "Tutto il potere ai Soviet", era questa la richiesta dei partiti socialisti e degli operai, in pratica il potere assoluto. La situazione politica in patria disorientava completamente le forze armate, già demoralizzate da continue sconfitte. Non sapendo i soldati se seguire il governo provvisorio o ammutinarsi e ubbidire al Soviet, l’anarchia cominciò a diffondersi tra le file dell’esercito. Contemporaneamente i membri del governo, Kerenskij in testa, si barcamenavano in una difficilissima politica che tentava di soddisfare le richieste dei socialisti, ma anche di una destra che temeva una possibile rivoluzione "rossa". Errore fondamentale di Kerenskij (originato soprattutto dalla sua convinzione di non accettare nemici a sinistra), fu quello di credere che un colpo di mano in quelle determinate contingenze potesse venire solo da destra, magari dalle alte gerarchie militari.
L’Affare Kornilov, uno dei più sconcertanti e tragici equivoci della Storia, fu la conseguenza di quanto appena detto. Fu anche uno dei pretesti che favorì la presa del potere da parte dei bolscevichi. Nella speranza di combattere l’anarchia dilagante Kerenskij si era rivolto a Kornilov, comandante supremo delle forze armate e figura militare di grande prestigio. Assolutamente antisocialista ma di convinzioni liberali, Kornilov riteneva che il governo dovesse prendere saldamente in pugno la situazione, emarginando i radicali. Nell’estate del 1917 il comandante ricevette da Kerenskij l’ordine di avvicinarsi in forze a Pietrogrado per intervenire in caso di rivolte. A questo punto entrò in gioco la figura di Vladimir Lvov, ex membro del governo provvisorio e uomo non troppo equilibrato.
L’OTTOBRE ROSSO Costui, assumendo il ruolo di intermediario tra Kerenskij e il generale, indusse entrambi all’equivoco e convinse Kerenskij (che aveva bisogno di ben poco per crederci) che Kornilov avrebbe mosso verso la capitale per assumere poteri dittatoriali. A quel punto Kerenskij esautorò il generale e ricorse all’Ispolkom e ai socialisti per scongiurare il "golpe di destra" mai nato. Un’occasione d’oro, questa, per i socialisti radicali, i bolscevichi in testa. Anche se la storiografia tradizionale parla di due rivoluzioni, quella di febbraio e quella di ottobre, è apparso recentemente sempre più chiaro come gli eventi che portarono al potere Lenin e i bolscevichi costituirono tutt’altro che una rivoluzione. Il Febbraio fu una autentica rivoluzione, nata spontaneamente nelle strade, in chiave anti-zarista, e che portò al potere un governo provvisorio universalmente accettato in tutto il paese. La vittoria dei bolscevichi e la caduta di Kerenskij non sorsero spontaneamente, ma furono la conseguenza di un’azione sovversiva attuata da agitatori professionisti, decisi ad ottenere il potere assoluto, benché pienamente coscienti di essere una minoranza.
Recenti analisi storiografiche e documenti del governo tedesco dimostrano come lo stesso Lenin poté tornare in Russia dall’esilio svizzero grazie all’intervento della Germania, che così sperava di indebolire il governo russo nemico favorendo il rientro in patria del capo carismatico di una fazione politica che chiedeva la pace a tutti i costi. Fino alla presa del potere Lenin poté contare anche su lauti finanziamenti tedeschi. Appare chiaro come i bolscevichi non disdegnassero qualsiasi espediente - anche il rischio di essere accusati di tradimento - pur di ottenere il potere. Lenin tentò il colpo di mano in tre occasioni, prima di ottenere il potere: in aprile, in giugno e nel luglio 1917.
LA BATTAGLIA ORATORIA DI LENIN In ognuno di questi casi i bolscevichi "stimolarono" e "usarono" dimostrazioni di piazza, rimanendo però in seconda fila e aspettando il momento propizio per assumere la guida della "rivoluzione". A tutto questo bisogna aggiungere l’incessante battaglia oratoria di Lenin, che aggredì in ogni modo il governo, esortando il popolo alla ribellione e l’esercito alla disobbedienza. Scrive Pipes che " come Mussolini e Hitler, suoi pupilli ed emulatori, Lenin conquistò il potere anzitutto piegando lo spirito di coloro che lo ostacolavano, convincendoli che erano condannati. Il trionfo bolscevico dell’ottobre fu dovuto per il 90 % a motivi psicologici." Il primo tentato "putsch" avvenne il 21 aprile, ma finì male per i bolscevichi. Osteggiati dalla maggioranza dei dimostranti, comunque fedeli al governo, i bolscevichi vennero isolati e quasi linciati, le loro insegne antigovernative vennero strappate e si ritirarono immediatamente. I moti di aprile contribuirono ad un rimpasto governativo che portò nel governo anche membri dell’Ispolkom. Le condizioni poste dai socialisti furono il tentativo di porre fine alla guerra, la redistribuzione di alcune terre, una maggiore "sovietizzazione" dell’esercito e, naturalmente, l’agognata e mai realizzata assemblea costituente. Finiva così il dvoevlastie, il doppio potere.
I bolscevichi, che si erano opposti veementemente alla partecipazione governativa, erano sempre più una minoranza. Nel giugno 1917, al 1° Congresso panrusso dei Soviet, la fazione di Lenin era un terzo rispetto a quella dei menscevichi o anche a quella dei socialisti rivoluzionari. "Tuttavia - scrive Pipes - il vantaggio maggiore dei bolscevichi sugli avversari era […] la loro totale indifferenza per la Russia" Per Lenin la Russia rappresentava solo il primo passo verso la rivoluzione mondiale, e la logica del "tanto peggio, tanto meglio" calzava a pennello con il loro programma rivoluzionario.
L’AIUTO DELLA GERMANIA Benché in difficoltà, quindi, i bolscevichi non cessarono la loro politica di propaganda e di attivismo, grazie anche ai finanziamenti tedeschi, rivelatisi indispensabili per la diffusione di pubblicazioni come la "Pravda". Nel 1917 i tedeschi donarono ai bolscevichi più di 50 milioni di marchi in oro. A giugno ci fu il secondo tentativo di "putsch". All’insaputa del soviet di Pietrogrado (che poi ne ordinò l’annullamento), venne organizzata una manifestazione che i bolscevichi cercarono di sfruttare. Solo all’ultimo momento, dopo aver constatato che nelle caserme e nei quartieri operai pochi li avrebbero seguiti, i bolscevichi si inchinarono al volere del Soviet. In quest’occasione ci fu chi - tra i partiti socialisti - parlò di tentato colpo di mano di Lenin e dei suoi uomini, ma nessuna azione punitiva fu mossa nei loro confronti. I bolscevichi restarono "compagni in errore", traditi dalla loro stessa esuberanza. Fu persa un’occasione d’oro: se i bolscevichi fossero stati dichiarati "fuori legge" e espulsi dal Soviet, non avrebbero potuto in futuro pretendere di agire in suo nome, quando presero il potere a loro uso esclusivo.
Il terzo tentativo di "putsch" - quello di luglio - fu catastrofico per i bolscevichi e costituì uno degli errori più clamorosi di Lenin. Politicamente equivalse al fallito putsch di Hitler del 1923. Solo un miracolo - gli errori di Kerenskij, l’equivoco Kornilov - poté risollevare i futuri padroni della Russia. Il governo aveva deciso di inviare al fronte unità della guarnigione di Pietrogrado. La cosa era voluta al fine di allontanare dalla capitale i soldati più indottrinati dai bolscevichi. Quest’ultimi cercarono a tutti i costi di scongiurare la minaccia di perdere uomini utili per un potenziale "putsch". Cercarono di spingere alla ribellione i soldati. Fu decisa una manifestazione armata , che doveva marciare verso il palazzo di Tauride e "chiedere" al Soviet di assumere tutti i poteri.
L’OFFENSIVA DEI BOLSCEVICHI Naturalmente i bolscevichi, guida dei rivoltosi, avrebbero giocato da una posizione di forza. Alla fine la manifestazione fallì, la folla si ritirò dal palazzo di Tauride e vennero addirittura fatte trapelare le notizie riguardanti i rapporti tra Lenin e i tedeschi, che confusero i soldati, sensibili all’accusa di tradimento. Il 6 luglio il governo ordinò l’arresto di Lenin e dei suoi complici, che fuggirono. Anche in questa occasione l’Ispolkom non si dimostrò duro verso i bolscevichi, difese informalmente Lenin e fece cadere le accuse. Lenin, comunque, rimase nel suo nascondiglio fino al 26 di ottobre, quando l’ultimo golpe fosse andato definitivamente a buon termine. A questo punto si inserisce l’affare Kornilov, che risollevò le fortune dei bolscevichi. L’unica organizzazione militare dell’Ispolkom, cui Kerenskij si era rivolto per arginare la "minaccia" del generale russo, era in mano ai bolscevichi, che quindi vennero ad assumere un notevole potere. Nello stesso periodo Trotzkij riuscì ad essere eletto presidente del Soviet di Pietrogrado e cominciò a renderlo uno strumento utile ai bolscevichi.
La notizia che il governo provvisorio aveva stabilito finalmente le elezioni per un’assemblea costituente per il 12 novembre preoccupò Lenin: il potere andava preso prima. Innanzitutto i bolscevichi dovevano ottenere l’egemonia all’interno del Soviet, e lo fecero convocando, contro il volere della maggioranza menscevica e socialista rivoluzionaria dell’Ispolkom, un Congresso dei soviet dove si aggiudicarono - violando le norme di rappresentatività - la maggioranza, convocando la quasi totalità di soviet filo-bolscevichi. In pratica ora i bolscevichi avevano molte posizioni di potere: avevano esautorato l’Ispolkom, guidavano l’organizzazione militare per difendere la città ed erano in maggioranza nel Soviet.
I NUOVI PADRONI DELLA RUSSIA Troppo tardi, dopo l’affare Kornilov, Kerenskij si accorse di essere finito in mano ai bolscevichi. Quando cercò di raccogliere a sé l’esercito per difendere il governo da un golpe che appariva imminente, si rese conto che le truppe fedeli erano pochissime. Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre i bolscevichi - secondo la classica tecnica del colpo di stato - si impadronirono senza sparare un colpo di pistola degli obbiettivi strategici (stazioni, poste, telefoni, ponti e banche). Il governo, isolato nel Palazzo d’inverno, e difeso da pochi soldati resistette fino a tarda notte del 25 ottobre. Nonostante la retorica ufficiale, il palazzo non fu mai preso d’assalto. Fu invaso dalla folla una volta che gli ultimi soldati, stanchi, se ne erano andati. Ci furono cinque morti e diversi feriti, quasi tutti a causa di proiettili vaganti. Nei giorni seguenti i bolscevichi agirono chirurgicamente. Il congresso dei Soviet, che avevano convocato arbitrariamente e monopolizzato, nominò un nuovo Ispolkom sotto il loro dominio. In seguito cadde Mosca, con un solo scontro armato presso Pulkovo, un sobborgo in collina nei pressi della città.
La popolazione russa reagì con indifferenza al golpe bolscevico, e non mostrò di preoccuparsi per le sorti del governo provvisorio. Per i primi tempi i nuovi padroni della Russia non ricorsero ad un gergo socialista e mascherarono i loro reali intenti. Questo impedì nuove sommosse e fece pensare che nulla di realmente nuovo stesse accadendo. La Borsa di Pietrogrado restò indifferente. Nessuno capì.

 

CRONOLOGIA

1900 -1904

Aprile 1902 - Viaceslav Pleve viene nominato dallo Zar Ministro degli Interni. Sotto di lui la Russia diventa uno stato poliziesco.

Luglio 1904 - Pleve è assassinato nella sua carrozza da un rivoluzionario

Agosto 1904 - P.D. Mirskij diventa il nuovo Ministro degli Interni

1905

7-8 gennaio - Grande sciopero generale organizzato da Padre Gapon

9 Gennaio - "Domenica di Sangue"

18 gennaio - Destituzione di Mirskij dalla carica di Ministro degli Interni

18 febbraio - Prime concessioni dello Zar. Accettato il principio di una partecipazione di rappresentanti eletti dal popolo alla valutazione dei disegni di legge.

Maggio - Nasce la Lega delle Leghe

Giugno - Disordini e massacri ad Odessa; ammutinamento della corazzata Potemkin

Settembre - Gli studenti aprono le università agli operai; agitazioni di massa

13 ottobre - Nasce il Soviet di Pietroburgo, esempio per la nascita di tutti gli altri soviet russi

17 ottobre - Lo Zar firma il "Manifesto di Ottobre"

21 novembre - Nasce il Soviet di Mosca

6 Dicembre - Il Soviet di Pietroburgo indice uno sciopero generale.

1906 - 7
A
prile 1906 - Vitte rassegna le dimissioni dalla presidenza del Consiglio dei ministri e viene sostituito da Goremykin. Stolypin è il nuovo Ministro degli Interni.

Maggio 1906 - Apertura Prima Duma

Luglio 1906 - Scioglimento Prima Duma

Febbraio 1907 - Apertura Seconda Duma

Giugno 1907 - Scioglimento Seconda Duma

Novembre 1907 - Apertura Terza Duma. Manterrà tutta la legislatura (1912).

1912

Novembre - Apertura Quarta Duma. Rottura definitiva all’interno del partito socialdemocratico tra menscevichi e bolscevichi.

1914-16

19 Luglio - 1 agosto 1914 - Crisi rapporti russo-tedeschi e dichiarazione di guerra tedesca presentata alla Russia

Giugno - Agosto 1915- Continue crisi governative e sostituzioni di ministri; nasce il Blocco Progressista; i Russi cominciano la ritirata dalla Polonia. La Duma è riconvocata per sei settimane. Richieste a Nicola che la Duma possa eleggere i ministri.

22 agosto 1915 - Nicola assume personalmente il comando delle forze armate e lascia Pietroburgo, destinazione Mogilev.

Ottobre-dicembre 1916 - Ondata di scioperi nel Paese. I socialisti assumono le redini della spinta rivoluzionaria.

17 Dicembre 1916 - Rasputin viene assassinato in un complotto di nobili russi. Il Giorno seguente lo Zar va a Carskoe Selo.

Inverno 1916 - Un durissimo inverno mette in ginocchio l’agricoltura russa.

1917

14 febbraio - La Duma si riconvoca nonostante il parere contrario dello Zar

23 febbraio - Dimostrazioni nelle strade della capitale Pietrogrado in occasione della giornata internazionale della donna. Comincia la Rivoluzione di Febbraio.

25 febbraio - Le dimostrazioni diventano violente; lo Zar ordina l’uso della forza.

26 febbraio - La guarnigione di Pietrogrado si ammutina. Per la prima volta nella storia russa l’esercito volta le spalle alla Corona.

27 febbraio - Ampie zone della città sono in mano agli insorti

28 febbraio - Nicola cerca di raggiungere la capitale. La Duma si riunisce per eleggere un comitato provvisorio. Le fabbriche e i soldati eleggono rappresentanti per il Soviet. Nasce l’Ispolkom., direzione del Soviet.

Marzo - Nasce il Governo Provvisorio sotto la presidenza di G.E. L’vov; il fratello dello Zar rifiuta di ereditare la corona; Nicola viene arrestato e detenuto a Carskoe Selo; gli Stati Uniti riconoscono il governo provvisorio; la Gran Bretagna si rifiuta di concedere l’asilo alla Famiglia Imperiale

21 aprile - Dimostrazioni di piazza, tentato putsch bolscevico, la fola isola gli uomini di Lenin e li fa battere in ritirata.

1 Maggio - L’Ispolkom concede ai propri membri di partecipare ad un nuovo governo nato dalla crisi per le dimostrazioni di piazza

Giugno - I Bolscevichi cercano di organizzare un secondo putsch, ma vengono fermati in tempo dall’Ispolkom. Lenin scappa in Finlandia.

1 Luglio - Il Governo provvisorio ordina l’arresto dei dirigenti bolscevichi

2-3 luglio - Agitazioni nella guarnigione di Pietrogrado fomentate dai bolscevichi

4 Luglio - Terzo e catastrofico putsch tentato dai bolscevichi. La marcia verso il Palazzo di Tauride per ordinare al Soviet di assumere tutti i poteri fallisce miseramente. Lenin scappa e non tornerà a Pietrogrado fino al giorno del riuscito golpe, il 26 ottobre.

11 luglio - Kerenskij viene nominato Primo Ministro

Estate 1917 - Agitazioni a Pietrogrado, l’opposizione radicale tiene alle strette il governo; primi approcci tra Kerenskij e il Comandante supremo Kornilov per mantenere l’ordine nella capitale, nasce l’equivoco dell’affare Kornilov; il governo fissa le elezioni per l’assemblea Costituente per il giorno 12 novembre

27 agosto - Kornilov è dichiarato traditore, si ribella e alcuni soldati lo seguono.

30 agosto - Kerenskij si rivolge alla sinistra per sventare il "golpe di destra". I dirigenti bolscevichi incarcerati vengono liberati.

Settembre - I Bolscevichi decidono di organizzare arbitrariamente il 2° Congresso dei Soviet; i bolscevichi decidono di operare anche contro il volere del Soviet principale, si assicurano una maggioranza fittizia e Trockij è eletto Presidente del Soviet di Pietrogrado.

9 ottobre - L’Ispolkom decide la formazione di un’organizzazione militare per la difesa della capitale, che viene monopolizzata dai bolscevichi.

24-25 ottobre - Golpe bolscevico; gli uomini di Lenin occupano i punti nevralgici della capitale senza colpo ferire; Kerenskij abbandona il palazzo d’Inverno, poco dopo assediato dai rivoltosi, per andare a chiedere rinforzi al fronte.

26 ottobre - Il potere è nelle mani dei soviet, la difesa del palazzo d’Inverno cede e abbandona per il mancato arrivo delle truppe lealiste invocate da Kerenskij. I ministri vengono arrestati e incarcerati nella fortezza di S Pietro e Paolo.

30 ottobre - scontro a Pulkovo, presso Mosca, tra forze filo-governative e guardie rosse, che vincono.

Novembre - Resa di Mosca, l’Impero è rosso.



Torna in copertina