Alla sbarra per crimini contro l'umanità Maurice Papon, ex ministro
ed ex prefetto del governo francese che collaborò con i nazisti tra il 1942 e il 1944
LUI FIRMO' E 1700 EBREI
PASSARONO PER IL CAMINO
di Mario Celi
La "ferita" si riapre: Maurice Papon, ex ministro francese del bilancio ed ex prefetto, dovrà rispondere davanti alla Corte d'Assise di "crimini contro l'umanità". Lo ha deciso il 18 settembre scorso la Corte d'appello di Bordeaux, mettendo un termine a un procedimento durato 15 anni, da quando nel 1981 il settimanale satirico "Le Canard Enchainé" pubblicò documenti firmati da Papon dai quali emergeva la responsabilità diretta dell'ex segretario generale della prefettura della Gironda nell'arresto e nella deportazione di 1.690 ebrei (tra cui 223 bambini) tra il 1942 e il 1944.

Papon é l'unico francese ancora vivo dei quattro che sono stati accusati di crimini contro l'umanitá a causa della loro collaborazione durante la Seconda guerra mondiale. Dei quattro, solo Paul Touvier, morto il 17 luglio scorso nella prigione di Fresnes a 81 anni, é stato giudicato e condannato all'ergastolo il 20 aprile 1994. René Bousquet, ex segretario generale della polizia di Vichy, incriminato nel 1991, è stato assassinato nel 1993 prima che l'istruttoria potesse concludersi, e la morte (nel 1989) ha anche concluso il procedimento aperto contro Jean Leguay, delegato permanente di Bousquet nella zona occupata.

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De Gaulle entra nella Parigi liberata:
è la fine dell'occupazione nazista
Maurice Papon, che dopo la Liberazione é stato titolare di diverse prefetture (in particolare prefetto di polizia di Parigi dal 1958 al '66) e che dal 1978 al 1981 é stato anche ministro del Bilancio, grida al "complotto politico", e non ha mai smesso di proclamare la sua innocenza, affermando di avere svolto nel periodo incriminato un ruolo del tutto secondario e privo di qualunque potere decisionale. Nel 1992 si apre comunque finalmente un procedimento formale, e nel dicembre 1995 il pubblico ministero della corte d'Appello di Bordeaux chiede il rinvio a giudizio per "concorso in sequestro criminale di persona". Il 9 marzo 1996 la Corte iscrive a ruolo l'eventuale rinvio a giudizio per "crimini contro l'umanitá". Contro la decisione della Corte d'Appello Papon (che oggi ha 86 anni) ha già annunciato un ricorso in Cassazione, il che fa prevedere che l'eventuale processo non potrá comunque svolgersi prima dell'autunno 1997. La difesa di Papon contesta in particolare la formulazione dell'accusa, che parla di "concorso" nei vari crimini contestati (dagli arresti illegali all'omicidio) di cui però "non sono stati ricercati gli autori principali".

Il rinvio a giudizio é stato accolto con grande soddisfazione dalle parti civili (16 avvocati per 36 privati e 14 associazioni), che si battono da 15 anni per ottenere l'incriminazione dí Papon. E ha rinvigorito "la riscossa di una memoria testarda della quale cinquant'anni di amnesie, cecitá collettive e vari equilibrismi non sono riusciti a venire a capo" (come ebbe a dire qualche anno fa il quotidiano parigino Le Monde ).

L'amnesia collettiva di cui il giornale incolpò i francesi ai tempi del processo Touvier riguarda il periodo del regime di Pétain, la Francia di Vichy, nei cui confronti il Paese ha manifestato una persistente volontá di dimenticare, di passare la spugna su un imbarazzante capitolo di storia nazionale. "La Francia del dopoguerra - scrisse ancora Le Monde - ha vissuto nell'illusione di aver opposto all'occupante tedesco una Resistenza che valeva un'assoluzione".

Prima Paul Touvier e oggi Maurice Papon non solo chiamano in causa identitá e continuitá tra Stato francese e regime di Vichy, ma anche la giustizia che ha impiegato cinquant'anni per portarli sul banco degli imputati, e la Chiesa che ha loro garantito protezioni e complicitá. Touvier e Papon sono l'emblema della cattiva coscienza dei francesi. Infatti rappresentano forse il collaborazionista medio: cioé uno di quei tanti francesi, generalmente di destra o di estrema destra, antisemiti, che aderirono, talvolta anche senza ammetterlo, all'ideologia nazista, spesso solo per paura dei bolscevichi, e che non di rado si dimostrarono piú crudeli degli occupanti. Sono casi che rappresentano anche una tappa storica nell'autocoscienza collettiva francese. Soltanto adesso, infatti, la Francia sembra pronta ad ammettere le proprie colpe e il proprio coinvolgimento, anche ai piú alti livelli, nella cosiddetta "soluzione finale" nazista. Fino ad oggi, ed é stata la tesi difesa anche dall'ex presidente xxx Francois Mitterrand, si é sempre sostenuto che il regime di Vichy, che promulgó leggi razziali, non era l'emanazione delle istituzioni repubblicane scaturite dalla rivoluzione, ma era un regime illegale. Non tutte le contraddizioni sono state infatti superate. L'avvocato Serge Klarsfeld, presidente dell'Associazione dei figli dei deportati ebrei francesi, ha fatto notare che secondo la giurisprudenza francese i crimini contro l'umanitá riguardano solo delitti commessi in complicitá con una potenza dell'Asse, di cui il regime di Vichy non faceva parte. C'é forse anche un'altra spiegazione: troppi francesi che hanno conosciuto Vichy sono ancora vivi e riparlare di un passato doloroso é sempre difficile.

Da tempo Jacques Attali, ex consigliere speciale del presídente Mitterrand, sostiene che "in fondo noi da 50 anni viviamo in una duplice mistificazione incarnata da due presidenti della Repubblica: De Gaulle e Mitterrand. De Gaulle ha fatto credere ai francesi che erano resistenti, mentre erano collaborazionisti; Mitterrand ha fatto credere ai francesi che erano di sinistra, mentre essi sono, nella stragrande maggioranza, conservatori e di destra. Questo doppio aspetto che gli uomini di Stato hanno dato alla Francia ha nascosto la realtà: la Francia collaborava con i tedeschi. Non si tratta dell'eccezione di qualche uomo che ha usurpato íl potere nel tentativo di prenderlo, é esattamente il contrario. Ne é stata coinvolta tutta l'élite francese, a cominciare dai politici, che ne sono stati gli organizzatori. Vichy non é una parentesi della storia della Repubblica. Non é il governo di Vichy a dover chiedere perdono per i crimini commessi, ma la Repubblica francese".

Non é il governo
di Vichy a dover
chiedere perdono
per i crimini commessi,
ma la Repubblica
francese
In fondo, é la stessa tesi dello storico americano Henry Paxton, uno dei maggiori specialisti mondiali della storia di Vichy. Secondo lui il regime pétainista fu, nei confronti della persecuzione ebraica, piú spietato degli stessi tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Vichy, sostiene Paxton, é andata "al di là della collaborazione tecnica piú o meno inevitabile in caso di occupazione". Anche secondo lo storico statunitense il regime non aveva atteso gli ordini dei tedeschi per attuare le leggi razziali nei confronti degli ebrei che hanno trovato espressione nello Statuto per la popolazione ebraica promulgato il 3 ottobre 1940. "Coloro che hanno redatto questo Statuto non hanno preso contatti con i tedeschi" assicura Paxton sottolineando come "alcune prescrizioni vanno al di lá della legge analoga adottata in Germania il 27 settembre precedente". Vichy considera per esempio ebreo una persona che abbia tre nonni di "razza" ebraica, mentre i tedeschi utilizzano il termine di "religione" ebraica.

Paxton ricorda poi la legge che esclude gli israeliti dalle attivitá economiche e quella che li obbliga al censimento, "uno schedario che li renderà piú vulnerabil". "Strumento della morte", lo definisce l'avvocato Klarsfeld: la polizia francese se ne era servita, negli anni successivi, per rastrellare gli ebrei che, dopo l'internamento, erano stati abbandonati agli uomini di Hitler per essere deportati, in tutto settantacinquemila. E quasi tutti i circa 150mila ebrei residenti nel dipartimento della Senna andarono spontaneamente, nel settembre del 1940, a farsi registrare: non potevano immaginare che la Francia li avrebbe consegnati ai tedeschi. Paxton fa anche riferimento ai decreti pubblicati nel corso dell'autunno 1941, tra i quali quello che stabilisce, ad esempio, la quota degli studenti universitari ebrei che non deve superare il 5 per cento del totale.

L'antisemitismo di Víchy raggiunge uno zelo tale, rammenta Paxton, che nel 1943 il primo ministro Pierre Laval denuncia ai tedeschi gli italiani, loro alleati, che occupano la parte a Est del Rodano e ostacolano l'applicazione delle leggi razziali francesi. Forse, nota lo storico, a causa di "un certo desiderio" che il governo di Roma nutre nei confronti della Tunisia, dove gli ebrei sono numerosi.

Il "mantenímento dell'ordine" diventa in questo periodo lo scopo principale di Vichy, ma "molti poliziotti non amano ció che viene loro imposto". Questo, dice Paxton, spiega la necessitá di avere una sorta di "polizia suppletiva" come la Milizia, "un movimento ideologico totalmente devoto alla costruzione di una nuova Europa basata sul modello nazista e che lavora a stretto contatto con i Servizi tedeschi". Il periodo pétainista resta dunque come una grossa spina nell'inconscio della Francia: a oltre mezzo secolo di distanza dalla disfatta della Terza Repubblica, coloro che ancora ricordano polemizzano con coloro che vorrebbero dimenticare, come se esistesse sempre la linea di demarcazione ipocritamente tracciata per separare la Francia cosiddetta libera da quella sottoposta all'amministrazione nazista. "La Repubblica in quanto tale non deve rispondere dei crimini commessi da Vichy", é da sempre la parola d'ordine dei presidenti francesi.

Lo Stato di Vichy, quindi, altro non era che usurpazione e collaborazione. Un principio, questo, che non ha consentito alla Francia di guardare senza reticenze nel proprio passato, nascondendosi dietro il mito di una Resistenza che valeva come assoluzione e gettando un velo pietoso, come aveva fatto il presidente Georges Pompidou nel '71 concedendo la grazia a Touvier, "sul tempo in cui i francesi non si amavano". Dice Moreno Marchi, uno degli studiosi italiani specializzato nel periodo di Vichy: "In Italia e Germania i regimi fascista e nazionalsocialista erano al potere e ufficiali. Essere fascista e nazionalsocialista significava quindi aderire in maniera piú o meno convinta alla dottrina dello Stato. In Francia, invece, collaborazionista é sinonimo di traditore. Oggi, passati gli odii e le vendette, non c'è vergogna nel dichiararsi fascista in Italia, mentre in Francia il dirsi "collabo" é ancora definirsi traditore". Ma i francesi avevano aderito in massa al pétainismo, come attesta e dimostra anche Henri Amouroux nella sua imponente opera "Storia dei francesi sotto l'occupazione" (Editions Robert Laffont), il cui secondo volume é intitolato proprio "Quaranta milioni di pétainisti". E una Repubblica fondata sull'antivichysmo non può di certo accettare di essere stata Patria di 40 milioni di "traditori". Meglio quindi tentare di dimenticare o "aggiustare" la Storia, che rischia di essere lacerante.

In Italia
e Germania
i regimi fascista
e nazionalsocialista
erano al potere
e ufficiali
Quello dei francesi, secondo lo storico Giorgio Caredda, autore del libro La Francia di Vichy (Bulzoni editore), "é un nazionalismo contraddittorio. Hanno la sindrome di tante cose, basti pensare alla Guerra d'Algeria o all'Indocina. E il periodo pétainista confligge con la loro idea di nazione. Non va poi sottovalutata la loro reazionarietá interna anti-1789, che a distanza di tempo si manifesta anche nei confronti della "Rivoluzione nazionale" di Pétain. E poi c'é la questione ebraica, che per loro é un po' scomoda: in fondo, hanno il mostro in casa". Pisanò, nel libro Mussolini e gli ebrei diventato nelle successive ristampe Noi fascisti e gli ebrei, ripropone la documentazione contenuta in un volume ormai introvabile pubblicato a cura del Centro di documentazione ebraica contemporanea. Il libro, intitolato Gli ebrei sotto l'occupazione italiana, é opera dello storico Leon Poliakov e del giornalista Jacques Sabille ed é stato edito in Italia dalle Edizioni Comunità nel 1956. Nel libro si racconta con dovizia di documenti tutto quello che fecero gli italiani per salvare da sicura morte gli ebrei nella Francia meridionale, in Jugoslavia e in Grecia, dove erano di stanza le nostre truppe d'occupazione. In Francia, scrivono Poliakov e Sabille "grazie al deciso atteggiamento degli italiani che fu efficace in molti casi, gli ebrei della zona italiana godettero di una quasi assoluta sicurezza". All' indomani dell'armistizio, però, quando i nostri soldati dovettero abbandonare rapidamente le posizioni tenute sotto l'urto dell'inevitabile azione tedesca, lasciarono senza alcuna protezione migliaia di israeliti che, colti di sorpresa dalla resa italiana dell' 8 settembre e dallo sfacelo del Regio esercito abbandonato a se stesso dalla fuga del governo Badoglio da Roma, caddero nelle mani della polizia germanica e finirono nei lager nazisti.

I francesi dunque, sostiene l'ex senatore, davano la caccia agli ebrei, che venivano peró difesi dai soldati italiani. Migliaia di ebrei francesi si sarebbero salvati perché i nostri militari li avevano presi sotto la loro protezione, creando tensioni con la polizia francese, e li avevano portati da questa parte del confine. "Alcuni di loro - dice Pisanò sono finiti male lo stesso, ma pochi. Molti sono riusciti invece attraverso l'Italia ad andare in Svizzera. Proprio dalle carte del Centro di documentazione ebraico appare evidente che erano i francesi a dare la caccia agli ebrei, mica i tedeschi. Sul fronte dell'antisemitismo i francesi hanno la coscienza sporca, sporchissima: tutta la nazione ne é stata coinvolta".

Un discorso, questo, che non viene accettato neanche da quegli esponenti della tradizione di estrema destra francese cattolica che attraversa tutta la storia della Francia del XX secolo. Una destra che rifiuta di chiamarsi estrema e preferisce definirsi "controrivoluzionaria". Jacques Tremolet de Villers, che é stato difensore di Paul Touvier, ne é un autorevole rappresentante: "Non ho competenza per dire se Pétain avesse ragione o torto - ha affermato al processo - ma chi accusa afferma che il regime di Vichy é stato responsabile di crimini contro l'umanitá e io ho dimostrato il contrario. Puó apparire come una giustificazione, ma non ho fatto altro che riprendere giudizi di altri storici come Jean-Pierre Azéma, i quali sostengono che il regime di Vichy non ha compiuto crimini contro l'umanitá e che nessun francese é stato deferito a Norimberga". Come tanti altri suoi connazionali Tremolet pensa: "Amo talmente il mio paese che non posso pensare sia stato criminale contro l'umanità".

E la memoria delle vittime? "Non c'entra la memoria con i processi. Odii antichi si stanno risvegliando e io sono un partigiano delle amnistie, dei colpi di spugna. Preferisco il perdono alla memoria. Il perdono deve essere piú forte della memoria. Il tempo cancella il dolore". Meglio quindi il silenzio, in attesa che il tempo faccia il suo corso. Il silenzio come confessione, il silenzio come capitolazione. Il silenzio in mancanza di poter accettare e giustificare gli ultimi mesi del regime di Vichy e gli ultimi atti di barbarie della Milizia. In fondo è sull'oblio che De Gaulle ha ricostruito la Francia salvandone l'identità nazionale.