L'unificazione del 1871 fu la tomba del timido liberalismo tedesco. Prima Bismarck e poi un volubile e superficiale Guglielmo II aprirono la strada all'esercito e agli interessi dei grandi gruppi industriali. E lo straordinario sviluppo economico tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo fu pagato a caro prezzo.
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IL POTERE DEI MILITARI NELLA GERMANIA GUGLIELMINA
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L'unificazione tedesca del 1871 fu un trionfo per il militarismo prussiano e per l'autoritarismo bismarckiano. Le folgoranti vittorie di Sadowa e di Sédan costrinsero il liberalismo ad un ruolo marginale, favorendo l'affermazione del primato della Prussia in seno al Reich e rinviando sine die l'evoluzione in senso parlamentare delle istituzioni prussiane ed imperiali.
La costituzione federale del 1871, pur fissando alcune garanzie a tutela dei deputati del Reichstag, evitò sia di sancire solennemente i diritti liberali dei cittadini, sia di introdurre un vincolo fiduciario tra il cancelliere e la camera elettiva. I liberali tedeschi dovettero accontentarsi della formulazione dell'articolo 17 che stabiliva che gli atti del Kaiser dovessero essere controfirmati dal cancelliere, che ne assumeva così la responsabilità. Il principio dell'irresponsabilità sovrana non si tramutò in una breccia nell'esercizio del potere esecutivo da parte del Kaiser attraverso il suo cancelliere. Per tutta la durata del Secondo Reich, nonostante il progressivo rafforzamento del prestigio del Reichstag, la lettera costituzionale non fu smentita dalla prassi. La nomina e la revoca del cancelliere rimasero solidamente nelle mani del Kaiser.
Il carattere federale del Reich, affermato con la condivisione del potere legislativo tra il Reichstag, eletto a suffragio universale, ed il Bundesrath, il consiglio federale, composto dai rappresentanti degli stati membri, fu attenuato dalla attribuzione al cancelliere della presidenza del Bundesrath e dalla assegnazione alla Prussia di un numero di seggi nettamente superiore rispetto agli altri stati membri. Tale disparità, apparentemente giustificata dalla grande estensione del regno di Prussia, costituì un potente baluardo contro l'insorgere di spinte autonomistiche.
Se si eccettua l'esenzione dalla tassa sulla birra e sugli alcolici, i diritti riservati concessi agli stati del sud, come ad esempio la possibilità per la Baviera ed il Württemberg di mantenere un proprio ministero della Guerra ed una amministrazione autonoma delle ferrovie, delle poste e dei telegrafi, ebbero scarsa efficacia pratica.
Il primato prussiano si manifestò non solo con la composizione del Bundesrath e con il riconoscimento al re di Prussia del titolo di Kaiser, Imperatore tedesco, titolare del potere esecutivo e comandante dell'esercito, ma anche con l'estensione a tutto il Reich del modello prussiano dell'amministrazione e dell'esercito.
Soffocate le spinte liberali nella fase costituente con l'euforia generata dalle vittorie militari, Bismarck impiegò tutta la forza dell'esecutivo per emarginare dal sistema politico i cattolici ed i socialisti. Prima la cosiddetta Kulturkampf, battaglia per la cultura, contro la Chiesa ed il partito cattolico di Centro, a partire dal 1873, poi la legge antisocialista del 1878 misero al riparo da ogni insidia i poteri costituzionali del Kaiser e l'egemonia della ristretta élite militare e conservatrice. Il superamento, già nel corso degli anni '70, dell'ostilità verso il partito cattolico e l'abrogazione nel 1890 della legge antisocialista non comportarono una democratizzazione del sistema politico, né un indebolimento dell'influenza dell'elemento militare.
Il partito socialista conobbe sino alla prima guerra mondiale un impetuoso sviluppo, animando un vivace dibattito teorico che costituì un punto di riferimento per il movimento operaio europeo, ramificando e differenziando le sue organizzazioni, raccogliendo ampi consensi elettorali, tuttavia la sua influenza sulla legislazione del Reichstag e sulla ridefinizione del sistema politico su basi democratiche non fu determinante, a causa dell'ostracismo da parte delle altre forze politiche.
La goffaggine e l'incostanza di Guglielmo II, salito al trono nel 1888, furono più efficaci della pressione esercitata dai partiti politici nell'erosione del potere personale del Kaiser. Esemplare fu il caso Daily Telegraph. Nell'ottobre del 1908 Guglielmo II rilasciò incaute dichiarazioni su i rapporti tra Germania ed Inghilterra nel corso di una intervista al giornale londinese, suscitando la pubblica riprovazione dal parte della maggioranza del Reichstag. Il prestigio personale del sovrano ne uscì diminuito sia in patria che all'estero, ma il potere della monarchia fu intaccato solo superficialmente; il cancelliere Von Bülow, intenzionato ad affermare la centralità del Reichstag, non ottenne nient'altro che una vittoria temporanea. Nel giugno del 1909 il Kaiser ebbe la sua rivincita, sostituì Von Bülow, avversato dal Reichstag per il suo disegno di legge per l'introduzione di una moderata imposta federale sul reddito, con il più docile Bethmann-Hollweg che, pur rendendosi conto dell'urgenza di superare il regime personale di Guglielmo II, non ebbe né il coraggio né la forza di sfidare apertamente la corona e le forze conservatrici che le facevano scudo, prima fra tutte l'esercito.
All'arcigna difesa delle prerogative regie ed al malcelato disprezzo per i partiti politici Guglielmo II non seppe far corrispondere un impegno attento e costante negli affari di stato. Il suo carattere volubile e superficiale offrì allo stato maggiore le condizioni più favorevoli per accrescere la propria sfera di influenza nella determinazione della politica interna ed estera. L'esercito non fu né il giocattolo del sovrano, né il neutrale guardiano della tradizione, rappresentò invece il coagulo tra gli interessi industriali legati alle forniture militari, le forze conservatrici espressione della grande proprietà terriera e la piccola borghesia nelle sue varie sfumature patriottiche, nazionaliste ed ultranazionaliste. Dalla Lega Navale alla Lega per la Difesa, dal partito conservatore sino ai gruppi di pressione estremisti di impronta nazionalista, le forze armate godevano di numerosi fiancheggiatori politici pronti a sostenere nel Reichstag e presso l'opinione pubblica il punto di vista e le priorità della casta militare.
Protetto dalla comoda finzione che il potere costituzionale della corona potesse rimanere intatto, come cristallizzato, nonostante i vistosi limiti personali del Kaiser e la pressione dei partiti politici, alimentata dall'impetuoso sviluppo della società civile, l'apparato burocratico militare andò rafforzandosi sino a diventare un soggetto politico autonomo, capace di imporsi sul governo, sul Reichstag e persino sulla stessa monarchia. L'élite militare non fece altro che colmare il vuoto di potere creato dall'impossibilità per un regime monarchico rigidamente conservatore di governare una nazione in pieno ed irruente sviluppo economico e sociale.
All'inizio del '900 la Germania era la nazione più ricca d'Europa. Da sola produceva due terzi di tutto l'acciaio del continente, metà del carbone e della lignite, nonché il 20% di energia elettrica in più di Gran Bretagna, Francia e Italia messe insieme. Già nel 1907 il 42,8% della popolazione era impiegata nell'industria e soltanto il 28,6% nel settore agricolo. I clamorosi successi dell'industria furono sostenuti da un consistente incremento della produttività agricola durante tutto il corso dell'800, grazie alla meccanizzazione, alla razionalizzazione dei sistemi di coltivazione e soprattutto al largo impiego di fertilizzanti chimici. Tra il 1800 ed il 1900 la produzione di grano e di segale quasi triplicò. Nel 1913 un terzo della produzione mondiale di patate proveniva dal suolo tedesco.
Al rapido miglioramento delle condizioni alimentari, unito ai progressi della scienza e della medicina, corrispose un robusto incremento demografico che fornì il materiale umano al miracolo industriale tedesco. Nel 1914, con una popolazione di 67 milioni, il Reich aveva a disposizione la più grande forza lavoro d'Europa. Soltanto l'Impero zarista con i suoi sconfinati territori faceva eccezione. Alla stessa epoca, il Regno Unito, la Francia e l'Austria-Ungheria avevano una popolazione compresa tra i 40 ed i 50 milioni di abitanti ciascuno.
Parallelamente all'espansione dell'industria e dell'agricoltura crebbe a ritmo sostenuto anche il commercio estero. Tra il 1872 ed il 1900 il volume degli scambi internazionali tedeschi raddoppiò; poi raddoppiò ancora tra il 1900 ed il 1913, giungendo ad eguagliare il volume dei traffici inglesi.
I circoli militari, conservatori e nazionalisti che attorniavano la corona, supplendo ai limiti personali del Kaiser, assecondarono l'ascesa della Germania come potenza economica mondiale adottando una politica estera minacciosa, aggressiva e soprattutto rozza e maldestra che finì per isolare il Reich rispetto alle altre potenze europee e consolidare il legame con la duplice monarchia danubiana, irrimediabilmente minata dai nazionalismi insorgenti. La tradizionale ostilità verso la Francia, la rivalità con l'Inghilterra per il controllo dei traffici marittimi, l'individuazione ad est dello spazio vitale per l'espansione del popolo tedesco si tradussero in una sfrenata corsa agli armamenti. L'ostentazione di bellicosità, sino a sfiorare l'involontaria parodia del più ottuso militarismo, non fu semplicemente un vezzo di Guglielmo II; si trattò piuttosto dell'espressione di una esigenza profonda e condivisa dalla classe dirigente che individuava nella conquista, con le armi in pugno, dell'egemonia politica europea il corollario della crescita economica tedesca.
Il 28 giugno 1914 l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria, e sua moglie Sofia furono assassinati a Sarajevo. La crisi internazionale che ne scaturì sancì il primato del vertice militare all'interno del sistema politico tedesco.
Non appena il cancelliere Bethmann-Hollweg accettò la tesi del governo di Vienna, secondo cui la mano dell'attentatore, Gavrilo Princip, era stata armata dalla Serbia intenzionata a destabilizzare l'Impero austroungarico con la tacita protezione della Russia, lo stato maggiore si affrettò a fargli presente come le necessità militari imponessero alla diplomazia esigui margini di manovra. In ottemperanza al piano Schlieffen, alla mobilitazione russa non potevano che seguire la mobilitazione tedesca e l'aggressione alla Francia. Tale automatismo, su cui si imperniava la strategia militare tedesca, non solo accelerò la corsa verso la guerra legando le mani della diplomazia, ma spinse il governo a non curarsi troppo del rischio di apparire agli occhi dell'Europa come un aggressore, pronto a calpestare il diritto internazionale. La parziale mobilitazione russa fu sufficiente a convincere i tedeschi del carattere difensivo della guerra, ma non ad ingannare i governi europei.
Prescindendo da ogni considerazione politica e diplomatica, il conte Alfred Von Schlieffen, capo di stato maggiore dal 1891 al 1906, aveva concepito una brillante soluzione strategica ad un duplice problema: condurre una guerra su due fronti ed evitare il rischio di una guerra di logoramento che avrebbe minacciato il tradizionale assetto sociopolitico tedesco. Convinto che la mobilitazione russa avrebbe richiesto alcune settimane, Schlieffen aveva progettato di lasciare sul fronte orientale forze piuttosto scarse che avrebbero dovuto adottare una tattica difensiva temporeggiatrice, ritirandosi combattendo sulla linea della Vistola. Nel frattempo un terzo delle armate del Reich in Occidente sarebbe stato dispiegato sul confine fortificato della Francia, con il compito di impegnare la maggior parte dell'esercito francese in Lorena, mentre i restanti due terzi delle forze tedesche sarebbero penetrate nella Francia settentrionale, violando la neutralità del Belgio, ed avrebbero messo in atto una manovra di accerchiamento dell'avversario. Riportando in poche settimane, grazie ad un'unica battaglia decisiva, una vittoria totale sulla Francia, l'esercito tedesco avrebbe potuto scagliarsi con tutta la sua forza sulla Russia. L'elemento cruciale per la realizzazione del piano era il tempo, una esitazione avrebbe potuto compromettere la possibilità della Germania di reggere ad uno scontro su due fronti.
Dal disegno strategico di Schlieffen la bellicosa tracotanza della casta militare trasse una forza enorme che le consentì di spuntare le armi della politica, avviando la Germania lungo una strada senza ritorno, con un solo sbocco possibile: il completo trionfo militare.
Nell'estate del 1914 la sequenza degli avvenimenti aderì perfettamente ai desiderata dello stato maggiore tedesco.
Il 29 luglio la monarchia asburgica dichiarò guerra alla Serbia, colpevole di essersi rifiutata di sottostare alle umilianti condizioni poste da Vienna per punire i responsabili dell'assassinio di Sarajevo; il giorno seguente lo zar Nicola II, sotto la pressione dei panslavisti, ordinò la parziale mobilitazione dell'esercito, facendo sfumare ogni possibilità di circoscrivere ai Balcani il conflitto ed offrendo ai vertici militari tedeschi il pretesto che attendevano per imporre al Kaiser la proclamazione dello "stato di imminente pericolo di guerra", preludio alla mobilitazione generale. A poche ore dalla consegna a Pietroburgo del telegramma contenente la richiesta di revoca della mobilitazione, il 1° agosto, senza l'approvazione preventiva del Bundesrath, perciò in aperta violazione del dettato costituzionale, Guglielmo II dichiarò guerra alla Russia. Il 4 agosto, dopo una imperiosa richiesta al governo di Bruxelles di non opporsi al passaggio dell'esercito tedesco e una frettolosa dichiarazione di guerra alla Francia, adducendo a pretesto presunti sconfinamenti delle truppe francesi nel territorio del Reich, le armate del generale Von Moltke dilagarono nel Belgio neutrale ed iniziarono la loro manovra di aggiramento, rendendo inevitabile l'intervento inglese nel conflitto.
La precipitazione nel ricorrere alle armi e la violazione della neutralità belga garantirono all'esercito tedesco vantaggi territoriali oltreché tattici, ma si rivelarono un ostacolo insormontabile a ogni apertura di un dialogo con le potenze belligeranti non appena la meticolosa realizzazione del piano Schlieffen fu resa impossibile dalla resistenza francese sulla Marna, nel settembre del 1914.
L'inizio delle operazioni belliche coincise con la proclamazione dello "stato d'assedio" che conferiva alle autorità militari ampi poteri civili, soprattutto in materia di censura, ordine pubblico e limitazione dei diritti di associazione e di riunione. Lo stato maggiore, dopo aver ridotto il cancelliere Bethmann-Hollweg entro margini ristrettissimi nella gestione della crisi internazionale del luglio 1914, ottenne anche il pieno controllo politico del Reich, tracciando per i partiti l'unica linea politica possibile, cioè quella nazional patriottica. Deflettere da tale trincea politica avrebbe significato incorrere nella censura e nella repressione da parte dei generali. Ciò spiega la prontezza con cui il partito socialdemocratico, che per più di un ventennio aveva issato la bandiera del pacifismo, votò i crediti di guerra, andando ad occupare lealmente il suo posto nella mobilitazione patriottica della società tedesca.
Anche ignorando con temerarietà l'incombente ricatto dei militari, una coerente presa di posizione pacifista da parte della dirigenza socialdemocratica si sarebbe scontrata con il sincero patriottismo della base del partito, sensibile, almeno inizialmente, all'imperativo della difesa contro l'"aggressione" dell'autocrazia zarista e la minaccia rappresentata dal tradizionale nemico francese, ansioso di rivincita.
Fin dal primo giorno di guerra il popolo tedesco si schierò compatto dietro la parola d'ordine Burgfriede, vale a dire la tregua necessaria fra i difensori di una fortezza cinta d'assedio, accettando di differire all'indomani della vittoria la soluzione delle tensioni politiche e sociali accumulatesi durante il regno guglielmino.
La rapida avanzata delle armate imperiali sul suolo francese eclissò l'immagine difensiva della guerra affermatasi nei primi giorni d'agosto. Ampi settori dell'opinione pubblica, non soltanto borghesi, ma anche popolari, non faticarono a convincersi che la guerra rappresentava l'occasione per compiere il destino di potenza mondiale della Germania, attraverso consistenti ingrandimenti territoriali a est, a ovest e persino nel continente africano.
Il partito socialdemocratico si trovò isolato nel ribadire il carattere difensivo della guerra, ma si guardò bene dal radicalizzare la propria posizione, conscio del favore che la prospettiva espansionistica godeva tra i suoi militanti. Conservatori, liberali e cattolici si allinearono con entusiasmo alla definizione degli obiettivi politici della guerra, elaborata dal cancelliere Bethamann-Hollweg il 9 settembre 1914, prima della battaglia della Marna, quando il collasso militare della Francia appariva imminente.
Indicando nella sicurezza del Reich in Occidente ed in Oriente la meta suprema della guerra, Bethamann-Hollweg tracciò un ambizioso programma imperialistico che rimase, con il decisivo appoggio dello stato maggiore, la pietra angolare della politica tedesca sino al giorno in cui, alla fine di settembre del 1918, la prospettiva della sconfitta divenne una certezza.
Grazie alla cessione dei territori fortificati ad ovest dei Vosgi, della costa da Dunkerque sino a Boulogne e della Lorena francese ed al pagamento di una pesantissima riparazione di guerra, la Francia avrebbe dovuto essere indebolita a tal punto da non poter più risorgere come grande potenza. Il cancelliere lasciò cadere con disinvoltura la promessa, pronunciata nelle fasi iniziali di attuazione del paino Schlieffen, per placare l'ondata di sdegno delle diplomazie, di restaurare la sovranità belga. Il destino del Belgio sarebbe stato diventare, sul piano politico, militare ed economico, vassallo della Germania.
Ad Oriente, la Russia avrebbe dovuto essere allontanata il più possibile dai confini del Reich con l'annessione di larga parte della Polonia. In Africa centrale, i possedimenti belgi, francesi e portoghesi avrebbero dovuto essere uniti a quelli tedeschi per formare un vasto impero coloniale.
Il tramonto dell'illusione della guerra breve, con il trinceramento dell'esercito sul fronte occidentale dal settembre 1914, non mise a tacere le aspirazioni imperialistiche, né incrinò la certezza della vittoria finale, ma pose in primo piano il problema della tenuta del fronte interno, che Schlieffen non aveva affatto considerato nella stesura del suo piano.
La presunzione dei generali di poter risolvere il conflitto in pochi mesi costrinse la Germania ad avventurarsi in guerra con riserve umane, alimentari e di materie prime più limitate di quelle di cui disponevano gli alleati, di conseguenza si trovò obbligata ad organizzare con il massimo rigore la propria società, subordinandola alle necessità belliche assai più degli avversari. Senza poter fare affidamento su di un piano preordinato, ma affrontando di volta in volta le emergenze che si presentavano, il Reich giunse alla mobilitazione totale delle proprie risorse già nel 1917, imponendo alla popolazione un drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Prima del 1914 l'economia tedesca era in grado di garantire circa l'80% del proprio fabbisogno alimentare. Le chiamate alle armi, che si susseguirono incessanti per rimpiazzare le ingenti perdite, determinarono una brusca contrazione della produzione agricola: nel 1916 il raccolto dei cereali e delle patate si dimezzarono rispetto al 1913. Dopo due anni di guerra le razioni alimentari distribuite in base alle tessere annonarie fornivano non più di 1350 calorie pro capite al giorno, a fronte di un fabbisogno stimabile intorno alle 2250. In seguito la penuria alimentare si aggravò ulteriormente.
L'invio degli uomini al fronte ebbe conseguenze negative anche sulla produzione industriale. Già nell'autunno del 1914 l'esercitò dovette fronteggiare una vistosa diminuzione dell'afflusso di munizioni. L'emergenza fu superata ordinando la temporanea smobilitazione di tecnici ed operai specializzati per addestrare le maestranze femminili, abolendo il riposo festivo ed autorizzando il prolungamento dell'orario di lavoro oltre le 10 ore. Tali misure riportarono la produzione bellica a livelli adeguati sino al giugno 1916, quando gli alleati sferrarono l'offensiva della Somme, gettando sul campo di battaglia tutta la loro superiorità produttiva. Su insistenza dello stato maggiore, il governo corse ai ripari adottando, nel dicembre del 1916, il Vaterländischer Hilfsdienst, il servizio ausiliario patriottico, che obbligava tutti i cittadini maschi dai 17 ai 60 anni a lavorare nell'economia bellica. Fu l'avvio di una massiccia militarizzazione della società tedesca, appena mitigata dall'istituzione, nelle aziende con più di 50 dipendenti, di comitati di fabbrica con il compito di appianare eventuali contrasti tra lavoratori e datori di lavoro. Nel caso in cui l'accordo tra le parti sociali non si raggiungesse, spettava ad una commissione mista, presieduta da un funzionario del ministero della Guerra, risolvere la vertenza. Nonostante queste concessioni alle istanze sindacali avanzate dai socialdemocratici, i militari ampliarono il loro controllo sulla società e sull'economia. La direzione del servizio ausiliario e della produzione bellica furono affidate al generale Groener, un autorevole esponente dello stato maggiore.
L'estensione del potere militare all'economia coincise con un cambio della guardia ai vertici dell'esercito. Nell'agosto del 1916, dopo il fallimento del sanguinoso tentativo di forzare lo schieramento alleato dando l'assalto alla fortezza di Verdun, il capo di stato maggiore Falkenhayn fu costretto a cedere la sua carica ad Hindemburg che, insieme al suo vice Ludendorff, godeva di un enorme prestigio per i successi che aveva ottenuto sul fronte orientale. La popolarità del binomio Hindemburg - Ludendorff era tale da suscitare nell'opinione pubblica e tra i combattenti una fiducia incondizionata, offuscando non solo il governo politico, ma persino lo stesso Kaiser. Forte di tale consenso il nuovo comando supremo poté soffocare gli esigui spazi di autonomia che le forze politiche, sociali ed economiche ancora conservavano. La prima vittima dell'irrefrenabile invadenza del vertice militare fu il governo di Bethmann-Hollweg.
Sul finire del 1916, lo stato maggiore della marina, spalleggiato da Hindemburg e da Ludendorff, tornò a premere sul Kaiser per ottenere la dichiarazione della guerra sottomarina illimitata che, secondo valutazioni tanto ottimistiche quanto erronee, avrebbe prostrato nell'arco di pochi mesi l'Inghilterra, spianando la strada verso la vittoria finale. Bethmann-Hollweg si oppose a tale progetto giudicandolo rischioso per le sue implicazioni diplomatiche, in quanto avrebbe acuito l'isolamento internazionale della Germania e spinto gli Stati Uniti, a cui proprio in quei mesi era affidata una delicata mediazione per l'apertura di un dialogo tra i belligeranti, verso l'intervento a fianco degli Alleati.
Guglielmo II ignorò le ben fondate preoccupazioni del suo cancelliere e capitolò difronte all'assalto congiunto dei generali e degli ammiragli. Il 3 gennaio 1917 firmò l'ordine di iniziare con la massima energia la guerra sottomarina indiscriminata.
Il potere militare ottenne tre risultati che si sarebbero rivelati tragici errori. Si dotò di una odiosa arma offensiva destinata a risultare insufficiente a determinare gli effetti invocati con tanta sicumera; umiliò il cancelliere, ponendo le premesse per la destabilizzazione del sistema politico; determinò una rottura delle relazioni con gli Stati Uniti che si tramutò in una dichiarazione di guerra nell'aprile del 1917.
Bethmann-Hollweg incassò la sconfitta inflittagli dai militari e rimase al suo posto. Prendendo atto che la prospettiva di una vittoria a breve termine stava sfumando, si convinse dell'urgenza di controbilanciare la crescente militarizzazione della società attraverso concessioni di natura politica che potessero allargare le basi del consenso al sistema politico, cementando così il fronte interno. Nel luglio del 1917 riuscì a convincere il Kaiser a dichiararsi favorevole alla riforma su base egualitaria del sistema elettorale prussiano, rigidamente classista e censitario. Questa presa di posizione suscitò l'indignazione di Hindemburg e Ludendorff che la giudicarono una minaccia per la prosecuzione della guerra. In spregio alle prerogative sovrane, essi non esitarono ad intimare a Guglielmo II un ultimatum che consisteva nella richiesta di esonero dal comando se il cancelliere non fosse stato allontanato.
Ancora una volta il Kaiser scelse i militari, ipotecando la propria corona. Cedette con leggerezza al comando supremo quel controllo sull'esecutivo che per decenni aveva rifiutato sdegnosamente al Reichstag, adducendo a pretesto la difesa del dettato costituzionale.
Dopo aver scalzato Bethmann-Hollweg, riducendo la monarchia ad un ruolo poco più che decorativo, lo stato maggiore dovette confrontarsi non più con degli interlocutori politici, ma con dei semplici esecutori della propria volontà. Prima il cancelliere Michaelis, incolore e maldestro, poi il cancelliere Hertling, ottuagenario ed abulico, furono solleciti nel piegarsi ai voleri di Hindemburg e Ludendorff, senza mai mettere in discussione la certezza della vittoria finale.
All'appiattimento del governo civile su quello militare non corrispose uno scatto di orgoglio del Reichstag. Al suo interno crebbero le spinte volte alla creazione di un governo parlamentare, si moltiplicarono le ipotesi per una pace negoziata che garantisse alla Germania oltre all'onore le sue conquiste territoriali, mancarono però il coraggio e la lungimiranza per sfidare apertamente la "dittatura silenziosa" del comando supremo.
Tra febbraio e novembre del 1917 il tracollo del regime zarista e la rivoluzione bolscevica determinarono per le armate tedesche nuovi scenari assai favorevoli. Con l'appoggio di larga parte delle forze politiche, lo stato maggiore si impegnò a conquistare ad Oriente quei successi che gli erano sfuggiti ad Occidente.
La pace di Brest-Litovsk del marzo 1918 fu nettamente punitiva per la Russia. La Germania ottenne infatti direttamente o indirettamente il controllo su Polonia, Ucraina, Georgia, Finlandia, Estonia, Lituania e Lettonia. Tale avidità se da un lato rispose alla necessità di rincuorare l'opinione pubblica tedesca, dimostrando con la realizzazione del sogno della Grande Germania che gli immani sacrifici non erano stati vani; dall'altro affossò l'ipotesi di una pace negoziata in Occidente, frustrando le aspettative dell'alleato austroungarico che ormai da mesi si trovava sull'orlo del baratro.
La possibilità di trasferire intere divisioni dal fronte orientale a quello occidentale, e conseguire così la superiorità numerica sui franco-inglesi, indusse il comando supremo ad affidare unicamente alle armi le sorti del conflitto, anche a costo di bruciarsi alle spalle tutti i ponti politici ed ignorare le precarie condizioni militari dell'Austria-Ungheria.
Hindemburg e Ludendorff sapevano che la probabilità di assicurarsi una vittoria decisiva erano limitate, sapevano che se l'offensiva non fosse riuscita la guerra sarebbe stata irrimediabilmente persa, dal momento che gli Imperi centrali avevano esaurito le loro riserve; ciò nonostante azzardarono. Il 21 marzo 1918 le armate tedesche sferrarono un poderoso attacco, sfondarono le linee nemiche penetrando in profondità. Il successo fu tale che il Kaiser concesse agli scolari del Reich una giornata di vacanza e premiò Hindemburg con la Gran croce della Croce di ferro "con raggi d'oro", la stessa decorazione che era stata conferita al feldmaresciallo Blücher per il suo trionfo su Napoleone a Waterloo. La vittoria apparve, per l'ultima volta, a portata di mano.
L'offensiva continuò sino a luglio poi si arrestò bruscamente. La Marna fu nuovamente fatale all'esercito tedesco. Nonostante la stabilizzazione del fronte e l'esaurimento del potenziale offensivo tedesco, il comando supremo continuò ad ostentare sicurezza. Impiegò ogni mezzo per inculcare nel popolo tedesco la convinzione che la vittoria finale fosse imminente; vanificò ogni tentativo del governo e del Reichstag di aprire una trattativa con gli alleati che avesse come base la restaurazione dei confini prebellici.
Dopo mesi di proclami trionfalistici e di bollettini di guerra edulcorati per nascondere l'evidenza, improvvisamente, il 29 settembre, il comando supremo sbalordì il governo con la richiesta di adoperarsi per un armistizio immediato per evitare la catastrofe. Ad essa aggiunse la viva sollecitazione a formare un gabinetto a larga base parlamentare e popolare.
Con l'intento di fornire agli Alleati un interlocutore più gradito su cui non pesasse l'ombra del militarismo prussiano, la casta militare si affrettò a sacrificare la monarchia e ad scaricare sul Reichstag la responsabilità decisionale, riservandosi l'eventualità di riprendere le armi se le condizioni di pace si fossero rivelate troppo dure. Il carattere virtuale, informale, della dittatura militare consentì ad Hindemburg e Ludendorff di dissimulare le proprie responsabilità, offrendo al popolo tedesco ed agli alleati il Kaiser come capro espiatorio della guerra ad oltranza.
La difficile eredità del cancelliere Hertling fu raccolta con riluttanza dal principe Max Von Baden che formò un governo di unità nazionale in cui cattolici e socialdemocratici ebbero ruoli di primo piano.
L'avvio delle trattative fu immediato. Gli Alleati, presagendo l'imminente crollo militare degli Imperi Centrali si mostrarono intransigenti. La ferma dichiarazione del presidente americano Wilson secondo cui "gli autocrati militari" ed il "re di Prussia" sarebbero stati interlocutori inaccettabili al tavolo della pace accelerò la crisi della monarchia.
La tardiva riforma costituzionale che tracciava il profilo di una monarchia parlamentare non servì a convincere le diplomazie alleate dell'affidabilità del nuovo corso della politica tedesca. In Germania le masse popolari ormai chiedevano a gran voce la fine delle ostilità a qualunque costo e le concessioni politiche, tanto a lungo attese, non bastarono a tacitare il rancore verso gli ufficiali e la dinastia.
Il 26 ottobre Ludendorff, che all'interno dello stato maggiore era stato il vero artefice degli indirizzi tattici, strategici e politici, si dimise dalla sua carica in aperta polemica con l'operato del governo. Arrivò a contestare l'urgenza di concludere un armistizio, contraddicendo quanto aveva affermato con tanta enfasi un mese prima. Per non legare il proprio nome alla sconfitta si spogliò in tutta fretta dell'uniforme e riparò in Svezia sotto falso nome, lasciando Hindemburg ed il Kaiser a fronteggiare il caos imminente.
All'inizio di novembre, l'ammutinamento dei marinai della base navale di Kiel contro il proposito dei loro ufficiali di cercare una morte eroica in un disperato scontro con la flotta inglese fece precipitare la situazione politica. Ad uno ad uno i sovrani tedeschi abbandonarono i loro troni sulla spinta della sollevazione popolare dilagante. Il 9 novembre anche il Kaiser si rese conto che tutto era perduto ed abdicò. Prima ancora che la notizia giungesse a Berlino, il socialdemocratico Scheidemann proclamò la repubblica dinanzi alla folla radunata attorno all'edificio del Reichstag. Il cancelliere Max Von Baden trasferì i suoi poteri al socialdemocratico Ebert.
L'armistizio fu firmato a Compiègne l'11 novembre . Avrebbe dovuto portare le firme di Hindemburg e di Ludendorff, i responsabili della sconfitta, lo firmò invece il leader del partito cattolico Matthias Erzberger, fornendo così un comodo alibi al comando supremo; alibi destinato a generare la leggenda dei "traditori di novembre" di cui si sarebbe nutrito il nazismo.
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BIBLIOGRAFIA
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- La nascita del Terzo Reich, di R. J. Evans - Mondadori, Milano 2005.
- Alla corte del Führer, di A. Read - Mondadori, Milano 2006.
- Storia della Repubblica di Weimar (1918-1933), di E. Eych - Einaudi, Torino 1966.
- Guglielmo II. L'ultimo Kaiser , di F. Herre - Mondadori, Milano 1996.
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