LA GRANDE MILANO DEL MEDIOEVO
RACCONTATA DA UN FRATE
IN UN LIBRO DEL 1288
Aneddoti, curiosità, situazioni politiche e sociali.
Una città che nel Medioevo era già allavanguardia
di FERRUCCIO GATTUSO
Duemilacinquecento anni di Milano: rivive il De Magnalibus nella traduzione di
Paolo ChiesaIl 1998 sarà un anno importante per la città di Milano: ricorreranno i 150
anni delle Cinque Giornate risorgimentali e i 100 anni dei moti del pane e delle cannonate
di Bava Beccaris che ne seguirono. Eventi gloriosi e dolorosi, vanti e ferite di una
città che nella storia nazionale ha svolto un ruolo fondamentale. Ma il 1998 sarà anche
lanno in cui cadrà il duemilacinquecentesimo anniversario della nascita di Milano.
Una città che vide i natali "solo ducento anni dopo Roma", che illuminò della
sua fama il Medioevo e che assurse anche a simbolo di libertà contro linvasore
straniero. Una città da millenni operosa e dedita al commercio, un centro di propagazione
di santità e corruzione, di pace e di lotte intestine.
Sono parole e notizie che possiamo evincere da una fonte preziosissima per la cultura
milanese e medioevale, quel De Magnalibus Mediolani di Frate Bonvesin Da La Riva
composto nel 1288, in piena era viscontea, sommerso dagli eventi e dalle vicende
letterarie durante i secoli che seguirono e talvolta riaffiorante nelle citazioni presenti
in testi successivi. Unopera che scomparve fisicamente dal nostro paese per
centinaia di anni finché fu riscoperta, un secolo fa, nelle vesti di un manoscritto (il
famoso codice 8828) deteriorato dallumidità, nascosto nella Biblioteca Nacional di
Madrid, in Spagna. A riportarla alla luce fu Francesco Novati, nellanno 1898,
esattamente un secolo fa. Oggi il testo riemerge nella splendida edizione Scheiwiller
tradotto dal latino in uno stile moderno, accessibile e coinvolgente da Paolo Chiesa. Fu
nel 1288 che il Frate laico dellordine degli umiliati Bonvesin da la Riva decise di
comporre una lode in onore della città di Milano. Bonvesin al tempo era considerato
sicuramente il più grande scrittore milanese del Duecento, e la sua posizione prestigiosa
e autorevole lo metteva nelle condizioni di poter realizzare, in quella che stava
diventando il gioiello urbano della famiglia dei Visconti, non una cronaca ma una
esaltazione di Milano e della sua potenza. CITTA POTENTE E COLTA Una glorificazione per i milanesi e per i suoi nuovi
padroni, un monito per i loro nemici - tanti - dellepoca. Frate Bonvesin mira ad
esaltare Milano sotto ogni aspetto, materiale e morale: la bellezza architettonica, la
potenza commerciale e militare, leccellente posizione geografica, ma anche il culto
della libertà, la tradizione nobiliare e culturale. Il De Magnalibus Mediolani
rappresenta quindi una fonte inestimabile per gli storici, poiché è a tutti gli effetti
la più antica descrizione di una città medioevale in una chiave non meramente retorica,
ma dotata di pretese scientifiche e statistiche. Bonvesin Da La Riva non vuole lanciarsi
in un panegirico (o perlomeno non vuole solo fare questo), vuole dare
unautorevolezza documentatrice alla propria opera. Il risultato è quindi un testo
ricco di dati, espressi peraltro in un latino scorrevole, popolare e dal ritmo - per
quanto possa suonare provocatorio ricorrere a questo aggettivo - giornalistico.
Forzando ancora di più, il De Magnalibus Mediolani può essere considerata una
versione medioevale di qualcosa a metà tra un libretto del Touring e una Guida Michelin
dei giorni nostri: Bonvesin, infatti, in una parte dellopera elenca il numero di
osterie, di edifici, di fontane, la ricchezza dei prodotti forniti dalla campagna
milanese, storie e aneddoti dell Urbe del Nord. Una definizione, questa, che non
deve sembrare strana, se lo stesso Bonvesin arriva ad affermare nel testo che Milano, per
tradizione religiosa e prestigio cittadino, dovrebbe sottrarre la sede del Papato a Roma.
I milanesi vengono descritti come il popolo ideale: nobili, eleganti, misurati,
soprattutto onesti. Tra di loro cè anche chi, come viene citato in un aneddoto, fu
così forte da sollevare in una sola volta due asini, chi invece arrivò a mangiare
frittate di trentadue uova. La popolazione milanese viene definita nel numero di
duecentomila. Il terreno è fertile a tal punto che le pozzanghere si riempiono
spontaneamente di pesci. STORIA DEL DE MAGNALIBUS Dei notai, dei chirurghi degli ecclesiastici vengono
date le cifre con perentorietà e piglio statistico. Come racconta Paolo Chiesa, fu
Francesco Novati - storico e letterato cremonese - a recuperare per puro caso il
manoscritto dellopera bonvesiniana presso la Biblioteca Nacional di Madrid. Si
trattò di una scoperta di assoluto valore, poiché il De MagnalibusMediolani,
nel suo testo integrale, era completamente scomparso dal panorama letterario italiano.
Citazioni del testo di Bonvesin affioravano in diversi scritti posteriori, soprattutto del
secolo successivo. Galvano Fiamma fu tra coloro che più ricorse ai dati del frate
milanese, anche per il fatto che - a quanto lui stesso dichiara - ne possedeva una copia.
Unaltra copia, ci fa sapere Chiesa, era conservata nella biblioteca del convento
domenicano di santEustorgio dove venne consultata dal Fiamma e, nel 1340, dal frate
tedesco Enrico di Herford; unaltra era in mano ai Visconti, come risulta da un
inventario della loro biblioteca nel 1426. Lultima citazione di cui si ha memoria è
del 1395: il vescovo di Novara Pietro Filargo ricorse a stralci del DeMagnalibus
Mediolani in occasione dellinvestitura a granduca di Gian Galeazzo. "Segno
- come afferma Paolo Chiesa - che il prestigio e lautorevolezza dellopera
erano fuori discussione."
Con il Quattrocento il De Magnalibus scompare dalla scena letteraria e culturale.
Il silenzio che colpì il latino agile di Bonvesin Da La Riva durò fino alla fine del
secolo scorso, quando - come detto nel 1898 il De Magnalibus riapparve nelle mani
di Francesco Novati. Come già detto, il De Magnalibus, oltre a fungere da encomio in
stile retorico, voleva essere una fonte di informazioni abbastanza precise su Milano: Una
lode, quindi, non solo qualitativa, ma anche quantitativa. Lopera è divisa in otto
capitoli, ognuno preceduto da un prologo iniziale. Milano è quindi lodata per la
posizione, le costruzioni, gli abitanti, la ricchezza, la forza, la fedeltà, la libertà,
la nobiltà.
Ogni capitolo è suddiviso in ulteriori sezioni, chiamate distinctiones.I primi quattro
capitolo vertono sulle grandezze materiali di Milano, i secondi quattro su quelle morali. BONVESIN, CRONISTA DI CLASSE La costruzione dellopera rivela quindi
lorganicità e lordine tipico dei testi scientifici medioevali. Si sa per
certo che Bonvesin compì un lungo lavoro di ricerca e documentazione, non solo nelle
biblioteche, ma anche sul campo, intervistando cioè la gente e vistando i luoghi narrati.
Un lavoro, come accennavamo sopra, che può definirsi "giornalistico". Frate
Bonvesin come un attuale cronista. Non è un caso che il testo bonvesiniano fosse definito
nel Trecento anche Chronica Bonvesini. Lidea (e lo stile cui Bonvesin
ricorre) è assolutamente moderna per i tempi. Bonvesin ricorre alla retorica, ma non
allallegoria. Innanzitutto è un elenco dalle caratteristiche scientifiche. Paolo
Chiesa ci ricorda come lordine degli Umiliati, nelle cui file Bonvesin militava,
aveva ricevuto dallamministrazione viscontea la gestione dellappalto dei dazi
e delle imposte cittadine. La facilità con cui il frate Da La Riva poteva accedere ai
dati fu sicuramente un buon viatico per la riuscita dellopera.
Talvolta i dati fornitici da Bonvesin paiono lontani dal vero, troppo esagerati o forniti
con troppa disinvoltura. talvolta, poi, dai dati numerici Bonvesin evince constatazioni
che in realtà non seguono una stretta logica. Dallalto numero di religiosi, ad
esempio, il frate deduce che Milano era una città fedelissima e devota. Eppure uno dei
termini cui ricorre spesso Bonvesin è quello di veritas, verità.
"Lautore - come scrive Chiesa - non nasconde mai le sue fonti, e esprime lui
per primo un giudizio sullaffidabilità dellinformazione." Non a caso i
due versi che danno inizio allopera così recitano: "Chi vuol conoscere le
meraviglie di Milano/ ne sarà informato da questa luce di semplice verità." Le
informazioni sulla vita di Bonvesin Da La Riva non mancano. Vari documenti notarili, il
suo epitaffio (arrivati a noi attraverso trascrizioni del 600) ci possono far
affermare che visse tra il 1240-1250 e il 1315. Milanese doc , come diremmo oggi, se il
suo cognome de Ripa ("o, come scrive Paolo Chiesa de Rippa volgarizzato in da
la Riva") appare spesso nei documenti milanesi dellepoca. Al tempo della
nascita di Bonvesin, Ripa di Porta Ticinese era decisamente fuori le mura: appare quindi
improbabile che il cognome del letterato derivasse da questo luogo.
LAUTORE E IL SUO TEMPO Nel 1288, al
momento di scrivere il DeMagnalibus, Bonvesin viveva sicuramente a Milano.
Era membro dellordine degli Umiliati, una confraternita laica potente in Lombardia,
e attiva nel campo dellassistenza ospedaliera. La produzione di Bonvesin - in latino
e in volgare - fu molto ricca. Delle sue opera latine , oltre al De Magnalibus va
ricordato il De Vita Scholastica (manuale sul rapporto ideale tra maestro e
discepolo) e il De controversiamensium, una parabola sui mesi
dellanno che si ribellano al loro capo, Gennaio, ma che vi soccomberanno in una
disputa dialettica. Di Bonvesin sono anche molte opere religiose , come la Vita beati
Alexi e le Laudes deVirgine Maria.
Anche se Bonvesin Da La Riva non mira esplicitamente a questo, non si può negare che uno
degli intenti dellopera sia in chiave politica. Abbiamo già scritto di come il 1288
fosse un anno di consolidamento del potere visconteo, e un letterato in vista come il
frate dellordine degli Umiliati non poteva tenersi fuori dalle dispute temporali del
tempo. Nel De Magnalibus Bonvesin attacca apertamente gli avversari esterni di Milano, le
città rivali come lodiata Pavia, Como, Parigi e Bologna, Lodi e Bergamo, nonché
personaggi che hanno minacciato lesistenza libera dei milanesi, come Federico
Barbarossa, Corrado il salico e Federico II (dipinto come un essere spregevole e
infingardo, secondo una raffigurazione originale e ben diversa da quella tradizionale che
se ne dà sui libri di storia, e cioè dellImperatore illuminato e amante della
cultura).Come scrive Chiesa "lunica città che con Milano può legittimamente
competere è Roma; ma, computatis omnibus, tutto considerato, come dice Bonvesin,
anche qui la città lombarda vince il confronto." Per quanto riguarda i nemici
interni di Milano, Bonvesin si esprime con molta più cautela. Forse per non sbilanciarsi
troppo a favore dei Visconti (un ribaltamento politico poteva sempre accadere), o di
qualche categoria sociale. Se Milano soffre di qualcosa, scrive Bonvesin, è "la
mancanza di concordia tra i cittadini e la mancanza di un porto". E infatti con
un appello alla concordia tra i milanesi che si conclude il De Magnalibus. UN ESEMPIO DI DEMOCRAZIA Con questo il letterato allude ad accogliere con benevolenza
il consolidamento del potere dei Visconti, divenuti signori di Milano per intervento di
Ottone, arcivescovo della città. Eppure, da ciò che Bonvesin scrive, si comprende come
lo stato cittadino ideale per lo scrittore sia il Comune, il democratico Comune, simbolo
di libertà e di civiltà. Le pagine in cui il frate narra della guerra tra milanesi e
limperatore Federico sono le più sentite.
"A tutti gli uomini aderenti alla fede cattolica cui queste parole giungeranno,
fratel Bonvesin da la Riva, cittadino di Milano, augura salute e pace nel Signore; e a chi
fedele non è, augura di approdare dallerrore alla retta via per la grazia
dellOnnipotente. Mi sono accorto che non soltanto gli stranieri, ma anche i miei
stessi concittadini dormono, per dir così, nel deserto dellignoranza, e non le
meraviglie di Milano; e ho pensato che si dovesse portar loro aiuto e consiglio, in modo
che si destino e guardino, e guardando conoscano la grandezza e la bellezza di questa
straordinaria città. Perciò ho scritto questo libretto, nellanno 1288 dalla
nascita del Signore, nel ventiseiesimo anno di pontificato del venerabile padre Ottone
Visconti, arcivescovo della chiesa di Milano, sotto il governo del magnifico e potente
cavaliere Giacomo di Perugia, onorevole podestà di Milano, e di Matteo Visconti, che di
questa terra è capitano del popolo."
Con queste parole, nella traduzione di Paolo Chiesa, Bonvesin Da La Riva dà inizio al suo
De Magnalibus Mediolani. Già in questo incipit cè tutta la chiarezza dello
stile espositivo del letterato milanese. In poche righe conosciamo lintento che
muove lo scrittore e la connotazione storica temporale e religiosa. Il mito della città
esaltato da Bonvesin, nonostante aperti riferimenti ai signori del momento, è comunque il
Comune, simbolo di libertà. CITTADINI MODELLO "[ ] la libertà di cui questa città è per natura
dotata è tanto grande , e tanto forte è la protezione dei santi che qui hanno sepoltura,
che quandanche venisse occupata, non vi è dominio di tiranno straniero che possa
durare, se non col consenso dei cittadini. [ ]Nessun tiranno osi dunque preparare qui
una sede per il suo dominio: scoprirà che viscida è la coda di questanguilla, e
quando penserà di averla in suo potere e si sentirà sicuro, allimprovviso si
ritroverà a mani vuote." Nel terzo capitolo, Bonvesin fa lelogio dei cittadini
milanesi.
"Considerata sotto il profilo degli abitanti - scrive - Milano sembra a me la più
splendida fra tutte le città del mondo. I nativi della città, di ambedue i sessi, hanno
una loro caratteristica statura, sono di volto allegro e molto amichevoli; non sono
intriganti, sono meno inclini a imbrogliare rispetto ai popoli stranieri, e per queste
qualità più degli altri si distinguono in mezzo ad altre genti. Vivono in modo
dignitoso, ordinato, magnifico; indossano vesti eleganti; [ ] A tutti da qualunque
terra provengano, offrono un modello di religiosità, come viene con molti esempi
riconosciuto sia dentro che fuori la loro patria, e sono dunque in ogni terra stimati più
di tutti gli altri popoli."
Quella che può rappresentare una descrizione idilliaca - in una grande città dove le
lotte di potere e gli interessi economici non erano indifferenti - continua però,
pudicamente, così: "Qualcuno a questo punto obietterà: Come puoi lodare i
Milanesi per la loro condotta di vita? Tutti ne conoscono gli odi e i tradimenti
reciproci, le discordie intestine, la ferocia con cui si distruggono! Io rispondo
che questo argomento non ha valore, così come non ne avrebbe il seguente: Fra i
dodici apostoli cerano rivalità, ci fu il tradimento di Giuda, ci fu anche chi
negò Cristo tre volte, e dunque gli apostoli non vanno lodati. Ma qualcuno ancora
obietterà: Perché dunque, se hanno le virtù che vai dicendo, tutte queste buone
qualità non tengono a freno la malvagità?. Io rispondo: perché la potenza
temporale più spesso tocca ai perversi, e i figli delle tenebre nelle loro cattive azioni
spesso agiscono con più ardore e accortezza dei figli della luce. Ma ciò lascio
considerare a voi: io proseguirò per la mia strada." NON SOLO ELOGI Dagli elogi di Bonvesin non si deve quindi essere indotti a
pensare che la corruzione morale a Milano sia cosa sconosciuta o - per ricorrere ad un
ardito paradosso - confinata solo al decennio della "Milano da bere" negli anni
Ottanta del nostro secolo! Le lotte e le avidità, come ovunque si scontrino grandi
interessi, esistono anche nella Milano duecentesca. Solo che - come afferma Bonvesin - è
colpa del fatto che il potere, spesso, finisce nelle mani peggiori. Queste e molte altre
cose sono contenute nellaffascinante opera di Bonvesin Da La Riva tradotta da Paolo
Chiesa, un libro uscito simbolicamente nelle librerie durante lultima festa di
SantAmbrogio.
Da questopera, agile e fresca nonostante i secoli che ci dividono da essa, sarebbe
auspicabile una rinascita culturale di una città che, da troppi anni, segna il passo in
tanti aspetti della vita sociale e culturale. Basterebbe, in fondo, una piccolissima parte
dellentusiasmo che emerge dalle pagine di Frate Bonvesin, dellordine degli
Umiliati.