La scelta di Supermarina di utilizzare navi militari per il trasporto di rifornimenti in Nordafrica si rivelò tragicamente sbagliata. Il 13 dicembre 1941 due incrociatori stipati di munizioni e benzina furono colati a picco da quattro cacciatorpediniere britannici a poche miglia dalle coste tunisine.
Lo scontro di Capo Bon
di MARIO VERONESI
Alla fine del 1941 la situazione in Africa Settentrionale per le forze dell'Asse era disastrosa. Le forze inglesi stavano avanzando sotto l'impeto dell'operazione Crusader (Crociato). Il carburante era quasi finito: i veicoli italiani non potevano operare, gli aerei assegnati alla difesa di Tripoli non potevano volare e la disfatta appariva inevitabile. Ancora una volta, la Regia Marina fu chiamata a consegnare approvvigionamenti e scorte alla colonia assediata.
Con l'arrivo della forza B a Malta il 29 novembre, comandata dall'Ammiraglio Rawling e forte degli incrociatori Ajax e Neptune e dei cacciatorpediniere Kimberly e Kingstone, gli Inglesi avevano preso il controllo sul Mediterraneo centrale. In quel periodo numeroso naviglio mercantile italiano era stato perduto sulle rotte per l'Africa, tra cui la motonave Veniero e le navi Capo Faro, Adriatico e Mantovani. Il 4 dicembre Supermarina decise quindi di impiegare navi militari per il trasporto dei vettovagliamenti per la Libia. Furono prescelti gli incrociatori leggeri Alberto da Giussano e Alberico da Barbiano, costituenti la IV Divisione, al comando dell'ammiraglio Antonino Toscano, che alzò dapprima la sua insegna sull'Alberto da Giussano, spostandola successivamente sull'Alberico da Barbiano, nave che aveva in precedenza comandato come capitano di vascello. I due incrociatori erano ormeggiati presso la base navale del mar Piccolo, a Taranto, già dal mese di agosto. Secondo quanto previsto dalla missione, un terzo incrociatore, il Giovanni dalle Bande Nere, partito dalla base di La Spezia, doveva unirsi al da Barbiano e al da Giussano nel porto di Palermo, per prendere una parte di carico e proseguire con loro verso Tripoli. Intanto, una prima missione era già andata a buon fine: l'incrociatore Cadorna era riuscito a consegnare carburante e personale a Bengasi.

L'Alberto da Giussano, al comando del capitano di vascello Giovanni Marabotto, e l'Alberico da Barbiano, al comando del capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi, con l'
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L'incrociatore 'Alberico da Barbiano'
ammiraglio Toscano a bordo, mollarono gli ormeggi da Taranto la mattina del 5 dicembre, con direzione Brindisi, dove arrivarono alla banchina commerciale alle 17 dello stesso giorno per imbarcare il materiale per Tripoli. Appena completate le operazioni di carico le due unità mossero quindi per Palermo, dove ormeggiarono la mattina del 7 dicembre, presso il molo Piave. In quel porto si trovava anche il Bande Nere, giunto da La Spezia qualche giorno prima. Ma a causa di alcune noie all'apparato motore questo incrociatore dovette rinunciare alla missione di rifornimento. Fu perciò sostituito dalla torpediniera Cigno.
L'impresa si presentava pericolosa. E non solo per la presenza di navi inglesi nel Mediterraneo meridionale. Sui due incrociatori italiani erano stati caricati numero numerosi fusti non stagni contenenti benzina avio per gli aerei dell'Asse. Complessivamente furono caricate 100 t di benzina, 250 t di gasolio, 600 t di nafta, 900 t di vettovaglie e 135 t materiale bellico. Più molti altri fusti che ingombravano, insieme a sacchi di farina, legumi, proiettili di cannone e ogni genere di rifornimento, anche il ponte di coperta, rendendo di fatto impossibile il brandeggio delle torri dei pezzi principali da 152 mm. E precludendo così ogni possibilità di difesa. L'insolito carico appesantì notevolmente le navi, rendendone più difficile le manovre. Per il personale a bordo era difficile addirittura transitare da un locale all'altro. Per l'occasione furono imbarcate squadre antincendio aggiuntive.
L'11 dicembre il da Barbiano e da Giussano lasciarono Palermo diretti a Tripoli, ma dopo poche miglia furono avvistati da aerei inglesi. L'ammiraglio Toscano decise quindi di rientrare in porto. Ma gli Inglesi erano riusciti a intercettare le comunicazioni italiane e avevano già allertato la 4th Destroyer flotilla, composta da quattro cacciatorpediniere: HMS Sikh, HMS Maori, HMS Legion e l'olandese Isaac Sweers.

Ritenendo che il pericolo fosse venuto meno, alle 17:24 del 12 dicembre 1941 i due incrociatori mollarono nuovamente gli ormeggi. L'ancora di prora del da Giussano, come un segno funesto, non voleva saperne di venire su. Per risparmiare tempo, il comandante Marabutto decise di farla scollegare dalla catena lasciandoci una boa, certo di recuperarla al termine della missione.
Le due navi superarono le ostruzioni del porto, presero il largo e scomparvero alla vista degli ultimi lembi della costa italiana, che non avrebbero mai più rivisto. La torpediniera Cigno, al comando del capitano di corvetta Riccardi, uscita da Trapani poco dopo, incontrò i due incrociatori al largo di Marettimo e si mise in testa alla formazione, costituendo così la modesta e simbolica scorta di queste due navi da guerra trasformate in cisterne.
Alle 02:45 un ricognitore inglese sorvolò indisturbato la formazione, comunicando rotta e velocità del convoglio alle quattro unità inglesi, che si trovavano fra Zembra e Zembretta. L'ammiraglio Toscano intuendo quanto stava accadendo, ma ritenendo oramai impossibile invertire nuovamente la rotta, dette l'ordine di aumentare la velocità a 30 nodi. Alle 03:00 del 13 dicembre il convoglio giunse in vista del faro e dell'alto promontorio di Capo Bon. La formazione aveva appena doppiato il promontorio con l'avanguardia della torpediniera Cigno, il da Barbiano e il da Giussano dietro, tutti in linea di fila, quando le navi nemiche, che avevano navigato sottocosta allo scopo di confondersi con le alture del promontorio tunisino, si prepararono a condurre l'attacco di sorpresa.

Aiutati dal radar e non ancora individuati, alle 03:15 gli Inglesi manovrarono in
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Veduta satellitare di Capo Bon
posizione di lancio, lasciando partire dieci siluri e iniziando un mirato tiro verso le unità italiane con i cannoni di bordo. Alle 03:20 il da Barbiano fu centrato da diverse cannonate in coperta e in plancia, prendendo subito fuoco e saltando praticamente in aria dopo qualche minuto. Centrato anche da un siluro, si capovolse e alle 03:35 affondò, lasciando in superficie un autentico mare di fiamme. L'ammiraglio e lo stato maggiore dell'unità scomparvero in mare e come loro quasi tutto il personale imbarcato.
Il da Giussano fu raggiunto alle 03:24 da due siluri lanciatigli dal Legion, che lo centrarono a sinistra, all'altezza della sala macchine di prora. Gli scoppi tranciarono le grosse tubazioni del vapore ustionando gran parte del personale di macchina e fermando il motore che azionava l'elica dell'asse di sinistra. Altri colpi caddero molto vicino ai depositi di munizioni dei cannoni da 100/47. Per scongiurarne l'esplosione fu ordinato l'allagamento dei locali limitrofi. Ma in questo modo la nave, per la grande quantità d'acqua imbarcata, rallentò ulteriormente fino a fermarsi quasi completamente. In preda alle fiamme, anche il da Giussano era perduto irrimediabilmente. Il comandante Marabotto, valutate le condizioni disperate, ordinò l'abbandono della nave. Gran parte del personale si tuffò in mare da poppa e prese posto negli zatterini di salvataggio.

Sfuggiti dalla morte a bordo, la situazione dei naufraghi in acqua non si rivelò migliore per via degli incendi che avvampavano sulla superficie del mare, ricoperta di carburante, e per la presenza di molti squali. Alle 04:30 circa, dopo appena un'ora dal primo colpo giunto a bordo, l'Alberto da Giussano, prima unità dell'omonima classe Condottieri, si spezzò in due tronconi e si inabissò a 2,5 miglia a est-sud-est di Capo Bon, a poco più di mille metri dall'Alberico da Barbiano. Molti naufraghi furono raccolti dalla torpediniera Cigno, quasi tutti erano viscidi al contatto, perché pieni di nafta uscita dai depositi dei due incrociatori affondati. I naufraghi furono subito inviati alle docce di bordo per togliere loro di dosso il fastidioso olio dal corpo, che accecava e che macerava insieme al sale le ferite aperte. All'alba il Cigno prese rotta verso nord. Nel primo pomeriggio del 13 dicembre scaricò a Trapani il suo dolente carico di circa 500 superstiti. Altri naufraghi furono raccolti da imbarcazioni tunisine, da un idrovolante italiano ammarato in zona e da MAS italiani. I dispersi in mare ammontarono a più di 900, tra cui l'ammiraglio Toscano. In tutto, i superstiti furono circa 645.
L''ancora di prora dell'Alberto da Giussano fu poi recuperata e posta in Piazza Quattro Canti, davanti alla sede UNUCI di Palermo.
BIBLIOGRAFIA
  • Sette anni di guerra. Fotostoria del secondo conflitto mondiale, di P. Caporilli - Edizioni Ardita, Roma 1965
  • Storia Controversa della Seconda Guerra Mondiale, di AA. VV. - Istituto Geografico de Agostini, Novara 1976
  • Storia della Marina, di AA. VV. - Fabbri Editori, Milano 1978
  • Fuga dall'inferno, di A. Babini - Edizioni del Girasole 2008