Il Duce fu realmente giustiziato per mano di Walter Audisio, alias il colonnello Valerio, su ordine del CNLAI di Milano? Questa è la versione che si studia da sessant'anni sui libri di scuola, ma potrebbe non essere vera. Numerosi indizi (a cominciare dai fori di proiettile nel luogo dell'esecuzione) indurrebbero a pensare altrimenti: forse, a una doppia fucilazione.
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Mussolini fu fucilato due volte
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La strada che da Giulino di Mezzegra conduce ad Azzano, adagiato in riva all'alto lago di Como, si chiama via XXIV Maggio. Scende dolcemente con poche strette giravolte ed è circondata da vigneti e da antichissime piante di olivo. A metà percorso c'è una signorile costruzione (numero civico 14). E' villa Belmonte il cui accesso è sbarrato da un massiccio cancello di ferro che fa da limite ad un muretto di cinta in pietra sormontato da una siepe di ligustri potati con cura e da un grosso faggio dalle foglie lucenti. Nell'aprile del 1945 a villa Belmonte abitavano sette persone, raggruppate in due famiglie. Erano sfollate a Giulino per sottrarsi ai disastri della guerra. Il proprietario era l'ingegner Bernardo Bellini. Sua moglie si chiamava Teresita Galli. Gli altri ospiti erano i coniugi Rinaldo ed Aminta Opizzi e le loro due figlie, Lelia e Bianca, allora giovanissime. La popolazione di villa Belmonte era completata dalla donna di servizio, Giuseppina Cordazzo. In quei giorni una fresca brezza accarezzava la villa durante il pomeriggio e si andava a distendere silenziosamente sulle acque del lago leggermente increspato su cui, segnando il passaggio delle correnti, serpeggiavano zone di tinta più scura.
Il 28 era un uggioso sabato di fine aprile (1945). La veduta pareva tremare e impallidire come un immagine che attraversa il velo dell'acqua o come una pittura che lavata si stinge. Alle 16,20 il colonnello Valerio, Walter Audisio, incaricato dal CNLAI di Milano di fucilare Benito Mussolini e Claretta Petacci, afferma di aver eseguito il suo mandato, in ciò coadiuvato da altri due partigiani comunisti di cui uno era Aldo Lampredi, alias Guido, mentre l'altro si chiamava Michele Moretti, nome di battaglia Pietro. Questa ricostruzione dei fatti, che ancora oggi i ragazzi liceali studiano sui libri di scuola, è falsa. Ne analizzo i motivi discutendoli analiticamente e prendendo in esame solo i dati pertinenti.
La TV-Espansione di Como ha recentemente mandato in onda una trasmissione sulla morte di Mussolini. Il parroco di Giulino di Mezzegra, don Luigi Barindelli, ha detto che il 29 aprile del 1945 un fotografo di Azzano (Vincifori) ha immortalato il muretto del cancello di villa Belmonte, quello davanti al quale, il giorno prima, sarebbero stati fucilati il Duce e Claretta Petacci. Nella foto, a metà muretto, si vedevano i fori provocati dai proiettili di mitra sulla struttura di pietra. Con le lastre il fotografo stampò delle cartoline, contrassegnando i fori fatti dalle pallottole con dei cerchietti bianchi. Due cerchietti riportavano le sigle M e P (Mussolini e Petacci, don L. Barindelli, comunicazione personale). Il muretto di quel cancello è alto, nel suo punto massimo, 126 cm. Mussolini era alto 166 cm, mentre la Petacci non superava 158 cm (entrambi sono stati colpiti al petto, cioè a 140 cm da terra, mentre erano in piedi. I proiettili, fuoriusciti dai corpi, avrebbero dovuto passare sopra la recinzione in muratura). A Giulino (cancello di villa Belmonte) il colonnello Valerio ha sparato sul muretto di cinta per simulare una falsa fucilazione. Infatti sull'asfalto antistante il cancello furono trovate almeno sette bossoli.
Davanti al cancello di villa Belmonte lo stivale destro di Mussolini aveva la cerniera lampo completamente divelta. Con una calzatura in quelle condizioni Mussolini non poteva di certo camminare. Al fatidico cancello vi è stato trasportato di peso. L'Audisio, per giustificare la spedita deambulazione mussoliniana, ha affermato che lo stivale era semplicemente «sdrucito». La rottura del gambale del Duce ed il suo consequenziale rovesciamento in avanti ad ali di farfalla è visibile in molte fotografie che mostrano il dittatore impiccato per i piedi al traliccio di un distributore di benzina sito a piazzale Loreto (Milano, 29 aprile del 1945). Ciò è risultato evidente anche quando lo storico-giornalista Giorgio Pisanò ha potuto osservare di persona lo stivale ancor oggi conservato nella cripta della famiglia Mussolini al Cimitero di San Cassiano in quel di Predappio.
Un cittadino svizzero, Maximilian Mertz, proprietario di un'abitazione lussuosa limitrofa a villa Belmonte, ha detto di aver visto il colonnello Valerio sparare su «due cadaveri morti da un pezzo» (F. Bandini, Fu fucilato due volte, "Storia Illustrata", Febbraio, 1983). Una deposizione analoga l'ha rilasciata il patriota Guglielmo Cantoni (Sandrino) a G. Pisanò. Dopo aver detto questa cosa il Sandrino ha dovuto rifugiarsi per un anno in Svizzera perché minacciato di morte dai comunisti locali.
Il trio dei giustizieri ha rilasciato testimonianze divergenti circa il comportamento assunto dal Duce al momento della fucilazione. Per Valerio il Duce davanti al suo mitra era tremante, balbettava ed aveva la bava alla bocca. Per Guido era all'opposto eroico e determinato (avrebbe detto: «Sparatemi al cuore»). Per Michele Moretti (Pietro) il Duce era per contro romantico e risorgimentale (avrebbe gridato: «Viva l'Italia»). Come si vede ci sono menzogne per tutti i gusti.
Il muretto del giardino di villa Belmonte fa gomito sulla scorciatoia detta "per Fortezza". Qui c'è un tabernacolo rustico. Secondo la versione ufficiale comunista della morte di Mussolini, alcuni colpi sparati da Valerio contro il Duce finirono sul retro del sacello. Ciò a riprova che l'esecuzione avvenne esattamente «tra il muro ed il pilastro del cancello». Invece chi si prende la briga di andare a controllare, constata che nella parete posteriore della nicchia sacra non esistono tracce di colpi d'arma da fuoco.
Orfeo Landini, il commissario Piero dell'Oltrepò pavese che comandava con Alfredo Mordini (Riccardo) il manipolo di partigiani al seguito di Audisio, ha detto che i cadaveri del Duce e di Claretta, quando furono caricati sul camion che li doveva trasportare a Milano, erano freddi e già diffusamente rigidi. Cosa impossibile se la fucilazione fosse veramente avvenuta al cancello solo due ore prima. Le stesse cose le ha riportate Franco Bandini nel volume intitolato Vita e morte segreta di Mussolini.
Il signor Roberto Remund ha affermato che il sangue sull'asfalto antistante al cancello di villa Belmonte, dove giacevano i corpi, era poco e di colore rosso scuro. La stessa cosa hanno asserito Orfeo Landini, la signorina Clementina Sironi, il signor Dino Bordoli, il giovane Dino Giavarini e i coniugi Opizzi. E' noto che il gemizio ematico proveniente da un cadavere è brunastro e di quantità insignificante.
Lo storico Marino Viganò, vicino agli Istituti per lo Studio della Resistenza, ha scritto che una testimone, Edvige Runi, ha assistito personalmente alla fucilazione del Duce e di Claretta davanti al fatidico cancello di villa Belmonte. Come mai questa teste ha parlato solo nel 1989 e non prima? Come mai l'Audisio, così scrupoloso, non ha cacciato via spettatori indesiderati? Non li ha visti? Impossibile. Si era guardato bene intorno proprio perché voleva fare tutto nel più assoluto anonimato. Se la Rumi fosse stata presente, anni dopo il colonnello Valerio l'avrebbe chiamata in causa per avvalorare la sua ricostruzione dei fatti. La donna dice di essersi appostata in un boschetto, che nei pressi di villa Belmonte non c'è mai stato. Come faceva sapere la Rumi in quale luogo il trio di giustizieri si sarebbe fermato per ammazzare i loro due prigionieri? L'Audisio ha scelto il cancello, ipse dixit, strada facendo, ossia mentre saliva in macchina verso Giulino di Mezzegra. Una decisione estemporanea presa al momento.
Nonostante avesse detto: «Sì, io, il ragionier Walter Audisio, sono colui che ha fucilato Mussolini» (intervista al giornalista John Pasetti concessa il 3 marzo del 1947), Valerio, nelle sue diverse e contrastanti ricostruzioni dei fatti, è incappato in errori madornali: ha scambiato le strade in discesa per quelle i salita, ha visto crescere l'erba sull'asfalto, ha posizionato panchine di pietra dove non ci sono mai state, ha moltiplicato a suo piacimento i colpi di mitra, ha detto che la sua macchina stazionava a monte quando invece era situata a valle, ha definito di legno delle scale che erano di pietra, ha descritto senza finestre una camera che al contrario ne aveva una grande, ha sparato un colpo con un mitra ancora pieno di grasso, ha qualificato deserta una casa abitata da sette persone a cui disse «ritirarsi, ritirarsi», si è fatto accompagnare nella sua missione da un partigiano che non si è mai mosso da Dongo e ha descritto casa De Maria come se fosse una piccola casetta incastonata tra i monti mentre, invece, era un caseggiato di tre piani visibile a centinaia di metri di distanza. Complessivamente, le imprecisioni e le vere e proprie falsità contenute nella versione comunista sostenuta dall'Audisio sono ventidue: le hanno verificate e smascherate, una per una, G. Pisanò, Alessandro Zanella, autore del libro L'ora di Dongo, e Urbano Lazzaro, nel suo saggio Dongo. Mezzo secolo di vergogne. Il colonnello Valerio era privo del tutto di quell'accenno di metodo che pure il saggio Polonio ha creduto di scoprire nelle follie di Amleto.
Il dogmatismo, la necessità di semplificare la realtà, il bisogno di sicurezza e di verità (elementi peraltro comuni anche al totalitarismo fascista e a quello nazista) spiegano perché individui come l'Audisio poterono "mascherarsi" da tirannicidi (anche se in buona fede, con sincerità) e sembrare ciò che assolutamente non erano. Sullo sfondo dei processi e delle epurazioni in Russia, il clima della "vigilanza rivoluzionaria", la continua e nevrotica paura del tradimento e della deviazione ideologica caratterizzava allora la vita dei comunisti italiani. Si tratta del disperato tentativo di razionalizzare l'assurdità e di darle una spiegazione. La "mascherata" del potere e delle persone per bene, con il crisma della religione, la disperazione della coscienza critica, con il crisma dell'amore, e il fallimento del rivoluzionario dogmatico, con il crisma della menzogna, chiudono in perfetta geometria il cerchio di una vita dedicata al PCI, quella di Walter Audisio.
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BIBLIOGRAFIA
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Le ultime 95 ore di Mussolini, di F. Bandini - Mondadori, 1968.
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Vita e morte segreta di Mussolini, F. Bandini - Mondadori, 1978.
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In nome del popolo italiano, W. Audisio - Edizioni Tetri, 1975.
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Nemesi dal 23 al 28 aprile '45. Documenti e testimonianze sulle ultime ore di Mussolini, di R. Salvadori - Gnocchi Editore, Milano, 1945.
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Gli ultimi cinque secondi di Mussolini, di G. Pisanò - Il Saggiatore, 2004.
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Morte di Mussolini: quella grande menzogna, di M . Barozzi - Rinascita, 24 Luglio 2008.
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La notte di Dongo, di E. Saini - Casa editrice Libraria Corso, 1950.
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Così uccidemmo il Duce, di F. Bernini - P. D. L. Edizioni, 1998.
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"Un istintivo gesto di riparo": nuovi documenti sull'esecuzione di Mussolini (28 aprile 1945), di M. Viganò - Palomar, n. 2, Settembre, 2001.
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Morte di Mussolini. I vani tentativi di provare la "storica versione", di M. Barozzi - Storia del Novecento, n. 89, Settembre 2008.
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L'ora di Dongo, di A. Zanella - Rusconi, 1993.
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Dongo. Mezzo secolo di vergogne, di U. Lazzaro - Mondadori, 1997
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