EDITORIALE - STORIA OGGI
Il più pulito c'ha la rogna
di PAOLO M. DI STEFANO*
Il più pulito c'ha la rogna: l'affermazione mi si è messa di traverso mentre mi accingevo - a ferragosto - a sintetizzare qualcuno dei numerosi quanto inutili pensieri sulla politica e sui politici. E mi ha distratto, naturalmente, per una sorta di fascino proprio di certe espressioni popolari.
Intanto, ho scoperto una cosa: "il più pulito c'ha la rogna" non è la stessa cosa che dire "il più pulito c'ha la scabbia". Eppure non solo la costruzione della frase è identica. Identiche sono anche le parole usate. Eccettuata una: "rogna", appunto, da un lato, "scabbia" dall'altro. Cosa che dovrebbe essere assolutamente indifferente: si tratta, secondo i più accreditati dizionari, di sinonimi. Significa che rogna e scabbia indicano la stessa identica situazione: «malattia cutanea pruriginosa, causata dalla femmina di un acaro (del tipo, probabilmente, escort, N.d.R.) in alcuni animali e nell'uomo, nella pelle del quale scava cunicoli e produce vescicole soprattutto tra le dita e nelle pieghe cutanee in genere». Così lo Zingarelli.
Interessante una annotazione del Devoto-Oli il quale, alla voce rogna, recita: «(usata) talvolta anche per esprimere la natura spregevole del vizio e del peccato "e lascia pur grattar dov'è la rogna" (Dante), lat.aerugo-inis, incr. con (verg)ogna.» Una vera provocazione, una tentazione irresistibile. E sono andato a quel misterioso aerugo, così scoprendo qualcosa di suggestivo: indica il verderame, la ruggine del rame, l'invidia, il livore, il fiele, la rabbia, la malignità pura, l'avidità, l'avarizia sordida. Autori quali Orazio e Prudenzio ne danno testimonianza.
E allora sì "mi fu latino" (Dante): la saggezza popolare, utilizzando il lemma "rogna" e non quello, forse più dotto, di "scabbia", intende esprimere una patologia principalmente morale, dell'animo e del pensiero e sembra riferirsi allo stadio meno grave, forse iniziale, di una malattia sociale più importante e complessa. Una sorta di peste che, aggredendo i componenti di un gruppo sociale in modo più o meno virulento, invade quella società e ne assicura, magari anche affrettandola, la fine.
Pare che non ci sia rimedio: da che il mondo è tale, la "peste del gruppo" allunga i numerosi tentacoli di cui è dotata e letteralmente "scava cunicoli e produce vescicole" finché morte non ne consegua.

Malattia sociale incurabile, dunque? Un cancro della società? Altro motivo di interesse: se un presidente del consiglio di uno Stato erede di antiche e gloriose culture può promettere di "debellare il cancro entro un anno", perché non ci si può impegnare a vincere la rogna, magari in un tempo maggiore? E' forse per il timore che, una volta eliminata la rogna, quel "più pulito" non significhi più niente e chi per avventura lo sia possa essere spinto ai margini della società? Vien fatto di pensare che, se così fosse, il non curare la rogna sarebbe manifestazione di un alto impegno sociale, di una grande attenzione al bene del singolo nel più ampio mondo del bene comune.

E' sempre possibile che un contributo alla chiarezza scaturisca da un ragionamento come questo che segue. Con molta probabilità, i sintomi della rogna si evidenziano in comportamenti individuali e di gruppo. Entrambe le categorie hanno caratteristiche comuni: come tutte le azioni, sono compiute (volontariamente o meno, in modo conscio oppure inconscio) dai singoli, in nome e per conto proprio oppure in nome e per conto della società, o di entrambi; e poi, come tutti i comportamenti generalizzati, sono accettati come normali dal gruppo di riferimento, che li fa propri e li eleva al rango di componenti di immagine. Certamente, ne fa elemento di omologazione e quindi anche condizione di accettazione da parte del gruppo.
Al quale ultimo - il gruppo - da qualche parte si tende a negare una coscienza sociale che, invece, esiste ed è evidente e si spinge fino a veri e propri atti di bontà, di abnegazione persino: pur di creare per il singolo discusso un ambiente ideale e facilitarne l'accettazione, il gruppo gli attribuisce quella dose di rogna che ritiene indispensabile, quel seme di rogna che, caduto in terreno fertile e favorevole, svilupperà una pianta degna del contesto. In questo, si utilizzano in genere seminatori di rango e strumenti di assoluto rilievo perché la coltura dia i frutti sperati. La comunicazione è una tecnica di rilievo primario, di solito enormemente efficace, e gli operatori della comunicazione, in testa quelli della informazione, sono tecnici e professionisti di riconosciuta capacità. E dunque affidabili per definizione. E lo spacciare per "fatto" quella che nella migliore delle ipotesi è una "notizia" e spesso gratuita interpretazione sembra il mezzo più rapido, semplice ed immediato per essere credibili.
Conseguenza: se, per una dannata quanto improbabile ipotesi di lavoro, il gruppo di cui si desidera far parte attiva ha come caratteristica di base una cultura opportunistica del potere come mezzo per arricchirsi e della ricchezza come "espressione della capacità" di raggiungere il successo, ecco che i comunicatori organici al gruppo si muovono per informare che il candidato ha, sia pure in misura ancora inadeguata, le caratteristiche volute. Per esempio, non ancora una decina tra ville, villette e villoni, ma un cognato possiede un appartamento all'estero, in zona di valore: può essere uno dei nostri. Si farà. E non è "buon cuore sociale", questo? E non è dunque "coscienza" della società?
Certo, se poi il beneficiando non accetta e continua imperterrito a sottolineare gli aspetti negativi del gruppo, anche convinto che sia giusto farlo proprio nell'interesse di questo, allora è sacrosanto diritto del'insieme sociale provvedere ad allontanarlo. Per legittima difesa. Per carenza di disciplina. Per conflitto di interessi. Per non aver capito che il bene della società è il bene del gruppo e, in particolare, della sua classe dirigente.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra (Giovanni 8,7) era una sorta di comandamento di garanzia: farsi un esame di coscienza prima di condannare e, scoperto di esser "puliti", procedere all'amministrazione della giustizia.
Poche delle cose dette da Gesù hanno avuto concreta attuazione come questa. Nella società contemporanea, in genere, e nella politica e tra i politici in particolare. A me sembra indubbio che la gran parte dei nostri uomini politici passi lunghe ore a studiare la propria vita, le proprie azioni, i propri pensieri ed a valutarne la "giustizia" sociale, il grado di moralità, la rispondenza al "bene comune". E la riprova che è così è sotto i nostri occhi quotidianamente: le lezioni di etica e di diritto che ci vengono impartite e che giustificano quel lancio di pietre per uccidere l'adultera. La caratteristica fondamentale della "professione politica" italiana consiste nella consapevolezza della propria integrità morale e dell'assenza di ogni sia pur piccola ombra di peccato. Ed è su questa base che un popolo, anch'esso evidentemente consapevole di essere dalla parte dei giusti, sceglie i governanti ed i legislatori.

Mi ha divertito - non ci resta che ridere!- la contiguità tra la certezza che il più pulito abbia la rogna e la sete di giustizia dei molti senza peccato: significa che l'aver la rogna è uno stato naturale al quale viene rapportato il mondo del peccato.
Ferma restando la rogna, il peccato è al di là. Intanto, verso un limite in alto talmente lontano da essere assolutamente inconoscibile. E poi, verso un mondo che è "prima" della rogna, verso il basso. Chi non ha la rogna non può certamente scagliare pietre contro nessuno. Il suo è uno status di incapacità giuridica, di incapacità di agire. Se scaglia anche un sassolino minuscolo, viola tutte le leggi del mondo. E anche quelle dell'universo. E allora la società, il gruppo, attraverso i tutori ed i "facitori" della moralità e della legittimità pubblica lo emarginano in buona sostanza "per mancanza di collaborazione". Avete mai provato a dire al direttore generale vostro capo che quello che fa è contro gli interessi della società? Avete mai provato a sostenere con il rettore o con il preside della università che non è quello il modo più corretto per fare gli interessi della università e degli studenti? Avete mai provato.? Fatelo, e vedrete.
Il tragicamente bello è che vi rispondono, quando lo fanno, con frasi scontate e piene di vuoto.

Mal comune è mezzo gaudio è una di queste, assieme all'altra "che vuoi, è così dappertutto". Si tratta dei simboli di quella imbecillità sociale che a me sembra essere una delle forme di cancro della nostra società. Che dovrà morire, la società, perché come ogni prodotto ha un suo ciclo, ma che sarebbe bello morisse in modo intelligente, tentando di dar prova di pensiero, di etica, di creatività.
Nella realtà, il "male comune" è il nocciolo delle tragedie, di tutte le tragedie, senza eccezioni. Proprio come accade per le metastasi, che null'altro sono se non il male comune delle cellule.
E anche a questo proposito ho trovato qualcosa di interessante. Propriamente definita come «riproduzione di un processo tumorale a distanza dal luogo di insorgenza, per diffusione di cellule tumorali capaci di riprodursi» (Nuovo Zingarelli), quando applicata ad un gruppo sociale potrebbe anche significare che "l'individuo malato capace di riprodursi emigra e si diffonde a distanza lungo i cunicoli della società (proprio come la rogna, N.d.R.)", così contribuendo ad infettarla ed a condurla verso un destino non certamente felice. E credo che se la cellula malata è nella testa, la metastasi ha qualche probabilità in più di raggiungere livelli di gravità assoluta.
Uno dei problemi mi sembra sia nella circostanza che - salvo qualche esperimento di cui mi pare di ricordare notizia, ma sul quale non giurerei - la scienza medico-chirurgica non ha ancora trovato il sistema per la sostituzione delle teste. Il cuore, sì; il fegato, pure; la milza, anche; e gli arti. Ma non la testa.
Ora, il problema della società e della politica italiana è proprio la sostituzione della testa.
Ma la cosa pare assolutamente difficile, anche perché allo stato delle cose non pare si sia in grado di disporre di teste di ricambio - pur essendo numerosissimi gli aspiranti donatori - e le tecniche di trapianto sembrano assolutamente ingessate in un sistema di elezioni fatto apposta per moltiplicare le cellule cancerogene, e per evitare o comunque limitare l'azione degli anticorpi.
E poi, c'è una specie di dogma da sempre fin troppo diffuso nella società italiana: o con Lui, o è la fine.
Pare che noi italiani si abbia bisogno assoluto di un punto di riferimento che ci sollevi da ogni e qualsiasi responsabilità personale, che incarni i nostri desideri spesso inavverati e che consenta ad ognuno di noi slanci di solidarietà, di comprensione, di ammirazione.
E guai a parlare di servilismo e/o di interessi di bottega.
L'Italia è convinta che i suoi guai, peraltro minimizzati quando non addirittura negati, derivino dal fatto che "non lo lasciano lavorare".
Il fatto è che lavorano e come! Forse non nella direzione ideale, ma tutto si può dire meno che non facciano niente.
Magari solo nel proprio interesse, ma lavorano.

Ogni regola ha una eccezione, e tu, invece, generalizzi. E generalizzare è uno sbaglio, oltre che un peccato. Mi par di sentirli, nel classico coro all'italiana, e dunque urlato e il più delle volte stonato.
E' vero: ogni regola ha la sua eccezione. Ma qualcuno ha scritto (non sono stato io, mi sarebbe piaciuto e non poco, ma qualcuno lo ha fatto prima di me) : "ogni regola ha la sua eccezione. Ma anche questa è una regola e dunque ha la sua eccezione".
Perché avverto il bisogno di parlare di nepotismo? Forse perché è la prova che esistono anche regole senza eccezioni? Boh! Comunque, lo faccio in "cattedra", senza peraltro alcuna pretesa di insegnare alcunché.

*Docente di marketing,
consulente di comunicazione
e gestione d'impresa