La vita del leader dell’Olp si sovrappone al massimo sviluppo del nazionalismo palestinese e alla sua deriva terroristica. Ma Yasser Arafat fallisce soprattutto sul piano politico: lasciandosi sfuggire l’occasione negoziale con Israele nel 2000 e non riuscendo a gestire la deriva radicale islamista.
Arafat e la causa palestinese
di GIUSEPPE SISINNI
Al Karameh, l'inizio del mito di Arafat
Nel marzo 1968 il piccolo villaggio di Al Karameh, in Giordania, situato oltre la West Bank (il territorio comprendente la riva occidentale del Giordano, conquistato da Israele durante la Guerra dei sei giorni del 1967) era la sede del gruppo di combattenti palestinesi Al Fatah, i cui aderenti erano chiamati feddayn.
Il leader di Fatah, Yasser Arafat, era convinto della necessità, per il popolo palestinese, di azioni di guerriglia all'interno del territorio israeliano, al fine di una politica di attiva riconquista del suolo della patria, da cui gli arabi erano stati espulsi dopo la guerra del 1948.
I feddayn, nel corso di queste azioni, erano soliti piazzare bombe e mine il cui bersaglio erano per lo più centrali elettriche, caserme o pompe di irrigazione. In seguito a uno di questi sabotaggi fu però colpito un pulmino scolastico, un medico perse la vita e alcuni bambini rimasero seriamente feriti.
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Yaser Arafat
Israele allora decise di reagire: truppe e carri armati furono concentrati a Gerico allo scopo di compiere un'incursione contro Al Karameh. Nel corso dell'operazione militare che ne seguì, Yasser Arafat e i suoi feddayn riuscirono, pur con forti perdite e grazie all'aiuto dell'artiglieria e dell'esercito giordano, a ricacciare indietro le forze israeliane e a distruggere un cospicuo numero di mezzi corazzati. Questa battaglia, per quanto poco rilevante dal punto di vista militare, data la scarsità delle forze impegnate, fu tuttavia l'origine della fortuna politica di Yasser Arafat. Egli stesso infatti, aveva precedentemente dichiarato più volte che bisognava distruggere il mito dell'invincibilità di Israele. Le forze armate dello Stato ebraico (IDS) erano sempre uscite vittoriose da tutti i conflitti che avevano avuto luogo dal 1948 in poi e il fatto che il leader di Fatah fosse riuscito per la prima volta a fronteggiarle con successo dette a lui e alla sua organizzazione un prestigio mai visto prima, tanto che Arafat stesso fu nominato presidente del comitato esecutivo dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), fondata nel 1964 e che raggruppava organizzazioni politiche, di guerriglia, culturali e sindacali allo scopo di mantenere vivo nel popolo palestinese il senso d'identità con il suolo patrio.

Gli inizi sotto il segno della rivoluzione
Yasser Arafat era nato il 24 agosto 1929 sotto il nome di Rahman Abdul Rauf Arafat Al Quwda Al Husseini. Egli e l'Olp mantennero sempre un certo riserbo su alcuni particolari della sua vita: mentre Arafat sosteneva di essere nato a Gerusalemme Est, allo scopo di esaltare le sue origini palestinesi, sembra invece più probabile la sua nascita al Cairo in Egitto. La sua famiglia era molto prestigiosa per i suoi legami parentali: la madre, Hamida Khalifa Al Husseini, sosteneva di discendere da Fatima, la sorella di Maometto, e aveva legami di parentela con Abdul Khader Al Husseini (il leader della resistenza araba contro gli ebrei nel periodo del mandato inglese sulla Palestina) e con Haji Amin Al Husseini, nominato gran muftì di Gerusalemme dagli inglesi nel 1921 e violento antisionista. Il padre, Abdul Rauf, era un affermato commerciante di Gaza.
Gli anni ‘20 in Palestina furono molto turbolenti per via della crescente immigrazione sionista che rinfocolava l'ostilità araba; ad essere presi di mira dagli attentati degli attivisti arabi non erano solo gli ebrei, ma anche gli arabi che sembravano collaborare con loro. Abdul Rauf, a causa dei suoi rapporti commerciali con gli ebrei di durante i suoi viaggi a Gerusalemme, Jaffa e Gaza, nel 1927 fu aggredito e percosso. Anche coloro che avevano rapporti commerciali con lui furono minacciati ed egli fu quindi costretto a trasferire la famiglia al Cairo. Arafat aveva appena quattro anni quando la madre morì di una malattia ai reni e lui e il fratello minore Fathè furono mandati a Gerusalemme presso parenti. Qui egli proseguì i suoi studi ed ebbe come insegnante di Corano lo zio materno Jusuf Awad. Costui apprezzò subito l'intelligenza e la perspicacia del nipote, al quale piaceva stare in sua compagnia. Jusuf Awad non apprezzava invece il padre di Yasser perché lo considerava solo un avido commerciante.

Durante questo periodo, nel 1936, Haji Amin Al Husseini aveva organizzato uno sciopero generale a Gerusalemme e diversi gruppi di guerriglia per compiere attentati contro i britannici e gli ebrei; questa rivolta durò sei mesi e mise a dura prova il dispiegamento di forze della potenza mandataria.
Abdul Rauf, che andava spesso a Gerusalemme, era sempre più convinto che i sionisti stessero sottraendo la Patria ai palestinesi e fu spinto a schierarsi su posizioni più estremistiche, con la militanza nella Fratellanza Musulmana. Questo partito, fondato nel 1928 da Hassan al Banna in Egitto, avversava gli Inglesi e tutti gli egiziani che si impegnavano attivamente a prolungare la presenza britannica nel paese. Al Banna, interessato a fondare nuclei della Fratellanza Musulmana anche in Palestina, ordinò ad Abdul Rauf di tentare di realizzare l'unità d'azione tra il suo partito e i seguaci di Amin Al Husseini. Arafat in quel periodo dimostrava al padre il suo disprezzo con ripetuti atti di disobbedienza, spinto dallo zio Jusuf che, per conquistare definitivamente l'affetto del nipote non esitò a raccontargli che il padre aveva approfittato dei suoi rapporti commerciali con gli ebrei. Saputo ciò Abdul Rauf montò su tutte le furie e nel 1939 Jusuf Awad fu trovato "garrotato" con una corda appesa al collo, tipico metodo di assassinio della Fratellanza Musulmana. Per sfuggire alla polizia Abdul Rauf spostò la sua famiglia a Gaza e Yasser proseguì i suoi studi sotto la tutela di Majid Khalaby, un giovane professore e attivista palestinese che lo prese subito a benvolere.
Nel frattempo, nel 1939, era scoppiata la seconda guerra mondiale in Europa e i nazisti scatenarono la persecuzione contro gli ebrei, pertanto l'immigrazione ebraica in Palestina aumentò considerevolmente. In quell'anno gli inglesi, ricercando la collaborazione degli arabi nella lotta contro la Germania, pubblicarono il Libro bianco. Smentendo la dichiarazione Balfour del 1917, con cui l'allora governo britannico si era impegnato a creare in Palestina "un focolare nazionale per gli ebrei", questo nuovo documento cercava invece di bilanciare gli interessi dei due gruppi, ma fu rigettato sia dagli arabi che dai sionisti.

Nonostante l'opposizione dei leaders come Abdul Khader Al Husseini, che non
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L'attentato a Monaco nel 1972
volevano che la lotta palestinese si identificasse con il regime nazista, Haji Amin, con i suoi seguaci, si apri alla Germania per ottenere armi e altri aiuti e finì, nel 1942, col fuggire in quel paese, dove sottoscrisse i programmi del governo nazista riguardo agli ebrei e invitò gli arabi a offrire assistenza alle forze tedesche. La definitiva disfatta dei nazisti ad El Alamein nel novembre del 1942 spense ogni speranza araba di liberazione da parte della Germania.
Intanto, la rivalità tra il gruppo di Majid Khalaby, che aveva preso il nome di battaglia di Abu Khalid, e il gruppo di Fratellanza Musulmana guidato da Abdul Rauf si acuì a tal punto da condurre all'assassinio di Khalaby; ad Arafat, che aveva solo 15 anni, fu detto che il suo insegnante aveva trovato la morte in un'azione di guerriglia e in seguito il giovane fu convinto da Abdul Khader a favorire l'unione tra il gruppo di Khalaby con quello di Fratellanza Musulmana; il tentativo ebbe esito favorevole. Arafat fondò poi un gruppo di guerriglia dal nome di Società del martire Abu Khalid che contava circa trecento membri.
Nell'agosto del 1945 la seconda guerra mondiale si concluse con la vittoria degli Alleati su Germania, Italia e Giappone, e la Gran Bretagna decise di rinunciare al mandato sulla Palestina annunciando che avrebbe ritirato le sue truppe e il suo personale entro l'agosto 1948. Il conseguente piano dell'Onu che prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e l'altro ebraico, fu respinto dai palestinesi che, aiutati dalle truppe delle nazioni arabe confinanti si sollevarono contro gli ebrei. La guerra che ne seguì vide la vittoria ebraica e il nuovo Stato di Israele si estese su gran parte della Palestina. Al trionfo sionista si accompagnò la cacciata degli arabi dal territorio del neonato Stato ebraico: si calcola che circa 700.000 persone furono espulse dalle loro case e costrette a rifugiarsi negli Stati confinanti. Fu allora che nacque il nazionalismo palestinese, alimentato nell'animo degli arabi dal ricordo della Patria perduta.

In Egitto
Arafat, fortemente deluso dagli esiti della guerra del 1948, tentò di organizzare un incontro con i principali leaders palestinesi tra cui ancora Haji Amin, ma presto dovette rendersi conto che tra di essi vi era solo una guerra di fazioni e non una seria volontà di combattere Israele. Egli pensava anche che gli Stati arabi non avevano voluto, o potuto appoggiare efficacemente i palestinesi nella lotta contro gli ebrei. Tornò quindi in Egitto dove, nel 1952, aveva preso il potere giovane ufficiale Gamal Abdel Nasser, e si dedicò allo studio universitario e all'organizzazione politica degli studenti palestinesi. Egli fece pubblicare un bollettino "La voce della Palestina" e si preoccupò di addestrare militarmente gli studenti palestinesi creando un campo militare all'interno dell'università del Cairo, in collaborazione prima con la Fratellanza Musulmana poi con Nasser. Questa attività doveva servire ad addestrare commandos che avrebbero agito infiltrandosi nel territorio israeliano; ciò allo scopo di tenere sempre desta, nei popoli e nei governi delle nazioni arabe, l'attenzione per la causa palestinese.
Nel 1956, dopo la chiusura del Canale da parte del governo egiziano, scoppiò la guerra di Suez tra Israele, Gran Bretagna e Francia da un lato, e l'Egitto dall'altra; essa si concluse ancora una volta con la cocente sconfitta dell'Egitto. La più grande e potente nazione araba era stata ancora una volta sonoramente battuta. Arafat fu così portato a pensare che solo un ampio movimento palestinese potesse realizzare ciò che gli attivisti si erano prefissi, e cioè la definitiva sconfitta di Israele.

Da fondatore di Fatah a presidente dell'Olp
Nel 1957, a un congresso organizzato dall'Urss e da altri paesi comunisti a Praga, Arafat ebbe l'opportunità di presentare il proprio gruppo al mondo come rappresentante del movimento nazionalista palestinese; non ebbe allora il riconoscimento e gli aiuti sperati e poiché vi erano su di lui, da parte dei servizi segreti egiziani, sospetti relativi a un fallito attentato a Nasser, decise di andare nelle nuove nazioni del Golfo Persico, e in particolare in Kuwait.
Qui,
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George Abbash
insieme ad altri compagni come Khalid Whaziri e Salah Khalaf, potè sfruttare la laurea in ingegneria acquisita nel 1956, per ottenere lavoro per sé, fondi per la sua organizzazione e reclutare nuovi adepti per la causa. Essi si diedero nomi di battaglia: Arafat divenne Abu Ammar, Whaziri Abu Jihad, Khalaf Abu Yiad, mentre il loro il nuovo movimento prese il nome di Al Fatah che significa “conquista”. L'opuscolo di Al Fatah, "La nostra Palestina", il cui primo numero uscì nel 1959, fu diffuso ovunque nel mondo esistessero comunità palestinesi; il tono era decisamente propagandistico ma servì a tenere vivo il nazionalismo palestinese. Nel 1963, con l'appoggio dell'Urss, in Algeria, nazione ormai libera dalla dominazione francese, furono organizzati campi di addestramento cui parteciparono guerriglieri di Al Fatah, per lo più ex studenti reclutati in Germania occidentale. Qui essi incontrarono altri guerriglieri provenienti da varie parti del mondo, e questi contatti internazionali sarebbero stati molto utili in seguito a Fatah. Nello stesso anno Arafat si spostò dal Kuwait in Siria; questo paese, in cui aveva preso il potere il partito Baath, sembrava allora disposto a sostenere le rivendicazioni di sovranità arabe ovunque esse fossero. Inoltre Siria e Giordania offrirono ai guerriglieri palestinesi basi in villaggi di confine da cui i commandos potevano colpire il territorio israeliano.
Nel 1964 la Lega Araba, sotto l’influenza determinante di Nasser, creò l'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) il cui statuto prevedeva la nascita di un consiglio nazionale palestinese composto da rappresentanti dei vari gruppi. Abu Saed, capo della delegazione di Fatah al primo congresso nazionale palestinese espresse però il dubbio che l'Olp potesse essere utilizzata da Nasser per controllare e "ammorbidire" il movimento di resistenza palestinese. Inoltre il primo presidente Ahmed Shuqairi, agli occhi di Arafat, era troppo compromesso da legami con Nasser e apparteneva alla generazione di anziani che aveva "perduto la Palestina".

Fatah e l'Olp e rappresentavano comunque la speranza per i palestinesi scacciati dalla loro patria che il loro popolo non fosse semplicemente un oggetto passivo della politica mediorientale, ma potesse battersi concretamente per la sua liberazione. Intanto la Siria, con il suo appoggio ai feddayn e con il bombardamento dei villaggi israeliani dalle posizioni dominanti delle alture del Golan, diventava un attore sempre più importante della crisi palestinese. Nasser per evitare di essere soppiantato, ammassò truppe ai confini del Sinai e chiuse gli stretti di Tiran alla marina israeliana. Israele, sentendosi minacciato, scatenò un attacco preventivo: era la guerra dei sei giorni, che si concluse con la totale vittoria israeliana. In seguito a questo conflitto lo Stato ebraico annesse la penisola del Sinai, la West Bank, Gaza e le alture del Golan, causando un altro massiccio riempimento dei campi profughi, dopo il 1948. I palestinesi ormai provavano un vivo senso di frustrazione, aggravato dal fatto che le forze dell'Olp non avevano avuto nessun ruolo in quest'ultima guerra. A risollevare il loro morale intervenne ancora una volta Fatah con le sue ripetute e impegnative azioni di commandos. Importante fu soprattutto la battaglia di Karameh nel 1968, dopo la quale la maggioranza dei deputati al consiglio nazionale palestinese elessero Arafat nuovo presidente dell'Olp. Tuttavia il fatto che le basi della guerriglia palestinese si trovassero nelle nazioni arabe confinanti produsse in quei capi di Stato la preoccupazione di dover subire le rappresaglie israeliane.
Ciò ebbe esiti tragici in Giordania, nel 1970: l'Olp ad Amman si comportava come uno Stato nello Stato, riscuotendo autonomamente le imposte e mantenendo una separata amministrazione giudiziaria. Quando poi dei feddayn tentarono di assassinare re Hussein si scatenò la battaglia nelle strade della capitale giordana: in capo a pochi mesi i palestinesi furono sconfitti ed espulsi dalla Giordania e si rifugiarono in Libano.

Terrorismo e azione politica
Alla fine degli anni ‘70 sotto la direzione di Arafat l'Olp si trasformò da corpo unico in una sorta di confederazione di vari gruppi, di cui i più importanti erano Fatah che, all'epoca secondo le stime, contava circa 10.000 membri, e l’FPLP, un'organizzazione di ideologia marxista fondata da George Abbash, che a sua volta contava circa 3500 membri. Le azioni militari dell'Olp in quell'epoca erano di due tipi: il bombardamento dei villaggi di confine israeliani, operato dall'interno del territorio degli Stati arabi, l'infiltrazione di
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commandos e il terrorismo portato nel resto del mondo. La più nota delle azioni di quest'ultimo tipo fu il sequestro nel 1972 della squadra israeliana di atletica alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, effettuato dal gruppo Settembre Nero. Le azioni di terrorismo dovevano servire ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sul problema della causa palestinese ma, per il loro carattere cruento, finirono per provocare un’universale condanna sull'Olp.
A questo i palestinesi ribattevano che, per lo strapotere militare d'Israele e la loro mancanza di suolo e di risorse, il terrorismo era l'unico mezzo per colpire lo Stato ebraico. Oltre tutto è stato fatto notare che, benché Arafat non abbia mai ordinato o guidato di persona nessuna azione terroristica, egli, per mantenere il controllo dell'Olp, in cui molti reclamavano la linea dura, doveva per forza accettare questa politica. Bisogna anche tener presente che i membri dei commandos, che per Israele e i paesi occidentali sono sanguinari terroristi, nei campi profughi e nei paesi arabi sono visti invece come eroi della causa del loro popolo.

Tra il 1969 e il 1973 la strategia dell'Olp continua a essere quella di favorire la guerra tra Israele e gli Stati arabi, l'unica che all’avviso dell'organizzazione poteva portare alla liberazione della Palestina. Tuttavia, in seguito alla guerra dello Yom Kippur del 1973 tra Egitto, Siria e Iraq da una parte e Israele dall'altra, che permise ai paesi arabi di recuperare alcune posizioni, Arafat e i diversi settori dell'Olp si resero conto dell'impossibilità di ottenere quella vittoria completa che avrebbe smantellato Israele. Egli così cercò di elaborare una nuova linea, basata sugli approcci diplomatici, al fine di ottenere il riconoscimento internazionale dell'Olp. Arafat inoltre cominciava, almeno in privato, a parlare di una possibilità di coesistenza sul territorio della Palestina di due Stati, uno arabo e l'altro ebraico. Finalmente, nel corso del 1974 arrivarono due riconoscimenti molto importanti: la decisione da parte della Lega Araba di riconoscere l'Olp come legittima rappresentante del popolo palestinese (Arafat fu assimilato agli altri capi di Stato) e l'invito rivolto al leader dell'Olp a parlare di fronte all'assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tuttavia un evento ugualmente importante per i palestinesi e per il Medioriente si stava preparando in quegli anni: il trattato di pace siglato nel 1979 a Camp David tra il presidente egiziano Anwar Sadat e il premier israeliano Menachem Begin sotto gli auspici dell'amministrazione statunitense. In tal modo l'Egitto si traeva fuori dalla lotta degli arabi contro Israele, suscitando il risentimento palestinese e delle masse arabe. In quanto ad Arafat e all'Olp, essi si ritirarono nel loro quartier generale a Beirut in Libano, da dove i feddayn continuarono, con lanci di missili e incursioni, ad attaccare Israele.

Da Beirut a Tunisi
il Libano era allora guidato dai cristiano-maroniti che però erano in contrasto con i musulmani. L'Olp si sistemò nel Libano meridionale ma la sua presenza fece esplodere la guerra civile, dato che aveva alterato gli equilibri del paese. La Lega Araba chiese allora al presidente siriano Assad di inviare truppe di pace in Libano, cosa che Assad fece per estendere l'influenza siriana in Medio Oriente.
In risposta ai crescenti attacchi delle forze dell'Olp contro i villaggi del suo territorio settentrionale, Israele lanciò nel 1982 l'operazione "Pace in Galilea" con cui si proponeva di distruggere l'Olp o di cacciarlo dal Medio Oriente. L'azione si risolse con una cocente sconfitta per i palestinesi e i siriani intervenuti in loro soccorso, e finì con l'assedio di Beirut Ovest, quartiere generale di Arafat. Questi fu alla fine costretto a cedere e ad imbarcarsi alla volta di Atene e poi di Tunisi. Nel frattempo, a causa delle trame di Aids Hafez Al Assad, che fece credere ad alcuni dirigenti dell'Olp che Arafat aveva rinunciato alla causa dell'indipendenza palestinese, scoppiò una rivolta all'interno della organizzazione, con i ribelli che attaccavano i lealisti all'interno della valle della Bekaa in Libano. Sembrava che Arafat fosse ormai finito, ma egli si sollevò con un'astuta serie di manovre. Nel 1983, essendosi stabilito a Tripoli di Libano riuscì a operare uno scambio tra sei prigionieri israeliani e 4700 settecento prigionieri palestinesi. Poi si recò in Egitto, dove incontrò il nuovo presidente Hosni Mubarak, e in Giordania, dove insieme a re Hussein cercò di redigere un Piano finalizzato alla costituzione di uno Stato palestinese con sede nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Il piano venne respinto da Israele, che anzi cominciava a creare insediamenti di coloni ebraici nella West Bank, allo scopo di annettersela. In ogni modo alla fine la rivolta all'interno dell'Olp si estinse spontaneamente, con i capi di essa che si rifugiarono in Siria.

L'intifada, i legami con Saddam e la proclamazione dello Stato palestinese in esilio
La situazione restò bloccata anche negli anni immediatamente successivi al 1983, in cui gli attentati terroristici dell'Olp si moltiplicarono, basti citare l'attentato all'aeroporto di Fiumicino nel dicembre del 1985, che provocò 16 morti e 70 feriti e, sempre nel corso del 1985, il sequestro della motonave italiana Achille Lauro, condotto dal gruppo guidato da Abu Abbas. Questa condotta terroristica da parte dell'Olp gli valse ad alienare i favori degli Stati arabi moderati: re Hussein di Giordania ruppe le relazioni diplomatiche con l'Olp ed
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La storica stretta di mano tra Rabin e Arafat nel 1993
espulse il numero due di Arafat, Abu Jihad. Lo stesso Arafat dichiarò di volere ancora l'annientamento di Israele e rifiutò le risoluzioni Onu 242 e 338 che richiedevano un ritiro di Israele entro confini sicuri e il negoziato tra le parti.
L'intifada (sollevazione delle pietre) iniziata l'8 dicembre 1987, sbloccò la situazione e fece emergere per la prima volta la popolazione palestinese nei Territori Occupati come autonomo soggetto politico. Infatti, dato che Israele aveva spiegato una cospicua quantità di truppe in Cisgiordania e a Gaza per mantenere uno stato di sicurezza, i palestinesi erano oggettivamente in una condizione semi-coloniale.
L'intifada, come si è detto, accelerò il dibattito all'interno dell'Olp e dei paesi arabi moderati, così che, il 5 novembre 1988, l'Olp proclamò la creazione dello Stato della Palestina con governo in esilio e il 13 dicembre 1988 Arafat dichiarò di accettare la risoluzione Onu 242 e promise il futuro riconoscimento dello Stato di Israele e la rinuncia al terrorismo. Il 2 aprile 1989 fu eletto Presidente dello Stato palestinese.
Tuttavia, in seguito all'invasione del Kuwait nel 1990 da parte dell'Iraq di Saddam Hussein, la popolarità di Arafat e dell'Olp diminuì fortemente in Occidente, dato che i palestinesi si erano schierati a fianco del dittatore iracheno. Essi speravano ancora una volta che la liberazione della Palestina potesse avvenire in seguito ad eventi militari.

Questo portò temporaneamente a un congelamento dei negoziati tra le due parti, ripresi soltanto nel 1992, quando al potere in Israele salirono i laburisti: furono iniziati negoziati segreti a Oslo che culminarono con l'affermazione del ministro degli esteri israeliano Shimon Peres secondo cui Israele era disposta a ritirarsi da Gerico e dalla striscia di Gaza. Subito dopo, ai primi di settembre di quell'anno, Olp e governo israeliano approvarono i progetti dell'accordo di pace e, il 13 settembre, a Washington, alla presenza del presidente degli Stati Uniti Clinton fu sottoscritta, da parte del premier israeliano Yitzhak Rabin e di Arafat, la dichiarazione di principio dell'accordo.
Successivamente anche i rispettivi organi parlamentari, prima la Knesset, poi il consiglio nazionale palestinese, ratificarono d'accordo. Superate alcune questioni procedurali e di dettaglio, sembrava che il processo di pace fosse ben avviato quando, il 25 febbraio, un estremista ebraico, Baruch Goldstein, compì una strage di 30 fedeli islamici a Hebron; quest'attentato fu seguito da altre due azioni terroristiche contro gli ebrei, compiute dal movimento integralista islamico Hamas.
Tuttavia il Protocollo riguardante i rapporti economici venne siglato il 29 aprile e il 17 maggio del 1994 fu attuato il trasferimento di autorità tra Israele e l'autorità nazionale palestinese nella striscia di Gaza e a Gerico. Il 17 ottobre fu firmato lo storico accordo di pace tra re Hussein di Giordania e Rabin, mentre il 2 novembre prese l'avvio la conferenza economica del Medio Oriente e del Nord Africa a Casablanca.
Il 1995 vide invece una recrudescenza degli attentati terroristici degli intransigenti delle due parti, e cioè Hamas e la Jihad islamica da una parte e i partiti estremisti degli ebrei ultraortodossi, come il Kach e il Kahane-hai, dall’altra. Nonostante l'accordo di Taba che regolava i termini del ritiro delle truppe israeliane dai più importanti centri della Cisgiordania, il 1995 si concludeva, il 4 novembre, con l'assassinio di Rabin, l'eroe della guerra dei sei giorni che aveva avuto il coraggio di tendere la mano ai nemici di ieri, ad opera di Ygal Amir, un estremista ebraico ultraortodosso.

E proprio l'impasse creato dagli intransigenti determinò la sconfitta del partito laburista alle elezioni del 1996, con la vittoria di una coalizione del Likud con altri partiti di destra. Vi era infatti la necessità per Israele, per accettare il processo di pace e le sue conseguenze, di ripensare alcuni elementi della sua identità, ad esempio il sionismo, di fronte alla presenza cospicua degli arabo-israeliani. Era evidente poi una serie di timori negli israeliani verso problemi rappresentati dal ruolo della Siria di Assad e degli Hezbollah nel Libano, oppure delle potenzialità terroristiche dei movimenti islamici integralisti palestinesi come la Jihad o Hamas, contrapposti alla ANP o all'Olp i quali hanno ormai accettato la coesistenza con lo Stato ebraico.
Anche la società palestinese aveva i suoi problemi: prima di tutto abbandonare la logica dell'annientamento di Israele che ancora anima le sue componenti estremistiche, poi la questione della democratizzazione della società, con l'abbandono dell'autoritarismo che contraddistingue la linea di Fatah e di Arafat. Il 20 gennaio 1996 Arafat venne eletto presidente dell'Autorità provvisoria, con una maggioranza schiacciante sul suo competitore, Samiba Khalid. Ma ormai la forza della sua leadership sul popolo era molto diminuita perché la corruzione e il clientelismo avevano allontanato da Fatah molti palestinesi che si rivolgevano piuttosto all'apatìa politica o ai movimenti integralisti. D'altra parte in Israele gli aspetti più moderni della società erano spesso messi in scacco dal tradizionalismo della minoranza religiosa o dell’ultradestra che guardavano (e guardano) ai coloni degli insediamenti.

Nel 1998 il Presidente Clinton spinse i due leader (Arafat e Netanyahu) a un ulteriore tornata di negoziati il cui frutto fu un memorandum che servì da base, nel 2000, a un'ulteriore trattativa tra Arafat e il nuovo premier laburista Ehud Barak. Nell'incontro, che si tenne tra il 12 e il 26 luglio, con la mediazione del presidente Clinton assistito dal Segretario di Stato Madeleine Albright, Barak propose ad Arafat la cessione di Gaza e prima dell'88%, poi del 90% della Cisgiordania. La trattativa però si arenò sulla questione di Gerusalemme: Barak proposte che la Spianata delle Moschee fosse posta sotto il controllo congiunto dell'Onu, del Marocco (Presidente permanente della "commissione su Gerusalemme" degli Stati islamici) e dell'ANP, mentre Arafat rifiutò. Ciò destò grande clamore nel mondo dato che si trattava dell'offerta più generosa fatta da Israele nel corso della sua storia.
Arafat, preoccupato dell'opinione del mondo arabo, non voleva "svendere" i luoghi sacri dell'Islam: su Gerusalemme si concentravano tutte le visioni metastoriche, geopolitiche, religiose e simboliche delle due parti e non fu possibile raggiungere un accordo. I negoziati si trascinavano stancamente finché la "visita" di Ariel Sharon, il 28 settembre, alla Spianata delle Moschee non fece scoppiare la seconda intifada.
I tentativi di iniziare altre tornate di negoziati, soprattutto sotto la spinta americana, non mancarono ma, dato che la rivolta indicava che la popolazione e i leaders palestinesi - anche quelli, come Marwan Barghuti che provenivano dai quadri di Fatah - avevano scelto di affidare la realizzazione dell'indipendenza palestinese all'esito dello scontro. Vi era un atteggiamento simile, per reazione, anche nella società israeliana, così che le elezioni del febbraio 2001 dettero come vincitore Ariel Sharon, divenuto leader del Likud, il quale non voleva e non poteva più ripetere le aperture del laburista Barak: Arafat è il popolo palestinese avevano perso un'occasione storica.

Dopo l'11 settembre
La nuova fase delle relazioni internazionali degli assetti geopolitici globali si manifestò nel conflitto Israelo-Palestinese come un periodo caratterizzato dal rifiuto di ogni approccio negoziale: prevalse la brutale logica dei rapporti di forza in cui, naturalmente, i palestinesi erano gli eterni perdenti. L'assassinio del ministro israeliano del turismo Rahavam Zevi, da parte del gruppo storico FPLP di George Habbash, condusse a una spirale di violenza in cui Israele, usando tutti i mezzi bellici a sua disposizione, colpì i centri di potere dell'ANP, ritenuta responsabile della copertura offerta alle frange estremistiche, fino ad arrivare all'isolamento coatto del quartier generale di Arafat nel dicembre del 2001. In questa congiuntura si manifestò allora con grande violenza la mancanza di progettualità politica di Arafat e dell'Olp, che non seppero opporre nessuna alternativa diplomatica all'uso indiscriminato della forza da parte del governo Sharon.

La Road Map
Lo stallo provocato dalle violenze reciproche fu alfine sbloccato da una iniziativa diplomatica dovuta al cosiddetto quartetto (USA, Europa, Russia e Onu). Il documento proposto presentava tre fasi:
1) il riconoscimento del diritto di Israele alla pace e alla sicurezza da parte dell'ANP, unito all'impegno a combattere il terrorismo con la repressione delle cellule estremistiche. L’ANP avrebbe poi adottato una costituzione a regime parlamentare, e si sarebbero indette elezioni libere aperte a Gaza e in Cisgiordania. Israele non avrebbe interferito e nello stesso tempo si sarebbe impegnato a normalizzare la vita dei palestinesi.
2) La seconda fase, successiva alle elezioni, sarebbe stata la costituzione di uno Stato palestinese provvisorio, che sarebbe stato annesso alle Nazioni Unite dal Quartetto, e l'indizione di una conferenza internazionale per risolvere i problemi dell'area.
3) La terza fase, infine, avrebbe visto il consolidamento delle istituzioni e dei confini dello Stato palestinese insieme con una nuova conferenza che avrebbe esaminato i problemi degli insediamenti ebraici, lo status di Gerusalemme e dei profughi palestinesi.
Tuttavia, anche questo piano fu disatteso a causa della sempre concomitante dinamica degli attentati delle cellule terroristiche e della rappresaglia da parte dell'IDF. Oltretutto, mentre il governo palestinese -presieduto dal moderato Abu Mazen - era più l'espressione di un equilibrio tra apparati burocratici e militari e non rappresentativo degli equilibri interni della società palestinese, il governo Sharon non era più interessato alla sicurezza immediata che a un progetto a lungo termine che assicurasse la pace.

L'ascesa politica di Hamas e la morte di Arafat
Questa logica, da parte dell'esecutivo israeliano rafforzò il peso dell'idea di afradà ovvero di separazione -in ebraico - come unico modo per raggiungere lo scopo di bloccare gli attentati suicidi di matrice islamica. Ariel Sharon riprese così un'idea, non della destra ultranazionalista, ma propugnata anni addietro da esponenti della sinistra riformista, e cioè l'erezione di una barriera che fermasse l'infiltrazione di nuovi kamikaze dai territori occupati. Bisogna dire che il "muro", cioè il complesso di sbarramenti, sensori elettronici, fortificazioni e unità militari, ha effettivamente raggiunto lo scopo. L'altro aspetto della politica di Sharon, a cui corrispose l'inerzia diplomatica di Arafat, fu il Piano unilaterale di ritiro da Gaza e dal 54% della Cisgiordania, concordata con il presidente USA George W. Bush nel 2004: tale documento, in cui le concessioni ai palestinesi sono nettamente inferiori a quelle avanzate da Barak negli anni precedenti, riprende l'ideale di Erez Israel (Grande Israele) caro ai nazionalisti. Tale piano, nella mente di Sharon e degli alti dirigenti del Likud, si inserisce perfettamente nel quadro della guerra globale al terrorismo inaugurata dallo stesso Bush con l'attacco all'Afghanistan.
Di fronte a queste iniziative avversarie Arafat negli ultimi anni della sua vita, rispose con una politica confusa, ambigua, caratterizzata dall'accentramento del potere, dalla corruzione, dall'approccio clientelare, che non poteva certo competere con il messaggio offerto con il furore rivoluzionario e le promesse escatologiche di un Ahmed Yassin, leader di Hamas o con gli appelli alla guerra santa della Jihad islamica. Si è così determinata una islamizzazione della politica palestinese, che ha favorito soprattutto Hamas; questo movimento ha saputo muoversi molto efficacemente ed è ora il primo partito palestinese, grazie anche all'efficace "Stato sociale" che è molto più vicino agli abitanti di Cisgiordania e Gaza dell'autoreferenziale ANP. In questo panorama di fallimento e involuzione politica, si colloca la morte di Arafat avvenuta il 12 novembre del 2004. Con lui muore il nazionalismo palestinese per far posto al radicalismo islamico.



BIBLIOGRAFIA
    R. Stefoff, Arafat - Targa Italiana, Milano 1989
  • G. Codovini, Storia del conflitto arabo israeliano palestinese - Bruno Mondadori, Milano 2007
  • G. Lannutti, E. Polito, Yasser Arafat. Una vita per la Palestina – Edizioni Allegre, 2004
  • B. Rubin, J.R. Colp, Arafat. L'uomo che non volle la pace – Mondadori, Milano 2005
  • http://it.wikipedia.org, voce“Arafat, Yasser”