Regista di grandissimo talento artistico, nei suoi films
Orson Welles frustò i vizii dell'american way of life

LA BESTIA NERA
DEL CONFORMISMO
STATUNITENSE

di CARLO SANGALLI
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Il manifesto di uno dei più
famosi film di Orson Welles
Un giorno François Truffaut disse: "Appartengo a quella generazione di cineasti che hanno deciso di fare film vedendo Quarto Potere". Truffaut è soltanto uno, benché tra i più illustri, degli innumerevoli estimatori di Orson Welles, il grande regista americano. E' difficile trovare un'altra figura così eclettica e contemporaneamente significativa in diversi campi: Welles è stato l'autore di uno dei film più importanti della storia del cinema (per molti il più bello del secolo) vale a dire Quarto Potere, ha creato il panico in tutta l'America descrivendo l'invasione dei marziani, ha svolto un ruolo importante nel dibattito politico interno degli USA durante e dopo la Seconda Guerra mondiale, ha allestito spettacoli teatrali di grande successo e incisività; inoltre ha sposato Rita Hayworth, cosa che non aggiunge molto alla sua arte, ma sicuramente gli ha procurato molte invidie. Orson Welles nacque in una piccola città del Wisconsin nel 1915, ma quando aveva solo sei anni i suoi genitori divorziarono e lui si trasferì con la madre, Beatrice Ives, a Chicago. Diventò subito un prodigio nel suonare il violino e si segnalò ben presto a parenti ed insegnanti per la sua straordinaria intelligenza; ma tre anni dopo il trasloco nel Michigan morì sua madre e lo shock fu tale che decise di non toccare più uno strumento musicale, forse perché vederlo diventare un grande musicista era il sogno di sua madre che in vita era stata una concertista di discreto successo. I biografi di Orson Welles sono tutti concordi nell'affermare che se non si fosse verificato quel tragico lutto oggi non si parlerebbe di lui come di un grande regista, ma come uno dei migliori violinisti di tutti i tempi: pare infatti che quel bambino avesse delle doti musicali fuori dal comune. Il giovane Orson passò allora alle cure del padre, una figura molto originale, un giramondo che lavorava saltuariamente e che ben presto intrecciò una relazione deleteria con la bottiglia di gin. A sedici anni il futuro regista aveva girato quasi tutto il mondo guadagnandone in esperienze singolari, ma perdendone in salute (era un bambino gracile e malaticcio) ed in educazione. Fu sempre trattato come un adulto, ma fisicamente era una specie di mostriciattolo con un fisico e un talento cresciuti troppo in fretta: prima del 1930 aveva già compiuto uno studio su Nietzsche, incontrato il famoso mago Houdini entrando abbastanza in confidenza con lui e allestito i suoi primi spettacoli teatrali. Insomma l'eclettismo che contraddistinse tutta la sua carriera già si manifestava.
Questo strano ragazzino non passò inosservato, fu infatti oggetto di studio da parte di psicologi infantili e attirò l'attenzione di alcuni reporter a caccia di notizie grottesche; le tracce di questa attenzione nei confronti del ragazzo di Chicago sono per la verità scarse, ma è curioso notare come tra coloro che si occuparono del suo caso nessuno avrebbe scommesso, per lui, su un così radioso futuro. Nel 1928 Welles passò sotto la tutela di Maurice Bernstein, un medico di Chicago che aveva lasciato la moglie per un soprano (come farà Charles Kane in Quarto Potere), e finalmente si trovò ad avere a che fare con qualcuno che comprese le sue straordinarie potenzialità e lo iscrisse ad una scuola particolarmente qualificata, la Todd School di Woodstock, dove poté ampliare la sua cultura e acquisì una buona preparazione che gli servì come base per il suo imminente successo. A diciotto anni decise che la sua strada sarebbe stata quella del mondo dello spettacolo e si trasferì in Gran Bretagna per cercare di lavorare nel teatro della nazione che del teatro era la culla. Il tutore lo aveva mandato in Irlanda per stimolare il suo estro pittorico, ma Welles ottenne una scrittura al Gate Theatre di Dublino per lo spettacolo Süss l'ebreo. La sua interpretazione non passò inosservata, ma non fece neanche abbastanza scalpore da procurargli altre parti e il conseguente permesso di soggiorno, per i prestigiosi teatri londinesi. Dovette allora tornarsene in America, ma aveva finalmente deciso qual era la sua strada. Da allora in poi il suo successo fu tanto repentino quanto inarrestabile. Forte della sua esperienza britannica trovò facilmente il modo di entrare a far parte del teatro newyorchese e qui il suo successo fu immediato. Insieme all'amico Housemann fondò il Mercury Group, una compagnia teatrale che si segnalò ben presto alla critica per la sua forza espressiva e per il particolare approccio alle opere classiche.
Presto la compagnia si allargò fino a comprendere trentaquattro elementi e rilevò una sala di Broadway; l'inaugurazione del teatro fu annunciata a caratteri cubitali dal Times e Welles in un'intervista chiarì qual era il loro obiettivo: "Un teatro che non abbia coscienza sociale sarebbe inconcepibile." Erano gli anni Trenta, il periodo delle riforme sociali attuate con il New Deal, era dunque normale in quell'epoca che le rappresentazioni teatrali avessero un tono didattico. Ma Orson Welles non avrebbe mai accettato di inserirsi in un filone senza aggiungervi il suo tocco di originalità; e l'originalità fece il suo ingresso in maniera dirompente con un'opera che in teoria non lasciava grandi spazi a chi volesse rappresentarla: il Giulio Cesare di Shakespeare. Il Mercury Group decise di ambientare l'opera in epoca moderna, l'adattamento del testo era al contempo originalissimo e fedele alle intenzioni dell'autore e la regia di Welles divenne una delle pagine più importanti del teatro moderno. Il successo fu enorme, la critica recensì trionfalmente lo spettacolo e naturalmente buona parte del merito veniva riconosciuta al suo giovane e rivoluzionario regista. In particolare quello che più colpì l'opinione pubblica era il fatto che la trasposizione in abiti moderni del testo suggeriva un sinistro parallelismo tra la Roma imperiale di Cesare e l'inarrestabile ascesa del fascismo in Europa.
Welles, che era molto vicino alle posizioni della sinistra, fu sospettato di connivenze con ogni schieramento politico esistente, ma l'unica accusa che si sentì di controbattere era quella di sostenitore del nazismo e dell'antiliberalismo. Tale supposizione nasceva dal fatto che il suo Giulio Cesare era un personaggio di grande carisma e intelligenza, ma Welles fece notare che Bruto era e rimaneva un grande uomo e che la sua grandezza usciva esaltata dal confronto con un antagonista di grande spessore quale era il suo imperatore. Comunque di Orson Welles parlava ormai tutta l'America e questo gli valse, oltre alla fama, un buon contratto con la compagnia radiofonica CBS. Il suo compito era quello di rivitalizzare un genere che in quel periodo conosceva una crisi da cui non si sarebbe più ripreso: il radiodramma. Ma la CBS non aveva a che fare con un personaggio che accettava di stare agli ordini e di svolgere diligentemente il "compitino"; e ben presto se ne rese conto. Dopo aver ottenuto un discreto successo proponendo il suo adattamento radiofonico di alcuni classici quali Amleto e L'isola del tesoro Welles decise che era giunto il momento di mostrare al mondo quali potenzialità avesse un mezzo di comunicazione di massa come la radio; era pronto per trasmettere il più famoso spettacolo radiofonico della storia: War of the World (la Guerra dei mondi). Era la mattina del 31 ottobre 1938 e gli Usa dovevano prepararsi ad una giornata decisamente fuori dal normale. Molti sapranno che in quell'occasione Welles descrisse in diretta un immaginario sbarco dei marziani a New York, ma non è chiaro se il suo autore fosse consapevole di ciò che avrebbe causato. In realtà l'idea era soltanto quella di adattare il romanzo di fantascienza di H.G. Wells intitolato, appunto, la Guerra dei mondi, ma la forma scelta per metterlo in pratica si rivelò talmente efficace che creò il panico tra tutti gli ascoltatori.
Welles aveva scelto di iniziare la narrazione interrompendo un programma musicale e cominciando a descrivere gli eventi come se si trattasse di una radiocronaca in diretta; il realismo era assicurato, oltre che dalle sue doti recitative, dalla frequenza disturbata e dal fatto che ogni tanto il segnale sembrava cadere. Tutta la prima parte del programma era strutturata sotto forma di notiziario, poi, a metà circa, subentrava la voce, di certo nota agli americani, del reporter Ray Collins, che fingeva di descrivere dalla sede della radio , in Times Square, la distruzione di New York concludendo il suo intervento morendo sul microfono. Seguivano alcuni secondi di confusione interrotti da un radioamatore che interveniva chiedendo con voce allarmata: "C'è qualcuno in ascolto?" In seguito ancora silenzio fino a che un annunciatore della CBS dava il segnale di fine delle trasmissioni. La leggenda vuole che Orson Welles sia stato indeciso fino all'ultimo sulla messa in onda dello spettacolo perché non era per nulla convinto dell'effettiva riuscita della drammatizzazione, anzi quanti avevano preso parte alla realizzazione del programma lo avevano giudicato abbastanza sciocco, ma War of the World andò in onda e la reazione del pubblico fu isterica. Ancora a sera c'era gente terrorizzata che cercava di fuggire, chissà poi dove, dall'imminente fine del mondo, furono tenute cerimonie religiose per scongiurare l'imminente distruzione, le strade erano intasate e da costa a costa il terrore serpeggiava tra la popolazione.
Per fortuna non si registrarono morti né feriti gravi, anche se le scene di isterismo collettivo registrate in quell'occasione furono moltissime; ma da quel momento in poi tutti divennero consapevoli di quali possibilità offrivano i mezzi di comunicazione di massa. Lo stesso Welles che lo aveva capito prima di tutti dichiarò alla stampa: "La radio è una macchina
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Orson Welles era un attore
di intensa capacità espressiva
democratica e popolare per diffondere informazione e divertimento." Il grande clamore suscitato dalla Guerra dei mondi in definitiva non procurò a Welles alcuna denuncia, ma gli diede fama mondiale. Inutile dire che a questo punto Hollywood non poteva lasciarsi sfuggire un personaggio così creativo; in effetti, pochi giorni dopo la trasmissione cominciarono ad arrivargli proposte di lavoro dalle più famose majors americane, ma Welles, nonostante all'epoca avesse solo ventitré anni e non navigasse nell'oro, non si fece ingolosire più di tanto dai ricchi contratti offertigli, badando soprattutto alla qualità dei progetti prospettatigli. Pochi mesi dopo decise di essere pronto per entrare a far parte del mondo del cinema e scelse di legarsi ad una casa di produzione, la RKO, che non aveva il potere e la ricchezza di altre più famose, come la Warner o la MGM, ma che si contraddistingueva per l'originalità del suo prodotto e per la grande libertà che lasciava ai registi nel costruire i propri film. Questa scelta merita di essere analizzata perché non è certamente da tutti rinunciare a molti soldi (benché anche la RKO pagasse Welles una cifra considerevole per il suo lavoro), in favore della libertà di espressione e di azione, e soprattutto ciò stupisce in un ragazzo, non ricco, che ancora non aveva mai girato un film; in pratica nel momento in cui Orson Welles si accostò ad Hollywood scommise sul suo talento. E vinse. La RKO lo incaricò di portare sullo schermo la capacità e la fantasia dimostrati alla radio e ancor prima in teatro, ma è evidente come un compito apparentemente semplice fosse complicato dal grande successo riscosso da Orson Welles nei suoi precedenti lavori. In pratica pur essendo agli esordi nel cinema intorno a lui si era già creata un'attesa che poteva risultare opprimente. E in effetti gli inizi non furono dei più semplici: i primi progetti da lui presentati alla casa di produzione furono bocciati; il direttore di produzione, George Schaefer, puntava molto su Welles, era lui che lo aveva voluto a tutti i costi nella sua "scuderia" di autori, ma non gli diede del tutto carta bianca. In effetti la RKO non aveva una mai avuto grandi attori o registi alle sue dipendenze, ma piuttosto aveva sempre puntato sulla forza delle sceneggiature e dei suoi tecnici degli effetti speciali (aveva per esempio prodotto il Biancaneve di Walt Disney); era dunque un'eccezione la scommessa fatta per quella giovane stella della radio, ed era soprattutto una scommessa dello stesso Schaefer che aveva sfidato il parere contrario di alcuni dei principali azionisti della Major, tra i quali un certo Rockefeller. Welles non era certamente ignaro di ciò ed era riconoscente a Schaefer, non se la prese dunque più di tanto quando si vide bocciati tutti i suoi progetti per i primi tre anni.
Stava prendendo confidenza con un mondo per lui nuovo, ma non perse mai la convinzione di poter diventare un autore in grado di fare un film all'anno in grado di incassare molto, come gli era stato chiesto dalla produzione; d'altro canto non era certo lui il personaggio cui si poteva chiedere di trascurare la qualità in nome delle esigenze del botteghino. Nei primi tre anni di permanenza alla RKO Welles propose tre diverse sceneggiature che non gli furono accettate, ma il quarto tentativo, nel 1941, fu quello buono: il film da realizzare si chiamava Citizen Kane (in Italia uscì con il titolo Quarto potere). Quarto potere è un film straordinario e innovativo sul quale si sono versati fiumi di inchiostro e per chi scrive è difficile parlarne nel poco spazio che ha a disposizione. Per questo motivo ho fatto una scelta degli argomenti da trattare inevitabilmente incompleta e riduttiva, me ne scuso in anticipo, sperando comunque di riuscire ad interessare il lettore. Il film, che alterna la cronaca degli avvenimenti con lunghi flash back, narra la storia di un giornalista che deve indagare sulla vita del magnate americano Charles Kane per trovare qualcosa di insolito da raccontare nel cinegiornale che deve dare la notizia della sua morte.
Piano piano scopriamo che Kane, interpretato dallo stesso Welles, era un personaggio di un cinismo pari soltanto al suo senso per gli affari, che però proprio in punto di morte sembrava aver concesso qualcosa al sentimentalismo: infatti il suo ultimo pensiero prima di morire andrà alla misteriosa Rosebud. Da qui il reporter partirà in una progressiva rivisitazione della vita di Kane per cercare di scoprire chi fosse questa Rosebud, senza riuscirvi; solo nell'ultima inquadratura il pubblico vedrà bruciare le cose appartenute al magnate e tra queste la slitta con cui giocava da bambino, con scritto sopra "Rosebud".
Curiosamente nel doppiaggio italiano Rosebud è stato tradotto con Rosabella, per cui quando lo spettatore vede la scritta sulla slitta non arriva a capire che quello era l'oggetto attorno a cui ruotava tutto il film (a onor del vero è stato in seguito aggiunto un sottotitolo che rimedia all'errore, sia pure in maniera un po' goffa). Citizen Kane è importante nella storia del cinema per moltissimi motivi, ma forse il principale è l'uso originale della macchina da presa che faceva Welles; gli spunti in questo senso sono moltissimi, ma temo che una loro approfondita trattazione possa risultare noiosa al lettore. In compenso ci sono molti altri aspetti che meritano di essere notati, alcuni divertenti ed altri più seri. Per esempio è curioso che le prime parole pronunciate da Welles su uno schermo cinematografico, peraltro nella stessa scena in cui muore invocando Rosebud, siano queste: "Non prendete alla lettera quello che sentite dire alla radio". E' chiaro il richiamo al caos scatenato con la Guerra dei mondi. Il protagonista del film è molto poco velatamente ispirato al miliardario americano William Hearst, il quale non fu per niente felice dell'accostamento e utilizzò tutti i mezzi a sua disposizione per boicottare il film. In effetti i punti di contatto tra le due figure sono molti, per esempio la residenza di Kane, chiamata Xanadu, è opulenta e barocca come la villa di Hearst; anche il raggio d'azione dei due coincide, il mondo della stampa con le sue inevitabili connotazioni politiche. Ma quello che il presunto bersaglio del film non capì è che Welles appare più partecipe che violentemente critico nei confronti del suo protagonista.
Quarto potere racconta innanzitutto la vita privata di Kane, ci mostra la genesi della sua "cattiveria", che va fatta risalire all'abbandono da parte della madre ed alle difficili condizioni della sua infanzia; le allusioni politiche ci sono, ma rimangono sullo sfondo rispetto alla ricerca di Rosebud, che finisce per rendere Kane un tragico fallimento, piuttosto che una minaccia vivente. Nel complesso ne esce un personaggio assetato di potere, ma che al contempo soffre come tutti ed è vittima della società liberista ed eccessiva più di molti altri. Il fatto è che per la prima volta un film critico nei confronti della società ha un bersaglio, seppur sfumato, ben preciso, e per sfortuna di Welles questo bersaglio era un demagogo postfascista che era vivo e vegeto ed esercitava un enorme potere sia su Hollywood, sia sulla stampa (se qualcuno pensa a Berlusconi io non glielo proibisco). Il settimanale Variety un giorno ebbe modo di scrivere: "Ogni volta che i giornali di Hearst decidono di sostenere un film gli incassi vanno alle stelle". E questa volta Hearst aveva deciso che il film andava ostacolato. Si dice che abbia mandato una lettera al giornalista John Chapman dicendo che chiunque ammirasse quel film doveva essere ritenuto un traditore comunista e non un vero americano. Citizen Kane per questo motivo incontrò anche notevoli problemi di distribuzione, ma alla lunga la qualità prevalse sui giochi di potere e riuscì a diventare un ottimo successo sia di critica, almeno per quella parte che non era controllata da Hearst, che di pubblico. Nel 1941 Welles aveva ventisei anni e il suo successo era già giunto a livelli sorprendenti per un ragazzo di quell'età. Purtroppo però era inevitabile che una fama così folgorante gli procurasse delle inimicizie, a maggior ragione per un personaggio che non risparmiava critiche, anche feroci, nei confronti dell'establishment. Quarto potere era una feroce denuncia del potere dei media, indipendentemente da Hearst, in un periodo in cui ancora il problema dell'influenza di questi sull'opinione pubblica ancora non era emerso.
I produttori di Hollywood apprezzarono il film, ma furono concordi nell'affermare che non si poteva più concedere a Welles tutta la libertà che gli aveva lasciato la RKO. Inoltre il regista cominciò a partecipare attivamente alla politica del paese, appoggiò in prima persona la quarta rielezione di F. D. Roosvelt, elogiò la svolta economica inaugurata con il New Deal, intervenne nel dibattito sull'eventualità di un ingresso dell'America in guerra sostenendo che essa rappresentava la battaglia dell'uomo comune contro il mostro fascista: insomma non fece nulla per accaparrarsi le simpatie dei potenti. Nel 1942 esce il suo secondo film, L'orgoglio degli Amberson, la saga di una famiglia di grandi tradizioni del Midwest americano che conosce un rapido declino nel periodo dello sfrenato liberismo economico; loro antagonista è un altro spietato imprenditore, Eugene Morgan, che si arricchisce in modo tanto veloce quanto discutibile e che è innamorato della figlia di George Amberson, Isabel. L'anziano George nonostante le sue condizioni peggiorino sempre più non acconsentirà mai ad un matrimonio pur vantaggioso dal punto di vista economico, rimanendo ancorato ai valori della tradizione e dell'onestà. Inutile dire che anche questo film non piacque a molti personaggi influenti, ma a differenza di Quarto potere non era un capolavoro e fu accolto con freddezza nelle sale.
Era il primo fiasco di Orson Welles, quello che tutti aspettavano e le sue conseguenze non tardarono a farsi sentire: la RKO licenziò il suo direttore Schaefer, le critiche nei confronti del regista si fecero ferocissime in pratica Welles fu linciato da quasi tutta la stampa e perse tutto il prestigio che aveva accumulato. Il successo di Orson Welles non tornerà più ai fasti di un tempo, la sua casa di produzione gli metterà continuamente i bastoni tra le ruote e lui dovrà continuamente ridimensionare i
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Nei panni di Otello Welles fece una delle
sue più grandi e suggestive interpretazioni
suoi progetti. Per comprendere la situazione in cui si trovava basti pensare che l'unico altro film per il quale gli fu concesso un budget importante è stato La signora di Shangay (1946), ma tale apertura di credito gli fu concessa perché protagonista del film era Rita Hayworth, cioè sua moglie, che all'epoca era il personaggio femminile più in vista del cinema americano. Ma anche questo film fu un insuccesso e per Welles lavorare diveniva sempre più difficile. La situazione peggiorò ulteriormente dopo la guerra; presidente americano divenne Henry Truman, repubblicano ed iperconservatore, iniziò la guerra fredda e Welles denunciò dalle pagine del New York Post come il nemico fascista fosse stato semplicemente sostituito dal pericolo rosso, era convinto che gli Usa avessero perso un'ottima occasione per estendere in tutto il mondo il modello democratico. Da anni lavorava ad un documentario sull'America Latina, uscito postumo con il titolo di It's all true, e questo gli permise di vivere da vicino le lotte di potere che agitavano quel continente. Si rese conto che c'era grande disparità tra gli ideali proclamati dall'America e la loro effettiva attuazione, denunciò l'appoggio del suo paese ai vari dittatori sudamericani e a Francisco Franco e il razzismo neanche troppo latente che si manifestava nel paese. Ma ben presto dovette rendersi conto che combatteva contro i mulini a vento (in effetti tra i suoi progetti non concretizzati di quel tempo c'è una versione cinematografica del Don Chisciotte). Nel cinema aveva potuto realizzare soltanto un film tratto da Shakespeare, Macbeth (1948), scegliendo di fare dire al grande drammaturgo inglese quello che lui pensava, perché evidentemente ormai aveva le mani legate. Il film era molto bello, la critica lo accolse abbastanza bene, ma il pubblico rimase ancora una volta piuttosto freddo. A questo punto la scelta di Welles non poteva essere che una, abbandonare l'America e trasferirsi in Europa dove si faceva ancora del cinema di qualità; venne in Italia dove nel 1952 girò un altro adattamento di un'opera di Shakespeare, l'Amleto, dimostrando ancora una volta la sua maestria tecnica; poi in Inghilterra gli fu finalmente data la possibilità di girare un film basato su una sceneggiatura da lui scritta, Rapporto confidenziale (1955), ed il successo tornò ad arridergli. Va precisato che entrambi questi film non furono distribuiti in America se non negli anni Sessanta, ma la loro eco presso gli addetti ai lavori si fece sentire e gli fu concesso, a dieci anni di distanza dal suo ultimo film ad Hollywood, di tornare a girare in patria. Welles accolse la notizia con grande entusiasmo e si gettò a capofitto nel lavoro per completare la sua rivincita: il prodotto di questo impegno fu un ottimo film, L'infernale Quinlan, che doveva consentirgli di rappacificarsi con il pubblico americano. Protagonista era un altro personaggio mefistofelico, simile al grande Charlie Kane e ancora una volta interpretato da lui stesso. Si trattava di un thriller avventuroso e carico di suspense, dove tornava la feroce critica sociale che caratterizzò tutta la carriera di Orson Welles; ma la Universal, che aveva prodotto la pellicola, in quel periodo si trovava a navigare in pessime acque, il film uscì senza alcuna pubblicità e la critica, che evidentemente non aveva scordato i vecchi pregiudizi, lo bocciò sonoramente... insomma fu un altro flop. Da allora e per circa altri quindici anni Orson Welles continuò a fare cinema accontentandosi dei pochi mezzi, sia tecnici che economici, che gli venivano concessi; più di una volta iniziò le riprese di un film sapendo che non aveva i soldi per finirlo e nella sua filmografia si contano ancora una decina di lavori, alcuni dei quali incompleti, ma bisogna ammettere che non c'è grande traccia del giovane genio che aveva folgorato il mondo agli inizi degli anni quaranta. Col passare del tempo per Welles lavorare divenne sempre più difficile e negli anni settanta si ritirò definitivamente dalle scene. Orson Welles è morto nel 1985 ma il suo successo continua. Soprattutto per l'attualità dei suoi film.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Orson Welles, ovvero la magia del cinema, di James Naremore - Ed. Marsilio, Venezia 1989
  • Orson Welles, di Claudio Valentinetti - Ed. Il Castoro, Pavia 1993
  • Il favoloso Orson Welles, di Peter Noble - Ed. Mondadori, Milano 1956


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