Un' abile beffa, un equivoco, una mattana
dei Beatles? L'enigmatica storia
della morte del vivissimo McCartney

JOHN LENNON DISSE:
"HO SEPOLTO PAUL"


di FERRUCCIO GATTUSO
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I Beatles nel pieno della loro carriera. Fino
ad oggi più di mezzo miliardo di dischi venduti
I Beatles, la parabola perfetta di un decennio unico. Più di mezzo miliardo di dischi venduti nel mondo, ancora oggi. A trentotto anni dall'uscita del loro primo 45 giri (Love Me Do, 1962), a trenta dal loro scioglimento. In quel lontano 1970, infatti, sembrò che il mondo della musica popolare non sarebbe stato più lo stesso senza di loro, ma non passò molto tempo per capire che, in realtà, l'incredibile, irripetibile favola dei Beatles non era finita. Che non sarebbe mai finita. Ci sono quindi le cifre, per testimoniare l'unicità di un fenomeno musicale sorprendente, ma non solo quelle. Non staremo qui a ricordare - per l'ennesima volta - come e perché i Beatles rivoluzionarono un'epoca, non solo nella musica, ma anche nel costume. Quel che ci preme dire è che, in quel gruppo musicale venuto dal Nulla (perché Liverpool, allora, era realmente il nulla più assoluto: città in decadenza, un tempo lontano porto tra i più importanti del commercio marittimo, ora grigio centro del nord dell'Inghilterra, ricettacolo di delinquenza, piagata dalla disoccupazione) un'intera società, volente o nolente, si rispecchiò e si riconobbe. I Beatles e gli anni sessanta si portarono per mano per otto lunghi anni, cambiando insieme, esaltandosi insieme, deludendo insieme.
E a tutti, non solo i giovani, ma anche le generazioni più vecchie, i Beatles sembrarono sempre un involontario punto di riferimento: una "palla di vetro" in cui sbirciare, magari di nascosto, dove sarebbe andato il mondo in quegli anni turbinosi, drammaticamente diversi l'uno dall'altro, in quella folle corsa di ottimismo che forse solo la Belle Epoque di inizio secolo poteva ricordare. Quei quattro ragazzi inglesi, imbracciando le loro chitarre, giocando con la musica e trasformandosi in inconsci poeti di qualcosa mai sentito prima, sembravano i profeti laici di un pezzo della nostra storia. I Beatles anticipavano, sempre. E diventavano una sorta di "magico" paradigma. I Beatles, per qualche strano incantesimo, vivevano in una dimensione parallela alla nostra, ma che, per qualche errore (o scelta divina?) di sincronizzazione, scorreva qualche minuto prima. E fu quando, nel 1969, apparve sulla scena la cupa leggenda della supposta morte di Paul McCartney (un insolito e indubbiamente risibile fatto di cronaca ingigantito dai media dell'epoca, perché tutto ciò che riguardava i Beatles faceva notizia, era copie vendute, e programmi televisivi divorati dal pubblico) che il mondo avrebbe dovuto intuire l'inevitabile. Dietro l'angolo, al giro di boa del decennio dell'Ottimismo, c'era la Fine del Sogno. Non più l'irruenza "salvifica" delle novità, superficiali ma stimolanti, del recente passato: la minigonna, la musica pop, la macchina e il motorino a portata di portafoglio, il pacifismo un po' inebetito dai fumi della marijuana dei "figli dei fiori".
Ma le ruvidità sociali e ideologiche di un decennio più cupo, gli anni settanta, dove tutto sarebbe diventato dannatamente più serio o, come si usava dire, "impegnato". Qualcosa nell'aria cambiò, e gli stessi ragazzi (o i loro immediati eredi) che parlavano di "pace, amore e musica", cominciarono a scandire inni a personaggi non proprio filantropici come Ho Chi Min, o ad agitare il libretto rosso di Mao, tra le cui pagine si parlava di rivoluzioni che passavano "attraverso la canna di un fucile". Se si voleva correre con la fantasia - in fondo, l'arma principale e micidiale dei Beatles - allora si poteva spiegare tutto così: la "palla di vetro" si era infranta, uno dei quattro Beatles era morto, era stato sostituito da un "impostore", un sosia. E se l'Icona dell'ottimismo di un decennio stava per sbiadire i propri colori, allora l'incantesimo sarebbe finito. E così fu: ci risvegliammo, tornammo alla dura realtà. Il grande chitarrista rock Jimi Hendrix moriva per overdose, soffocato dal proprio vomito, la voce roca e struggente di Janis Joplin si spegneva per lo stesso veleno, il poeta rock cantante dei Doors Jim Morrison faceva la stessa fine. Il Rock e la Morte cominciarono a scandire una danza macabra. Tutto cominciò in modo casuale, divertente: il 12 ottobre 1969 Russ Gibb, disck jockey di una radio locale di Detroit, la WKNR-FM, ricevette in studio una telefonata da un certo Tom. Il tizio, che non volle mai rivelare il proprio cognome, suggerì al dj e al pubblico che stava ascoltando in diretta di provare a "seguire" alcune canzoni dei Beatles con accuratezza. All'interno di esse - questa era la tesi eccentrica che il supposto fan avanzava - erano sepolti indizi che portavano ad un'inquietante conclusione: Paul McCartney, uno dei leader del celebre gruppo musicale, era morto. Non passò molto tempo prima che la stampa riprendesse un motivo che, sebbene a tutti gli effetti assurdo, poteva contare su alcune "pezze di appoggio". La spiegazione dell'arcano mistero stava non solo in alcune canzoni, ma in alcune fotografie e copertine dei dischi dei Beatles, dal contemporaneo "Abbey Road", a ritroso fino a "Revolver" risalente a tre anni prima.
Fu così che anche la stampa (il Chicago Sun-Times, con l'articolo "Is Paul Dead?" - Paul è morto?), del 21 ottobre 1969 cominciò ad interessarsi del problema. Quando anche il leggendario legale F. Lee Bailey - dopo il prestigioso magazine Life -affrontò il caso, in un noto programma televisivo nel quale interrogò personaggi vicini al Beatle, fu chiaro quanto la storia avesse fatto presa sull'opinione pubblica. "È abbastanza curioso - scrive R. Gary Patterson nel suo accurato "The Walrus Was Paul" - che nessuna copia video di questo speciale televisivo sia rimasto. Nessuno sembra ricordare cosa sia successo ai nastri originali!" Oggi può sembrare assurdo pensare che i media abbiano potuto abbeverarsi ad una storia del genere, ma tale era la popolarità dei Beatles e così tanto intrigante l'aneddotica che generò il "caso", che una vera e propria isteria collettiva (ovviamente, soprattutto in America, ancora ossessionata dai casi Kennedy, John e Bob, e da quello di Marthin Luther King) si sviluppò alla ricerca della conferma: uno dei Beatles era morto. Quando? E come? Paul McCartney - il "romantico", il bello dei Beatles, come la stampa amava presentarlo - aveva perso la vita in un giorno di novembre del 1966, presumibilmente nella notte tra un martedì e un mercoledì, più precisamente il giorno 9, alle 5 del mattino.
Il bassista dei Beatles aveva lasciato gli studi di registrazione di Abbey Road e si era allontanato a bordo della sua Aston Martin, molto probabilmente eccitato da uno scontro avuto con gli altri tre membri della band. Una versione narra del fatto che Paul avesse caricato una ragazza autostoppista la quale, riconosciuto chi era alla guida dell'auto e lasciatasi prendere da un eccessivo entusiasmo, avrebbe causato l'incidente, nel quale McCartney avrebbe riportato danni mortali alla testa. I Beatles avrebbero cominciato la narrazione ad indizi dell'accaduto pochi mesi dopo, durante la registrazione dell'album "Sergeant Pepper's Lonely Hearts Club Band", uscito nel 1967, ad esempio rivelando il nome della ragazza coinvolta: Rita. In "Lovely Rita", infatti, Paul (o, secondo la "teoria", quello che avrebbe dovuto esserlo, un sosia sostituito dai Beatles) canta "I took her home, I nearly made it" (la portavo a casa, ce l'avevo quasi fatta). Ovviamente, una base di verità, e cioè dell'effettivo avvenimento dell'incidente, c'era. In quei giorni Paul
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La copertina di "Sergeant Pepper" (1967):
offre il maggior numero di indizi sul caso
aveva realmente avuto un incidente mentre era in auto con un'amica, in conseguenza del quale aveva riportato una ferita sul labbro. La cicatrice rimase, e questa è una delle spiegazioni per cui i Beatles, nei primi mesi del 1967, cambiarono look, adottando tutti i baffi. E non fu solo il look a cambiare, ma anche la musica, le sonorità, le invenzioni dei Beatles. Già con "Revolver" (1966) il quartetto di Liverpool aveva cominciato ad inserire nelle proprie canzoni nuove suggestioni: George Harrison si era molto avvicinato all'India, alle cultura e ai suoi suoni di quel paese, testimonianza ne sia il brano "Love You To", che risultò sempre indigesta ai fans, anche ai più accaniti. L'anno prima, nell'album "Rubber Soul", i Beatles avevano introdotto per la prima volta in una canzone pop il suono del sitar indiano: era "Norwegian Wood". Non solo, in "Revolver" (complice anche l'uso di droghe chimiche come l'LSD) i Beatles cominciavano sperimentazioni ardite (il brano "Tomorrow Never Knows" ne è un lampante esempio: nastri fatti scorrere al contrario, voci con effetti sonori), spiazzando i fans abituati alle sinuose armonie del recente passato. In più, nell'agosto del 1966, i Beatles compivano a San Francisco l'ultima esibizione dal vivo della loro carriera, annunciando di volersi dedicare esclusivamente alla composizione e alle incisioni negli studi di registrazione. I Beatles cambiavano, i Beatles non volevano più apparire in pubblico. Perché? Poteva essere, ad esempio, che uno di loro non era più lo stesso, che un sosia simile ma non identico ne avesse preso il posto, e avesse un talento musicale affine ma non esattamente uguale all'originale? La teoria della morte di Paul McCartney e della sua "sostituzione" prese il via, come detto, nell'ottobre 1969.
Da poche settimane, sugli scaffali dei negozi di musica c'era "Abbey Road", l'ultimo album della storia dei Beatles, un "canto del cigno" di sorprendente bellezza contenente autentici capolavori come "Something" (canzone dei Beatles più eseguita da altri artisti dopo la celeberrima "Yesterday", considerata da Frank Sinatra come "la canzone più bella della storia musicale degli ultimi cinquant'anni"), "Come Together", "Here Comes The Sun" e un lungo medley sul lato B, un sequenza musicale con la quale i Beatles, inconsciamente, salutavano il proprio pubblico (basti pensare che l'ultimo titolo si chiamava "The End", la fine). Per la cronaca, l'anno seguente sarebbe uscito l'album "Let It Be", che però era stato registrato precedentemente ad "Abbey Road", e che quindi non testimoniava l'ultimo rendez vous dei Beatles in uno studio di registrazione. "Abbey Road" raggiunse in America il primo posto in classifica nel giro di una settimana, vi si arroccò per undici settimane, rimase tra i primi trenta dischi venduti per quasi un anno e continua oggi a vendere moltissimo: nel 1980 le vendite di questo album si contavano nel numero di 10 milioni di copie. I messaggi in codice del decesso di Paul si potevano leggere nella leggendaria copertina del disco, raffigurante i quattro musicisti che attraversano le strisce pedonali di Abbey Road, a pochi passi dagli omonimi studi di registrazione. La foto fu scatta l'8 agosto 1969 alle 10 del mattino: l'8 agosto del 1994, esattamente venticinque anni dopo, il telegiornale della BBC avrebbe ripreso orde di fans che continuavano ad attraversare le strisce bloccando il traffico e cantando le canzoni dei loro eroi. Sulla copertina del disco, quindi, si potevano leggere molti indizi. Innanzitutto i quattro personaggi, uno dietro l'altro, sembravano inscenare una processione da funerale. Il primo della fila, John Lennon, appariva vestito completamente di bianco, con i suoi lunghi capelli alla Gesù Cristo: in un certo senso poteva assumere il ruolo simbolico dell'officiante, o comunque di un "profeta". Dietro di lui, Ringo Starr, completamente in nero, venne visto come il becchino. L'ultimo della fila, George Harrison, vestito in modo trasandato, a questo punto non poteva che essere l'uomo deputato a scavare la fossa. Davanti a lui, la "vittima".
Paul McCartney cammina con lo sguardo più assente rispetto agli altri, tiene una sigaretta nella mano destra (e tutti i fans sapevano che Paul era mancino e suonava il basso e la chitarra dalla parte opposta, invertendo l'ordine delle corde) e, inspiegabilmente, cammina a piedi nudi. Molti studiosi di religioni spiegarono che in alcune civiltà il piede nudo era simbolo di morte, e i morti venivano seppelliti senza scarpe. Paul McCartney, in un'intervista, si giustificò dicendo che, quel giorno, a Londra faceva un caldo opprimente, e che per questo non sopportò nemmeno di tenere ai piedi un paio di scarpe. Ma non bisogna essere dei geni per comprendere che, quando il sole batte sull'asfalto, questo diventa bollente, e una passeggiata a piedi nudi si rivelerebbe quanto meno masochistica. Sulla sinistra della copertina, parcheggiata a cavallo del marciapiede, una Wolkswagen "Maggiolino" (in Inghilterra, bisogna notare, è chiamata "beetle") sfoggiava la targa "LMW 28IF": gli ultimi caratteri erano rivelatori: 28 IF. "Se" (in inglese, "If") Paul McCartney fosse stato vivo nel 1969 avrebbe avuto 28 anni. Sul retro della copertina un vecchio muro di mattoni
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Uno degli indizi tratto dalla copertina pubblicata
sopra: dimostrerebbe la morte di McCartney
riportava la scritta Beatles: una crepa attraversava la lettera finale, la "s", suggerendo una frattura relativa al numero dei componenti della band. Immediatamente a destra, un gioco di ombre, se capovolto di 90 gradi, rivelava le fattezze di un teschio. A quel punto, il mondo della musica impazzì. Gli indizi (casuali? voluti dai Beatles per una contorta strategia di marketing?) sembravano non pochi, e i fans cominciarono a cercare il "messaggio" nei dischi precedenti. All'inizio del 1967 i Beatles si presentarono ai loro fans in una veste decisamente nuova. Non solo per l'aspetto: le tipiche zazzere a caschetto avevano lasciato il posto a pettinature più "casuali", i quattro si erano dotati di baffi e cominciavano a vestirsi in modo disarmonico tra loro (le uniformi con giacchettine senza bavero e gli innocenti "yeh-yeh" erano ormai un ricordo). I Beatles se ne uscivano con un 45 giri che avrebbe dovuto anticipare l'uscita di "Sgt. Pepper". Un 45 giri per alcuni aspetti ardito. In fondo, si trattava di due lati A, ovviamente equamente divisi tra i due leader Lennon e McCartney. Il secondo era l'autore di un rassicurante e nostalgico brano melodico, "Penny Lane", ricordo degli anni passati a Liverpool. A Lennon si doveva la psichedelica "Strawberry Fields Forever", un gioiello che ancora oggi è in grado di stupire per le ardite ricerche sonore e concettuali, ma che al tempo scioccò letteralmente il pubblico. Nel finale di questa canzone "sognante" accadeva qualcosa di strano: il brano sembrava sfumare, ma dal silenzio riemergeva una sequenza dissonante, "colorata" da flauti ossessivi e da inserti ritmici "barocchi", sotto la quale la voce di Lennon, confusa in questo caos, scandiva una frase.
Ascoltandola e riascoltandola, è indubbio che la frase sembri "I buried Paul" ("Ho seppellito Paul"). In molte interviste, lo stesso Lennon non ha mai mancato di esprimere forti ironie su questa interpretazione: le parole che avrebbe detto sarebbero invece "Cranberry sauce" ("salsa di mirtilli"), uno dei tipici non-sense cui Lennon - grande estimatore di Lewis Carroll e di James Joyce - amava ricorrere. A cavallo tra il 1966 e il 1967, nel periodo natalizio, era anche uscito una raccolta di vecchi successi dal titolo "A Collection of Beatles Oldies", la cui copertina sembrava suggerire indizi inquietanti. Al centro di un disegno ricco di colori giganteggia una figura acconciata "alla Beatles", introno alla quale si sviluppano alcuni "fumetti". Uno di essi raffigura un'auto con le luci accese (è quindi notte, la famosa notte dell'incidente, tra martedì e mercoledì?) che da un percorso lineare raggiunge la testa della figura beatlesiana: un indizio che poteva ricordare l'incidente nel quale Paul avrebbe ricevuto mortali ferite alla testa. Sempre su questa copertina, la figura è seduta su una grancassa sulla quale spicca la parola "oldies" (vecchie, intese come canzoni), tratta dal titolo. I fans ci videro un messaggio in codice: sezionando la parola come "ol-dies" e considerando le lettere della prima sillaba si poteva notare che esse precedevano esattamente, nell'ordine, le lettere "p" e "m", cioè le iniziali di Paul McCartney.
La seconda sillaba, "dies", in inglese significa "muore". Il messaggio era quindi, riassumendo, "PM Muore". L'1 giugno 1967 usciva "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band", considerato l'album più importante della storia del rock. Negli Stati Uniti ebbe, solo di prenotazioni prima dell'uscita, un milione di copie vendute. Dopo tre mesi le vendite, solo in America, avevano superato i due milioni e mezzo di copie, a metà degli anni ottanta l'album era attestato sui 15 milioni di copie vendute nel mondo. Sulla copertina di "Sgt. Pepper" gli indizi della morte di Paul si sprecavano. Per ragioni di spazio, e volendo escludere i riferimenti più complicati, citeremo solo i principali. La copertina - un'icona della cultura rock - è un'orgia di colori, personaggi, e oggetti. Appare chiaro al primo sguardo come l'immagine sia una rappresentazione. I fans vollero vederci una commemorazione funerea. Al centro, in uniformi bandistiche coloratissime stanno i Beatles, collocati dietro una grancassa con il titolo dell'album. Attorno a loro i visi di personaggi noti, come Fred Astaire, Edgar Allan Poe, Oscar Wilde, Bob Dylan, Marilyn Monroe, Marlon Brando, Shirley Temple. Alla destra dei Beatles, quasi a suggerire una sorta di "estraniamento", stanno altri quattro Beatles, non perfettamente uguali nei tratti somatici, nella versione "a caschetto" degli esordi. Proprio loro sembrano guardare, mestamente, la composizione floreale sottostante, che sembra alludere ad una tomba. Su di essa appare nitidamente la scritta "Beatles" (per la cronaca, attorniata anche da piantine di… canapa indiana!). Si celebra un funerale, quindi? Sotto la scritta un'altra composizione floreale gialla sembra riprodurre la forma di un basso (lo strumento suonato da Paul), dotato però di sole tre corde, al posto delle tradizionali quattro (i tre Beatles sopravvissuti?). A fianco, una statuetta della dea Kali riporterebbe il concetto della morte.
Sulla destra della copertina, una bambola con una maglietta a righe con la scritta "Welcome The Rolling Stones" ("Benvenuti i Rolling Stones", un omaggio alla band "rivale", ndr) tiene nella mano destra una macchinina giocattolo Aston Martin (l'auto dell'incidente?). Sopra la testa di Paul McCartney, al centro della copertina, dalla folla si alza una mano tesa. Di chi è? Non si riesce a capire, ma quello che i fans (e gli "studiosi" arruolati per l'occasione) si sentirono di interpretare era che, in alcune civiltà dell'Estremo oriente, questo veniva considerato un gesto di morte. Il messaggio più difficile da scoprire (ma la fantasia dei fans non ebbe limite in quegli anni!) fu quello nascosto all'interno della grancassa con il titolo dell'album. Prendendo un specchietto e ponendolo orizzontalmente in mezzo alla scritta centrale "Lonely Hearts", si poteva leggere, sfruttando il riflesso della parte superiore delle lettere, un codice: il messaggio era "I One IX He Die" (Uno-Uno-Nove-Lui-Muore), tra "He" e "Die" appariva un diamante che… indicava verticalmente Paul McCartney! La formula fu spiegata così: Undici (uno-uno), nove (IX, in romano), lui è morto. Il 9 novembre Paul sarebbe morto. A che ora? Lo indicava George Harrison sul retro della copertina, dove per la prima volta nella storia del rock apparivano i testi delle canzoni. I Beatles erano sovrapposti alle parole e Harrison (il primo a sinistra) con il dito indice segnala esattamente un verso della canzone "She's Leaving Home": "Wednesday at five o'clock".
E cioè: mercoledì alle cinque del mattino. La teoria dell'incidente tra martedi e mercoledì notte del 9 novembre sembrava confermata. Nella stessa foto sul retro della copertina i Beatles appaiono in una strana posizione: tutti, meno Paul, sono rivolti verso lo "spettatore". Paul McCartney, invece, dà inspiegabilmente le spalle. Perché? Per nascondere (o suggerire) che in realtà lui non è Paul? Aprendo l'album (uno dei primi confezionato "a libro") apparivano in primo piano i quattro Beatles. Paul, in divisa blu, sfoggia sul braccio sinistro uno stemma, su cui c'è la sigla "O.P.D.": una formula che, in Inghilterra, si usa quando una vittima di un incidente arriva morta in ospedale, un acronimo che significa "Officially Pronounced Dead" ("dichiarato ufficialmente morto"). L'ultimo indizio stava nella canzone che chiudeva l'album, la splendida e visionaria "A Day In The Life", nella quale Lennon cantava: "Ho letto i giornali oggi, di un uomo fortunato che ce l'aveva fatta, e benché la notizia fosse piuttosto triste, non ho potuto fare a meno di sorridere. Ho visto la fotografia. Ha perso la testa su un auto, non si era accorto che le luci erano cambiate, una folla di gente stava lì e guardava, avevano visto la sua faccia prima: nessuno poteva dirlo con sicurezza, ma sembrava uno della Camera dei Lords". La morte di una celebrità, quindi, di un uomo che aveva ottenuto il successo e che poteva essere un "Sir". Cioè, un baronetto. Come Paul McCartney e gli altri Beatles, nominati baronetti dalla regina Elisabetta nel 1965. Il disco, tra l'altro, veniva stampato per la prima volta sotto l'etichetta (di cui gli stessi Beatles erano proprietari) di nome "Apple" ("mela", che ne costituiva anche il logo), che sembrò l'ennesimo suggerimento. Foneticamente la parola è identica anche se la si scrivesse "A-Paul", cioè (ricorrendo all'alfa privativa greca), "senza Paul"! Sempre nel 1967 esce l'album "Yellow Submarine", colonna sonora dell'omonimo film a cartoni animati dedicato ai Beatles.
Sulla copertina del disco, un disegno raffigurante i quattro Beatles mostra un John Lennon intento a stendere la propria mano (ancora una volta!) sulla testa di Paul McCartney, facendo il simbolo delle corna. Sotto il titolo dell'album un verso che commentava: "Nothing Is Real" ("nulla è reale", nulla è come sembra, quindi). Ancora nel 1967 - anno molto creativo per i Beatles! - esce l'album Magical Mystery Tour, che si rivelerà ricco di indizi. Innanzitutto in esso ricompariva la canzone "Strawberry Fields Forever", già citata, e poi altre simbologie che sembravano riprendere quelle di "Sgt.Pepper". Confezionato come un libro, ricco di foto, l'album "Magical Mystery Tour" si proponeva come la colonna sonora di un film-documentario in cui i Beatles rappresentavano sé stessi in viaggio su un pullman attraverso l'Inghilterra, accompagnati da un buon numero di amici. Nell'ultima foto alla fine dell'album, in cima ad una folla, svetta sempre Paul McCartney, e ancora una mano tesa incombe sopra il proprio capo. Nella seconda fotografia dell'album Paul appare in uniforme dietro la scritta "I Was" ("Io ero") e sotto due bandiere britanniche incrociate (simbolo militare luttuoso). Nella foto centrale, in cui i Beatles suonano in abiti floreali, Paul è ancora scalzo (come nella già citata copertina di "Abbey Road"), suggerendo l'allegoria funerea.
Non solo: accanto a sé, vicino alla batteria di Ringo Starr, le sue scarpe appaiono macchiate di rosso. Nella penultima foto dell'album i Beatles appaiono in frac bianco, protagonisti di una scena pseudo-hollywoodiana. Ognuno di loro ha un fiore all'occhiello, solo che Paul, a differenza degli altri tre che ce l'hanno rosso, ne sfoggia uno nero, ovviamente simbolo di lutto. Ma siccome i fans cercavano indizi non solo nelle immagini ma anche nelle parole dei propri idoli, eccone un altro. In "I am the Walrus" (trad. "Sono il tricheco", e il tricheco nella mitologia nordica è simbolo di morte), Lennon cantava di uno "stupid bloody tuesday", di uno "stupido e sanguinoso martedì": il martedì notte dell'incidente? Nel finale della canzone - un'orgia di voci e suoni - emergeva la registrazione di un brano tratto dal "Re Lear" di Shakespeare (4.6.250-60) dove si parlava di una "morte imprevista" e l'ultimo verso recitava "Sit You Down, Father, rest you" ("siediti padre, riposa"). Alcuni fans arrivarono a sostenere che, se si ascoltavano al contrario i primi versi della canzone di George Harrison "Blue Jay Way", la voce solista recitava la frase
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La copertina del disco "Abbey Road" che
diede il via alla ridda di funeree ipotesi
"Paul is bloody, Paul is very bloody" ("Paul sanguina, sanguina veramente"). Ovviamente, migliaia di fans furono disposti a rovinare irreparabilmente i meccanismi dei propri piatti stereo per riuscire a sentire il messaggio. Come furono disposti a passare ore davanti allo specchio, mettendo la copertina di "Magical Mystery Tour" davanti a sé, per tentare di trovare un fantomatico numero telefonico che sarebbe dovuto apparire, e che li avrebbe collegati a qualcuno in grado di rivelare, finalmente, la verità. Un numero sembrava apparire, in realtà, ma era quello di un giornalista americano che rischiò, in quei mesi, l'esaurimento nervoso. L'anno seguente, siamo nel 1968, esce quello che passerà alla storia con il nome di "White Album" ("Album Bianco") la cui copertina è completamente bianca. Il bianco, come si sa, in alcune civiltà è colore luttuoso, e richiamava, tra l'altro, l'abito bianco di Lennon sulla copertina di "Abbey Road". Molti versi delle canzoni di questo album (soprattutto il brano "Helter Skelter") convinsero, come lui stesso dichiarò in tribunale, Charles Manson (fanatico affiliato ad una setta satanica) ad assassinare Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski. Questa è però un'altra storia, ma che fa comprendere come, evidentemente, non solo i fans cercavano la "verità" dai Beatles, e non solo per gioco. Tornando all'"Album Bianco", in una canzone tratta da esso - "Glass Onion" - Lennon canta: "Ora c'è un altro indizio per tutti voi: il tricheco era Paul". Tutti avevano creduto, guardando le foto dall'album "Magical Mystery Tour" che chi indossava la maschera del tricheco, seduto al piano, fosse Lennon. Ora lo stesso Lennon rivelava che invece si trattava di Paul. Il tricheco, come detto, è un simbolo di morte in alcune culture nordiche.
Nel finale della canzone di Harrison "While My Guitar Gently Weeps", mentre sfuma l'assolo di chitarra della guest-star Eric Clapton, sembra che il Beatle invochi, ripetendo in un lamento, il nome di Paul. Nel poster allegato all'album (foto su un lato, testi di canzoni sull'altro) appare una fotografia, in basso a destra, dove Paul è in piedi vicino ad un palo e dei rivoli di fumo dietro di lui sembrano assumere le fattezze di due mani scheletriche che lo seguono e cercano di afferrarlo. In un'altra foto Paul è raffigurato mentre immerge la testa in una vasca per lavarsi i capelli. Nella canzone "Dont' Pass Me By", Ringo canta "scusami se ho dubitato di te, non sono stato leale. Tu hai subito un incidente d'auto e hai perso i capelli". Nel brano "Revolution 9", composto da Lennon, in un turbinio di suoni e registrazioni al contrario, si sentirebbero i rumori di un incidente d'auto. Il numero 9, poi riprenderebbe il giorno della data dell'incidente e, guarda caso, il numero delle lettere del cognome della "vittima": McCartney. L'ultimo indizio i fans pensarono di identificarlo nell'album che chiuse la carriera dei Beatles, "Let It Be". Nelle quattro foto distinte di John, George, Ringo e Paul, quest'ultimo era l'unico che appariva su sfondo scuro, per la precisione rossastro, mentre gli altri apparivano su sfondo chiaro. Oggi Paul McCartney è un iper-miliardario che guadagna all'anno più della British Airways. Solo grazie ai diritti d'autore, qualche anno fa si parlava di un ricavo di più di 200 milioni al giorno. Dopo lo scioglimento dei Beatles, nel 1970, McCartney ha intrapreso una carriera solista di successo, tra alti e bassi, guadagnandosi il posto nel celebre "Guinness dei Primati" come musicista pop di maggior successo (maggior numero di copie di dischi venduti nel mondo, sommando la propria carriera a quella dei Beatles).
Dopo anni a cercare, comprensibilmente, di guadagnarsi una propria dimensione come artista solista, si può dire che "ha fatto la pace" con il proprio illustre, incredibile passato. Addirittura, di quella vicenda assurda che riguardò la sua supposta morte, Paul ha dimostrato di voler riprendere le fila in modo giocoso. Nell'album "Off The Ground" del 1993 la copertina sfoggia i piedi nudi penzolanti dal cielo di tutti i musicisti coinvolti nel disco. Lo stesso anno, McCartney sfornò l'album dal vivo dall'emblematico titolo "Paul Is Live", un gioco di parole per dire "Paul suona dal vivo" o, distorcendo il più corretto "Paul is Alive", "Paul è vivo". In questa copertina, McCartney si faceva ritrarre su quelle stesse strisce pedonali di Abbey Road tenendo un cagnolino al guinzaglio. L'espressione questa volta era sorridente. Il gioco era finito.





RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI


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