IL LIBRO RACCONTATO
Storia della bibita
"magica" che continua a inondare il mondo
MILLE E NON PIU’ MILLE
MA SEMPRE COCA COLA
di Paolo Avanti
"Georgi Zhukov era stanchissimo. Non aveva ancora finito di impartire le disposizioni per il giorno seguente ai suoi ufficiali e il sole era già tramontato da ore. Con un cenno del capo chiese al suo aiutante di portargli qualcosa da mangiare. Il generale russo non si era riposato un attimo da quando aveva difeso Mosca contro le truppe scelte di Hitler; poi vinta la resistenza tedesca a Stalingrado, spezzato l'assedio di Leningrado e guidato la trionfante avanzata russa da Varsavia a Berlino. Spingendo senza pietà le sue truppe per arrivarvi prima degli americani, egli aveva voluto così saldare un conto personale. "Presto farò rinchiudere in una gabbia quella bestia schifosa di Hitler ", aveva promesso al suo amico Krushcev. E invece, proprio lui che non aveva mai mancato un obiettivo, dovette rinunciare a realizzare quest'ultimo nel momento in cui Hitler si sparò.
E adesso, relegato in quel genere di funzioni amministrative che detestava, il generale sorvegliava quella parte della Germania sconfitta occupata dai russi. Anche se disprezzava il nemico, provava pietà per quei poveri, patetici tedeschi che stavano morendo di fame e chiedevano cibo. E pur provando disprezzo per la maggior parte delle truppe americane - quegli spacconi che erano entrati tardi in guerra e credevano di essere i salvatori del mondo - aveva trovato un buon compagno d'armi in Dwight Eisenhower e i due erano diventati amici alla Conferenza di Potsdam.
Pensare ad Ike fece tornare in mente a Zhukov la bevanda preferita dagli americani. Agli occhi di un russo, essa sembrava il diavolo - una pozione scura e frizzante - ma non poteva offendere il suo nuovo amico quando questi gliela offrì. Sorridendo, buttò giù in un sol colpo la bibita come avrebbe fatto con un bicchiere di vodka, ma subito la sentì esplodere nel naso. Mentre tossiva e sputava, pensò di essere stato vittima di uno scherzo, finchè Eisenhower, ridendo, gli disse di berla più lentamente. "Ingurgiterai comunque del gas", disse, "ma laggiù nel Kansas dicono che un bel rutto fa bene alla digestione". Al secondo tentativo la Coca-Cola non dispiacque a Zhukov e in seguito, anzi, egli cominciò a provarci un certo gusto.
Ecco ciò di cui aveva bisogno per rimettersi in forze e affrontare il resto della serata. "Nikolai!" - gridò - "portami una di quelle bibite speciali Stella Rossa insieme alla mia cena". Desideroso di godersi la nuova bibita, Zhukov aveva chiesto al generale Mark Clark, comandante della zona di occupazione americana, se poteva fargli avere una scorta della bibita di Ike. "Ma non deve assolutamente sembrare un prodotto americano" - raccomandò. "Non mettetela in quelle ridicole bottiglie, e datele un colore diverso". Zhukov sapeva che Stalin, quel pazzo roso dalla gelosia, non aspettava altro che trovare una scusa per liquidare l'eroe del popolo: il generale non poteva essere sorpreso a sorseggiare quella bibita capitalista.
AL DI LA' DELLA LEGGENDA Ah, ecco qui. Il suo aiutante portava la zuppa e quella che sembrava una bottiglia di acqua minerale. Dopo aver strappato il tappo a forma di stella rossa, l'eroe di tutte le Russie inclinò la testa e bevve fino in fondo, poi emise un piccolo singulto. "Ahh" - disse fra i denti, "Coca-Cola!"".
Sarebbe sufficiente questo aneddoto per far comprendere il successo planetario della bibita americana. Quello presentato, tratto da un'intervista con Mladin Zarubica, è soltanto uno dei mille racconti della monumentale storia della Coca-Cola di Mark Pendergrast, "Per Dio, la Patria e la Coca-Cola - la vera storia della Coca-Cola" (pagg. 550, Piemme editore, L.45.000).
Il giornalista americano, cresciuto ad Atlanta a due passi dalla sede della nota marca, non nasconde il suo amore per la frizzante bevanda della Georgia. Ma la sua storia, rigorosa ai limiti della paranoia, non è quell'epopea mitizzata tanto cara alla casa di Atlanta. L'invenzione e il successo della Coca-Cola fu il risultato del lavoro di un gruppo di geniali imprenditori, ma anche di sotterfugi, tradimenti e cinismo. Intendiamoci: il libro di Pendergrast non vuole buttare fango su quella che a buon diritto si può considerare uno dei simboli degli Stati Uniti e una delle più grandi imprese capitaliste del nostro secolo. Vuole solo raccontare i fatti, come nel bene e nel male si verificarono. Senza toglierci nulla del piacere che proviamo quando stappiamo una di quelle mitiche bottigliette in una giornata d'estate. Cominciamo con uno choc.
John Pemberton, il farmacista che avrebbe inventato la magica formula, era un morfinomane. Niente a che vedere con il povero, vecchio dottore che per caso si imbatte nell'invenzione del secolo, come recita l'agiografia ufficiale. "John Pemberton non era affatto un rozzo, semplice dottore di campagna, e la Coca-Cola non fu inventata nel retro del suo laboratorio. E soprattutto, lungi dall'essere una bevanda casuale, saltata fuori dal niente, la Coca-Cola fu un prodotto del suo tempo, del suo luogo e della sua cultura.
PEMBERTON, IL FARMACISTA MORFINOMANE "Essa era in realtà, come altre panacee di quel genere, un vero e proprio farmaco con un chiaro effetto eccitante dovuto alla cocaina". La Atlanta di fine secolo pullulava infatti di farmacie, intente a lanciare sul mercato qualunque tipo di infuso o di preparato, delle vie di mezzo tra la bevanda dissetante e la medicina miracolosa.

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Il dottor John Pemberton,
l'inventore della Coca-Cola |
A leggere la pubblicità di quei giorni, la popolazione della Georgia, grazie a questi intrugli, avrebbe risolto una volta per tutte i problemi legati al mal di testa, alle nevralgie, al mal di schiena e quant'altro. Anche la Coca-Cola nacque con questo scopo, e nacque quando Pemberton, che già si era cimentato in altre imprese simili, si fece mandare delle foglie di coca dal Perù e delle foglie di cola dal Ghana delle sostanze stimolanti utilizzate da anni dalle popolazioni locali. Da qui iniziò la lunga e trionfale corsa al successo della Coca-Cola, agevolata dal proibizionismo imperante, che diede una notevole mano ai produttori di bevande analcoliche.
Botanic Blood Balm (Balsamo botanico per il sangue), Copeland's Cholera Cure (Cura di Copeland per il colera), Dr.Jordan's Joyous Julep (Sciroppo gioioso del dr. Jordan), Dr.Pierce's Pleasant Purgative Pellets (Piacevoli pillole purgative del dr. Pierce): se la Coca-Cola si fosse chiamata come uno solo di questi "farmaci" concorrenti, forse oggi non ci ricorderemmo nemmeno della sua esistenza. Spesso il successo di un prodotto è determinato dal nome. E fu grazie a Frank Robinson che si scelse quello ormai celeberrimo di Coca-Cola. L'azienda di Atlanta ci tiene a ricordare che la scelta fu determinata dalla sua musicalità. In realtà il nome indicava semplicemente i due ingredienti principali della bibita, ma la cosa non poteva essere ammessa, perchè per anni si cercò di nascondere la presenza della coca nella famosa ricetta. Il 16 giugno 1887 sempre Robinson, addetto alla pubblicità, introdusse il corsivo caratteristico nella scritta Coca-Cola. Già da allora l'azienda di Atlanta si distinse per la diabolica capacità di far conoscere il proprio marchio, con messaggi efficaci e moderni. "Paragonato alla maggior parte degli annunci pubblicitari del periodo, quello della Coca-Cola era molto più breve e incisivo, anticipando la tendenza moderna; per la prima volta venivano utilizzati gli aggettivi "deliziosa e rinfrescante", che sarebbero poi diventati quasi sinonimi di Coca-Cola".
LA GENIALE BOTTIGLIETTA Un'altra svolta decisiva nella storia della bibita sarà la scelta della bottiglietta. Furono due scaltri uomini d'affari del Tennessee, Benjamin Franklin Thomas e Joseph Brown Whitehead a proporsi per l'imbottigliamento della bibita (fino ad allora, 1888, veniva venduta alla spina) al boss della casa di Atlanta, Asa Candler. Candler inizialmente non si fidava molto di loro. In effetti, i due personaggi non erano certo presentabili: "Thomas, 38 anni, era un uomo tarchiato, con una florida faccia sudata. Whitehead, benchè di qualche anno più giovane, camminava ondeggiando come una papera, portandosi dietro con difficoltà i suoi 90 chili. E sarebbero stati proprio due grassi provinciali di Chattanooga a imbottigliare la Coca-Cola?".

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Un manifesto del primo Novecento |
Ma sarà un operaio, Earl Dean, nel 1916, a inventare la bottiglietta "a gonna stretta" che avrebbe distinto per sempre la Coke da tutte le altre bibite. Le altre tappe nella epopea della Coca vengono sviscerate nel libro con un rigore e una precisione a volte pedante. Ma non mancano tratti entusiasmanti, in particolare la descrizione del grande timoniere Asa Candler, la diffusione capillare della bibita in tutti gli States, la Coca-Cola nella Germania nazista, la concorrenza della Pepsi e il grande scivolone degli anni Ottanta quando si volle inopinatamente cambiare la formula.
Ma soprattutto il libro contiene la ricetta più misteriosa della storia. Pendergrast non voleva credere ai suoi occhi quando un archivista della Coca-Cola, con la calma di un impiegato al catasto, gli diede la formula per la cui segretezza ad Atlanta si erano fatte follie (nel 1977 la compagnia abbandonò l'India pur di non consegnare la sacra formula al governo che la esigeva). L'ingrediente segreto è il famoso 7X, un composto, ben dosato, di sei estratti e alcool. La scoperta di Pendergrast non ha però sconvolto più di tanto gli uomini di Atlanta. I tecnici addetti all'assaggio della bevanda sanno il fatto loro: "Anche se degli scienziati potessero scoprire i diversi ingredienti della Coca-Cola, addirittura stimandone le probabili quantità, secondo i rappresentanti della Coca-Cola essi non potrebbero riprodurre la miscela esatta"
LA FORMULA, ROMPICAPO IMPENETRABILE "Può sembrare incredibile ma soltanto due persone che lavorano nella Compagnia sanno come miscelare il 7X. Ciò comporta la necessità che si rechino frequentemente a Cidra, in Porto Rico e a Drogheda, in Irlanda per completare le forniture dei due giganteschi stabilimenti di concentrato, nei quali vengono prodotti gli elementi base per la Coke di quasi tutto il mondo". Insomma, quello che poteva essere uno scoop sensazionale per i dirigenti di Atlanta è un insignificante incidente di percorso. Leggete questo dialogo tra lo speranzoso autore del libro e un alto dirigente della Coca-Cola.
"Nonostante l'alone di mistero e l'alienazione che si sono creati attorno alla famosa formula, un giorno un portavoce della Compagnia abbassò la guardia quando gli chiesi cosa sarebbe accaduto se avessi pubblicato in questo libro la formula originale con precise indicazioni. Fece un largo sorriso
‘Mark - disse - ‘diciamo che questo è il tuo giorno fortunato. Ho una copia di quella formula proprio qui nella mia scrivania. (...) Ecco qua. Cosa hai intenzione di farne?’.
Beh, la metterei nel mio libro.
‘E poi?’.
Qualcuno potrebbbe decidere di mettersi in affari in concorrenza con la ‘The Coca-Cola company’.
‘E come chiamerebbero il loro prodotto?’
Non potrebbero chiamarlo Coca-Cola, perchè li citereste in giudizio. Diciamo che lo potrebbero chiamare Yum-Yum e potrebbero insinuare, senza correre il pericolo di un processo, che la Yum-Yum è la vera formula originale della Coca-Cola.
‘Bene. E allora? Quanto la farebbero pagare? Come la distribuirebbero? Come la pubblicizzerebbero? Capisci cosa intendo dire? Abbiamo impiegato più di cento anni e speso quantità di denaro per costruire il capitale di questo marchio. Senza le nostre economie di scala e il nostro fantastico sistema di marketing chiunque cercasse di riprodurre il nostro prodotto non avrebbe possibilità e dovrebbe stabilire prezzi troppo alti. Perchè qualcuno dovrebbe cambiare e comperare la Yum-Yum che è proprio uguale alla Coca-Cola, ma costa di più, quando è possibile procurarsela in ogni parte del mondo?’.
Non riuscivo a pensare ad alcuna risposta".

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